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X. Un libro sui generis, questo

2. Dizionarietto di una teoria tascabile

2.4 Permutazione e commutazione

Alle tredici e trentuno K. ordina un'insalata e una zuppa alla signora Maria Ermeneutica che forse – considerando l'ordine e le specifiche delle portate ri- chieste dal cliente – lo riconosce come “un francese” più che “un salutista”. È pur possibile che qualche considerazione salutista – visti i “processi” digestivi e i “sistemi” di economia nutrizionale – sconsigli l'abbinamento de Il crudo e il

cotto in quel pezzo di regno vegetale nel piatto di K. Ma tanto calcolo chimico

non passa per le attuali scelte di K. Per quanto egli non ami (consideri un “eso- tismo”) la cuisine d'oltralpe, è la sua cultura (francofona) natia che gli consiglia di cominciare il pranzo con una “entrée” di verdure crude (e, magari, frutta!) che, invece, Maria Ermeneutica (per sé) classifica al più come “contorno” a supporto di carni.

I miti pervadono i riti e i siti; quantomeno nel senso che ognuno e in ogni dove, quotidianamente, ritrova (reinventa rammemorando) le proprie tradi- zioni e origini. In effetti il pesante accento fiorentino che K. acquisì molto pre- sto non gli impedisce di pensare ancora in francese e di conformare le sue frasi, i suoi ragionamenti e suoi pranzi in “sintagmi” che somigliano (analogica- mente) più a quelli della lingua dantesca e provenzale antica che a quelli dell'I- taliano corrente. Si potrebbe proprio dire che K. “parla come mangia” e pro- getta come parla e mangia.

Con ciò non si vuol dire che l'asse delle combinazioni alimentari in una data cultura abbia forma corrispondente ai sintagmi verbali di una lingua naturale,86

86 Il cosiddetto “'imperialismo linguistico” ha causato errori di larghissimo seguito nel

ma s'intende dire che in ogni sistema semiotico – sia esso un pranzo, un qua- dro, una sonata per flauto solo... – la solidarietà tra espressione e contenuto è saggiata con ipotesi di operazioni sintagmatiche e paradigmatiche.

In questo caso nemmeno K. è cosciente dell'ordine in cui ha intuito le sue scelte; ma certamente si è prefigurato – ha valutato “a ragion veduta” – che cosa cambierebbe per lui sul piano del contenuto mutando l'espressione del suo pranzo; ha dunque messo alla prova le sue “categorie”87 del gusto, della

nutrizione e del portafoglio, immaginando l'ordine e le possibili alternative di consumo. A posteriori possiamo dire che nella sua scelta, per dar più senso al pranzo, K. ha sia scambiato (permutato) l'ordine delle portate, sia scelto (com- mutando) tra le alternative correlative.

Sperimentando una “permutazione” si scambiano due elementi in praesen-

tia, invece, attuando una “commutazione” si cambia un elemento in praesentia

con uno in absentia entro lo stesso paradigma. Lo scambio tra elementi dello stesso paradigma – nei termini di Hjelmslev – si dice “prova di commutazione” e consente di discernere quali elementi sono “varianti” (alternative semantica- mente inessenziali) e, all’opposto, quali elementi sono vere “variabili” che cambiano la significazione. Se lo scambio di due termini correlativi su uno dei due piani (dell'espressione o del contenuto) induce una variazione sull'altro, diciamo che si tratta di una “mutazione”88 e il termine in oggetto si dice “inva-

riante del sistema”. Invece, se lo scambio di due termini correlativi lascia indif-

ferenti i due piani, si tratta di una “sostituzione” e il termine sostitutivo si dice semplicemente una “variante” (un’alternativa equivalente) del termine che ha sostituto (nel sistema).

Il reciproco presupporsi di un’espressione e di un contenuto fa sì che al mu- tare dell’espressione ne muti il contenuto; al mutare di parti dell’espressione mutino parti del contenuto di quell’espressione. La prova commutativa è dun- que un criterio empirico fondamentale che – solo presupponendo un sistema – fornisce la procedura per riconoscere le unità discrete dell’espressione corri- spondenti a unità discrete del contenuto; per discriminare “che cosa” è inva- riante a un certo livello di pertinenza e “che cosa”, invece, può variare senza comportare significative mutazioni del sistema.

Esemplificando il “paradigma” con “l'ordine architettonico” al quale si con- forma una colonna dorica, De Saussure non fa una vera e propria “prova com- mutativa” perché lo considera solo in quanto “sistema dell'espressione” (signi-

ficante), a prescindere dai diversi significati che l'ordine architettonico può as-

sumere in quanto “figurazione di una struttura”. L'ordine architettonico è un “canone” che può essere dato i) come regola a priori in un trattato, oppure ii)

nelle affabulazioni (in falsetto) di molti Farinelli di turno.

87 Per categoria s'intende formalmente un “paradigma” che ha correlazione rispetto a

uno o più altri paradigmi entro lo stesso rango.

88 Anche nel significato di “mutazione genetica” s'intende una modifica ereditabile e

ricavato a posteriori, descrittivamente, come tipologia89 risultante da una vasta

comparazione di exempla, per via statistica. È riconoscibile – i) normativamente o ii) descrittivamente – come un certo “sistema dell'espressione”.

Altra cosa è chiedersi che cosa cambia dell'effetto figurativo (pregnanza emessa da una salienza) di un “ordine dorico” nella commutazione delle sue parti correlative a quelle di altri ordini. Per esempio, alcune “varianti” intro- dotte da Raffaello e da Palladio (tra elementi di basamento e trabeazione di ordini diversi) non fanno che arricchire il paradigma canonico variandolo come – secondo Palladio – «anco gli Antichi variarono; né però si partirono mai da alcune regole universali e necessarie dell’Arte». Invece le alterazioni manieriste e barocche portano a una drastica “mutazione” di quei canoni grammaticali, soprattutto attraverso le commutazioni di tratti eidetici.

2.4.1 Prova commutativa e mutazioni trasfiguranti

Per esempio, quando Guarini introduce una corona di spine alla “fronte” dei “capitelli” nel Sacello torinese della Sindone (Figura 13 A), quei “piccoli-capi” (teste di colonne) divengono – in quell'intera situazione – immagini che rin- viano al “capo di Cristo” crocefisso. Si tratta di una commutazione del tutto analoga a quella che Guarini attua (Figura 13 B) dando “seni” a cartiglio e “fu- sti” panciuti con ombelichi alle vicine erme in attico dei portali d'ingresso alle scale, nonché nelle fogge plastiche degli scalini e dei balaustri di quelle scale d'accesso ai vestiboli della Sindone. Qui si tratta in generale di due ordini di scambi di forma sul piano dell’espressione: 1°) tra tratti geometrici e tratti figu- rativi, 2°) tra tratti zoomorfi e umani e tratti fitomorfi e tessili; tali commutazioni inducono mutazioni di senso, mettendo alla prova l’intero inventario del “si- stema” sul piano del contenuto. Si badi che Guarini non inventa nulla dello zoomorfismo e fitomorfismo tradizionalmente presenti nelle forme figurative dell'ornato architettonico di ogni tempo. Egli ridisegna localmente (inventaria) il sistema, cioè il luogo di puri rapporti analogici (associativi) tra categorie del contenuto.

Le cose non cambiano passando dal sistema degli ordini architettonici a quello de L'architettura della città. È infatti una pura prova commutativa quella che proponeva Aldo Rossi affidando l'evidenza della sua “teoria della città ana- loga” alla correlazione tra due celebri tele di Canaletto: il Capriccio con edifici

palladiani (1756-59, Galleria Nazionale di Parma, Figura 14 B) topografica-

mente omologa alla Veduta di Venezia con il ponte di Rialto e il palazzo dei

Camerlenghi da nord (Figura 14 A).

89 L'ordine come “tipo” è, in questo caso, una “classe di classi statistiche” ricavata per

comparazione, valutando le variabili di misura e quelle di forma delle parti correlative nel corpus di exempla considerato (es. § 1.2.3). La forma di una parte è una classe di frequenza.

Figura 13. Guarino Guarini, Cappella della Santa Sindone, Duomo di Torino, (1667- 1680): (A) capitelli delle lesene corinzie con inserto della “corona di spine” e “fiore della passione”; (B) erme delle sopraluci dei due portali d’ingresso.

Figura 14. Giovanni Antonio Canal, (A) Veduta di Venezia con il ponte di Rialto e il

palazzo dei Camerlenghi visto da nord (1725), Pinacoteca Agnelli; (B) Capriccio con edifici palladiani (1756-59), Galleria Nazionale di Parma.

Il Capriccio palladiano, correlato alla “veduta” veneziana, è una “visione” della Venezia (storicamente) impossibile che due secoli prima l'architetto ha forse fatto sognare a Daniele Barbaro e ai suoi pochi committenti di orienta- mento “romanista”. Puntuale sostituzione di edifici ancora oggi in praesentia con edifici in absentia – diversamente realizzati a Vicenza o solo nelle xilografie del trattato palladiano del 1571 –, quella “visione” – richiesta da un pubblico “neopalladianista” (Corboz 1985) – misura una drastica “mutazione” del senso dello spazio urbano; non del “senso” presunto “essenziale” (connaturato) della città, ma del “modo di darvi senso”.

I Capricci di Canaletto sono esempi di un'operazione che è negli effetti non lontana dalle pratiche del collage e del fotomontaggio nelle avanguardie del primo Novecento. È una tecnica che lo stesso Aldo Rossi ha sperimentato con prelievi e ricomposizioni in nuove costellazioni di immagini provenienti da am- biti che diremmo semanticamente lontani. D'altronde la tecnica dello “spae- samento semantico” giunge a Rossi direttamente da una concezione teatrale dell'architettura e della città, assai vicina al modo brechtiano d'intendere l'o- pera d'arte e il suo doversi denunciare come “rappresentazione”.

2.4.2 Montaggi

È dunque ovvio che l'architetto del Teatro del Mondo e della Città analoga trovasse nel Capriccio palladiano di Canaletto un esempio di “montaggio” e di operazione trans-mediale tra pittura e architettura. Lo scopo di questo “mon- taggio” non è quello di provocare uno shock critico con immagini incongruenti, ma quello di portare in luce un “contenuto latente”. Per Rossi il ri-montaggio – come per Fellini – ha il potere di rivelare rapporti associativi tra le immagini che erano solo latenti nei loro contesti originari. Diremmo che costituisce tec- nicamente una sorta di Traumdeutung, come quelle (sedute psicanalitiche) ch'egli realizzava coi suoi disegni di natura morta. Tuttavia, nell'operazione di Canaletto, Aldo Rossi vede una “prova” più sistematica delle sue, un dispositivo sperimentale per far provare cosa ha senso e come cambia il significare di un tutto commutandone le parti. Coll'esempio del Capriccio palladiano intende

«mostrare come un'operazione logico-formale possa tradursi in un modo di progettazione; quindi l'ipotesi di una teoria della progettazione architettonica dove gli elementi sono prefissati, formalmente definiti, ma dove il significato che scaturisce al termine dell'operazione è il senso autentico, imprevisto, originale della ricerca. Esso è un progetto» (Rossi 1975, p. 451).

Definendo in questi termini la “prova commutativa”, Rossi la assume alla luce di una fondamentale tesi semiotica: il senso «è un progetto». Detto altrimenti, questo «senso autentico» non ha un'esistenza trascendente in presunte proprietà essenziali dell'architettura e della città; al contrario, è immanente, retrospettivo e prospettivo al contempo, “comprovabile” solo attraverso l'analisi progettuale o l'esercizio di una storiografia materialista (nel senso del Benjamin dei «passages» di Parigi). Per questa ragione quella “scienza dei fatti urbani” che Rossi comin- ciava a delineare negli anni Sessanta decanterà i propri dispositivi di senso solo attraverso una Autobiografia scientifica (Rossi 1990). Per comprendere un com- plesso oggetto sociale, politico e culturale come la città all'architetto non resta che scandagliare le genealogie della propria cultura e i suoi (vissuti) dispositivi di ideazione, cioè di produzione e trasformazione di immagini.

secondo Novecento – la prova commutativa è uno dei tanti procedimenti per saggiare come sono fatte le immagini. Nasce come consapevolezza sistematica di quegli esprimenti che sono esperienza comunissima nell’apprendimento tra- dizionale della pratica, della storia e della teoria delle arti visive e dell’architet- tura; vale a dire l’esperimento di considerare un'immagine manifestata cam- biandone forme o colori al fine di valutare il peso plastico di una campitura cromatica o di una tessitura superficiale, oppure l’efficacia di un tratto nel ser- vire da determinante iconico per il riconoscimento di un oggetto che s'ipotizza rappresentato. Questo sopprimere, spostare o sostituire una parte dell'enun- ciato visivo di un’immagine manifestata per poterne valutare il ruolo nell’effetto di senso complessivo ha profonda affinità coi dispositivi di combinazione (di entità in praesentia) e di selezione (tra entità in absentia) operanti alle radici dell'attività linguistica.

Il nesso tra le due dimensioni (sintagmatica e associativa) dell'atto linguistico e le due dimensioni che il Freud della Traumdeutung ipotizzava operanti nella genesi dell'immagine onirica90 – lo spostamento e la condensazione – fu segna-

lato da Jakobson nel suo celeberrimo saggio sull'afasia91 e sviluppato poi in

alcuni filoni di quella che (troppo genericamente) potremmo chiamare “semio- tica dell'immagine” e che solo in minima parte potremo indicare nei paragrafi successivi, cercando di definire una “ragion veduta” della teoria dell'ideazione pratica.

Nei termini fin qui esemplificati la procedura della “prova commutativa” ci consente perlomeno di distinguere quattro forme92 estreme del tradizionale

lavoro d'ideazione nelle arti, forme che incontreremo nei prossimi capitoli (§ 4.4), dopo aver posto qualche altro termine al nostro dizionario utile a preser- varci da precoci schematismi.

Prova commutativa tra elementi congiunti tra elementi disgiunti

tra elementi in praesentia IBRIDI COMPOSIZIONI

tra elementi

in absentia TROPI RETORICI ISOTOPIE PROIETTATE

90 Qui si ritiene il fatto che Freud tratta l'immagine onirica come un enunciato retorico

– nel senso di (Groupe µ 1970), (Groupe µ 1992) – del quale l'analisi studia i rapporti tra “grado percepito” e “grado concepito”, tra un contenuto manifesto e uno latente.

91 Due aspetti fondamentali del linguaggio e due tipi di afasia (già in R. Jakobson, M.

Halle, Fundamentals of Language, 1956), trad. it. in (Jakobson 1966, pp. 22-45).

92 Ci riferiamo – rielaborandola – alla fondamentale sistemazione del Gruppo µ (1992)

delle quattro relazioni retoriche possibili tra “grado percepito” e “grado concepito” di uno stesso enunciato retorico, distinguendo quattro campi di generazione delle possibili figure a seconda dei modi di presenza nell’enunciato dei tratti determinanti dei “type” in gioco. Svolgeremo il tema nel § 4.4.

2.5 Sincopi del segno (allegoria, emblema, impresa, marchio, dia-