tra arti e scienze della visione
3.2 Retrospettive della prospettiva
Il maggior problema nel nostro percorso sorge quando s'intende con “pro- spettiva” sia una “scienza della visione”, sia una “tecnica della figurazione ar- tistica”. Non c'è dubbio che nel collo della clessidra della sua storia – nella stagione umanistica (italiana) e rinascimentale (europea) – la parola “perspec-
tiva” intendeva entrambe le cose riunite in un sapere destinato a generare la
geometria che codificò i metodi di rappresentazione tecnica della forma appa- rente degli oggetti che popolano il nostro mondo industriale. Purtroppo, la questione è stata posta spesso in modo retrospettivo. «La prospettiva è un pro- dotto specifico dell'Umanesimo fiorentino e del Rinascimento italiano, oppure c'è una stessa scienza ottica dell'estensione anche sotto le figurazioni artistiche e tecniche precedenti?»
Posta così la questione presuppone che arti, scienze e tecniche siano pratiche rispondenti a categorie metastoriche, che usino e producano immagini da sem- pre nello stesso modo e valore. Evidentemente non è così. Ciò che oggi inten- diamo per “pratica scientifica” è cosa lontana già dagli orizzonti ancora teolo- gici di Galileo o di Newton. Essi agivano in una filosofia della Natura ove non si davano nei termini attuali le distinzioni tra scienze della visione e della rap- presentazione: ottica, fisiologia e psicologia della percezione, diverse geome- trie... Ciò che oggi intendiamo come “oggetti d'arte” non si può riferire ancora agli stessi prodotti di quelle che il nostro mondo antico e medievale chiamava “arti”. Quelle antiche “arti” (technai) erano intese come pratiche artigianali di scarso o nullo significato estetico, opposte alle forme di sapere contemplativo che non avevano alcun fine pratico. Ciò che oggi intendiamo con “tecnica” è una produzione deliberata che sfrutta il progresso scientifico: è tecnoscienza. Ma quelle forme del fare prometeico cominciavano appena ad affacciarsi nelle letterature tecniche del XVI secolo. Per esempio, ne troviamo testimonianza nei commentari vitruviani di Daniele Barbaro, ma non ancora negli scritti di Leon Battista Alberti.
Alberti e Brunelleschi con la loro invenzione della tecnica prospettica contri- buirono al vasto processo di emancipazione dell'artista in un artigiano sapiente, capace di produrre oggetti attraverso uno scire per causas (ottico-geometrico) – inventando un “facere per causas” – che, prima, era appannaggio del sapere speculativo della perspectiva naturalis. Ma è stato un processo lento quello del rinascimento culturale delle “arti meccaniche” in “arti liberali”, le quali saranno dette “arti belle” solo dal XVIII secolo, col battesimo della neonata Estetica.
A fronte di questa svolta lenta nella storia sociale degli artisti, la prospettiva rinascimentale fu un’invenzione – quella di un “oggetto tecnico” nel senso di Simondon (1958) – e s'impose rapidamente nella produzione delle immagini cambiandone profondamente lo “statuto enunciazionale” nel convertirne lo spettatore in un osservatore situato. Fu una rivoluzione che oggi identifichiamo col Rinascimento, intendendo la prospettiva come un oggetto culturale che riguardava tanto le arti pratiche, la ricezione delle immagini e la coeva filosofia della Natura. Una posta in gioco tanto alta da indurre spesso qualche confu- sione tra i suoi termini.
3.2.1 Geometria ottica ad arte
C'è stato un momento nel XV secolo in cui dipingere una preziosa tavoletta e dimostrare in atto un teorema furono quasi la stessa cosa. Fu il momento in cui la prospettiva nacque come una proto-scienza in atto nella costruzione diretta delle immagini. Per un secolo nei testi della prospettiva non si distin- gueva tra gli aspetti pratici e quelli speculativi; disegni e teoremi erano le due facce di una stessa medaglia. Ma i due termini si articolarono sempre più nello sviluppo della teoria geometrica della prospettiva tra Quattro e Settecento, dai trattati di Alberti, Ghiberti, Piero e, per altri tre secoli, fino alla sua piena ma- turazione matematica con Taylor e Lambert.
Finché la geometria si esercitava come una scienza della Natura i diversi ge- neri editoriali della letteratura prospettica – tra secondo Cinquecento e tardo Settecento – appartenevano sia alle precettistiche tecniche per le arti, sia alla filosofia naturale. Col nome di “magia naturale” (artificialmente evocata) que- sta letteratura aveva attraversato l'enciclopedismo barocco del XVII secolo, senza allontanarsi dal tronco originario dell’ottica geometrica. Si era rivolta – talora in doppia versione latina/volgare – quasi a uno stesso pubblico, senza che la speculazione matematica negasse la dimensione pratica della rappre- sentazione e la pregnanza fenomenica della proiezione. Le cose non cambia- vano anche quando – con Lambert – la prospettiva si generalizzò in una spe- cifica geometria: la géométrie perspective. Tuttavia, la “scienza dell’apparenza visiva” reinventata da Brunelleschi stava esaurendo il suo apporto all'ottica con il mutare degli stessi oggetti di discorso della fisica del XVII secolo; anche se in questo ruolo gli studi geometrici sulla prospettiva avranno una qualche ripresa in epoca positivistica.
Il quadro cambiò radicalmente nel XIX secolo, quando la pregnanza e ade- guazione fenomenica della settecentesca géométrie perspective si dissolse nella sua conversione nell’astratta e generalizzante geometria proiettiva.
Mentre la rivoluzione industriale moltiplicava i frutti tecnici del “rappresen- tare per proiezioni” – la fotografia, la geometria descrittiva, le applicazioni ot- tiche nelle pratiche topografiche, la fotogrammetria, il panorama, la cartogra- fia, la cronofotografia, il cinema... – la prospettiva come tecnica, compiutasi in
quei dispositivi di produzione d'immagini ottiche, diventava ormai solo storia. Divenne così una categoria retrospettiva drasticamente spartita tra la storia della geometria, dell'ottica, quella delle arti, dall'architettura al teatro. Tra Set- tecento e Ottocento la prospettiva si separò retrospettivamente in quattro og- getti di storie distinte, cioè in quattro categorie diverse, a seconda che la s'in- tendesse come: a) teoria matematica, b) arte della figurazione spaziale, c) tec- nica di configurazione teatrale dell'architettura, d) modello geometrico della visione.
a) [teoria matematica] Nella prima metà dell'Ottocento la geometria proiet- tiva si costituiva in sistema (tanto semplice quanto potente) e nello stesso tempo disegnava la propria genealogia cercando radici in un'antichità più pro- fonda della teoria prospettica moderna della quale era pur la figlia diretta. È nell’intera storia della matematica greca e tardoantica che l'Aperçu historique... di Michel Chasles riesumava e collezionava le proposizioni sulle proprietà proiettive dell'estensione figurata. E in questa storia (Chasles 1837) la prospet- tiva toscana e urbinate del Quattrocento è solo un episodio che trova compi- mento nei due teoremi seicenteschi di Stevin e di Desargues. Da questo punto di vista era dunque del tutto irrilevante sapere se la teoria prospettica elaborata dai cultori rinascimentali e barocchi fosse l'applicazione, oppure fosse il pro- dromo di una futura teoria geometrica delle proiezioni. Tutte queste teorie an- tenate erano intese come deduzioni di un medesimo “matema”. Dunque, si doveva considerare l'intera letteratura prospettica rinascimentale e barocca come un'applicazione (ante litteram) della moderna geometria proiettiva.
b) [forma di figurazione] - Mentre sotto gli occhi dei nouveaux géomètres ot- tocenteschi la prospettiva si trasfigurava in un matema senza tempo, sotto quelli dei cultori delle arti, invece, assumeva un'età anagrafica e un'evoluzione tecnico-stilistica. Al sorgere della moderna archeologia, tra XVII e XVIII secolo, coi primi ritrovamenti a Ercolano e Pompei, affiorarono gli esemplari della de- corazione pittorica murale romana caratterizzati dalla resa illusiva di uno spa- zio architettonico in profondità spaziale. Genere già noto alla tradizione vitru- viana,112 lo “stile architettonico” (o secondo stile) pompeiano divenne oggetto
della querelle des anciens et des modernes nell’invenzione della prospettiva,
112 Ci riferiamo ai passi del De Architectura di Vitruvio dedicati alla finzione pittorica
di rivestimenti policromi e bugnati – quelli che oggi si dicono di “primo stile” (Vitruvio, IV, 4.4 e VIII, 5.2) – o delle figurazioni a soggetto architettonico d'impostazione (e pro- babile origine) teatrale, quelle che oggi si dicono di “secondo stile”.
da taluni ritenuta primato dei moderni,113 da altri degli antichi114. Per Winckel-
mann la prospettiva era segno di una pratica che dovette essere eccellente in un'epoca d'oro delle arti, ma della quale non restavano che vestigia indirette o imbarbarite.115 Quest'antica teoria e pratica si poteva solo vagheggiare dalle
poche notizie della prima “storia (naturale) dell'arte” sui “celebri pittori greci”, come quel Panfilo di Macedonia citato da Plinio116. Ma dell'antico pittore e
professore di disegno null'altro dice che si fosse comportato effettivamente come un rinascimentale ante litteram, un artista-scienziato che costruiva scien- tificamente la prospettiva.
c) [tecnica teatrale] - Il “che cosa” d'aritmetica, di geometria e di ottica greche avrebbe usato l'arte classica fu questione che si pose altrimenti a metà Otto- cento. Nell'interpretazione delle curvature più singolari delle forme architetto- niche classiche117 si ipotizzò l'uso originario dei correttivi ottici118 trattati nella
tradizione vitruviana119. Sebbene non ci sia testualmente nel De Architectura
113 Gli “errori di prospettiva” negli esemplari pompeiani del “secondo stile” (“archi-
tettonico”), per taluni (Mariette 1750), (Bossi 1821, pp. 209 e segg.), (Randoni 1825), davano per lo più ragione al giudizio formulato da Perrault che nel Parallele des anciens
et des modernes (Perrault 1688, pp. 103-106, 142) dava ai moderni il primato della
prospettiva lineare [des secrets de la perspective], della resa luministica [intelligence par-
faite du clair-obscur, de la dègradation des lumièress] e della composizione architetto-
nicamente unitaria [la judicieuse ordonnance d'une grande composition] a fronte dell'Antico, ove « il y a très peu d'entente dans le mélange des couleurs; et point du tout
dans la perspective ny dans l'ordonnance » (ivi, p. 150). 114 Cfr.(Sallier 1730) e (de Tubières 1770).
115 Concependo la storia dell'arte nel tempo ciclico (pagano) di Rinascite auree e de-
cadenze barbariche, nel 1765 Winckelmann ipotizzava che «Se in un luogo qual era Ercolano, e sui muri delle case trovaronsi opere così belle: di qual perfezione non do- vevano esser i lavori dei grandi e celebri pittori greci dei migliori tempi?» (Winckelmann 1981:87). Da questo punto di vista gli “errori di prospettiva” che si riscontravano sulle pareti pompeiane – e che si potevano presumere in generale nella figurazione illusiva dello spazio pittorico in epoca romana – potevano essere intesi come sintomi non d'in- fantile immaturità ma di decadenza senile.
116 Panfilo era descritto come il «primo nella pittura, che fosse scientiato, et massima-
mente d'Aritmetica, et di Geometria, senza le quali usava dire, che l'Arte non si poteva ridurre a perfettione» (Plinius Secundus 1982, V lib. 35).
117 La questione iniziale era la motivazione della lieve curvatura degli stilobati e degli
architravi. Ma si trattò soprattutto di costruzioni geometriche come quella dell'entasi delle colonne. Queste potevano interpretarsi come un segmento di ellisse – stando al graffito costruttivo inciso nel tempio di Apollo a Didime –, oppure di concoide di Ni- comede, o di curva elastica.
118 L'ipotesi che la lieve curva dei lunghi elementi orizzontali – come quella dello
stilobate (testimoniata dal Partenone di Ictino) – servisse a farsi percepire visivamente come “rettilinea” fu avanzata in particolare dal giovane Auguste Choisy in due comuni- cazioni parigine del 1865 all'Académie des inscriptions et belles-lettres e all'Académie
des beaux-arts. Una definizione dei “correttivi ottici” comportava ovviamente ipotesi
sulle cognizioni ottiche e prospettiche nell'arte degli Antichi (Choisy 1899, pp. 57-58, 402-409). Sotto quest'ipotesi si potevano comprendere anche altri accorgimenti clas- sici: l'ingrossamento dei diametri delle colonne angolari, la diminuzione dei diametri delle colonne interne nei templi dipteri, l'entasi dei fusti, l'intensificazione chiaroscurale prodotta dalla scanalatura delle colonne.
alcun vero metodo di calcolo prospettico dell'apparenza ottica delle forme ar- chitettoniche, i suoi interpreti moderni lo hanno comunque ipotizzato.120 Ma
la ragione di queste ipotesi non era tanto in uno scrupolo filologico quanto in una forte pressione culturale. Si deve al fatto che la trattazione della prospettiva nella letteratura architettonica moderna ha sempre avuto uno scopo pratico. Ancora oggi riguarda i modi in cui l'architetto può prevedere, surrogare grafi- camente e manipolare le concrete apparenze ottiche delle costruzioni in pro- getto. Aspetto questo che assunse un'importanza capitale (essenziale) al sorgere e al diffondersi dell'architettura barocca, ma riguardante l’intero corpo dell'arte di costruire. Potremmo dire che ogni costruzione è, almeno un po', “barocca” perché in diversi gradi e modi l'intera storia dell'architettura si presenta come declinazione di forme di visualità teatrale. I teatri sono solo l'epifenomeno di una dimensione essenzialmente teatrale dell'architettura e della città giacché il loro spazio – da un punto di vista antropologico e semiotico – ha una natura rituale che si esprime visualmente.
Anche per queste ragioni noi parliamo qui di “oggetto prospettico” anziché di prospettiva. Da questo punto di vista è del tutto conseguente l'aspettativa di trovare una formulazione tecnica del modo di prefigurare lo spazio costruito fin dai passi vitruviani sul teatro, sulla costruzione delle scene e sui modi del disegno. Apparentemente, il denominatore comune tra teatro e tecniche della prefigurazione grafica della costruzione sembra offerto dal termine “scaeno-
graphia” col quale nel De Architectura (I.1.1) è indicato uno dei tre modi del
disegno di progetto. Ma è termine che non vi compare nella trattazione delle scene teatrali121 e la definizione che Vitruvio ne dà, non consente una diretta
traduzione in “prospettiva”.122 Il neologismo vitruviano “scaenographia” nel
scultura praticato nell’arte greca a partire dal V sec. a.C. affiora in cenni nei libri III e IV del De Architectura, a proposito dei correttivi da apportare ai rapporti dimensionali degli ordini dei templi in ragione della loro altezza (III 5.9 e 13), dove si consiglia anche – come avrebbe fatto Fidia – l’aumento di altezza con inclinazione in avanti degli ele- menti collocati in alto per compensarne lo scorcio visivo da terra.
120 L'antica arte dei correttivi ottici in architettura da un alto si riferiva alla categoria
vitruviana dell'Euritmia – letteralmente, della “buona aritmetica” del costruire – dall'altro ai precetti del Decor, cioè all'appropriatezza della costruzione a specifiche convenzioni iconografiche. Per quanto una tecnica di correzione delle proporzioni apparenti sia aritmetizzata dagli interpreti moderni del trattato vitruviano (per ex. da Choisy nel 1909 (Choisy 1971, pp. 149-156), nel testo romano i correttivi proporzionali (euritmici) sono precetti affidati all'occhio empirico dell'architetto e hanno statuto (culturale) di “ca- none”.
121 Vitruvio (VII, pref., 11) riferisce che Agatarco di Samo allestì le scene per una tra-
gedia di Eschilo e scrisse un trattato ripreso da Democrito e Anassagora. Tuttavia, nell'ac- cenno ad apparati scenici del V sec. a.C. non usa il termine “scaenographia”.
122 Il termine vitruviano “ichnographia” denotava ciò che oggi si chiama “pianta” [im-
pronta planimetrica] di una costruzione; “orthographia” indicava ciò che oggi s'intende con “alzato” di un edificio; invece il significato del neologismo “scaenographia” (non attestato prima) resta assai controverso. Nella tradizione esegetica umanistica e rinasci- mentale del testo vitruviano quel termine è generalmente (non sempre) tradotto come “prospettiva”, ma la stringata definizione di Vitruvio – «Item scaenographia est frontis et
primo secolo – come rileva Panofsky – era un probabile calco di “skeno-
graphia”, termine attestato in una sola altra fonte indiretta123, indicante una
parte pratica e specializzata dell'Ottica. Per quanto il termine “ottica” occorra nel testo vitruviano in significazioni generiche,124 skenographia vi evocherebbe
più specificamente:
«l’applicazione delle leggi ottiche alle arti figurative e costruttive nel loro complesso e quindi non soltanto le regole della rappresentazione sul piano bensì anche le regole della configurazione architettonica e plastica, almeno in quanto essa tende a neutralizzare le deformazioni apparenti determinate dal processo visivo» (Panofsky 1961, pp. 88 e segg.).
d) [modello ottico] - Come funzionasse la scaenographia vitruviana in quanto metodo di rappresentazione resterà forse un mistero indecifrabile125, ma nella
seconda metà dell'Ottocento tutti i possibili metodi di figurazione proiettiva trovarono un posto stabile nel sistema della geometria descrittiva. Anche il tema dei correttivi ottici in architettura divenne questione di Darstellende Geo-
metrie (Geometria Descrittiva) a opera di uno dei protagonisti di questa
laterum abscedentium adumbratio ad circinique centrum omnium linearum responsus»
– si presta a interpretazioni contrastanti.
123 Si tratta dell'astronomo e filosofo Gemino, legato come Pompeo e Cicerone, a
Posidonio, figura eminente nella cultura romana tardo-repubblicana nella quale s'iscrive il De Architectura. Nella sua Introduzione ai fenomeni redatta nella prima metà del I secolo il termine “skenographia” indica quella parte dell'ottica praticata allo scopo di correggere i profili e le dimensioni di grandi costruzioni e colossi scultorei a partire dal come se ne vogliano prefigurare le proporzioni (i rapporti dimensionali) apparenti all'oc- chio empirico (Geminus 1975).
124 Nel testo vitruviano sono solo richiamati alcuni fenomeni ottici relativi ai “discer-
nimenti fallaci” tra i quali considera tanto gli effetti illusivi della pittura parietale – ove «si vedono sporgenze di colonne, prominenze di mutuli, immagini di statue come avan- corpi, pur essendo il quadro senza dubbio del tutto piano» – quanto le immagini di- storte dalla rifrazione, come «nelle navi i remi [che] quando sono diritti dentro l’acqua, tuttavia agli occhi sembrano spezzati». L'ottica vi è nominata nell'elenco (I,1,4) delle discipline di cui l’architetto vitruviano deve possedere la (sola) teoria, giacché «grazie all'ottica, negli edifici la luce viene fatta arrivare correttamente attraverso l'esposizione a zone del cielo ben precise». Qui “ottica” è semplicemente sinonimo della tecnica “gnomonica” (una delle tre parti dell'architettura, con l'aedificatio e la machinatio), rite- nendo – come accenna in I, 1,16 – che l’ottica riguardi tanto l’astronomia quanto la geometria.
125 La definizione che ne dà Vitruvio resta oscura e non ci aiuta molto intendere – con
Gemino – la scaenographia come parte pratica e specializzata dell'ottica. Sappiamo troppo poco di come essa avrebbe sfruttato i fenomeni ottici, vuoi al fine di realizzare correttivi, vuoi allo scopo di produrre immagini illusive. Da ciò che resta oggi non sap- piamo cosa di un'arte scenica spazialmente illusiva d'epoca periclea sia stato traman- dato al mondo romano. I riferimenti a specifiche trattazioni di Anassagora e Democrito si riscontrano solo sulla scarna notizia dello storico Diogene Laerzio, che attribuisce a Democrito un trattato su una non meglio definita “aktinographia” che Gioseffi ritiene (!?) tra le notizie «più che sufficienti ad assicurarci che il procedimento conosciuto da Vitruvio non poteva essere diverso dalla proiezione centrale» (Gioseffi 1963).
disciplina: Guido Hauck. Egli (Hauck 1879) trattò l'interpretazione delle «cur- vature orizzontali degli stili dorici» nella seconda parte del suo trattato dedicato a una subjektive Perspektive intesa come una geometria dell'immagine che (all'epoca) si riteneva “obiettivamente ottica” in quanto “fotografata” sulla re-
tina umana. Tra i metodi di rappresentazione della geometria descrittiva si
comprese così una “prospettiva altra”, a quadro curvo, che si riteneva simile a quella della quale – come scriveva Leonardo – «Ci ne dà sperientia la curva lucie dell'ochio».
Non si trattava di un modello fisiologico dello stimolo ottico prossimale. Era un modello geometrico di un dispositivo proiettivo su superficie a curvatura positiva e – occorrendo diversamente da due millenni e mezzo – dilatava l'e- stensione del termine “prospettiva”. Dagli albori della gnomonica a quelli della geografia, poterono chiamarsi “prospettive” sia la proiezione (centrografica) dell'ombra di uno gnomone nell'incavo di un orologio solare concavo (una
skafe) in uso già dal VII sec. a.C., sia la descrizione di una proiezione stereo-
grafica di Tolomeo nel III sec. d.C. D'altro canto Perspectives Curieuses erano già detti i casi della catottrica barocca, quando lo studio degli specchi a sem- plice e doppia curvatura e dei giochi anamorfici delle immagini che vi si pote- vano riflettere apparteneva alla prospettiva intesa come “magia naturale”.
Giunta a quanto di essenziale e invariante v'è in quei tanti dispositivi proiet- tivi, la géométrie moderne nella seconda metà del XIX secolo offriva modelli126
utilizzabili anche nello studio della geometria delle forme e delle immagini antiche. La verosimile ipotesi che un modello di proiezione su quadro curvo fosse pertinente sia ai correttivi ottici in architettura, sia alla costruzione delle scene teatrali e delle immagini parietali pseudo-prospettiche romane, tuttavia, non era una spiegazione storica, né naturalistica.
3.2.2 L’oggetto-immagine prospettico
Questi quattro diversi oggetti – a) teorema, b) arte della figurazione spaziale, c) tecnica di configurazione teatrale, d) modello proiettivo della visione – nei quali si separò la categoria “prospettiva” nel XIX secolo dovevano poi intrec- ciarsi in una sua specifica storiografia, separata dalle sue letterature tecniche e didattiche. Questa sorse solo nel secondo Ottocento, quando la prospettiva era ormai sepolta, come una questione antiquaria o archeologica, prima di risorgere con l’avvento dell’iconologia warburghiana.
Divenendo un capitolo decisivo della storia culturale delle immagini, la cate- goria “prospettiva” trovò una più precisa strutturazione. Nell'ambito
126 Dalla formulazione della geometria sferica di Lambert e con l'avvento della geo-