• Non ci sono risultati.

X. Un libro sui generis, questo

1. Le immagini nel progetto: una tipologia pragmatica

1.2 Elaborati tecnici esecut

Le rappresentazioni tecniche costituiscono la categoria di elaborati più “co- dificata” (in tutti i significati propri della parola “codice”). È il genere sancito, per esempio, dall'articolo 26 del Codice di Deontologia Professionale dell’Or- dine degli architetti31; da questo punto di vista (deontologico) la rappresenta-

zione è un documento che vale come una “pubblica dichiarazione” da valu- tarsi in termini pragmatici e giudiziari, giudicando gli elaborati o come “vero- simili”, o “non verosimili”, in base a due principali “codici”:

1) il codice costituito dalle convenzioni pratiche (e dalle risultanze in giuri- sprudenza) che sanciscono i modi in cui le rappresentazioni grafiche si riferi- scono ai corpi reali che esse devono denotare sempre a un dato livello (scala) d’informazione metrica;

2) il codice costituito dalla geometria pratica e dalle convenzioni notazionali di una pratica esecutiva, che sancisce universalmente (in termini “grammati- cali”) la coerenza interna degli elaborati. Si tratta perlopiù dei più semplici me- todi della rappresentazione grafica, cioè dei codici che permettono di leggere i disegni come proiezioni piane di modelli geometrici di corpi spaziali a una data scala d’informazione costruttiva.

Il primo criterio è dunque strettamente referenziale; è esemplificato in parti- colare dai provvedimenti amministrativi e giudiziari, compresi quelli che inva- lidano atti che la Pubblica Amministrazione aveva concesso sulla fiducia in rap- presentazioni riscontrate poi, di fatto, infedeli allo stato dei luoghi e delle co- struzioni. Tali rappresentazioni “infedeli” potrebbero anche ricadere nella fat- tispecie dei reati di “false dichiarazioni” (di cui all’art. 481 del Codice penale italiano), almeno quando vi si ravvisa un intento fraudolento. Causato da im- becillità o da disonestà del progettista, l'errore di verosimiglianza referenziale e grammaticale della rappresentazione tecnica è comunque un'inadempienza deontologica, anche se capita spesso (e senza le dovute conseguenze penali) grazie a una diffusa cialtroneria amministrativa, professionale e scolastica.

Il secondo criterio è, infatti, quello grammaticale, per il quale una rappresen- tazione (a prescindere dai dati del suo referente fenomenico) può risultare, in se stessa, coerente o incoerente. Nel caso dei disegni esecutivi (su carta o in formato digitale) si tratta solo di seguire le semplici convenzioni della

31 «L’architetto, nell’espletamento delle varie fasi progettuali, è tenuto a produrre tutti

gli elaborati necessari e sufficienti per la definizione o realizzazione dell’opera nei limiti di quanto stabilito dall’incarico. La carenza, l’imprecisione o l’indeterminatezza degli elaborati, anche se non contestate dal committente, costituiscono motivo di inadem- pienza deontologica».

rappresentazione in proiezioni parallele (piante, alzati, assonometrie) trattate dalla geometria descrittiva, le quali possono essere apprese in poche ore da chiunque.

Tuttavia, nelle pratiche del rilievo e del progetto esecutivo si comprendono elaborati molto diversi per i quali la giurisprudenza è talora in ritardo sulle tec- nologie e non prevede un formato codificato, ma esige da quei documenti solo una prestazione in termini di una coerenza interna e di una ragionevole vero- simiglianza referenziale. Il rilevatore e il progettista sono così, quasi sempre, liberi d'inventarsi il modo di adempiere ai compiti della rappresentazione ope- rando con qual si voglia (dichiarata e codificata) “semia sostitutiva”.

Dunque, per “elaborato tecnico” s'intende un “documento” costituito da un “macrotesto sincretico”, cioè un insieme che di disegni, diagrammi, comuni- cazioni verbali e fotografie, eventualmente da campioni di sostanza prelevati in sito, calchi al vero, prototipi, maquettes, filmati, formule, tabelle … purché tutti chiaramente riferiti allo stesso oggetto fisico o in fieri. Per questa ragione gli elaborati tecnici sono necessariamente archiviati in “pratiche”, formano dei

corpora contrassegnati da paratesti e contenenti tutti i documenti che si riferi-

scono a un dato oggetto costruito o costruibile.

1.2.1 Metodi di rappresentazione tecnica

L’attuale disegno tecnico non è sostanzialmente diverso dai suoi prototipi an- tichi: i tracciati incisi a profondità submillimetrica su lastre di pietra nel corpo stesso delle costruzioni ch'essi istruirono, come esemplifica il caso del tempio di Apollo a Didime. Come nei disegni attuali vi si trova generalmente una ge- rarchia di quattro ordini fondamentali e chiaramente distinguibili di tracciati riferiti ciascuno a un ordine di aspetti della superficie dei corpi rappresentati. 1°) I tracciati più evidenti devono esprimere la “vera forma” (talora anche la “vera misura”) di una sezione piana del corpo rappresentato, cioè la sua im- pronta (ichnographia) diretta. 2°) I tratti a intensità intermedia devono denotare il contorno apparente del corpo, ovvero l'impronta dei raggi proiettanti tan- genti alla sua superficie32. 3°) Entro l'area delineata dal contorno apparente si

ammettono quelle linee che rappresentano spigoli in vista o la partizione della superficie rappresentata in aree di diverso valore. 4°) Infine si devono distin- guere le tracce di piani e rette di costruzione, come le linee di richiamo di parti omologhe, gli assi di simmetria e di omologia, o le tracce di ulteriori piani di sezione. Quest'ultimi segni guidano le inferenze necessarie affinché i tracciati degli altri ordini possano denotare senza ambiguità la forma e la misura del

32 Il contorno d'ombra portata d'un corpo corrisponde alla rappresentazione del suo contorno apparente “visto” dalla fonte luminosa. Tale contorno apparente è la linea

della superficie del corpo che separa la parte illuminata (“vista”) da quella in ombra

propria (“non vista”), dunque è il luogo delle tangenti condotte dalla fonte luminosa al

corpo rappresentato.

Con la “ragion militarmente veduta” dell'industria nascente, la geometria de- scrittiva precisò queste antiche tradizioni delle rappresentazioni iconiche tec- niche – specie l'art (stereotomico) du trait – “alla luce” del modello geometrico dello spazio proiettivo (§ 3.5). Semplicemente le antiche rappresentazioni tec- niche furono rilette (standardizzate) come diagrammi geometrici sul piano in grado d'istruire esattamente lo spettacolo spaziale della forma di una superficie orientata (involucro di un corpo).33 In questo modo i diagrammi geometrici

(che rappresentano iconicamente la forma spaziale macroscopica degli oggetti figurati) divennero dei documenti giudiziari ed euristici destinati a trovare e dichiarare le “giuste (verosimili) forme e misure” del corpo in causa. Ogni ta- vola divenne così il teatro della soluzione di un “problema grafico e/o me- trico”34 e il suo modo di “far figurare” spazialmente il corpo venne codificato

nei vari “metodi di rappresentazione iconica” della geometria descrittiva. Questi “metodi” stabiliscono ancora oggi i modi convenzionati in cui delle semplici linee tracciate su un foglio da disegno (con diversi spessori) possano significare esattamente la geometria di superfici e di corpi in uno spazio tridi- mensionale ordinario, ovvero quel che si dice “orientamento interno” della rappresentazione. Possono essere definiti sia come semplici procedure grafiche – anche per un operatore industriale analfabeta –, sia come procedure euristi- che che consentono a un esperto esploratore dello spazio proiettivo di espri- merne una “regione” in forma tecnica su un foglio da disegno35.

In tutti i casi si tratta di una qualche (e diversa) corrispondenza tra alcuni caratteri di un corpo fenomenico – idealizzato in uno spazio S – e la loro rap- presentazione in un modello geometrico – uno spazio S' –, presupponendo sempre un'operazione di verosimile “rilevamento”, sia essa solo ideale, oppure concretamente eseguita, perché anche quando si documenta tecnicamente un oggetto soltanto ideato lo si rappresenta (ri-presenta) “come se” lo si rilevasse effettivamente “in praesentia”, restituendolo in una qualche “illusione

33 Tali diagrammi istruiscono sempre il rilievo o la costruzione di oggetti, siano essi dei

corpi concreti, realizzati o solo potenziali /progettati), oppure del tutto ideali e virtuali. In ogni caso questi referenti sono descritti sempre “come se” fossero verosimilmente realizzati e attraverso un loro coerente “modello geometrico” Σ*.

34 Si dicono “grafici” i problemi di mutua definizione spaziale tra le parti dell'esten-

sione figurata sulla tavola: le condizioni di appartenenza e reciproca posizione degli enti, quali la determinazione delle linee intersezioni tra superfici, dei punti intersezione tra linee e tra queste e le superfici. Si dicono “metrici” i problemi relativi alle “vere misure” di estensione di segmenti e di angoli piani o diedri, dunque anche la riduzione in “vera forma” sul piano del disegno di quelle configurazioni piane che vi sono figurate proiettate da posizioni generiche.

35 In questo senso la prova pratica di geometria descrittiva – in termini simili a quelli

documentati da Boris Asancheyev (Asancheyev 2002) nel caso francese – è stata a lungo – negli ultimi due secoli – discriminante nell'annessione di un candidato ai livelli più alti d'istruzione (non solo tecnica). Si può agevolmente dimostrare che la stessa cultura po- litecnica (mongiana) “è” (teoricamente) alla base delle selezioni meritocratiche razionali tanto in ambito militare che industriale.

referenziale”. La verosimiglianza della rappresentazione è sancita proprio dalla possibilità di simulare (mentalmente o praticamente) questo presupposto “rile- vamento ideale” dell'oggetto.

Le diverse forme di rilevamento – concreto o ideale – corrispondono sempre alla costruzione di diversi tipi di geometria S dell'oggetto e a diversi tipi del modello rappresentativo S'. A essere ligi all'etimologia dovremmo chiamare con S uno spazio “geometrico” riferito a un oggetto, e associargli uno spazio geo-

grafico S': una rappresentazione analogica o digitale. Ma S e S' si possono con-

siderare due spazi geometrici che si corrispondono sempre in una qualche “re- lazione” e possono avere o meno lo stesso numero di dimensioni, cioè possono trovarsi o meno in una corrispondenza biunivoca tra i loro enti corrispondenti. Si può dunque immaginare l'aspetto formale della rappresentazione tecnica come una qualche trasformazione geometrica – una congruenza, una proietti- vità o un omeomorfismo – che fa corrispondere S a S'.

Così se K., o un archeologo del futuro, decidesse mai di fare l'inventario degli elaborati tecnici del suo archivio, sarebbe costretto a coniare alcuni nuovi ter- mini che indichino “generi di rappresentazioni” connesse a “modi del rilievo” ideale di un corpo; ne uscirebbe forse una tassonomia come quella seguente.

Generi di rappre- sentazione tec-

nica Tipi di elaborati

Modo del rileva- mento ideale o ef- fettivo

Relazione geome- trica tra modello oggettuale e mo- dello rappresenta- tivo

IDEMGRAFIE Campionamenti Prelievo diretto Congruenze

S n→ S’ n

Duplicati Clonazione, ripro-duzione sostanziale

ICNOGRAFIE

Tomografie Calco e misura-zione diretta Modello digitale di superficie o equi- valenti maquettes analogiche Laser scanning o mappaggio diretto aderente, rilievo image-based Similitudini S n→ S’n STEREOGRAFIE Metodi di rappre- sentazione della geometria descrit- tiva Rilevamento indi- retto per “interse- zione in avanti” o per “stereo-foto- grammetria” Omografie dege- neri S n → S’ n-1 SEMIOGRAFIE Diagrammi (Mappe e Grafi) equazioni, script, notazioni se- mantiche Statistiche, parame- trizzazioni, assiolo- gie proiettate in base a un codice notazionale Omeomorfismi S n → S’ x

Dalla tabella si vede subito che la geometria descrittiva comprende solo una parte dei modi di rappresentazione strettamente utili a chi progetta artefatti; i suoi metodi di rappresentazione sono limitati al caso del paradigma stereogra- fico del disegno, collocato al centro di una tabella che conta ben altre modalità di produzione di modelli geometrici. K. li elencherebbe distinguendo generi di rappresentazioni tecniche a seconda che si riferiscano alla materia e sostanza fisica (“idemgrafie”), all'impronta diretta (“icnografie”), alla proiezione bicen- trale (“stereografie”), oppure ad altre forme di mappatura e di schematizza- zione topologica (“semiografie”). L'inventario assomiglia a una classificazione di “semeiotica medica”, ma – praticamente – non aggiunge molto di utile a quanto si sa già di “dover fare” per inoltrare un documento alla Pubblica Am- ministrazione, a un committente o a un cantiere, perché tutti questi diversi tipi di elaborati possono essere tutti più o meno verosimiglianti e svolgere in pari grado il lavoro di documento tecnico esecutivo. Ogni metodo di rappresenta- zione deve essere semplice e comodo (user friendly), altrimenti non viene usato. Per definizione, la rappresentazione è una pratica semplicemente con- venzionata e quella in uso dovrebbe essere necessariamente semplice (user

friendly); se non lo è, è una truffa. 1.2.2 Modelli, archivi e data base

L'archivio degli elaborati tecnici esecutivi è la faccia pubblica di un atelier di progettazione, anche se per il pubblico è la meno visitabile. Fino a qualche lustro fa l'archivio degli elaborati descritti sopra era costituito solo dall'insieme dei faldoni, cartelle, rotoli cartacei, fotografie, maquettes... costituenti i docu- menti necessari per realizzare progetti, cioè per chiederne l'autorizzazione, la concessione, per istruirne l'avvio, l'esecuzione, la contabilità, i collaudi, le ma- nutenzioni in esercizio, ecc. Questo corpus documentale oggi non è certo scomparso, ma solo fruito diversamente, è semplicemente tradotto in una mol- titudine di file e in un insieme directory su supporti digitali (fisicamente ospitati da server ubicati dall'altra parte del pianeta).

Ma la digitalizzazione negli atelier di progettazione non si ferma alla semplice conversione di formato dei documenti finali e delle rappresentazioni geome- triche (CAD), riguarda ormai l'intero processo progettuale. Prevale ovunque la pratica della modellazione parametrica, specie quella del Building Information

Modeling (BIM) che concentra e ricava tutte le rappresentazioni esecutive di

un progetto in un medesimo e condiviso modello digitale in continuo aggior- namento. Questo modello in condivisione collaborativa non è che un enorme

database contenente tutte le diversissime informazioni codificate sull'oggetto

che si sta progettando: dalla sua geometria topografica al computo dei suoi componenti, fino alle più minute unità costitutive computabili. È un modello digitale condivisibile in collaborazione tra una moltitudine di autori almeno pari alla divisione dei compiti tra le diverse competenze tecniche necessarie

alla definizione e verifica dell'artefatto finale. Ciascun autore (progettista) vi lavora attraverso le interfacce di specifici software di modellazione e simula- zione che egli attiva a seconda di quali aspetti del progetto, di volta in volta, prende in considerazione. Per esempio, nei settori tecnologicamente più avan- zati – come la meccatronica nell’industria automobilistica e aerospaziale – nei quali la progettazione è collaborativa e avviene tra specialisti in competenze settoriali tanto separate da non poter cominciare tra loro, non resta che elabo- rare il progetto testandolo, nello stesso tempo, con un medesimo prototipo virtuale dell’oggetto in fieri36.

Visto così il lavoro dei progettisti sembrerebbe consistere nel “fare il modello” agendo attraverso una sorta di videogioco che chiede di aggiungere, togliere e combinare componenti di un medesimo oggetto complessivo in corso d'opera. Versione dopo versione, sessione dopo sessione, il modello – apparendo in innumerevoli sfaccettature nelle immagini fornite dai computer – si tesse e si disfa (come la tela di Penelope) evolvendo fino a una sua (soddisfacente) con- clusione. Decisione dopo decisione, i progettisti sembrano attenersi general- mente al classico procedimento (evolutivo) per prove ed errori, cioè ingaggiano – alternando modellazione, simulazione e valutazione del progetto – innume- revoli feedback con le immagini del modello in corso d'opera, producendo varianti – locali o globali – comparando tra loro soluzioni alternative della me- desima unità costitutiva dell'oggetto progettato, finché esso (globalmente) sia stato, scelta dopo scelta, ritenuto soddisfacente agli scopi preposti. Tale “solu- zione” è dunque uno degli stati possibili di un medesimo modello digitale pa- rametrico.

1.2.3 Modelli parametrici

I sistemi BIM sono un caso di modellazione parametrica interoperabile37. Il

modello parametrico digitale rappresenta geometricamente un oggetto in tante dimensioni quanti sono i parametri in cui è descritta la forma dei suoi compo- nenti, al netto delle correlazioni (vincoli reciproci) che sono stabilite tra questi parametri. Per esempio (vedi fig. 1. B) la tipologia antropometrica, almeno se- condo il sistema che William Sheldon ricavò su base statistica, mappa la varia- bilità dei tipi somatici umani in base a tre macro-parametri, ciascuno misurato in sette gradi.

I tre casi (prototipi) indicati come esemplari di tre somatotipi sono quelli che massimizzano il grado uno di questi tre macro-parametri minimizzando i gradi degli altri due: 7.1.1. (puro endomorfo), 1.7.1. (puro mesomorfo) e 1.1.7. (puro ectomorfo), denominati da Sheldon col nome dei tre follicoli embrionali38. Ogni

36 È il caso degli Integrated Design Center che portano nell'industria aerospaziale gli Integrated Concurrent Engineering: cfr. per es. (Ogawa e Rhodes 2009).

37 Cfr. per es. (Tedeschi 2016).

altro caso, in base alla misura di suoi parametri – cioè alla sua vicinanza (somi- glianza) ai tre somatotipi puri – può così essere collocato dalle base delle sue tre caratteristiche (endomorfiche, mesomorfiche e ectomorfiche) in una mappa ana- loga a quelle usate nelle classificazioni tricromatiche del colore (vedi fig. 1. A) dove il “grigio acromatico” equivale, nel sistema di Sheldon, al somatotipo 4.4.4.

Figura 1. A) Sistema di mappatura tricromatica del colore. B) Sistema morfo-antro- pometrico di Sheldon.

Questo modello di Sheldon è solo descrittivo (con pretese esplicative), ma ci spiega come dovrebbe essere costituita una modellazione parametrica sensata; ce lo spiega assai meglio di quanto faccia oggi la crescente letteratura sulla progettazione parametrica che insegue un culto delirante per l’ipertrofia del modello digitale, dimenticando il senso di ciò che dovrebbe modellizzare e il costo della modellazione.

Non c’è software di CAD che non si pubblicizzi presso i professionisti ingenui come strumento totale (ingegneristico) di progetto, come unico protocollo che sussume in un solo workflow tutto quello che si faceva altrimenti, dallo schizzo al compito, all’esecutivo. D’altronde il progresso prestazionale degli strumenti algoritmici di progettazione cresce esponenzialmente con le tecnologie digitali, senza doversi adeguare a fatti fenomenici, come invece devono fare le bio- morfologie parametriche. Capita così al progettista ingenuo che la smania di trasporre ogni aspetto del progetto – compresa la sua euristica – nel workflow

somatica imputandole alla diversa evidenza i) dell'apparato digestivo e respiratorio – sviluppo embrionale dell'endoderma –, ii) dell'apparato muscolo scheletrico e circola- torio – mesoderma – e iii) del sistema nervoso (l'ectoderma).

del solo modello digitale interoperabile e parametrico abbia esiti spesso irra- gionevoli (antieconomici), giacché appiattisce le diverse ratio progettuali in un solo protocollo, smarrendo quella gerarchia di valori tra i parametri che costi- tuiscono il modello (il paradigma) in costruzione. Ciò, evidentemente, non suc- cede nella tradizione morfologica biometrica dove i modelli parametrici sono obbligati a sperimentare l’adeguatezza delle loro geometrie morfologiche nello spiegare le forme effettivamente fenomeniche.

Dunque, a mio parere, l’irragionevolezza della smania ipertrofica del mo- dello digitale è nel confondere l’elaborato tecnico con un “elaborato euristico”, facendo del solo modello digitale parametrico il solo oggetto-immagine usabile per trovare le “soluzioni progettuali”. A me sembra, invece, che quella euristica sia tutt’altra ratio, più complessa dei protocolli che regolano la redazione dei modelli tecnici esecutivi, perché si misura con la natura immaginativa, valo- riale, perfettiva e proteiforme dei processi progettuali.