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X. Un libro sui generis, questo

2. Dizionarietto di una teoria tascabile

2.7 Immaginario, Simbolico e Reale

L'ipotesi interpretativa di K. si basa sulla mutua relazione tra l'impaginazione architettonica (espressione) e l'uso simbolico (contenuto) del diagramma del

nodo borromeo incorporato nell'impresa araldica medicea. È certamente il “diagramma” che c'entra con le immagini del nodo borromeo usato spesso come espressione grafica del paradosso logico del dogma trinitario “Est… Non est...” Ma che c’entra con logica e teologia il “monogramma” usato come im- presa araldica personale di Lorenzo?

Se gli “prestiamo fede”, nello stesso corpo dottrinale ecclesiastico la forma “trinitaria” non si limita al referente divino. Il Dio che Agostino (nel De Trinitate) pone come unitaria immanenza dell’Amans, Amatus e Amor, – essendo l'uomo considerato «a immagine di Dio» – si riflette in una natura trinitaria dell’anima umana costituita dal “Esse”, dal “Nosse” e dal “Velle”. È dunque possibile che un diagramma logico sia stato usato da un colto umanista come emblema psico-logico in un'occorrenza araldica o in un'allegoria.

2.7.1 Diagramma logico, topo-logico e spicco-logico

Il compito di un diagramma è in fondo sempre stato quello di rendere visibile (intelligibile) un gioco di pregnanze che si sottrae al dominio direttamente sen- sibile. Nel passare dal sensibile all’intelligibile, questo particolare diagramma (dei tre anelli) esprimeva valenze significanti che, forse, furono utilizzate in ambito umanistico nel tentativo di raccordare aspetti della teologia cattolica alla psicologia antica (specie aristotelica: De Anima). Da lì in poi, la sua pro- prietà di poter significare “una unità immanente a una terna di distinzioni o di opposizioni binarie manifestate”, ha fruttato a quel diagramma una lunga sto- ria, una vicenda carsica che fiancheggia, senza intersecarla, quella dell’ideo- grafia logica moderna, sviluppata a partire dal secondo Settecento.

Tra le diverse occorrenze del diagramma borromeo negli ultimi due secoli, K. ne ricorda due: quella solo implicata nella teoria del segno di Charles Sanders Peirce (alla fine del diciannovesimo secolo) e quella che farà del nodo borro- meo l’emblema principale della teoria psicanalitica di Jacques Lacan nel cuore dello strutturalismo parigino degli anni Sessanta e Settanta. Ma c’è davvero un nesso tra le due occorrenze del monogramma in ambiti così (epistemologica- mente) lontani?

Filologicamente no. No, soprattutto perché la teoria della significazione che fonda lo strutturalismo lacaniano deriva da quella di Saussure, basata sulla de- finizione binaria di “segno” come mutua e convenzionale presupposizione di

significante e significato; sembra una concezione diadica non direttamente

confrontabile con le rutilanti Trinità del “segno” definito da Peirce nella dina- mica delle mutue relazioni tra il Representamen, l'Object e l'Interpretant; dina- mica trinitaria tutta protesa a spiegare il processo di significazione nell’avvento della stessa percezione.

Nell'opera del filosofo statunitense lo schema degli anelli borromei – non usato esplicitamente nei suoi “Existential graph” – non ha un ruolo paragona- bile a quello che invece trova nella teoria psicanalitica lacaniana. In quel caso

rappresenta, in un certo senso, lo stesso sfondo filosofico generale – le tre istanze – sul quale Lacan dispone lo studio dei fenomeni psichici. In partico- lare, dal 1953 Lacan individua nel nodo borromeo la struttura topologica (da lui intesa come “realtà”) che sola può incarnare la coesistenza – cioè la distin- zione e la “consistenza” unitaria – dei tre ordini o istanze: l'Immaginario, il

Simbolico e il Reale. 2.7.2 Istanze immanenti

L’Immaginario, in Lacan, è inteso come l’ordine produttivo di ogni immagine [image]. Presupponendo che il pensiero si dà essenzialmente per immagini – come diceva Aristotele: «l’anima non pensa mai senza immagini» –, il termine “imago” indica tutte le possibili distinzioni categoriali, associazioni rappresen- tative, auto rappresentative, narrative..., insomma, «è tutto il pensabile». Cor- risponde a un contenuto d'ordine profondamente iconico che De Saussure at- tribuirebbe forse all’ordine del “Significato” o – nei termini di Hjelmslev – del “Contenuto”. Di converso il Simbolico sembra inteso in Lacan come l’ordine che Saussure attribuirebbe forse al “Significante” (alla “Langue” intesa come sistema semiotico), a tutto ciò che si comprende e si assume circoscritto in quanto “espressione di un contenuto”, attraverso un sistema di valori, appunto, un “sistema di opposizioni discrete”. Il Simbolico, per Lacan e i lacaniani, sem- bra corrispondere all’ordine dei significanti del linguaggio: Semiotic System and

process.

Le correlazioni tra il Simbolico e l'Immaginario – come tra il sensibile e l’intelli- gibile – presuppongono l'istanza di un terzo ordine – che Lacan chiama “il Reale” –, l’ordine corrispondente al confine tra il Simbolico e l'Immaginario e compren- dente tutto ciò che questi due primi ordini escludono, ovvero tutto il continuo, indifferenziato e indicibile loro resto complementare. È il dominio che sembra corrispondere a ciò che Hjelmslev chiama “purport”97, o, in danese, “mening”

[senso]. In altri termini, è il “continuum”, amorfo e non analizzato, prima che esso sia differenziato (discretizzato) in una “sostanza del contenuto” e in una “sostanza dell'espressione” attraverso la significazione (Figura 19 A).98

97 La “materia” in sé (in danese, mening, in inglese purport, in francese matière o sens)

è “senso” o puro “continuum” opposto al discreto della “forma”. Non è conoscibile né esprimibile; è inattingibile, com'è la kantiana “cosa in sé” o com'è il “Reale” secondo Lacan. S'intende come l'insieme di tutto l'esperibile e l'esprimibile non analizzato. È quanto si potrebbe conoscere, sapere, percepire, immaginare, sognare, categoriz- zare…, ma che non si è ancora – o non sarà – conosciuto, interpretato o espresso. Nelle lingue naturali la “materia dell'espressione” è la massa amorfa di suoni prima di ogni articolazione produttiva o recettiva, è il continuum fonico-acustico dei suoni che può potenzialmente emettere l’apparato fonatorio umano e che l’apparato uditivo può per- cepire e, solo in seguito, segmentare. È il “senso” inteso come fisico e fenomenologico, esterocettivo, mentre la loro “materia del contenuto” è il “senso” inteso come intero- cettivo: la potenziale esperienza attiva, passionale e cognitiva che facciamo del mondo prima che se ne attualizzino dei segmenti.

I tre ordini (anelli borromei) sono così a due a due distinti ma unitariamente “consistenti” nell’esperienza. Infatti, non possiamo darci “image” di sorta (ca- tegoria o concetto) del Reale senza l’intermediazione del Simbolico, ovvero del linguaggio da cui «siamo parlati». Letto in questi termini – quelli in cui Hjelmslev evolve la teoria del segno di Saussure – il diagramma borromeo di Lacan si svincola da qualunque significato psicologistico e mentalistico. Sempre nel cuore dello strutturalismo parigino, accompagna lo sviluppo della semiotica generativa di Greimas, a partire dalla sua Sémantique structurale del 1966.

Da questo punto di vista, l’atto della messa in relazione di un'espressione e di un contenuto vi si rappresenta nel reciproco costituirsi da un lato di un do- minio interiore (interocettivo) – assimilabile al piano del contenuto e all'ordine della pregnanza –, dall’altro lato di un dominio esteriore (esterocettivo) – pa- ragonabile al piano dell'espressione e all'ordine della salienza –. La messa in relazione (costituendo un sistema di valori) tra questi due domini o valenze può porsi attraverso la terza istanza di un “campo propriocettivo” – “timico” –, ovvero di un senziente “corpo proprio” che prende posizione nel mondo spostando di volta in volta la frontiera tra espressione e contenuto (Fontanille 1995; Fontanille 2003).

Figura 19. (A) Schema della “funzione segnica” secondo Louis Trolle Hjelmslev, rivisto da Umberto Eco (Eco 1984, p. 74); (B) sua traduzione secondo la figura degli anelli

borromei dove, nella prospettiva del soggetto, si evidenzia la congiunzione/disgiunzione

tra le dimensioni interocettiva, esterocettiva e propriocettiva.

p. 74) – illustra la definizione di Hjelmslev della significazione come presupposizione reciproca di una forma dell'espressione e di una forma del contenuto. In particolare, la

forma dell'espressione di ciascuna lingua naturale parlata è il proprio sistema fonologico,

morfologico e sintattico che determina quali performanze espressive siano accettabili. Le forme dell'espressione pertinentizzano la materia discretizzandola in maniera speci- fica per ciascuna lingua e sistema, producendo dunque “sostanze espressive” diverse. Lo stesso accade sul piano del contenuto ove tutto il pensabile ed esperibile (la materia o senso) s'intende ritagliato da “forme del contenuto” in “sostanze del contenuto”.