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Modi di presenza (realizzato, attuale, potenziale, virtuale)

X. Un libro sui generis, questo

2. Dizionarietto di una teoria tascabile

2.2 Modi di presenza (realizzato, attuale, potenziale, virtuale)

Finalmente seduto al tavolo della trattoria della signora Maria Ermeneutica, K. non si pone problemi ontologici. Non si chiede perché mai ci sia dell'essere piuttosto che del nulla. Specialmente un’ontologia fisicalista (come la sua) ri- chiede di essere affrontata a stomaco pieno. Dunque, è piuttosto interessato ai modi in cui è presente (c'è) “qualcosa da mangiare” e che desidererebbe constatare “realizzato” lì, nel piatto, nel suo spazio “topico”. Tuttavia, quel “qualcosa da mangiare” per K., ora (alle tredici e ventuno), c'è in altri modi di presenza, è solo tra le cose che “sa” o “può sapere”. La portata che chiederà al Maître de salle (la signora Maria) è una cosa che suppone stia nella piccola

78 I punti più essenziali sono colti in particolare dai saggi di Paolo Fabbri che introdu-

cono due raccolte in traduzione italiana di scritti del matematico francese (Thom 2011) e (Thom 2011b).

cucina della trattoria, un luogo dove egli non può accedere senza compromet- terne in qualche modo il normale e normato funzionamento. Per il normale cliente la cucina del ristorante appare un luogo che si può definire “utopico” (anche quando gli viene mostrato attraverso una schietta vetrata), abitato forse da uno/a Chef, una Brigade de Cuisine o da un Commis debarassèur (qui sin- cretizzati tutti dalla sola signora Maria); un luogo dove il cibo possibile c'è per K. in modo solo “virtualizzato”.

Tra i reparti di sala e di cucina c'è una porta, forse un passavivande e un tavolo di servizio che costituiscono l'interfaccia dove s'inoltrano le ordinazioni – i piatti “in potenza” – e approdano i piatti “attualizzati” in uscita. Dunque, il piatto di K. potrà essere:

Figura 8. Modi di esistenza della “portata” dal punto di vista di K. utente della trattoria di Maria Ermeneutica.

Per ordinare il suo piatto K. deve intendersi con la signora Maria – sul nome o la figura che sul menu indica la portata desiderata –, sperando, per esempio, che la sua categoria di “ribollita” o di “zuppa al pesto” concordi con quella del “sistema” della cucina. Visto dal tavolo di K. la sua richiesta di un piatto previsto (potenziale) arriverà in cucina dove corrisponderà a qualcosa che c'è, per ora e per lui, solo in modo virtualizzato, cioè nel modo di essere di quelle cose che costituiscono lo sfondo necessario alla situazione realizzabile, ma che non sono manifestate ora. Si presuppone che K. abbia qualche competenza di quel sistema (cucina di Maria), ma quanto la sua categoria di “zuppa al pesto” con- cordi con quella del sistema (Maria) è cosa che lui potrà verificare solo quando la portata avrà espressione materiale: realizzata e servita sul suo tavolo.

2.2.1 Incidenti virali

Vi anticipo che, assaggiando il piatto realizzato da Maria, K. sarà sorpreso. Non è come se lo aspettava; arricchirà la sua categoria di “zuppa”, arricchendo così anche il proprio sapere (competenza) sulla cucina. Ciò accadrà in quattro fasi:

Fase 1) K. avvertirà nella zuppa una salienza eclatante (d'intensa pregnanza), ma localizzata e circoscritta, “straniera” e sospetta al punto da dubitare che si tratti di quel che lui chiama “zuppa”;

Fase 2) ridimensionerà la portata dell’incidente, cioè la novità, reputando la

novità (sempre “straniera”) ma diffusa, imitata o quasi tipica entro un qualche

genere famigliare o accettabile (zuppa ricercata, casereccia, salutistica…); Fase 3) classificherà poi la novità come un preciso “esotismo” ormai sussunto nella “nostra” cucina;

Fase 4) apprezzerà quella novità come un tratto dominante della sua catego- ria o nozione di “zuppa”.

All'incirca in queste quattro fasi Yuri Lotman (Lotman 1985) articola il modo in cui una cultura assimila forme provenienti da altre culture; così possiamo considerare anche i sistemi “Maria” e “K.” come due culture tra le quali si traducono e diffondono delle forme. In questo caso “fortunato”, il campo ca- tegoriale del “sistema K.” si è aperto (in crisi e in espansione) nelle fasi d'intensa pregnanza 1 e 4, si è richiuso nelle fasi distese 2 e 3, mentre la categorizzazione si è specificata nelle fasi 1 e 3 e generalizzata nelle fasi 4 e 2. In sintesi:

Novità saliente concentrata diffusa

intensamente

pregnante 1) Esplosione specifica 4) Generalizzazione dominante

debolmente

pregnante 3) Specificazione marginale 2) Tipizzazione in un genere

K. crede d'aver più competenza in architettura che in materia di “zuppa”. Ma si rende conto che quando si trova nel suo atelier – nella “cucina del progetto” – occupa la posizione simmetricamente opposta a quella che occupa al tavolo del consumatore. Eppure, mutatis mutandis, lo schema dei modi di presenza non cambia. Anche in quel caso gli oggetti che egli concorre ad attualizzare (i “piatti” che allestisce) sono usati (recepiti, interpretati) da altri soggetti attra- verso categorie che egli può solo cercare di prevedere in piccola parte.

Il progetto è una pratica che porta dal modo d'esserci virtuale di un “sistema” a un oggetto “realizzato” il cui destino d'uso “ci sarà” in modo potenzializzato. Ovviamente il cuoco o il progettista non sono padroni del destino dei loro prodotti, non possono determinare “a ragion veduta” tutti i vincoli materiali che l'oggetto potrebbe porre ai suoi usi, abusi e valorizzazioni potenziali: in-

terpretazioni. Ma ci sono de... I limiti dell'interpretazione. Cioè, ora è ragione-

vole credere che K. mangi e apprezzi la zuppa e che Maria Ermeneutica non possa impedirgli, per esempio, di usarne qualche cucchiaiata del liquido ver- deggiante di basilico per campire il disegno che lui sta tracciando a pennarello sulla tovaglietta di carta spessa e assorbente (il coperto usa e getta del suo ta- volo). In ogni caso tutti questi usi rientreranno sempre in un “metabolismo” biologico e culturale che comporta una trasformazione necessaria delle cate- gorie in gioco.

Ciò non vale solo per il metabolismo biologico e culturale di K., ma riguarda quello di un soggetto (un “noi”) assai più ampio, come si dimostra sostituendo all'esempio della zuppa quello di un'architettura altrettanto celebre: ad esem- pio una villa palladiana nella campagna veneta del XVI secolo, magari la cele- berrima Rotonda vicentina che s’intravvede passandovi in treno.

Se consideriamo le trasformazioni essenziali della categoria culturale – nei termini di Thom diremmo la “pregnanza individuante” – di questo edificio, da quando Palladio ne apre il cantiere (1566) e ne pubblica il disegno nei Quattro

libri dell'architettura (1571), al viaggio veneto di Thomas Jefferson (1786), vi

ritroviamo le medesime quattro fasi di Lotman.

Fase 1) La comparsa eclatante79 di una forma di villa domenicale (patrizia)

composta unitariamente di parti le cui forme giungono da mondi culturali assai lontani – pronai templari, cupole ecclesiastiche, sale termali romane, palazzi urbani… – e che si presenta come un unicum, un inquietante ibrido unitario generato dall'archeologia immaginifica di un architectus che ben poco si addi- ceva alla buona pratica tradizionale del “proto magistro”.

Fase 2) La diffusione (imitazione)80 in ordine sparso di alcuni caratteri com-

ponenti del paradigma della villa palladiana nel genere della “villa domenicale” patrizia.

Fase 3) La sfocatura (filologica)81 delle precise origini tardo romane delle fi-

gure palladiane acriticamente assunte nel genere della “villa classicista” occor- rente nel macro-genere del giardino paesistico.

Fase 4) L'elezione del classicismo palladiano a norma stilistica “di stato” in quanto contrassegno dei valori civili in un'ideale translatio rei publicae: Roma, Venezia, Pietroburgo, Parigi, Washington...82.

79 Si assume qui un punto di vista abbastanza solidale a quello dell'architetto (Palladio)

come quello del committente di ampia cultura umanistica e scientifica del secondo Cinquecento; per esempio Daniele Barbaro, committente, col fratello Marcantonio, della villa a Maser. Dai soli testi di Daniele si può ampiamente dimostrare la sua rece- zione valoriale (mitica) di quell'oggetto edilizio in termini di prestigioso e inquietante ibrido capace di evocare l'avvento di una nuova civiltà classica, come in un tempo ci- clico, pagano – nei termini indicati dal Proemio di Palladio al suo quarto Libro dell'ar- chitettura (1571) – associato al tempo naturale di una (cristiana) “santa agricoltura”.

80 Si assume qui il punto di vista più generico di un coevo patrizio veneziano che

valuta l'edificio palladiano nel quadro di uno stile di vita “in villa”, riconoscendolo al più per aspetti separati, riferiti a diversi tratti del paradigma tradizionale dell'edificio di villa.

81 Si assume qui il punto di vista più specifico che iscrive il genere della villa palladiana

entro i valori del giardino paesistico alla metà del Settecento. La villa palladiana riac- quista identità specifica ma solo in quanto campione di un'indefinita classicità “pasto- rale” o “tragica”, allo stesso titolo di un apporto esotico proveniente da una cultura “altra” assimilato in quanto occorrenza dialettale di una forma quasi universale della villa.

82 Si assume qui il punto di vista del classicismo illuminista di Lord Burlington e di

Thomas Jefferson, che si rivolge a una sistemazione dell'architettura palladiana intesa come “norma” di civiltà universale.

A tutti gli effetti la Rotonda vicentina “non è la stessa” cosa da quando Vin- cenzo Scamozzi la portò a realizzazione (1585) a quando divenne ufficial- mente uno dei modelli (virtualizzati) più imitati del neopalladianesimo di lin- gua inglese. Nasce come espressione (intensamente specifica) di una mino- ranza marginale e oligarchica del patriziato veneto e, alla fine, si rovescia – specie con Washington e Jefferson – in memoria pietrificata degli ideali civili delle “libertà repubblicane” nelle Nuove Rome rivoluzionarie. Questa trasfor- mazione si svolge in fasi (di Lotman) che corrispondono ai seguenti quattro modi opposti di strutturare la sua categoria (pregnanza individuante):

forma saliente Categorizzazione specifica Categorizzazione

generalizzante intensamente pre-

gnante 1) Cat.≈ prototipo (ecla-tante) 4) Cat.≈ tipologia (dominante) debolmente

pregnante 3) Cat.≈ campione (neu-tro) 2) Cat.≈ somiglianza di famiglia

Nella fase 1 l'edificio è virtualizzato come il “prototipo”, l'unico “esemplare capofila” di una specie anomala, straniera nel tempo, che affonda la sua ge- nealogia in una misteriosa archeologia.

Quel prototipo (virtuale) è poi – fase 2 – ri-attualizzato disseminando i suoi tratti tra quelli dei più coesistenti tipi edilizi. In questo caso la sua categoria assume lo statuto della wittgensteiniana “somiglianza di famiglia”, cioè i carat- teri palladiani nelle opere di Scamozzi, Inigo Jones, John Vanbrugh, William Kent... riguardano tratti diversi del paradigma edilizio e insediativo (così come le somiglianze tra famigliari riguardano generalmente parti diverse per ciascuna coppia). La virtualizzazione di questi caratteri – nella fase 3 – produce un “mo- dello” individuato a bassa pregnanza, un “campione neutro” coesistente (alla pari) con molti altri. Infine, l'elezione a una massima pregnanza simbolica – fase 4 – di questo vago “modello” (campione) comporta il fatto ch'esso sia po- tenzializzato in un “tipo” capace di propagarsi generando una vera e propria “tipologia”, cioè un ampio “paradigma” gerarchicamente strutturato. Queste diverse forme della “categoria” sono i casi estremi degli innumerevoli modi in cui si può strutturare un paradigma; ma questo lo vedremo poi. Per ora dob- biamo sapere cosa intendiamo per “paradigma”.