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tra arti e scienze della visione

3.4 Il dispositivo Brunelleschi-Descartes

Come dicevamo (§ 3.1.1), Filippo Brunelleschi fece due tavolette prospetti- che e mostrò “in atto” un “teorema”, come se le due pratiche (artistica e geo- metrica) fossero quasi la stessa, integrate in un esperimento che dimostrò (pro- babilmente per la prima volta) l'efficacia della prospettiva nel surrogare in im- magine le apparenze ottiche di oggetti realmente esperibili da un occhio umano costretto a occupare il “punto di vista” geometrico della figurazione. Le tavolette non si sono conservate fino a noi, tuttavia i loro dispositivi sperimen- tali sono tanto semplici che le descrizioni tramandate145 bastano a rappresen-

tarcene l'efficacia.

Particolarmente significativo è il dispositivo sperimentale della prima tavo- letta, quella che il biografo coevo (Manetti 1976, pp. 55-60) riferisce fatta su supporto in legno, grande «mezzo braccio quadro [29 cm, assumendo che “mezzo braccio fiorentino” sia la misura del lato]... dove [Brunelleschi] fece una pittura a similitudine del tempio di Santo Giovanni di Firenze [ritratto da un punto di vista precisamente situato]… dentro la porta del mezzo di Santa Maria del Fiore, [distanziatovi] qualche braccia tre [174 cm]», dunque ponen- dosi nel piano di simmetria sagittale comune al Battistero e al Duomo. Manetti precisa che la pittura – grande (piccola!) circa come un nostro foglio in formato A4 – era fatta «con tanta diligenza e gentilezza e tanto a punto co’ colori de’

145 Sono quelle dei racconti biografici di Manetti [1470 ca.] (Manetti 1976) e di Vasari

marmi bianchi e neri, che non è miniatore che l’avvessi fatto meglio», e riferi- sce che in essa l'orefice Filippo usò il curioso espediente di rappresentare il cielo con una lastra di «ariento brunito, accio che l'aria e i cieli naturali vi si specchiassero drento e cosi e nugoli [nuvole], che si veggono in quello ariento essere menati dal vento...»146.

Non conosciamo l'effettiva costruzione geometrica di quella prospettiva. Ma, ai fini della dimostrazione, poco importa che fosse tracciata con la “prima re- gola”147 o tramite altro procedimento grafico148, oppure fosse ricavata con di-

spositivi prospettografici149, ricalcando l'immagine trasparita attraverso un velo

teso interposto tra l'occhio e l'oggetto, oppure quella rovesciata sul fondo di una camera oscura (Tsuji 1990), o quella riflessa sulla superficie metallica spec- chiante della tavola150. Non importa nemmeno la resa pittorica della prospet-

tiva, ma solo il fatto che il dispositivo ne dimostrasse la “congruenza” (geome- trica) con l'immagine del Battistero direttamente esperita da chi la sperimenta

in loco.

Per far questo la tavoletta dev'essere ricollocata in sito, in modo che il punto di fuga principale (O') della prospettiva figurata occupi esattamente la posi- zione del punto di vista (O), cioè dell'occhio dello spettatore (Filippo) nell'atto di ritrarre il Battistero. Solo che, nella verifica sperimentale, la faccia dipinta della tavoletta dev'essere rivolta verso il Battistero (parallela alla Porta del Para- diso). Uno spettatore che si pone dal verso della tavoletta, attraverso un foro conico praticato proprio in corrispondenza del punto di fuga principale (O'), può vederne la pittura riflessa in uno specchio interposto. Tale specchio dev'es- sere interposto parallelamente alla tavola e distante da essa esattissimamente

146 Ciò suggerì a molti l'ipotesi (Damisch 1984, pp. 169-172) che all'intero supporto

ligneo fosse applicata una superficie metallica tirata a specchio sulla quale avrebbe po- tuto aderire la pittura tra tracciati incisi.

147 Giorgio Vasari suppone che la prospettiva fosse costruita geometricamente col «le-

varla con la pianta e il profilo per via della intersegazione». Se così fosse Brunelleschi avrebbe precorso Piero della Francesca nel disegnare la prospettiva nel suo metodo per intersezione piana della piramide visiva, rappresentando l'intera scena in pianta e alzato correlati proiettivamente – come si sarebbe fatto con quello che (tre secoli dopo) si sarebbe detto il metodo di Monge – (Carter 1970, p. 842); (Edgerton 1973, pp. 174- 79); (Vagnetti 1979, p. 285), mutuando forse questo metodo da ipotetici procedimenti di rilievo architettonico indiretto (Kemp 1994, pp. 17-24, 382).

148 Oltre al metodo “per intersegazione” citato sopra si ammette la procedura alber-

tiana oggi detta per punti di distanza (Parronchi 1964, p. 244).

149 Alcuni autori hanno sviluppato ipotesi della reinvenzione oggettuale di dispositivi

di rappresentazione solo ipotizzati nella Geografia di Tolomeo, accompagnandoli da un esperimento di “scatola ottica”: (Lemoine 1958, p. 293); (Ragghianti 1977, p. 165).

150 Se trascuriamo alcuni inconvenienti, potremmo anche accettare l'idea che Brunel-

leschi, rivolgendo le spalle al Battistero, ne abbia dipinto direttamente l'immagine ri- flessa sulla superficie metallica specchiante della tavola (Gioseffi 1957b, p. 77) e – come ipotizza Lyens (Lyens 1980, p. 93) – costringendo l'occhio (O) a traguardare l'immagine solo dalla sommità di un'asta (gnomone) conficcata ortogonalmente nel punto di fuga principale (O') della tavola, in modo che la lunghezza dell'asta fissasse materialmente la “distanza principale” OO' della prospettiva.

la metà della distanza principale151 (OO') usata nella costruzione o nel ritratto

della prospettiva. In quella posizione lo specchio funziona da piano di simme-

tria che scambia reciprocamente la posizione del punto di vista originario (O)

del “pittore originario” con quella del punto di fuga principale (O') dello spet- tatore della prospettiva. Così l'occhio dello sperimentatore che guarda dal foro vede riflessa l'immagine del proprio occhio (Figura 20 B) nel punto di fuga prin-

cipale della prospettiva. All'occhio dello sperimentatore lo specchio riflette

esattamente l'immagine dipinta alla “stessa scala” dell'immagine del Battistero che può vedere direttamente traslando lo specchio parallelamente alla tavola. Ripetendo – adattando – queste traslazioni si alterna la vista dell'immagine della “prospettiva artificiale” (raffigurata sulla tavola) a quella della “prospettiva naturale” rendendone così possibile il confronto (punto per punto). La con- gruenza geometrica tra le due immagini, a prescindere del formato pittorico della tavola, era inoltre favorita dalla simmetria sagittale del Battistero.

La dimostrazione è ineccepibile per due ragioni fisico-culturali: 1°) perché affidata all'esperienza (naturale) dello specchio che fornisce un'immagine obiet- tiva – consustanziale (di luce) e acheropita – e 2°) perché legata alla capacità umana (culturale) sia di “vedere”, sia di “vedersi vedere”. Chi guarda attraverso il foro 1°) esperisce la vista diretta in atto (definita dal soggetto osservatore em- pirico e dall'oggetto visto) e 2°) la identifica con quella, ormai passata, definita dal pittore (l'osservatore geometrico e dall'immagine ch'egli aveva prodotta sulla tavola). Sullo specchio si vedono questi due piani di realtà 1°) e 2°); fa- cendo un parallelo con le istanze linguistiche fondamentali, diremmo che il 1°) si concentra sull'enunciazione, il 2°) sull'enunciato (Figura 22).

151 La “distanza principale” è la misura del segmento perpendicolare al quadro che ha

per estremi il “punto di vista” O e (sul quadro) il “punto di fuga principale” O'. Nell'e- sperimento è il dato essenziale perché se lo specchio fosse posto a una distanza minore o maggiore dell'esatta metà di OO' restituirebbe un'immagine della tavola sempre omo- tetica, ma percepita come rispettivamente più grande o più piccola della vista diretta del Battistero obiettivamente traguardato.

Figura 22. Schema dell'esperimento prospettico di Brunelleschi illustrato secondo l'i- stanza dell'enunciazione delle immagini in gioco.

L'esperimento – che oggi diremmo di “realtà aumentata” – è deciso dalla capacità del soggetto (dell'enunciazione) di formulare un'osservazione di se- condo grado (vedersi vedere) che iscrive (nell'intelligibile) l'osservazione diretta (sensibile). La certezza della prova scatta nell'istante in cui lo spettatore che guarda attraverso il foro della tavoletta riconosce di fronte a sé l'immagine ri- flessa del proprio occhio posto nel “punto di fuga principale” dell'oggetto pro- spettico artefatto e (ora) constato geometricamente congruente a quello natu-

rale. Identifica il punto di vista e l'oggetto “attuali” con il punto di vista “pas-

sato” dell'occhio del pittore che aveva enunciato l'immagine dipinta dell'og- getto. Ridotto a un solo occhio lo spettatore empirico, riflettendosi, si riconosce (si immedesima) nella posizione (ormai passata). Da “spettatore” egli diviene così “osservatore” di due scene simmetricamente identificate: quella “vista ora” (piano dell'enunciazione) e quella del modello artefatto (piano dell'enun-

ciato). Iscrive così l'immagine oculare della scena in un'altra immagine (di se-

condo grado), cioè in uno schema che si può vedere solo con gli occhi di una “teoria”. La tavoletta diviene così un “teorema” in atto che afferma (forse per la prima volta) la possibilità di riflettere (duplicare) lo spazio fisico in uno spazio

geometrico attraverso l'immagine.

Per Brunelleschi l'auto-riflessione dell'osservatore risolveva il problema empi- rico di oggettivare la soggettività della rappresentazione (Panofsky 1961, p. 65), faceva in modo che l'immagine materiale potesse essere usata obiettivamente, come un medium – referenzialmente fedele – tra un soggetto e una realtà in- dipendente dalla sua.

Questa tecnica di obiettivazione è un dispositivo semiotico (di débrayage-

illusiva (referenziale) della prospettiva. Il suo principio della “auto-riflessività dello sguardo” (Belting 2010, capp. 5-6) diventerà il moderno fondamento dell'uso scientifico e tecnico dell'immagine. Dovremmo dire che ogni imma- gine moderna è “tecnica” se e solo se è verificabile col dispositivo che sarebbe giusto chiamare “Brunelleschi-Descartes”.

Il nome di Descartes s'impone per la stretta analogia – rilevata da Jean-Fra- nçois Bordron (Bordron 2000 e Bordron 2011, cap. 2.1) – tra lo schema di quel “vedersi vedere” realizzato nella dimostrazione di Brunelleschi e l’imma- gine (schema) che supporta il ragionamento formulato da Cartesio, due secoli dopo, nelle sue Méditations métaphysiques (Descartes 1647:AT, IX, pp. 20-22). In quelle pagine Cartesio appoggia il suo ragionamento sulla “prima certezza” stabile: «questa proposizione: “io sono”, “io esisto”, è necessariamente vera tutte le volte che la pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito» (AT, IX, 19, tr. it., pp. 205-206); poi si pone il problema del “chi è” quello “Io” (enunciante) che è certo di “essere”. Risponde facendo un inventario (scritto col tempo ver- bale al passato) di ciò che “Io” ha creduto essere, riassumendone le passate credenze di essere un “uomo”, un “corpo e un'anima” (fisicamente intesa come un alito o una fiamma), una collezione di parti anatomiche e di funzioni elencate in un ordine spaziale di prossimità, non categoriale o logico. Dà un'immagine di “parti” tutte equivalenti alla luce del “dubbio metodico” sulla loro realtà, anche se tra queste facoltà o funzioni dell'anima c'è anche il “ve- dere” e il “pensare”.

Parimenti possiamo considerare la pittura sulla tavoletta di Brunelleschi come l'equivalente di una passata “credenza” visiva sottoposta alla prova del “dubbio metodico”. Anche Cartesio procede in ordine di evidenza visiva, spaziale e fisica, fino a riconoscere il proprio corpo inanimato come pura res extensa (cosa geometrica). Poi considera il corpo in quanto “animato”, come presenza sensibile, agente e paziente, movente. Ma in questo passaggio all'atto anch'egli ribalta il punto di vista; scrive al presente, ponendosi nell'atto del cogito (video), focalizzando la “speculazione” sugli attributi (facoltà) dell'anima. Ed ecco che l'atto vivo del cogito “scorge” la propria immagine riflessa – come l'occhio at- traverso la tavoletta si riconosce riflesso in quello passato del pittore – esami- nando la facoltà animata della cogitatio, come “cose” fatte della medesima sostanza; si riconosce dunque come una “cosa”, ma “pensante”: res cogitans (videns).

Lo schema dei due procedimenti è analogo: in Cartesio la “prima certezza” – l’enunciato “io sono” – è “messa in prospettiva” e poi “riflessa” perché il

soggetto [Ego, hic et nunc] dell'enunciazione possa riconoscersi come oggetto

(“l'io” soggetto passato dell'enunciato), attraverso un percorso di débrayage-

embrayage152.

152 Tanto nel procedimento di Cartesio quanto in quello di Brunelleschi ciò che po-