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L'antico termine “eidos” denotava una realtà oggettiva (e intersoggettiva) oggi dif- fratta in vari modi di pensare le immagini. È anzitutto – come abbiamo notato – riferita a una “immagine interiorizzata” [image] trattata da punti di vista opposti, a seconda che la si consideri un’esperienza individuale (A) o una competenza sociale (C). Riferendoci all'individuo, definiamo oggi l'idea come un'immagine di tipo “A”, una realtà neurobiologica che formuliamo variamente, a seconda dell'inquadra- mento teorico, con nozioni quali: contenuto motorio18, schema19, figura, tipo co-

gnitivo, modello semantico, frame rappresentazionale, engramma, rappresenta- zione interiore o – in mancanza di meglio – “modello mentale” o “cerebrale” ecc. Invece, se riferita a una competenza socializzata, trattiamo quest'immagine come una “categoria” (C) intesa come “forma del contenuto enciclopedico”, cioè una sorta di “modello di un oggetto possibile” (concreto o ideale) concretamente istan- ziato e attestato da occorrenze (prototipi o esemplari) e dalle sue descrizioni inten- sive (fasci di tratti distintivi).

È più o meno in questi termini – attraverso le nozioni di “Contenuto Molare” e “Contenuto Enciclopedico” – che la questione delle “idee” come immagini ci era consegnata da Umberto Eco (1997) in un libro importante, fortunato ma (strana- mente) non abbastanza, forse proprio per il fatto che ben poche delle idee che oggi

18 Cfr. Simondon 2008, pp. 29-62.

19 Intendiamo “schema” qui in senso kantiano, precisando (con Eco 1997, p. 65) che «lo

schema kantiano, più che a ciò che s'intende comunemente con “immagine mentale” (che evoca l'idea di una fotografia), è simile a un build wittgensteiniano, proposizione che ha la stessa forma del fatto che rappresenta, nello stesso senso in cui si parla di relazione “iconica” per una formula, o di modello in senso tecnico-scientifico».

abbiamo sulla “ideazione” possono tradursi pacificamente tra di loro. Tuttavia, cre- diamo che si debba ripartire dalle pagine assai distanti di Eco e di Simondon, scom- mettendo che proprio attraverso un approccio semiotico si possano superare le di- vergenze teoriche sulle immagini con una convergenza pratica sull’ideazione.

Riletto attraverso l’enciclopedismo simondoniano, il modello che Eco offriva di una “semantica a Enciclopedia” sembra il più adeguato a trattare la comune espe- rienza del considerare gli artefatti tecnici come “idee concretizzate” e a descrivere la “ideazione” come tecnica che tratta (elabora, coltiva, trasforma...) le “idee”. L’En- ciclopedia – detto con bonario sarcasmo – secolarizza l’antico “mondo delle idee” attraverso un “testualismo debole”, immaginandolo nella forma rizomatica di rete di reti categoriali in continua ristrutturazione. È in questo dominio (C) che agisce l'insieme di credenze e di culture dell'ideazione che influisce tecnicamente sul modo di dar forma e valore agli artefatti. Proprio per questa ragione il nostro libro si occupa essenzialmente delle ragioni per le quali categorizziamo certi oggetti in un certo modo, con particolare riguardo alla percezione della loro forma (categorie eidetiche) e della loro funzione (affordance, e categorie prasseologiche), ovvero delle valenze che gli artefatti assumono nelle pratiche che li iscrivono.

Dunque al centro della nostra ipotesi poniamo un'equivalenza operativa tra “idea- zione” e “categorizzazione”, convinti che lo studio dei processi di categorizzazione (naturali e culturali) degli artefatti possa chiarire molti aspetti della loro ideazione progettuale, giacché crediamo che il potere del design (del progettare un oggetto) risieda principalmente nell’indurne o inibirne categorizzazioni potenziali, cioè nel poter contrattare il modo in cui determinati soggetti potrebbero appropriarsi (iscri- vere le loro identità in) degli oggetti proposti.

Il nostro scopo si limita a comprendere come le categorie eidetiche e prasseologi- che nel verosimile destino degli oggetti progettati (e immessi in certe pratiche d'uso); ma per far questo dobbiamo aver presente come quelle diverse realtà della “idea- zione” che abbiamo notato con A, B e C funzionino tutte come immagini. Di con- seguenza l'avvertenza fondamentale nella lettura di queste pagine è che per “imma- gine” qui non intendiamo solo fenomeni visivi e soltanto “rappresentazioni”, cioè solo fatti mimetici, finzionali e oculari. Con “immagine” (in generale) intendiamo una realtà trans-mediale, poli-sensoriale e diversamente intelligibile che sta dentro e fuori le nostre carni in almeno due sensi.

1°) Da un lato ci riferiamo a immagini [pictures] esteriorizzate in un medium con- creto, cioè in artefatti talora deliberatamente e simbolicamente usati (anche) come rappresentazioni o riproduzioni di qualcos'altro.

2°) Dall'altro lato non ci riferiamo più a “immagini” intese come artefatti mimetici o finzionali e in formato soltanto visivo. Ci riferiamo a immagini [images] interioriz- zate che – in mancanza di meglio – si dicono “mentali”, ma che – evitando ogni mentalismo e psicologismo – qui consideriamo semplicemente come quelle imma- gini il cui medium siamo noi stessi – i nostri stessi corpi – in quanto soggetti antro- pologici culturali, attraverso le strutture della nostra facoltà percettiva, mnemonico- semantica, categoriale e (appunto) immaginativa.

Questo secondo modo di essere delle immagini sarà inteso in questo libro da un punto di vista antropologico e semiotico, precisamente:

I) da un punto di vista antropologico20 le intenderemo come immagini cultural-

mente condivise, socialmente comunicate – scambiate attraverso le loro incarna- zioni in oggetti – in quanto registrate e istituzionalizzate in una qualche memoria e competenza comune21;

II) da un contiguo punto di vista semiotico intenderemo queste “immagini interio- rizzate” come “forme del contenuto figurale”22 – analizzabile ai livelli “plastico” e

“iconico” – emergenti in sistemi e processi di significazione che riguardano differenti pratiche e “sostanze espressive”23.

Così facendo mettiamo tra parentesi le posizioni nel dibattito psicologico e filoso- fico novecentesco sul riconoscimento e la categorizzazione percettiva degli oggetti nell'esperienza fenomenica, sulla “memoria eidetica” e sul formato (iconico vs. pro- posizionale) delle cosiddette “immagini mentali” … Sospendiamo la questione on- tologica dell'immagine (“cos'è l'immagine”) e ogni interesse mentalistico e psicolo- gistico. Insomma, così facendo possiamo finalmente affrontare il tema della “idea- zione” non occupandoci “di cosa sono le idee” ma del “cosa fanno”. In quanto “idea” l'immagine non ci interessa come fatto privato, ma solo come competenza collettiva, materiale, condivisa e trattata nelle pratiche d'ideazione e comunica- zione. La tratteremo dunque come una “sostanza del contenuto” (figurale) ancor prima che “forma e materia espressiva” (sostanza dell'espressione).

Rileggendo la teoria simondoniana dell'immaginazione nel novero di una semio- tica delle immagini speriamo di descrivere l'ideazione degli artefatti come una con- creta pratica di trasduzione d'immagini: una particolare lavorazione culturale che passa per media diversi. Ma non è facile chiarirci brevemente, all'inizio del libro, di che trattiamo trattando di “immagini” intese come “forme (condivise) del conte- nuto” e in vista di pratiche tecniche e artistiche molto diverse tra loro. Spero che, esponendo ora gli scopi pratici della disciplina del “disegno” nelle cui tradizioni s'iscrive questo libro, l'oggetto del nostro discorso si presenti con maggior evidenza. Mettendo tra parentesi le teorie che trattano le nozioni di “idea” e di “immagine” come questioni private e mentali, possiamo finalmente riconoscere come i concreti artefatti che ci circondano giochino il ruolo di testi e testimoni materiali dell'istanza della loro ideazione. Necessariamente ideati da qualcuno (intenzionalmente) per

20 Il riferimento principale è all'antropologia delle immagini di Hans Belting (trad. it. 2011). 21 Si noti che tale “competenza” ha un modo di esistenza (virtuale), cioè del tutto analogo

alla nozione di Langue in De Saussure.

22 Trattiamo la nozione di “figurale” in § 4.3.5.

23 La teoria semiotica greimassiana (spec. Greimas 1984) non è vincolata a una tipologia

delle sostanze espressive. Lo ribadisce, per es., in termini chiari Omar Calabrese affermando «che una cosa è il piano del contenuto, che è sempre lo stesso anche se segmentato in ma- niere diverse secondo le diverse culture [...] e altra è il contenuto manifestato sul piano dell'e- spressione. Non si tratta, infatti, di continuare con l'esercizio del rinvenimento di una “tipo- logia dei segni”, quanto piuttosto di proporre quello di un'analisi degli esiti sul piano dell'e- spressione delle grandi procedure di costruzione del senso» (Calabrese 1999, p. 9).

qualche scopo, essi non valgono solo come vestigia di fatti individuali, psicologici e storici. Se compresi coralmente, gli artefatti (tecnici o estetici) testimoniano (presi come testi) la loro ideazione (competenza che li ha ideati), ovvero il cumularsi – evolvendosi nei tempi antropologici – dei saperi tecnici che li hanno prodotti. Dun- que, da questo punto vista – quello dell'antropologia delle tecniche –, l'ideazione è un'istanza archeologica, un fascio di saperi tramandati (come cultura materiale) at- traverso i loro prodotti e svariate forme di comunicazione d'esperienze, d'insegna- menti, di esempi, di teorie e precettistiche tecniche e artistiche.