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X. Un libro sui generis, questo

2. Dizionarietto di una teoria tascabile

2.3 Paradigma e sintagma (sistemi e processi)

La rappresentazione concreta di un “paradigma” è ora (alle tredici e ventisei) nelle mani di K.; è il menu della trattoria: l'elenco distinto per “classi” di portate (antipasti, primi, secondi...) delle cose che potrebbero attualizzarsi realizzando

il suo pranzo. Non cambierebbe molto se, invece che presentato su carta, quel

menu fosse agibile attraverso un'interfaccia informatica; si tratterebbe sempre

di una lista strutturata gerarchicamente (per classi superordinate e subordinate) di comandi, ovvero di opzioni le cui realizzazioni attuali per l'utente sono al- ternative una alle altre.

Figura 9. Menù della trattoria di Maria Ermeneutica come esempio di "paradigma". 2.3.1 Sistema

I progettisti delle interfacce – come i menu – dovrebbero fare il possibile perché la gerarchia (la classe delle classi) dei comandi sia, come dicono spesso, «la più naturale», cioè corrispondente al modo (necessariamente culturale) in cui l'utente categorizza le azioni che può compiere in quel piccolo pezzo di mondo. Ma – come dimostra la comune esperienza di frustranti ricerche di opzioni nell'interazione quotidiana con distributori automatici, telefoni porta- tili, biglietterie on line… – l'utente deve sempre imparare dei protocolli artifi- ciali adeguando le sue categorie alle misteriose tassonomie implicate dalle in- terfacce. Chiedendosi se il cretino è lui o il progettista del dispositivo, oppure «è colpa del sistema», l'utente in difficoltà si rende conto che quei menu sono solo una delle possibili rappresentazioni di un “paradigma” che, a sua volta, rappresenta (attualizzandolo) un “sistema” (virtuale).

I quasi-sinonimi “paradigma” e “sistema” indicano una delle dimensioni fon- damentali di qualunque “sistema di significazione” e di ogni linguaggio (lingui- stico o no), tanto sul piano dell'espressione quanto su quello del contenuto. Precisamente ogni possibile sistema di significazione esiste al contempo in due modalità opposte e soggiacenti una all'altra, come quelle che abbiamo esem- plificato attraverso la distinzione tra il reparto cucina e la sala della trattoria: l'una virtuale (in absentia) detta “sistema” o “paradigma”, l'altra realizzata (in

praesentia) detta “processo” o “sintagma”.

Ciò è particolarmente evidente nei linguaggi linguistici giacché sono usati (parlati) da un utente producendo – lungo l'asse della combinazione – una

concatenazione di “ruoli” sintattici e semantici (il sintagma) e scegliendo nel paradigma – lungo l'asse della selezione – i termini che possono occorrere in quei “ruoli”. De Saussure chiamava “Langue” il “sistema” o la “competenza” entro e con la quale l'utente seleziona gli elementi alternativi tra loro (...“o”... “o”...) e chiamava “catena della Parole” (performanza) la combinazione realiz- zata necessariamente nell'ordine di un prima e un poi: un processo spaziotem- porale (... “e”... “e”...). Questa distinzione tra rapporti sintagmatici (la Parole) e

associativi (la Langue) che legano le unità linguistiche sarà poi tradotta

Hjelmslev in una distinzione di “funzioni”83 dette “sintagmatica e paradigma-

tica” o “processo e sistema”.

Così formalizzata la nozione di partizione (e... e) e di articolazione (o... o) di un sistema vale anche per l'ordinazione del piatto di K. al ristorante che, se fatta con un “menu a schermo” (Figura 9) rappresenterebbe anche l'albero pro- tocollato delle sue decisioni.

Anche in questo caso sull’asse del processo (sintagmatico) gli elementi sono in praesentia e stanno fra loro in un rapporto di ordinata contiguità spaziotem- porale – detto “relazione” – supportati dall'estensione fisica. Invece sull’asse del sistema (paradigma) gli elementi presenti sono sempre in un “rapporto as- sociativo” – detto “correlazione” – con altri elementi che sono in absentia giac- ché tra loro alternativi (nelle posizioni della catena processuale realizzata) e sono sentiti con un certo grado di intensità.

Ma – attenti a generalizzare – il paragone tra queste catene di decisioni pra- tiche con l’esercizio di una lingua naturale funziona solo fino a un certo punto. Per esempio, Louis Marin aveva ben ragione a rilevare che nel corpo di un dipinto di genere “astratto” «non è possibile opporre – secondo il modello saussuriano – una ‘Langue pittorica’ a una ‘Parole pittorica’ perché la Langue pittorica non esiste che all’interno della Parole [pittorica]» (Marin 1969, pp. 34, 35).

83 In questo caso la distinzione fra "processo" (sintagma, performanza, testo, Parole) e

"sistema" (paradigma, competenza, langue) è la distinzione entro due tipi fondamentali di funzioni; a) “relazioni” (tra gli elementi del processo) e b) "correlazioni" (tra gli ele- menti del sistema). Nei termini di Hjelmslev le “funzioni” sono denominate a seconda dei loro funtivi (interdipendenza, determinazione e costellazione) specificandosi a se- conda che riguardino il processo o il sistema.

Funzioni fondamen-

tali INTERDIPENDENZA tra due costanti

DETERMINAZIONE tra costante e varia- bile

COSTELLAZIONE tra due variabili Nel processo:

RELAZIONE (e… e) SOLIDARIETÀ SELEZIONE COMBINAZIONE

Nel sistema: CORRELAZIONE

2.3.2 Paradigma come sistema e dominio

Questo duplice modo di considerare degli elementi costitutivi come legati al contempo da relazioni sintagmatiche e da correlazioni associative è caratteri- stica fondamentale di tutti i sistemi che si possono dire “semiotici”, tant'è che De Saussure lo esemplifica con l'architettura più strettamente codificata:

«una unità linguistica è comparabile a una parte determinata di un edificio, ad esempio una colonna; questa si trova da un canto in un certo rapporto con l'architrave che sorregge; tale organizzazione delle due unità egualmente presenti nello spazio fa pensare al rapporto sin- tagmatico; d'altra parte, se questa colonna è d'ordine dorico, essa evoca il confronto mentale con altri ordini (ionico, corinzio ecc.), che sono elementi non presenti nello spazio: il rapporto è associativo» (Saussure 1968, p. 150).

Quando Hjelmslev li chiama “paradigmatici”, questi “rapporti associativi” non perdono la memoria della loro estrema (lapidea) concretezza. Il termine

parádeigma, fin dal suo originario uso greco, ha ereditato una connotazione

prassica. Distinguendo il suo significato da “eidos” e da “idea”, e declinato preferibilmente al plurale, implica sempre la situazione di un artefice (un de- miurgo) che si serve di parádeigmata (Scolari 2005:131–164) intesi come con- creti “modelli” (exempla) di paragone, siano essi prototipici, analogici o arche- tipici. Così anche le nozioni più tecnicamente architettoniche di “tipo”, (op- posta a quella di “modello”)84, di “ordine” (sistema figurativo-stilistico di una

struttura) e di “stilema” (schema ricorrente) sono solo esempi particolari di “pa-

ràdeigmata” formulati nella letteratura artistica e tecnica.

Basterebbe notare come nella letteratura architettonica la progressiva formaliz- zazione dei paradigmi stilistici sia concomitante al raffinarsi delle categorizza- zioni morfologiche nelle scienze naturali85. Ciò si deve al fatto che la storia delle

forme di progettazione è soprattutto quella delle (innumerevoli) concrete prati- che di manipolazione di paradigmi. La nozione di paradigma che la semiotica ci consegna è dunque estremamente articolata e efficiente. Come scrive Fontanille:

84 In architettura i termini “tipo” e “modello” sono prevalentemente intesi come op-

positivi nella classica definizione di Quatremère de Quincy: «La parola tipo non rap- presenta tanto l’immagine di una cosa da copiarsi o da imitarsi perfettamente quanto l’idea di un elemento che deve esso stesso servire di regola al modello... Il modello, inteso secondo l’esecuzione pratica dell’arte, è un oggetto che si deve ripetere tal quale è; il tipo è, per contrario, un oggetto secondo il quale ognuno può concepire delle opere che non si assomiglieranno punto tra loro. Tutto è preciso e dato nel modello; tutto è più o meno vago nel tipo» (Quatremère de Quincy 1832). Dunque, s'intende con “tipo” un'astrazione e generalizzazione corrispondente ad una delle classi di equi-

valenza nelle quali è suddivisa una “tipologia”.

85 Le stesse vicende dei saperi scientifici – come insegna Thomas Kuhn – possono, a

loro volta, essere lette in termini di emersione, ristrutturazione (conflitto e traduzione) e rivoluzione di “paradigmi” a diverse scale a portate estensive.

«Ci sono dunque dei paradigmi di paradigmi, dei paradigmi di sin- gami, dei paradigmi di processi, e anche dei paradigmi di semiosi. Evi- dentemente, ciascuno di questi tipi di paradigmi appartiene a un livello d’oggetto [semiotico] specifico; la lingua, il testo, il discorso in atto, le forme di vita, ovvero, l’intera semiosfera. […] Ma il principio generale è sempre lo stesso: un paradigma non è solo una classe di unità disponibili per la manifestazione, non è che un caso di figure possibili; un para- digma non è mai vergine di ogni uso anteriore o concomitante, è pro- fondamente marcato, ponderato, differenziato dai suoi usi e, perciò stesso, la “disponibilità” delle unità che lo costituiscono è profonda- mente contrastata» (Fontanille 2017, p. 220).

Trattandosi della nozione centrale del nostro discorso, dobbiamo affrontarla con la massima evidenza didattica. L'esempio più evidente delle nozioni di

paradigma e sintagma è forse quello offerto dalle xilografie (Figura 10) dell'Hi- stoire de la nature des Oyseaux (1555) di Pierre Belon du Mans dedicata alla

comparazione tra lo scheletro umano e quello dell'uccello. L'immagine mostra come in entrambi gli scheletri si trovi il medesimo numero e ordine generale di articolazioni attorno alla colonna vertebrale.

Figura 10. Pagine dall'Histoire de la nature des Oyseaux (1555) di Pierre Belon du Mans.

Per esempio, all'ordine dell'arto umano – omero, ulna e radio, carpo, meta- carpo, falangi delle dita – corrisponde puntualmente quello dell'ala dell'uc- cello.

Il discorso anatomico offre la forma più intensa ed estesa di categorizzazione concependo il corpo vivente al contempo in modo sintagmatico e associativo. Da un lato ogni corpo animale è colto come composto mereologicamente di sistemi (distinti per sviluppo embriologico), apparati funzionali, organi, tessuti, cellule, organuli e strutture molecolari formano una gerarchia relazionale (sin- tagma) di parti ordinate per livelli organizzativi di unità costitutive.

Dall'altro lato i corpi si corrispondono analogicamente in sorprendenti correla- zioni, considerando la posizione relativa tra parti di animali (sintagmi) anche nei

corpora di specie lontane. In queste correlazioni tra corpi in corpora la zoologia

non si limitò allo scheletro dei vertebrati più simili tra loro; riguardò anche le funzioni degli organi e delle strutture, estendendo la comparazione agli inverte- brati. Riunendo considerazioni di anatomia comparata e di embriologia, Étienne Geoffroy Saint-Hilaire formò (1830) l'idea di un paradigma comune dei viventi e chiamò “omologia” la correlazione tra parti di organismi diversi.

Da allora l'idea di una sintassi generale dei corpi viventi si è variamente svi- luppata in biologia, tanto alla scala dell'ontogenesi che a quella della filogenesi. L'attuale biologia evoluzionistica dello sviluppo [evo-devo] è proprio quel set- tore che considera congiuntamente i processi ontogenetici e filogenetici. È in quest'ambito di studi che acquista nuovo senso la nozione di “zootipo” (Minelli 2007, cap. 4), cioè la distribuzione (sintagmatica) generale degli organi lungo l'asse principale degli animali a simmetria bilaterale. Si tratta dell'estrema astra- zione di un corpo come ordine di parti correlabili ad altre in un corpus gene- rale. Idea non lontana da quella che Geoffroy vedeva in un “disegno generale del vivente”, lo zootipo è un'astrazione necessaria per comprendere nei ter- mini più concreti la variabilità genetica, embriologica ed evoluzionistica dei corpi. Serve per comprendere le soglie tra stadi di queste variabilità morfolo- giche, non tanto per classificare forme, funzioni, speciazioni...

La forma vivente nel suo divenire è sempre efficiente, non è mai arbitraria (né deterministica). La si deve intendere mutuamente presupposta alle forze che la determinano nella stabilità vivente dei corpi e nel divenire dei corpora, in un'economia biologica complessiva. È dunque una medesima Gestalt quella che si vede attraverso i punti di vista del sintagma e del paradigma, del pro- cesso e del sistema. Non si darebbe sistema senza processo e viceversa; sono due aspetti uno soggiacente all'altro.

2.3.3 Ontogenesi e filogenesi

È quest'idea di mutuo convertirsi di processo e sistema sotto l'egida un Gestalt che per prima si trasmette quando attraverso i paradigmi delle scienze della natura si studiano gli artefatti umani. Anche a questi oggetti fatti ad arte si at- tribuisce genericamente un'ontogenesi e una filogenesi che stabiliscono dei li- miti alla variabilità (storica) delle loro forme, che ne disegnano le evoluzioni tecniche e le mutazioni. Sostanzialmente si considerano gli artefatti della cul- tura materiale come i tratti più macroscopici del fenotipo umano, mettendo tra parentesi l'opposizione tra natura e cultura, tra naturalia e artificialia. Si apre così la possibilità di studiare l'epigenesi degli artefatti umani come fenomeno di salienza nel quale le pregnanze fisiche oggettive e soggettive agenti nella biosfera interagiscono con quelle culturali nei metabolismi della semiosfera.

Adottando questo punto di vista epigenetico, la semiofisica di René Thom (1988), senza toccare aspetti genetici, è prevalentemente dedicata allo studio della conversione tra processo e sistema in fenomeni sia embriologici, sia lin- guistici. Questi ben diversi processi (naturali e artefatti) sono confrontati dal matematico francese modellizzandoli attraverso gli stessi sistemi dinamici, dun- que con le stesse essenziali figure di morfogenesi. Egli considera solo i fatti osservabili a occhio e dispone le sue proposizioni prevalentemente come un commento alla fisica aristotelica. Giunge così a riformulare (1988, pp. 164- 170) lo stesso paragone che Aristotele stabiliva tra l’epigenesi di un generico

vertebrato (Figura 11) e la costruzione di una casa (Figura 12). Per quanto la costruzione edilizia sia infinitamente più semplice, anche rispetto all'ontoge- nesi di un esoscheletro, nel loro confronto il matematico intende mostrare i due processi come «paesaggi epigenetici». Lo strano confronto tra le due epi- genesi ci ricorda che lo studio della conversione del processo nel sistema ri- guarda tanto i praticanti delle arti quanto quelli delle scienze; entrambi lo af- frontano attraverso prove permutative e commutative.

Figura 12. Schema della costruzione di una casa da Thom (1988, p. 165), trad. nostra.