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Ti ci scontravi sempre con questa cosa, finché non l’hai accettata…

§2.2 BORN AGAIN

I: Ti ci scontravi sempre con questa cosa, finché non l’hai accettata…

T: Sì. E poi è venuto il pastore e ha cominciato a parlare… “ci sono delle donne che sono state picchiate dal marito e dico in questo momento di venire qua e riconciliarsi con il Signore” e in quel momento: BAM! …mi venivano le lacrime e io: “ma perché mi viene le lacrime!? …sia per me superata?”. E allora sono andata lì e ho detto al pastore che era lì: “ma perché??” e lui “c’è qualcosa che devi ancora risolvere”.

Come sosteneva il pastore, alla presenza di Dio succedono delle cose: in questo caso, aprire la Bibbia e trovare la parola giusta al momento giusto diventa un segnale che riapre la relazione con Dio. Dio non ha dimenticato, Dio è qui e sta dialogando attraverso la Scrittura. Questa consapev- olezza, per Titti, giunge con una forza prorompente, tanto da farla scoppiare in lacrime, ma sono lacrime terapeutiche, lacrime che sciolgono. Alcuni lo chiamano “dono delle lacrime”, per puntu- alizzare che si tratta di un dono spirituale che ha conseguenze spirituali. Sono anche lacrime di gioia, una gioia quasi carnale, come dice Licia:

Licia: succede una cosa bellissima, una gioia dentro… indescrivibile, proprio cioè… ti senti proprio felice, contento, una gioia che la senti proprio dagli occhi, dalla faccia, di di di… di bocca stessa. Den- tro di te senti proprio una pace. Quel momento è proprio una gioia, che la senti.

Un altro strumento che innesca e mantiene aperta la relazione è la lettura personale della Scrittura. Leggere tutti i giorni, per almeno un’ora, e meditare. La Bibbia è una fucina dell’immag- inario. Dentro ci sono storie raccontate con un linguaggio speciale, un codice sufficientemente aperto da poter esprimere, virtualmente, tutte le storie del mondo. Si tratta quindi di uno stru- mento che parla per paradigmi e che consente di rileggere la propria vita attraverso corrispon- denze analogiche. Le situazioni della vita “somigliano” a quelle narrate nella Scrittura: allora la Scrittura dà indicazioni su come reagire a quelle situazioni; le parole pronunciate dai personaggi della Bibbia diventano massime morali che entrano nel proprio linguaggio e indirizzano l’azione nel mondo. Come dice di Stefano, si fa il volere di Dio quando si parla bene, perché parlando bene si produce la giusta abitudine e si rimedia alla frattura dell’azione che c’è tra Dio e gli umani. In altri termini, bisogna educare il pensiero e il linguaggio a ragionare come nelle Scritture, affinché cambi l’agire nella sua completezza e l’agire rientri nei progetti che Dio ha per ciascuno. È come se Dio avesse creato delle “giunture naturali” per le traiettorie biografiche di ciascuno: sta al singolo individuo intercettarle e porsi, con un atto di volontà, in quelle giunture, così che l’azione di Dio e l’azione dell’individuo non siano discrete, ma compenetrate. La testimonianza dei fedeli, del resto, è ancora un allenamento interpretativo che parte dal lavoro sulla narrazione (cfr. §1.3). La vicenda dell’altro risuona in chi ascolta, è somigliante e chiama all’azione. Dice di Stefano: «l’esperienza rende la testimonianza una parola di grazia incarnata. Bisogna fare come facevano gli Ebrei, parlare con la Parola: iniziare e chiudere un discorso sempre con la Parola. Così ci si educa parlando e cambiano le aspettative».

Ma la lettura della Scrittura è anche un aiuto alla preghiera. Si impara a pregare, cioè si impara a rivolgersi personalmente a Dio, vedendo come fanno i personaggi della Bibbia. Une delle forme più efficaci di preghiera è il canto: il Libro dei Salmi, ad esempio, è un libro di canti. L’investimen- to sul canto è una delle caratteristiche principali della CA. Attraverso il canto collettivo, la comu- nità «si innalza verso un unico spirito; serve anche a far riaffiorare la memoria, sanare le memorie brutte e riconvocare quelle belle. Dio stesso canta prima di prendere il pane». Il canto richiede, 30

cioè, un lavoro tecnico e spirituale molto intenso per essere fatto pienamente. Bisogna accordarsi al canto, sia a livello emotivo che a livello contenutistico. Quindi è anche uno strumento molto interessante, perché osservando come si canta si può percepire come si è interiormente. Una co- munità carismatica si riconosce anche da come canta. Dice Dalida:

Tratto da un sermone di Alberto di Stefano.

Dalida: sono rimasta stupita dall’atmosfera che c’era, le canzoni… e io ho pensato che non voglio us- cire mai più, cose che in chiesa ortodossa non vedevo, non sentivo, non c’era questa gioia qui, era gioia, era tanta gioia. E io ho detto “oooh! vorrei andare…”.

«È proprio vero che abiti qui»

Rinnovamento nello Spirito

Renzo: Teologicamente si dice che il nostro sacramento era “legato”… cioè l’abbiamo ricevuto ma è un pacco che non abbiamo mai aperto nella sua potenza, nella sua bellezza, no? L’effusione dello Spirito San- to ti fa riscoprire la bellezza della chiesa nonostante sia santa, bella e anche peccatrice…no?

Sono parole di Renzo, membro del RnS. Stavamo parlando delle possibili intersezioni tra il cattolicesimo e il carismatismo. Essere cattolici e carismatici, secondo Renzo, è una sfida specifica: significa essere chiamati a rinvigorire la tradizione, e non a liberarsene. In questo caso, religione (intesa come tradizione istituzionale) e spiritualità coincidono. Quando questo non succede, vuol dire che si sta camminando sulla traiettoria errata, che la comprensione non è autentica. Quindi, per molti versi, occorre ritornare alle origini della questione, cioè a quei fatti religiosi antichissimi che, per la loro problematicità, hanno rischiato l’oblio collettivo. Prima conoscerli, poi riattivarli. Nel RnS il sacramento del battesimo non è successivo alla presa di coscienza, poiché non si ha presa di coscienza quando si è nati da pochi mesi: il battesimo è un rito che conferisce al bambino una serie di protezioni spirituali, ma quali che siano le capacità, invece, esse restano latenti qualora non le si coltivi con impegno e con la pratica. Allora la conversione vera e propria è il riconosci- mento di queste potenzialità e dei loro effetti. Una volta toccato con mano questo “fatto”, reli- gione e spiritualità tornano a coincidere e diventano principio di vita cristiana. Il percorso forma- tivo e comunitario del RnS, come vedremo, mira esattamente a questo.

Se volessimo riassumere con una parola il nerbo del Rinnovamento, potremmo dire: “presenza”. La nota dominante, cioè, è il tentativo sia individuale che collettivo di accorgersi della presenza di Dio sulla terra. Il Dio del Rinnovamento non è il Dio terribile e superno dell’Antico Testamento. Non è nemmeno un Dio anonimo, distante, o troppo occupato per seguire ogni singolo individ- uo. Piuttosto è un Dio umanizzato, dolce, compassionevole, “femminile”, attento, costante, geloso, insistente, innamorato, burlone, ironico, paziente, desideroso. In altri termini, è un Dio che si adatta alla personalità di ciascuno e che “seduce” ciascuno nel modo più congeniale. A volte, come racconta Carla, ti prende in giro:

Carla: Io lo dico sempre, il Signore mi ha preso per il sedere in una maniera fantastica, è burlone, nella mia vita è molto burlone e io son così. Ti prende ognuno a modo suo, per come è fatto. A me mi tira un po’ di

bastonate e carote e mi fa: “lo vedi, lo vedi, come ho fatto, ho fatto così perché ti voglio bene”. Si, si, è molto ironica questa cosa qui.

Altre volte, dice Sara, non aspetta altro che lo si chiami, come un amante impaziente che fissa il telefono:

Sara: E io lo sentivo forte perché, tant’è vero che in quei giorni si muoveva qualcosa, lo Spirito già stava “lavorando”…ero io che volevo accoglierlo e dire “va bene entra”, no? E quando mai si tira indietro se lo chiami? [ride] Lì in quel momento c’è stata veramente proprio la resa, la resa… ricordo di aver alzato le braccia al cielo e dico: “se ci sei davvero fatti sentire perché non ho niente da perdere, e tu lo puoi oper- are, lo puoi fare [voce rotta dalla commozione]… e così è stato, in quel momento fisicamente ho sentito proprio come un qualcosa che proprio… ahhhh… si liberava, cioè a partire proprio dalla gola al… fino al cuore e passava fino ai piedi e in quel momento, proprio come fossi, mi sentivo quasi fisicamente… ehm… non lo so… rivestita proprio di un’altra luce. E lì è stato subito un movimento, da subito, una gioia incredibile, proprio gioia!

Oppure, secondo Mirella, si nasconde e sfiora l’epidermide, solletica i sensi:

Mirella: Io non l’avevo ancora riconosciuto, ma la sua presenza ti tocca in un modo che… quando passa non gli resisti. Il Signore è difficile che quando passa e ti accorgi, resisti. Succede qualcosa per cui il tuo dentro viene scosso in qualche modo. […] Sentivo questa strana sensazione, questo strano brividino che stava succedendo qualcosa di bello… Ma io non … non avevo ancora chiaro e continuavo ad aver questa sensazione di aver voglia di piangere e di stare con la gente. Tant’è vero che in tre giorni avevo legato con tutti… Quello che più mi sono portata a casa è stato… un… una presenza… io, non posso dirti di averlo visto fisicamente, il Signore, perché non è così che ha funzionato, io però sono sicura che l’ho sentito, questo perché poi ha continuato.

Dio è presenza. Ed è una presenza attiva, che influisce sulle cose del mondo e sugli umani. Du- rante gli incontri, i segni della presenza si manifestano come il movimento dei fiori quando passa un refolo di vento. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Una sera, dai banchi si leva un giovane ragazzo per fare una preghiera di lode. Si leva quattro volte e alla quarta dice una frase che la col- lettività riconosce come parola profetica: «il Signore sta parlando, ora, con una ragazza che chiede: “dov’è la mia vita?” e il Signore risponde: “la tua vita è nelle mie mani”». L’assemblea si guarda attorno, come a voler trovare quella ragazza; molti annuiscono, altri ringraziano a voce alta per le parole appena espresse: «grazie Signore», «amen, Signore», «alleluia». Qualcuno solleva la mano verso il cielo, come a voler captare qualcosa. In un altro frangente, Mons. di Gregorio chiede ad alta voce che Dio mandi il “dono delle lacrime” a sanare le ferite del suo popolo; men- tre dice queste parole, egli stesso inizia a singhiozzare. Oppure, un signore dal fondo della chiesa si solleva dal bancone ed esclama improvvisamente a gran voce: «io sono qui! Ti guardo e sorrido

a te! Alla tua persona!». E ancora, una signora all’improvviso dice: «la pace deve restare nei vostri cuori, nella tempesta deve regnare la pace, perché io sono con voi. Rallegrati perché sei vivo! Sei viva! Io sono con te!». Nel frattempo una giovane ragazza cade in ginocchio a braccia aperte. Altri rispondono esclamando «amen! alleluia!».

La presenza di Dio, sotto forma di Spirito Santo che ispira, dona parole, entra negli individui e li fa (re)agire, va ricostruita esponendosi costantemente ai contesti che la lasciano esprimere, finché le sue modalità di manifestazione non diventino più “domestiche”. Un buon gruppo carismatico è in grado di convocare la presenza senza ricorrere alla liturgia istituzionale, perché la preghiera è libera e gli individui devono restare aperti al passaggio, prestare il corpo e la bocca. Capitano momenti particolarmente riusciti, anche se sono più rari, perché per essere efficaci ci vuole una buona dose di esperienza, oltre a una buona tenuta di gruppo. Uno di questi momenti è cominci- ato grazie all’animazione musicale. La corale, utilizzando le percussioni in modo pressoché tribale, con forti accenti e un ritmo sostenuto, proponeva canti in lingua ebraica, una vera e propria par- entesi yiddish di festa. Nella chiesa circola una forte energia e i fedeli battono le mani. Le preghiere spontanee si avvicendano: «sei sempre accanto a noi!», «lode e gloria! Lode e gloria! Lode e gloria per la tua presenza accanto a ciascuno di noi», «tu sei bellezza!», «grazie per questa famiglia che ci ha insegnato tante cose e io non sono più quello di prima…», «veniamo qui appe- santiti dalla giornata e usciamo colmi di gioia e di Spirito Santo!», «ti prego rimani sempre vicino a noi in questa famiglia che ti vuole bene», «la tua presenza è gioia!». Nel frattempo iniziano le danze ebraiche sotto all’altare: le persone si prendono per mano, formano dei circoli e comin- ciano a girare saltellando mentre cantano. L’aria è galvanica. Rimangono seduti solo una decina di signori e signore troppo in là con l’età per muoversi con quella frenesia. Una componente del pastorale dice a tutti, mentre si gira, che Davide usava ballare davanti alla tenda e ciò era molto gradito al Signore. La riflessione innesca un altro giro di preghiere: «oggi vogliamo manifestare gioia!», «sei qui che sorridi!», «hai salvato la mia vita…», «vieni Spirito Santo, vieni con le tue gua- rigioni, Spirito di perdono, sapienza, gioia e grazia!». La comunità ha aperto con efficacia un mo- mento non ordinario: tutti si guardano negli occhi, ridono, battono a tempo, si emozionano, lo- dano la presenza. Il seguito delle danze è la preghiera di lode e ringraziamento, stavolta senza ac- compagnamento musicale, ma ben posizionato sulla scia di ciò che si è aperto e che ancora attra- versa i corpi: «è proprio vero che abiti qui…», «tu sei ovunque, però ti sento vicino quando man- gio il tuo corpo e bevo il tuo sangue, e io divento il tuo tempio, siamo un’unica cosa» . 31

L’entrata in comunità rischia di essere, per chi non la conosce, un’esperienza di straniamento. Come problematizza una componente del gruppo, il ricorso a strategie mediatiche per diffondere la spiritualità del Rinnovamento si rivela spesso deludente, proprio perché esponendo fenomeni come quelli descritti si offre il fianco uno sguardo superficiale che deriva dall’incomprensione e può portare alla derisione e alla stigmatizzazione, se non alla patologizzazione. Piero racconta

Le vicende sono tratte dalla rielaborazione successiva di alcune note di campo.

come è stato il suo primo ingresso in comunità, lui che non si era mai interessato alla fede e tene- va la Bibbia su uno scaffale impolverato, tra il Manifesto Comunista e il Capitale.

Piero: La prima cosa, impatto, BUM! Appena sono arrivato i ragazzi mi hanno preso per mano, ci hanno abbracciati, un’accoglienza che… ma dove siam capitati qua, no? Una bella accoglienza, ma non falsa, la vedevi bella, non artefatta… “vieni vieni, accomodati”… c’era un’ottantina di persone. Tanti giovani, chi- tarre… Hanno iniziato questa preghiera… che stanno facendo ‘sti qua… abituato a un mondo tradizionale, così… è cominciata questa alzata di mani… [ride] .. ci hanno messo il libro di canti in mano e non staccavo… non… [ride]. E le preghiere erano molto belle, non sapevo dove le avessero imparate, perché non sapevo che fossero spontanee. Mi sembravano preparate. Perché erano talmente… ispirate, no? Ma torniamo a casa e ci chiediamo: ma stasera è successo qualcosa? Ho preso una sberla io. Qualcosa che non riuscivamo a capire, che però… ci è piaciuta. Poi il secondo, il terzo, il quarto… il sesto incon- tro… il desiderio di scoprire le Scritture, che io tenevo su uno scaffale in mezzo al Manifesto Comunista e … [ride]… e poi si facevano catechesi no? Io avevo il desiderio personale di apprendere la scrittura e in- tanto cresceva il desiderio di preghiera, personale, così… cominciare un dialogo con Dio.

Piero era lì con sua moglie. Per loro il cammino è proseguito attraverso l’approfondimento bibli- co comunitario e l’esperienza diretta di un nuovo stile spirituale. Col passare del tempo comin- ciano ad accadere cose che li spingono a riflettere e rinforzano la percezione della presenza. Rac- conta di un fatto rilevante, tra molti, in cui sua moglie fa un sogno che finisce per rivelarsi pro- fetico.

Piero: Lei si è messa da sola a pregare [il rosario] e però non ce l’ha fatta a finire per la stanchezza. E poi mi dice: “ho sognato questo. Era talmente reale che non posso non raccontarlo perché è come se l’avessi visto”, dice e vede [il parroco] che gli dice, proprio in genovese “non te preoccupà, ghe pensu mi a finilo”, no? In genovese, ci penso io a finirlo [il rosario], tu pensa a dormire e a riposarti. Perché lei pregava affinché lui intercedesse per questo nostro amico. Oh! Il giorno dopo le viene da dire… va a parlare con il vicino e dice “guarda, io non ti voglio illudere, ma se la cava, si salva, vai tranquilla che se la cava” […] Ecco questi eventi qua, che non so se sono carismatici o ché, ci hanno guidato tanto.

Come ribadisce spesso il presidente del RnS, Salvatore Martinez, il cammino in comunità è un percorso di vero discepolato, mirato a costruire l’uomo nuovo. L’uomo nuovo, cioè, l’uomo (e la donna) rinati in cristo e morti alla vita precedente. L’inizio dell’uomo nuovo si prepara con il tempo, con la partecipazione assidua agli incontri, con l’impegno verso una «formazione perma- nente», come mi dice Gioia. Comincia, però, con l’effusione dello Spirito Santo che, nella “cul32 -

tura di pentecoste” è la discesa dello Spirito Santo sull’individuo, con tutte le sue manifestazioni

L’effusione dei carismatici cattolici è, in larga parte, l’equivalente del battesimo nello spirito dei pentecostali. Anch’esso si

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manifesta con l’esercizio improvviso di doni carismatici ed è interpretato come segno inequivocabile di relazione con il sacro.

tipiche (riposo nello spirito, parlare in lingue, dono delle lacrime, gioia ineffabile). L’effusione ri- conferma che l’individuo è rinnovato, sa aprirsi alla relazione immediata con Dio e la ricerca, la desidera sul serio. Come dice Mirella:

Mirella: Diventi docile, ti rendi docile a una presenza che, se vuoi tu… però perché se non vuoi non fai niente, senza diciamo calpestare un minimo la tua libertà. Sei tu che devi essere attenta, devi cambiare il modo di… però appena capisci che c’è questa dinamica… ci sono degli strumenti che ti mettono in moto che ti aumentano questo desiderio di sentire la voce dello Spirito.

La preghiera in lingue è uno degli strumenti più efficaci per rinforzare il dialogo con lo Spirito Santo. Durante gli incontri, sia la corale che Mons. di Gregorio avviano spesso dei tentativi glos- solalici, sollecitando gli altri a seguirli. In genere questi tentativi emergono in corrispondenza dei canti, quasi a voler approfittare della “morbidezza” interiore che la musica è capace di provocare negli ascoltatori. Mentre la comunità è ancora impegnata a cantare le ultime parole del testo, qual- cuno dal coro inizia ad articolare sequenze casuali di suoni, che spesso somigliano di più a dei vocalizzi melodici intonati alla musica. Presto gli altri componenti del coro lo seguono, mante- nendo attivo sul fondo un accompagnamento musicale senza percussioni e monofonico, cioè sta- bilizzato sulla tenuta di un singolo accordo. Più che parlare in lingue, si potrebbe dire che la co- munità, spesso, “canta in lingue”, vocalizzando assieme ai coristi. La maggior parte dell’assemblea non manifesta una vera e propria creatività fono-sintattica, bensì l’emissione continua e melodica di un singolo fonema per volta. Tra l’altro, non proprio tutti cantano in lingue: alcuni restano in silenzio — soprattutto i meno giovani — si guardano attorno e osservano gli altri, a volte con un po’ di disagio, aspettando la conclusione dell’atto. Nell’idea del RnS, il parlare in lingue è qualcosa che risiede in tutti, ma che ha bisogno di un intervento immateriale affinché diventi vera preghiera a Dio. Ad esempio Renzo, che è un signore molto istruito e teologicamente compe- tente, prova a descrivere il dono delle lingue come una sorta di “esattazione” di tratti naturali, già presenti nell’umano appena nato:

Renzo: Quando parli in lingue, lo Spirito Santo muove il tuo spirito interiore — e qui entriamo in antropologia — per parlare a Dio in un modo che solo lui intende, che per gli altri invece è nebbia. È come quando tu sei Romano latino, senti parlare un barbaro e lo chiami barbaro perché parla così facendo