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IL DISTRETTO DAL LOCALE AL GLOBALE NEL CONCETTO DI MERCATO E D

CAPITOLO III IL DISTRETTO DEL CUOIO E DELLA PELLE DI SANTA CROCE SULL’ARNO

3.5 IL DISTRETTO DAL LOCALE AL GLOBALE NEL CONCETTO DI MERCATO E D

È ormai noto e difficilmente controvertibile che i distretti industriali italiani siano stati i principali motori dell’apertura internazionale dell’Italia e i protagonisti nell’affermazione dell’economia nazionale nel commercio mondiale. Nella maggior parte dei distretti però, i canali di collegamento con l’ambiente esterno sono stati tendenzialmente limitati all’acquisizione delle materie prime e al collocamento dell’output (Corò, Grandinetti, 1999, p.899).

Osservando il settore italiano della conceria delle calzature e delle pelletterie degli anni ‘80 e ‘90, è stato possibile evidenziare come il problema delle economie di scala pur essendo importante non assumeva comunque un’importanza strategica cruciale. Nonostante le imprese fossero inferiori alle dimensioni ottime minime, queste dimensioni apparivano a portata di mano di un elevato numero di imprese del settore. Molti studi hanno dimostrato che anche se la dimensione degli impianti fosse modesta,

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una maggiore importanza doveva essere attribuita al modo in cui la produzione era organizzata. La disponibilità di un sistema competitivo completo, specializzato e coordinato di imprese nel settore costituiva una grande risorsa strategica e ha garantito nel tempo il successo e l’efficienza del distretto conciario. Il grande successo è stato frutto sia di questo enorme sub-sistema che dell’azione delle imprese leader, avendo esse giocato un enorme ruolo sia reale che di immagine. In quegli anni la dimensione del singolo impianto è stata posta in secondo piano per sottolineare l’importanza del “sistema produttivo integrato”, lasciando le dimensioni di tutte le imprese al minimo.

La storia di molti distretti ha messo in luce il paradosso di una straordinaria apertura commerciale sui mercati internazionali ottenuta mediante una significativa chiusura locale delle relazioni produttive. Oggi, tuttavia, viviamo un fenomeno nuovo, quello in cui sempre più i distretti entrano in relazione con soggetti, risorse e competenze esterne, trasformandosi da sistemi di interazione locali relativamente chiusi in qualcosa di diverso.

Questa apertura internazionale dei distretti può venire veicolata da diverse categorie di agenti dell’internazionalizzazione170:

1. Imprese distrettuali di maggiore dimensione che assumono la configurazione di vere e proprie global corporation, assumendo il ruolo di leader nel sistema produttivo locale.

2. Gruppi multinazionali che investono nei distretti acquistando pacchetti di controllo di aziende esistenti.

3. Piccole e medie imprese che operano nel mercato finale e decidono di intraprendere strategie di nicchia nei mercati internazionali, oppure assumono una configurazione sempre più terziaria, diventando il riferimento commerciale di altri produttori del distretto.

4. Piccole e medie imprese che operano in settori di supporto, come la produzione di macchine e di altri beni strumentali, di beni complementari e di servizi di varia natura.

170 CORO’ G., GRANDINETTI R., Strategie di delocalizzazione e processi evolutivi nei distretti

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5. Strutture di servizi che svolgono la funzione di interfaccia cognitiva tra il contesto locale e l’economia globale in campi quali la qualità del prodotto e del sistema aziendale, il trasferimento tecnologico, il marketing collettivo.

L’analisi dei casi aziendali relativi ad imprese-leader dei principali distretti industriali italiani porta ad evidenziare come queste imprese accrescono la dimensione ed estendono l’ampiezza dell’ambito competitivo, sotto il profilo dei prodotti e dei mercati geografici, spesso acquisendo altre aziende del distretto. In termini di impatto sul distretto, il fatturato e il valore aggiunto si concentrano in presenza di integrazioni verticali, attraverso l’acquisizione di aziende subfornitrici o investimenti interni in fasi del ciclo produttivo precedentemente decentrate.

Le imprese-leader introducono innovazioni complesse rispetto alle tipiche innovazioni puntuali di processo e prodotto. Solitamente sono innovazioni di natura sistematica, che modificano in profondità la formula imprenditoriale e il modello organizzativo, come per esempio la progettazione e l’implementazione di un sistema di qualità totale. Inoltre, sono innovazioni che richiedono un elevato livello di conoscenze formalizzate (trasferibili e quindi acquisibili dall’impresa all’esterno) ed elevato tempo di implementazione, con le relative ricerche, prove sulla validità di un progetto, prototipi ed altri elementi. In questa ottica i processi di innovazione vengono dapprima introdotti o adottati da alcune imprese, la cui funzione è quella di esplorare le nuove frontiere e solo dopo guidare la riorganizzazione del sistema locale.

Anche se in passato i distretti hanno potuto funzionare secondo una logica prevalentemente chiusa, ossia come sistemi comunicanti con l’esterno solo nei punti terminali della catena del valore, oggi, dati i cambiamenti indotti dalla globalizzazione, questo non è più possibile.

Per effetto della globalizzazione economica, ossia della creazione di un mercato globale, senza più barriere protezionistiche e fuori dal controllo dei singoli stati nazionali, la concorrenza tra imprese si è accentuata molto. Per rimanere competitive sul mercato europeo o internazionale le aziende investono molto nella crescita dimensionale, per sfruttare appieno i vantaggi della grande dimensione come le economie di scala, le maggiori capacità di investimento nell’innovazione e tanti altri.

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L’apertura dei mercati ha dato la possibilità alle imprese di trasferire capitali all’estero, ha creato nuove opportunità strategiche, ha favorito una crescente espansione dell’economia di mercato su scala mondiale. Dato che le piccole e medie imprese si sono trovate ad operare in mercati sempre più ampi e dinamici, sono state necessariamente costrette ad incrementare le proprie risorse e capacità competitive, a difendere i propri mercati e a cercare le migliori fonti di approvvigionamento di materie prime, servizi e lavoro.

La crescente pressione competitiva dell’economia globale ha spinto tutte le aziende a migliorare continuamente le proprie prestazioni per prosperare ed ingrandirsi; nello stesso modo ha spinto anche le imprese distrettuali a cambiare le proprie prospettive e strategie rispetto al passato per mantenere la propria stabilità aziendale. Ecco perche oggi si può notare il cambiamento subito dal “locale”, dove le dimensioni devono necessariamente crescere in risposta all’espansione del mercato e dove il concetto di “piccolo” rispetto ad un’impresa non è lo stesso degli anni passati.

La pressione competitiva opera su tutto il distretto e innesca diversi percorsi evolutivi, che si traducono in ampliamento di risposte alle sfide competitive e in varietà delle formule imprenditoriali distrettuali. In questo modo il potenziale innovativo non è detenuto da una ristretta élite di imprese, come un’impresa leader-innovatrice, ma viene distribuito su un ampio insieme di operatori della rete produttiva locale, sia in senso orizzontale che verticale. L’esperienza della globalizzazione, nonostante abbia spinto quasi tutte le imprese ad aprirsi alle nuove forme di organizzazione estesa della produzione e a creare una pluralità di livelli di relazione con l’esterno, ha mantenuto comunque le relazioni di rete locali.

In questo modo la rete distrettuale, pur diventando più ampia dal punto di vista del mercato, mantiene la propria identità e riproduce, seppur in parte, i meccanismi di funzionamento del passato. Anche se le grandi imprese si stanno attrezzando per far fronte alle problematiche del nuovo contesto, i distretti sono ancora in ritardo, e continuano a basarsi su una catena di valore molto interno al distretto stesso. Si potrebbe pensare che tutte le imprese distrettuali vengono indebolite dalla presente situazione e quindi dal sempre più crescente vantaggio detenuto dalle multinazionali, ciò nonostante è possibile ovviare a questo inconveniente mediante una strategia mirante all’internalizzazione di tutte le imprese del distretto, dove le imprese maggiori

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dovrebbero aiutare anche le imprese minori ad aprirsi verso i paesi terzi e ad accedere alle reti globali.

Nonostante il distretto si spinga verso una dimensione globale di attività e relazioni, le relazioni di rete locali permangono per la consapevolezza che tra le imprese esista una comunanza di identità, un riconoscimento reciproco che mantiene questi rapporti molto differenti rispetto a quelli che si instaurano con l’esterno. All’interno del distretto le relazioni interattive con partner locali strategici non scompaiono, anche se ogni partner è molto più selezionato rispetto al passato e maggiormente coinvolto nei progetti innovativi.

Dall’analisi condotta sopra, si può con certezza affermare che il “locale” è cambiato molto nel tempo. Ma fino a che punto questa affermazione è vera? Senza dubbio, non si può negare che nel tempo è radicalmente cambiato il concetto di “mercato locale”, non più inteso come un mercato delineato dai confini locali e nazionali, perché ad oggi il mercato di riferimento per il distretto è il mercato libero europeo, se non quello internazionale, sia per l’acquisto delle materie prime che per l’offerta dei prodotti.

Anche se le distanze e i mercati si espandono e il concetto di “locale” per il mercato ha una connotazione più ampia, questo per i distretti è meno vero nel concetto di innovazione. Tendenzialmente, nel settore conciario l’innovazione si produce sul campo, come nel caso della produzione dei nuovi impianti per la lavorazione della pelle. Per realizzare un prodotto innovativo e così specifico per ogni distretto, difficilmente si trova convenienza ad andare all’esterno, o comunque molto lontano dai confini del sistema distrettuale di riferimento.

Storicamente i distretti industriali hanno agito come sistemi di innovazione. La presenza di un bacino di conoscenze specializzate, l’accentuata divisione del lavoro, gli alti livelli di concorrenza tra imprese171, la condivisione di linguaggi, valori, regole hanno incentivato l’innovazione stimolando nuovi processi di apprendimento e configurando i distretti come sistemi caratterizzati “…da un’alta densità di luoghi in cui

171 CORÒ G., MICELLI S., I distretti industriali come sistemi locali dell’innovazione: imprese leader e

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si producono conoscenze, rappresentati dai singoli contesti aziendali, e da un’altrettanto elevata densità di canali interni di trasferimento della conoscenza”172.

La capacità di valorizzare la presenza di conoscenze di tipo “pratico” che riguardano prodotti, materiali e processi produttivi distribuiti tra i diversi attori del distretto, ha alimentato i processi che producono innovazione senza la necessità di riprodurre i meccanismi di creazione dell’innovazione tipici delle grandi imprese. Infatti la generazione di conoscenze pratiche si basa su processi del tipo “learning by doing” e “learning by using” (Marini, Toschi, 2011, p.251) più che sugli investimenti privati in grandi centri di ricerca e sviluppo.

Le verifiche empiriche promuovono tesi contrastanti per quanto riguarda l’utilità di un ambito locale o di quello globale per il raggiungimento del successo nello sviluppo dell’innovazione nei sistemi distrettuali. Molti autori sostengono che il ruolo della grande impresa sia indispensabile per il successo delle attività di innovazione, date le sue capacità di attivare dei percorsi di assorbimento di conoscenze codificate e di introdurre innovazioni di prodotto. Senza dubbio il mercato odierno promuove una maggiore dimensione organizzativa delle aziende. Considerando questo aspetto, il modello tradizionale di organizzazione del processo innovativo dei sistemi locali di produzione non sembra più adeguato a garantire la competitività delle imprese distrettuali173, ed è per questo che in alcune particolari condizioni sono utili anche le forme di innovazione promosse dalle grandi imprese. Esse svolgono una funzione di azienda satellite o innovatrice per le piccole e medie imprese localizzate all’interno del sistema locale, e soprattutto favoriscono la diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche formalizzate oltre all’innovazione tecnologica sull’intero territorio.

Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che, nonostante il distretto non possa più operare come un sistema completamente chiuso, proprio per l’esigenza di dover reperire, molto spesso, le nuove conoscenze all’esterno, le fasi più tecniche di sviluppo dell’innovazione sono realizzate localmente. Le particolari relazioni tra attori distrettuali favoriscono uno stretto contatto tra imprenditori più piccoli, che hanno delle esigenze

172 CAMUFFO A., GRANDINETTI R., Distretti industriali in evoluzione: il ruolo dei knowledge

intensive business services, in “Quaderni di Management”, n. 16, 2005.

173 TOSCHI G., Innovazione, capacità di assorbimento e capacità relazionale all’interno dei distretti

industriali: una verifica empirica, XXXII CONFERENZA SOCIETA’ ITALIANA DI SCIENZE

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specifiche ed idee innovative, e imprese meccaniche capaci di tradurre queste idee (combinate con conoscenze reperite anche all’esterno) in nuove tecnologie e nuovi prodotti adeguati alle richieste dell’imprenditore. Questa capacità di creare prodotti perfettamente corrispondenti alle esigenze degli imprenditori deriva dal vantaggio di essere tutti posizionati all’interno di una realtà distrettuale, dove la comunicazione e la comprensione reciproca sono molto favorite e dove l’idea trova con più probabilità un terreno fertile per essere sviluppata.

3.6 L’INCIDENZA DELL’IMPRENDITORIALITÀ E MANAGERIALITÀ