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tra arti e scienze della visione

3.6 L’etere luminifero in una scatola

Per ridurre la figura dell'etere luminifero a forma geometrica la si scompose in enti e forme fondamentali tra loro interdefiniti, dunque ricomposti in si-

stema. Per rendere questo sistema il più semplice si utilizzò il principio di sim-

metria concettuale derivato dalla figura specchio. La figura empirica dello spec- chio (esempio di relazione involutoria di specularità e di auto-riflessione) si tradusse nella “relazione” e nel “principio” che Poncelet e Gergonne chiama- rono di “dualità”. È il principio di interdefinizione o di “simmetria concettuale” tra gli elementi geometrici fondamentali e, di conseguenza, tra le proposizioni che con essi si predicano senza contraddire l'intuizione empirica dell'esten- sione.

156 Non possiamo dare un simulacro tridimensionale della superficie unilatera del

piano proiettivo, essa non potrebbe delimitare alcun solido ordinario. L'unico modo che abbiamo per costruirne un esempio oggettuale è quello di accontentarci di un seg- mento del piano proiettivo, costruendo un “nastro di Moebius”, cioè incollando i due estremi di una striscia di carta dopo averli mutuamente ruotati di un angolo piatto. Non riusciremmo a colorare quel nastro di carta differenziando i colori del recto e del verso e quelli del bordo superiore e del bordo inferiore, in esso non c'è più distinzione tra

recto e verso, c'è una sola faccia delimitata da un solo bordo; in questo senso il nastro

di Moebuis rappresenta un modello di “segmento di piano proiettivo”, cioè una super-

ficie unilatera chiusa nella quale è stato introdotto un bordo che l'ha segmentata. Pos-

siamo allora simulare su quel nastro una retta proiettiva provando a tagliarlo completa- mente lungo il suo asse centrale; ci renderemmo conto così che tagliandolo non otte- niamo due anelli staccati, come se tagliassimo un cilindro lungo una sua circonferenza; ciò che ricaviamo è un solo, unico anello attorcigliato.

3.6.1 Enti e forme

Così nella costruzione dello spazio geometrico non fu più necessario specifi- care che “cosa” fossero il punto, la retta, il piano e lo spazio, ma solo “come si scrivono”, giacché essi non indicano più delle “cose” o “entità” fisiche, ma solo dei “ruoli” reciprocamente e simmetricamente definiti nel più economico tra i possibili sistemi. Sono definiti solo con una convenzione di scrittura che non chiede altro che i “punti” siano nominati con lettere latine maiuscole, le “rette” con lettere latine minuscole e i “piani” con lettere greche minuscole, secondo queste mutue individuazioni:

come

punto/i punto e retta retta/e come retta e piano piano/i come

un punto è A a b a α α β γ

una retta è A B a α β

un piano è A B C A a a b α

La figura dello spazio è completamente definita da questa semplice tabella che esprime tutti i postulati d'individuazione degli enti (punto, retta e piano) dell'estensione figurata e che corrispondono alla nostra intuizione fisica dell'e- stensione spaziale157. Inoltre, mostra come ogni casella si trasforma in quella

diametralmente simmetrica scambiando tra loro il termine “punto” e il termine “piano”, senza mutare il termine “retta”. Si precisa così il modo in cui la “retta” svolge un ruolo “simmetrico” – come evidenzia la simmetria centrale della ta- bella costruita intorno alla retta (raggio) – in rapporto ai ruoli (duali) del punto e del piano (luminosi).

Entro quest'ambiente gli enti punto, retta e piano si combinano tra loro nei ruoli di “sostegno” e di “elemento” di alcune “forme fondamentali” (introdotte da Jacob Steiner) incarnando le forme spaziali della propagazione luminosa rettilinea.

La retta in quanto “forma” è intesa in analogia a un raggio di luce che penetra in una stanza buia da un foro stenopeico; oggi la si immagina percorsa da

157 Lungo i suoi assi di simmetria ortogonali la tabella afferma le relazioni di “recipro- cità”, cioè che una retta è individuata da due punti o da due piani; che due rette indi-

viduano un punto se e solo se individuano un piano, e viceversa; che una retta e un punto distinto individuano un piano, mentre una retta e un piano distinti individuano un punto. Inoltre, la simmetria centrale della tabella aggiunge che tre punti non allineati individuano un piano, così come tre piani non passanti per una stessa retta individuano un punto. Questi postulati di individuazione (degli enti) sono sempre veri, senza ecce- zioni, anche nel caso si riferiscano a rette e a piani obiettivamente paralleli, giacché la relazione di “parallelismo” venne (esplicitamente da Desargues) intesa come un caso limite della relazione di “incidenza”. Anche i punti e le rette impropri non possono che individuare il “piano improprio” (infinitamente lontano) che avvolge lo spazio ordinario.

“fotoni” puntiformi, come se fosse la “proiezione di un punto da un altro punto”. Perciò la sua forma si definiva “punteggiata”, cioè composta della sem- plice infinità di punti elementari (a dimensione nulla) supportati dall'ente “retta”. In quanto forma la retta resta definita come uno spazio a una dimen- sione, precisamente una curva chiusa dotata di un solo punto improprio; ciò comporta che di due punti qualsiasi di una “punteggiata” non si possa dire quale dei due preceda o segua l'altro, se non decidendosi per uno dei due possibili versi (temporali) opposti di percorrenza della forma. Deciso un punto d’origine e un verso temporale della punteggiata, ciascuno degli infiniti altri punti può esservi identificato con un numero reale. In questo senso si dice che la punteggiata è quella forma che ha la “retta” come “supporto” e il “punto” come “elemento”; essendo costituita da una semplice infinità di elementi (punti) la si classifica come una “forma di prima specie”.

Le forme fondamentali dello spazio proiettivo si costituiscono secondo la dualità “ente-sostegno /ente-elemento” e sono ordinate per “specie” in base ad un semplice principio contabile: la “molteplicità” degli elementi che le co- stituiscono. La molteplicità è il numero di parametri necessari e sufficienti per individuare uno qualsiasi tra gli elementi della forma.

3.6.2 Contabilità dell’estensione luminifera

Quella di “molteplicità” è nozione che riguarda la scrittura geometrica dell'e- stensione, non l'intuizione empirica delle dimensioni oggettuali158. Esprimendo

solo il numero minimo di parametri di una rappresentazione, la molteplicità si riferisce a uno spazio del tutto astratto e codificato che può figurare spazial- mente il modello di un fenomeno fisico.

Ordinate secondo la loro molteplicità le forme della geometria proiettiva sono ordinate come indichiamo nella pagina seguente. Da questa tassonomia vediamo che, oltre alla punteggiata, sono considerate forme fondamentali di

prima specie anche due altre figure che (invece) possiamo immaginare anche

come oggetti bi e tridimensionali: quella che ha il “punto” come supporto e la “retta” come elemento – il fascio di rette – e quella che ha la “retta” come supporto e il “piano” come elemento – il fascio di piani –. Il “fascio di rette” è l'insieme delle infinite rette di un piano che passano per un punto; il “fascio di

piani” è l'insieme degli infiniti piani che passano per una retta.159

158 Evidentemente per individuare un dato punto della punteggiata è necessario un

solo numero reale, quello che si dice solitamente la sua “coordinata lineare”. Saremmo naturalmente portati a credere che lo spazio monodimensionale della retta corrisponda al fatto che si tratti di una forma di prima specie, ma – come vedremo – s'incorre in paradossi se s'identifica (erroneamente) la nozione geometrica di “molteplicità” con quella di “dimensione” spaziale tipica del senso comune.

159 Ogni retta del “fascio di rette” è identificabile col solo parametro dell'angolo piano

orientato ch'essa descrive rispetto a un'altra retta del fascio assunta come origine; ana- logamente ogni piano del “fascio di piani” è identificabile col solo parametro dell'angolo diedro orientato ch'esso descrive con un altro piano del fascio assunto come origine.

Ia specie Retta punteggiata ∞1 punti di una retta Fascio di rette ∞1 rette di un punto e di un piano

Fascio di piani

∞1 piani di una retta

2a specie Piano di punti ∞2 punti di un piano Stella di rette ∞2 rette di un punto

Piano di

rette

∞2 rette di un piano

Stella di piani

∞2 piani di un punto

3a specie Spazio di punti

∞3 punti di uno spazio ordinario

Spazio di piani

∞3 piani di uno spazio ordinario

4a specie Spazio di rette

∞4 rette di uno spazio ordinario

Resta inteso che se l'ente supporto (punto o retta) è improprio gli elementi dei fasci (rette o pani) sono paralleli. Invece quando il sostegno del fascio è una retta propria la figura si presta a modellizzare geometricamente il fenomeno dell'irradiamento della luce che entra in una camera buia attraverso una fessura rettilinea (Figura 24), qual è per esempio, la fenditura lasciata dalle imposte socchiuse di una finestra non investita direttamente dal sole. In quel caso la luce che all'esterno è riflessa in infinite direzioni e con diversa lunghezza d'onda (diversamente colorata) penetra attraverso la fessura rettilinea suddivisa in piani cromaticamente diversi; questi piani di luce, intersecando le pareti interne, vi producono un'affascinante colorazione che somiglia a una sorta di “codice a barre” policromo, di fatto leggibile come immagine piana dello spa- zio esterno per “proiezione da una retta”.

Questi esempi ottici della punteggiata e del fascio di piani ci mostrano il modo in cui lo spazio proiettivo si costruisce idealizzando e generalizzando quello della prospettiva, convertendo in sistema i processi di proiezione e se- zione. Applicando intuitivamente le operazioni “duali” di “proiezione” da un punto e di “sezione” con un piano risulta che: a) la figura di “proiezione da un punto” dei punti di una punteggiata è un fascio di rette; b) la figura di “proie- zione da un punto” di un fascio di rette è un fascio di piani; c) reciprocamente (dualmente) la punteggiata è la figura di “sezione piana” di un fascio di rette che non passa per il sostegno, mentre d) il fascio di rette è la “sezione piana” di un fascio di piani non passante per il sostegno.

Figura 24. Le forme fondamentali della proiettiva modellizzano i fenomeni della ca- mera ottica.

Il punto e il piano sono “supporti” di “forme di seconda specie” (i “piani” e le “stelle” luminosi); esse traducono in geometria gli equivalenti delle figure ottiche storicamente fondamentali, in forme nelle quali ciascun elemento è individuabile da due parametri, cioè da una coppia di coordinate, siano esse lineari, angolari o polari, giacché tutti i sistemi coordinati si possono tradurre uno nell'altro mantenendo il numero minimo di coordinate160. Il punto è sup-

porto della forma della “stella di rette” – costituita dalle ∞2 rette che passano

per un punto – e della “stella di piani” – costituita dagli ∞2 piani che passano

per un punto –. Ogni forma di seconda specie contiene quindi infinite forme di prima specie e, queste, convertono in sistema determinate figure ottiche fondamentali. La stella è la figura di “proiezione da un punto” dei punti e delle rette di un piano; il piano punteggiato o rigato è la figura di “sezione” della

stella (di rette o di piani) con un piano che non passa per il sostegno.

Da ciò si comprende come le due figure (duali) della “stella” e del “piano” giochino il ruolo fondamentale nell'estensione figurata dalla geometria proiet- tiva; nelle applicazioni la “stella” modellizza la “proiezione da un punto” (pro- prio o improprio) simulando i fenomeni dell'irradiamento “emesso” da una fonte luminosa puntiforme, o quello “recepito” da un destinatario puntiforme. Il “centro di proiezione” (supporto della stella) simula dunque l'occhio dello spettatore della prospettiva, o il foro stenopeico di una camera oscura, o il centro ottico di una macchina fotografica, o quello del cannocchiale, o di un telescopio, o di un teodolite fissati a un'alidada…, cioè il centro di un qualun- que dispositivo ideale che individui univocamente (traguardandole) le ∞2 di-

rezioni o le ∞2 giaciture dello spazio a partire da un punto fisso. Come esem-

plificano i vari casi dei sistemi di coordinate topografiche, geografiche, astro- nomiche (celesti), vi si tratta sempre dell'individuazione di ogni retta o ogni piano della “stella” tramite una coppia di parametri – angolo azimutale/angolo

160 Un punto del piano s'individua con due qualsivoglia coordinate. Così accade an-

che per una retta del piano, individuata, per esempio, dalle coordinate costituite 1) dall'ascissa del punto in cui interseca una retta stabilita come asse originario e 2) dall'an- golo che forma con quest'asse. Dunque, nel caso in cui si assume il piano come sup- porto la forma può costituirsi in “piano di punti” oppure (dualmente) in “piano di rette”.

zenitale, latitudine/longitudine, ascissa/ordinata... – che, tipicamente, sono due angoli (piani o diedri) orientati e riferiti dalla forza di gravità a una giacitura orizzontale (azimutale) e una direzione verticale (zenitale).

Dunque, la propagazione rettilinea della luce che entra o che esce da un di- spositivo puntiforme imprimendosi (sezionandosi) su un piano è il modello fisico fondamentale sul quale sono definiti formalmente gli enti, le forme fondamentali della geometria proiettiva, nonché le forme pratiche di rappresentazione proiet- tiva delle figure estese, sfruttando la relazione duale che traduce tra loro, biuni- vocamente, le figure della stella e del piano, con i connessi sistemi di parametri.

Altrettanto intuitiva è la contabilità che definisce lo spazio ordinario come supporto delle forme fondamentali (tra loro duali) di “terza specie” perché composte da un'infinità al cubo di elementi (punti o piani) e, dunque, conten- gono infinite forme di seconda specie. Si tratta dello “spazio di punti” – costi- tuito dagli ∞3 punti dello spazio ordinario – e lo “spazio di piani” – costituito

dagli ∞3 piani dello spazio ordinario –161. Apparentemente meno intuitiva è la

contabilità dello spazio di rette. Seguendo il senso spaziale comune ci aspette- remmo che si dia anche uno “spazio di rette”, ma dobbiamo constatare prati- camente che per individuare una delle rette dello spazio ordinario occorrono almeno quattro parametri; perciò lo “spazio di rette” si conta come una forma di quarta specie. Quindi si dice che lo spazio ordinario è a tre dimensioni solo se lo si considera come il supporto di punti o di piani propri; ma se lo si con- sidera come il supporto di rette proprie o improprie, si deve ammettere che “è” a quattro dimensioni, perché occorrono quattro parametri per governare la sua molteplicità.162 Per individuare una retta dello spazio di rette occorrono

quattro coordinate, ma per rappresentare tutte le direzioni dello spazio ne ba- stano due, le dimensioni della stella o del piano, figure dualmente trasformabili una nell'altra, in esatta corrispondenza biunivoca. Le operazioni duali di “proiezione” e “sezione” si compongono quindi nell'idea fondamentale di

161 Lo “spazio di punti” è del tutto analogo all'intuizione comune dell'estensione tridi-

mensionale dove ogni punto è individuabile, per esempio a partire dalle sue tre coor- dinate cartesiane; analogamente lo “spazio di piani” consente d'individuare univoca- mente ciascun piano con tre coordinate: per esempio, fissando un piano di riferimento, ogni altro piano dello spazio lo incontra in una retta (individuabile con due parametri) e secondo un angolo diedro (terzo parametro).

162 Anche in questo caso non si tratta di un'astrazione logica, fisicamente gratuita, ma

del modo più semplice di dare forma geometrica all'intuizione dello spazio inteso come “etere luminifero” che s'immaginava pervadere tutto l’Universo. Per rendersi conto delle ragioni contabili di questa unificazione del molteplice “fiat lux”, basta immaginare e idealizzare geometricamente l'insieme dei raggi di luce che si riflettono su una parete fisica, parzialmente traslucida, non completamente riflettente, investita, per esempio, dal Sole (stella di centro improprio); ciascuno degli ∞2 punti della parete (piano pun- teggiato) diviene così centro irradiante di una stella di (∞2) raggi riflessi (e rifratti) in tutte

le direzioni. Lo spazio ordinario è così saturato da ∞4 rette che imperversano in ∞2

direzioni. Se ogni punto dello spazio punteggiato fosse centro di una stella di rette, le ∞5 rette totalmente in gioco (∞2 per ognuno degli ∞3 punti) si sovrapporrebbero una

“trasformazione proiettiva” e a questa nozione si conforma anche quella di “rappresentazione” ereditata dalle pratiche della skiagraphia.