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Due artisti tra Argentina e Italia

Nel documento Il fantastico nella letteratura argentina (pagine 134-140)

Toma´s Maldonado

Un ... argentino a Milano. I puntini si riferiscono alla domanda: chi e` Toma´s Maldonado? Non per un’unica risposta, ma per troppe risposte. Ecco gli interrogativi che si pone Silvana Annichiarico nella introduzione alla mostra che la Triennale di Milano gli ha dedicato da febbraio ad aprile di quest’anno: ‘‘Un artista? Uno scienziato? Un designer? Un filo- sofo? Un semiologo? Un intellettuale tecnico? Un docente? Un fondatore di scuole? Un teorico? Un viaggiatore? Un grand gourmand (della vita oltre che della cucina...)?1

Certamente Maldonado appartiene a piu` culture e almeno ai tre paesi dove e` vissuto, l’Argentina, la Germania e l’Italia. Ma forse si potrebbe meglio dire che Maldonado appartiene alla cultura della moder- nita`, cioe` a quell’insieme di pratiche e teorie che si sono sviluppate nei paesi occidentali dalla rivoluzio- ne industriale in poi.

Comincio con alcuni dati biografici.

Nasce a Buenos Aires nel 1922, dove dal 1939 al 1941 frequenta l’Academia Nacional de Bellas Ar- tes, con un vivo interesse per il movimento olande- se di De Stijl, il Costruttivismo russo, il Supremati- smo di Malevic e il Bauhaus. Gli anni quaranta, a causa delle persecuzioni e delle guerre, rappresen- tano la conoscenza diretta di alcuni esponenti delle avanguardie europee, emigrati nelle Americhe. ‘‘Per i giovani intellettuali, il contatto con questi uomini era una fonte inesauribile di stimoli di ogni genere’’.2

Nel 1946 scrive, per conto del gruppo Arte Con- creto Invencio´n, il Manifesto invencionista. E ‘‘inven- cionista’’ e` anche il fratello Edgar Bayley (assume il cognome di famiglia di origine irlandese), poeta, teorico, uomo di teatro e direttore di due riviste de- cisive per la letteratura argentina, ‘‘Poesia Buenos Aires’’ (1950-1960) e ‘‘Zona de la Poesia America- na’’ (1953-1954).

‘‘Nel 1948, afferma Maldonado, finisce la nostra splendid isolation, poiche´ si cominciava a viaggiare... Io vengo in Europa a quella data. In Italia trovo Max Huber, Bruno Munari, Piero Dorazio, Achille Perilli, Gianni Dova, Gillo Dorfles. A Zurigo, stabi- lisco contatti con i principali esponenti del concreti- smo svizzero: Max Bill, Richard P. Lohse, Camille Graeser e Verena Loewensberg. A Parigi, con Geor- ges Vantongerloo. Di ritorno a Buenos Aires, la mia attivita` artistica, e non solo la mia, comincia a risen- tire dell’influenza soprattutto dei concretisti svizzeri, di Vantongerloo e, per via indiretta, di Vordember- ge-Gildewart’’.3 A questi nuovi interessi e` connessa la direzione, dal 1951, di nueva visio´n, una rivista di arte, architettura, disegno industriale e grafica.

Il suo impegno sociale non si interrompe anche dopo l’allontanamento, nel 1948, dal partito comu- nista.

Il geometrismo delle sue prime opere si sviluppa in sintonia con il movimento d’Arte Concreta (‘con- creto’ contro ‘astratto’), e trova una conferma inter- nazionale con l’esposizione collettiva presso la Gal- leria Viau nel 1952, anno di un omaggio a Scho¨n- berg, di cui cura la comunicazione grafica.

Nel 1954 si trasferisce in Germania per insegnare alla Scuola Superiore di Design di Ulm, l’HFG ( Hochschule fu¨r Gestaltung), fondata da Max Bill, il quale si era proposto di continuare, con gli oppor- tuni aggiornamenti, la lezione del Bauhaus. Il suo impegno didattico rivolto al disegno industriale e al- la comunicazione visiva lo distolgono dalla pittura, che riprendera` nel 2000. Entrata in crisi la scuola di Ulm, continua il suo insegnamento all’Universita` di Princeton, USA, e infine, nel 1969 si trasferisce in Italia, dove, nei nuovi corsi al DAMS dell’Univer- sita` di Bologna, inizia la sua nuova riflessione sulla progettazione ambientale. Nel 1977 assume la dire- zione di ‘Casabella’, la rivista che poteva vantare i nomi di Persico, Pagano e Rogers. Nominato docen- te alla Facolta` di architettura del Politecnico di Mi-

1

Toma´ s Maldonado, Milano, Skira, 2009, p. 10.

2 La citaz. e` tratta da un’importante intervista, curata da Giacinto Di Pietrantonio, apparsa su ‘‘Flash Art’’ 151, nell’estate del

1989 e ripubblicata in Reale e Virtuale, Milano, Feltrinelli, 1992. Me ne serviro` anche in seguito.

lano nel 1984, nel ’92 inaugura un corso di laurea in disegno industriale.

Tralasciando i numerosi premi e onorificenze che lo hanno accompagnato nel suo ricco percorso, mi limito a ricordare i Dottorati Honoris Causa all’Uni- versita` di La Plata, di Cordoba e di Buenos Aires.

Provo ora ad accennare ad alcuni aspetti che mi pare emergano da un’attivita` cosı` intensa e cosı` va- ria. L’artista in quanto portatore di progetti innova- tivi non si limita ad un’attivita` ristretta ad un circolo di amici, colleghi e specialisti, per esempio al mondo dell’arte (gallerie, critici ecc.), ma deve incidere nelle abitudini sociali e, quando puo`, nelle scelte politi- che. La sua giovanile iscrizione al partito comunista non era stata casuale.

La ricerca artistica e` calata in un ambiente deter- minato, tiene conto di una pluralita` di discipline e di procedure. Ogni progetto segue un metodo, obbedi- sce a delle regole, raggiunge o fallisce il risultato pre- visto. E cio` che Maldonado intende per ‘‘razionalita` critica’’.4Nonostante la sua diffidenza verso ‘‘le teo- rie formulate dagli artisti’’ sulle proprie opere, la ri- flessione sul processo creativo diventa una compo- nente necessaria al processo stesso, e il processo, alla fine, coincide con il risultato, e` incorporato nel risul- tato, la forma finale. Di qui la consistente produzio- ne di testi, aggiornamenti ed estese bibliografie. Di qui l’ampiezza multidisciplinare, contro lo speciali- smo. Di qui la sua vocazione didattica, dove i corsi e le lezioni non sono soltanto la fiducia di trasmette- re ai giovani la propria esperienza (v. il dono alla Bi- blioteca del Progetto della Triennale di circa 1700 volumi), ma rappresentano la forma dialogica, socra- tica, nella quale i problemi si affrontano, si sviluppa- no, si sciolgono. L’interlocutore non interviene a co- se fatte, ma e` sempre parte del problema.

Un altro punto, la pratica pittorica. Sappiamo che si sviluppa dal 1945 al 1954, s’interrompe e ri- prende poi dopo il 2000, continuando sino ad oggi. Nonostante le differenze tra i due momenti, Mal- donado rimane fedele ad una pittura non rappresen- tativa. Secondo il giovanile Manifesto del ’46, quella rappresentativa e` un’arte illusionista, illusione di spazio, illusione d’espressione, illusione di realta`, il- lusione di movimento. La vecchia, ‘‘preistorica’’ arte rappresentativa adopera tecniche complesse e de- suete per riferirsi a qualcosa d’altro da se´, a qualcosa

di esterno, la realta` spazio-temporale. L’arte nuova e` quella concreta, tutta presente a se stessa, un insieme sinottico, un segno ‘iconico’, per dirla coi semiologi, che designa solo se stesso, autoreferenziale: si riferi- sce a cio` che e` lı`, davanti agli occhi.5Forme geome- triche, colori netti, niente sfumato e indeterminazio- ne; non strutture discorsive ma percettive, cosı` come noi intercettiamo nella vita quotidiana, e poi orga- nizziamo con gesti e osservazioni. Gia` nel ’49 aveva scritto: ‘‘L’artista del futuro, come noi lo immaginia- mo, dovra` raggiungere nuovi orizzonti di creazione, avvicinandosi all’universo della produzione indu- striale di oggetti di serie, degli oggetti d’uso quoti- diano e popolare che costituiscono, in ultima istan- za, la realta` piu` immediata dell’uomo moderno’’. In- somma, secondo il rapporto arte-vita, la pratica arti- stica incontra l’oggetto d’uso e si trasforma in dise- gno industriale. ‘‘Avevo voluto un’avanguardia che trasformasse l’intera realta` – ricorda Maldonado nel ’74 – ed ero costretto ad accontentarmi di un’a- vanguardia meramente artistica... E` cosı` che sono passato da una pratica ad un’altra, dalla produzione di immagini alla produzione di oggetti’’.6

Ma lo sviluppo non e` cosı` lineare. Maldonado ri- tiene, a posteriori – siamo nell’89 –, di aver fatto un ‘‘errore di valutazione’’: credere che ‘‘il disegno in- dustriale fosse sostitutivo dell’arte e il disegnatore industriale dell’artista. Confesso che nei miei primi anni in Germania, e` stato precisamente questo stes- so errore di valutazione che mi ha portato a credere che lo sbocco logico del tipo di arte da me praticato fosse il disegno industriale’’.7Un errore poi non cosı` grave se la nuova impresa didattica si dimostrava ‘‘la cosa piu` importante’’, mentre ‘‘il resto era seconda- rio’’. E nel ‘resto’ rientrava tranquillamente anche la pratica artistica, con la quale rimane comunque in contiguita`. Entrambi i settori infatti obbediscono ad un unico orientamento metodologico, quella ‘ra- zionalita` critica’ presente, in Maldonado, sin dagli inizi, tesa a ‘‘rendere comunicanti i diversi vasi del sapere [...] Una razionalita` sociale... che sara` anche necessariamente scientifica e tecnologica. E` l’unico modo, almeno l’unico plausibile, di superare le pato- logie della modernita` senza abbandonare il campo della modernita` stessa’’.

Se c’e` un orizzonte comune all’attivita` artistica e al disegno industriale, questo significa escludere

4

Toma´ s Maldonado, Avanguardia e razionalita`, Milano, Feltrinelli, 1974.

5 Il tema della rappresentazione e delle tecniche che la producono verra` ampiamente sviluppato nella prima parte di Reale e

virtuale, Milano, Feltrinelli, 1992.

6

Toma´ s Maldonado, Avanguardia e razionalita`, op. cit., p. XVII. La citaz. precedente e` riportata in Ibd., p. 16.

7 Intervista cit. Reale e Virtuale, op. cit., p. 153, 154, 155. L’argomento era anche stato affrontato ne Il futuro della modernita`,

quelle operazioni che non si inseriscono in questo orizzonte, l’orizzonte fondante della modernita` criti- ca, e solo in seguito introdurre le opportune distin- zioni.

Anche se l’inclusione o l’esclusione nella moder- nita` critica non e` (non puo` essere) un atteggiamento rigido, Maldonado esclude da questa modernita` ogni forma di postmodernismo e ‘‘di pensiero clau- dicante’’, ‘‘decostruzionista’’ o ‘‘debole’’, e ogni for- ma di estremismo solo apparentemente forte, tanto piu` violento quanto piu` metabolizzato dalla societa` tardo-capitalistica. La citazione che segue e` tratta da un testo, Tarda-cultura e tardo-capitalismo, del 1973, ed e` opportuno tener presente la data per ca- pire certe forzature del testo. Scrive Maldonado: ‘‘Le correnti dell’attivismo artistico (negli anni ’50 l’Action Painting, negli anni ’60 la Direct Art, la Bo- dy-Art e l’Erotic Action, ed anche, per un certo ver- so, la Land-Art) testimoniano, con brutale incisivita`, il grado di immiserimento intellettuale raggiunto dalla societa` borghese; prodotti (e sottoprodotti) della vecchia ideologia vitalistico-espressionista. Na- ta come classe che proclamava la vita, la borghesia ha finito per soffocarla. Ora tollera solo un’esaltazio- ne ‘‘artistica’’ della vita. Dove, per ‘‘vita’’, si intende esclusivamente l’espressione, il gesto, il comporta- mento, e soprattutto un’ostilita` viscerale nei con- fronti di qualsiasi tentativo di articolare razionalmen- te (sottolineatura mia) l’espressione, il gesto, il com- portamento’’.8

Ma questa condanna non e` ne´ totale ne´ definiti- va. In un precedente intervento del 1963, ‘‘Oggetti di disegno e oggetti d’arte’’, Maldonado prende in considerazione i neodadaisti che espongono in una mostra a New York del ’62. Usano ‘‘la vecchia tec- nica del ‘‘ready made’’ di Duchamp con due inten- zioni opposte, ‘‘un’intenzione satirica, rivolta contro i prodotti della nostra civilta`’’, oppure, al contrario, l’intenzione di fare, di questi stessi prodotti, un’apo- logia. I primi mettono a nudo ‘‘l’assurdita` e la volga- rita` dei prodotti di un certo tipo di disegno indu- striale’’, i secondi, gli artisti pop, ne fanno l’apologia, tentando ‘‘di recuperare culturalmente certi oggetti e simboli’’ che sono al quotidiano servizio della ma- nipolazione sociale. Se le preferenze di Maldonado vanno per i primi, la sua critica decisa e` rivolta con- tro un terzo tipo di oggetti d’uso trasformati dagli artisti, quegli oggetti re-inventati secondo un criterio prettamente ‘‘artistico’’: grandi figure come Picasso,

Ernst, M. Ray, Giacometti, Arp ecc. si cimentano in sedie di bronzo neobarocche, orologi neo-Arcimbol- do, armadi in forma di albero ecc. Ne´ oggetti d’arte ne´ oggetti di consumo: il vero industrial design e` un’altra cosa.9

Fatte queste precisazioni, il mondo dell’arte e il mondo degli oggetti d’uso appartengono, anche se parenti nel condominio della modernita`, a due cam- pi differenti. ‘‘Non credo, afferma Maldonado, che un oggetto d’uso, anche se esteticamente ben riusci- to, possa assumere la funzione culturale di un’opera d’arte. Non e` vero che il destino storico degli oggetti d’arte debba sboccare negli oggetti tecnici destinati all’uso, ed annullarsi in essi. [...] Tale supposizione si basa sull’idea, diffusa soprattutto negli anni venti, che la varieta` delle attivita` culturali umane ereditate dal passato debba essere sottoposta ad una drastica riduzione a poche forme fondamentali di attivita` culturale, capaci di sintetizzare i contenuti delle va- rie forme tradizionali... Il disegno industriale non sa- rebbe altro che un esempio di ‘‘synthe`se des arts’’. A mio parere invece, lo sviluppo futuro non sara` orien- tato alla riduzione, al progressivo impoverimento delle forme di attivita` culturale, ma al contrario ad un loro progressivo arricchimento. Il disegno indu- striale non diventera` sicuramente un surrogato del- l’arte, cosı` come non ci sara` nessun surrogato ne´ del- la letteratura ne´ della filosofia’’.10

Una ricollocazione della pratica artistica come autonomo campo di ‘‘problematizzazione perma- nente del patrimonio di rappresentazioni e di espe- rienze’’, risolve quella ambiguita` che aveva accompa- gnato, ai tempi della Scuola di Ulm, l’entusiasmo per il disegno industriale come guida privilegiata delle attivita` visive.

Ogni attivita` ha il suo posto, la sua funzione. Maldonado aveva iniziato con il Manifesto inven- cionista. L’invenzione, la creativita` e` necessaria al- l’uomo per affrontare i problemi, le difficolta`, le in- certezze dell’ambiente fisico e sociale. La modernita` critica non ha confini di paesi. Invenzione e creativi- ta` intervengono, per mezzo delle diverse discipline, a interrompere la ripetizione, lo stereotipo, la passi- vita` del conformismo, a proporre vie d’uscita, alter- native nuove: ‘‘innovazione permanente’’. Invenzio- ne, innovazione, termini che si abbinano a ‘liberta`’. Maldonado prende in prestito una definizione di Jo- seph Beuys: gli artisti sono ‘‘gli scienziati della liber- ta`’’. ‘‘Il ruolo dello scienziato della liberta`, o sempli-

DUE ARTISTI TRA ARGENTINA E ITALIA

8 Ora in Avanguardia e razionalita`, op. cit., pp. 249-253.

9 La mostra di riferimento e` ‘‘L’objet’’, Palais du Louvre, 1962. Il testo ‘‘ogetti di disegno e oggetti d’arte’’ e` riportato in Avan-

guardia e razionalita`, op. cit., pp. 142-152.

cemente dell’artista, sarebbe, per dirla in breve, quello del trasgressore nei confronti dell’ordine sim- bolico stabilito, il ruolo di chi deve fornire stimoli che contribuiscano a garantire la dinamica comuni- cativa della societa`, contrastando la tendenza, oggi riscontrabile dovunque, al suo anchilosamento’’.11

Liberta` e` la possibilita` del cambiamento, la con- dizione del progetto, la speranza fattiva di un futuro comune.

Questa e` la lezione ‘concreta’ di Maldonado.. Toma´s Maldonado, un argentino a Milano, un artista del mondo.

Lucio Fontana

Vorrei cominciare con le parole di Maldonado sull’amicizia argentina con Fontana. Mi riferisco al- l’intervista apparsa su Flash Art dell’89, di cui mi so- no gia` servito (v. nota p. ...). ‘‘...Devo dire che ho avuto, tra il 1945 e il 1947, stretti rapporti di amici- zia con Fontana, anche se in quegli anni le nostre idee sull’arte, per la verita`, non corrispondevano, an- zi erano assolutamente contrapposte. Io facevo parte del movimento d’arte concreta, un movimento d’a- vanguardia che postulava un’arte di rigorosa osser- vanza non figurativa... [che] voleva essere soprattut- to l’elemento portante di un programma di rinnova- mento della cultura, della vita quotidiana e della so- cieta` nel suo complesso. Cosı` ingenui eravamo allo- ra.... Fontana rappresentava una tendenza senza dubbio conservatrice o comunque non d’avanguar- dia nell’ambito dell’arte argentina. Egli era lo sculto- re figurativo che aveva raccolto il maggior numero di premi e distinzioni nei saloni ufficiali.... Io credo che egli cercasse di adeguarsi, certamente con un tocco italiano che risaliva a Rosso e a Martini, ai gu- sti della borghesia argentina dell’epoca, che aveva costellato tutti i giardini della citta` di Buenos Aires con opere dei ‘‘grandi’’ della scultura francese: Ro- din, Bourdelle, Despiau, Maillol. Nonostante tutto cio`, i giovani esponenti dell’avanguardia, e io tra lo- ro, avevamo stima e simpatia per Fontana.

Alla domanda del ‘‘come spiegare questo atteg- giamento, apparentemente contraddittorio’’, Maldo- nado risponde: ‘‘...Noi sapevamo della sua militanza nelle file dell’astrattismo europeo degli anni trenta. A noi era infatti ben nota, seppur ovviamente solo tramite pubblicazioni, l’opera di Fontana astrattista. Eravamo in possesso, per esempio, del bollettino della Galleria Il Milione relativo alla mostra di Fon-

tana del 1935. Anche del catalogo della prima mo- stra collettiva d’arte astratta italiana a Torino nello stesso anno [nello studio di Felice Casorati ed Enri- co Paulucci] ... Era per noi dunque difficile capire il suo clamoroso voltafaccia. Molti di noi davano giu- dizi assai pesanti sul suo ‘‘tradimento’’; si parlava di opportunismo, di cinismo, e peggio ancora... Io cer- cavo una interpretazione forse piu` sofisticata, ma non per questo piu` vicina alla verita`: mi divertiva in- somma l’idea di un artista d’avanguardia che simula di essere un grande artista reazionario, vince tutti i premi piu` prestigiosi del paese e poi si toglie clamo- rosamente la maschera, e dice: vi ho preso tutti in giro, non sono quello che avete creduto, ma tutto il contrario. La mia tesi (un po’ dadaista) non con- vinceva nessuno. Neppure lo stesso Fontana.... I no- stri incontri con lui finivano di solito in litigate furi- bonde, e non sempre controllabili. Non ci risparmia- vamo a vicenda i piu` odiosi, feroci insulti. Noi lo ac- cusavamo di coltivare un repellente accademismo, egli contrattaccava chiamandoci sclerotici neoclassi- ci per la natura geometrica della nostra pittura. Fon- tana era un problema per noi, ma anche noi per lui. Ci stimolavamo, credo, reciprocamente. Il suo rap- porto con noi era molto complesso. Ci voleva bene, cercava spesso un contatto, ma in fondo non ci po- teva sopportare. Voleva sempre dimostrarci che, tut- to sommato, egli era piu` avanti, piu` d’avanguardia di noi. Il che non era facilmente dimostrabile, tenendo conto della sua scultura in quel momento. A lui non piaceva inoltre la nostra posizione politica di sini- stra, che considerava superata, e noi gli rispondeva- mo per le rime definendolo un uomo di destra ca- muffato...

La storia relativa al Manifesto bianco e` appunto un esempio di questo ambiguo rapporto tra noi. Fontana, che insegnava in una scuola privata d’arte – la scuola ‘‘Altamira’’ –, fa scrivere ai suoi allievi un manifesto che, secondo lui, doveva essere molto piu` avanzato di quello che noi avevamo reso pubblico qualche mese prima: il Manifesto invenzionista. Nel suo testo Fontana, come e` noto, lancia lo spazia- lismo. Il che era, di nuovo, qualcosa di paradossale, giacche´ la sua scultura era lontana anni luce da ogni possibile forma di spazialismo....

Ho visto di recente la grande mostra retrospetti- va di Fontana al Beaubourg, e mi ha molto colpito. Ritengo che la sua opera, con tutte le riserve che si possono fare su un periodo o su un altro, costituisce nel suo insieme uno dei momenti piu` alti della spe- rimentazione artistica contemporanea’’.

11

Nel 1946, all’epoca dei due ‘‘Manifesti’’, Fontana aveva 47 anni, alle spalle una vicenda artistica com- plessa, certo non lineare, e guardava al futuro ‘‘spa- zialista’’ con grande determinazione. Lı` avrebbe gio- cato le sue carte. Lo stimolo e insieme l’incompren- sione con questi ventenni saputelli dell’avanguardia era comprensibile.

Vengo allora ad alcune note biografiche.

Lucio Fontana nasce a Rosario di Santa Fe´, nel 1899 da Luigi, architetto e scultore, nato a Varese ed emigrato in Argentina nel 1891, e da Lucia Bot- tini, nata a Rosario da famiglia di origine italo-sviz- zera. La citta` conta 110.000 abitanti: la meta` sono stranieri e un quarto italiani. Il padre dirige una grande impresa, specializzata in sculture commemo- rative e funerarie. Divisosi nel 1905 dalla moglie e risposato, accompagna il figlio Lucio in Italia, la- sciandolo presso dei parenti a Camabbio, pressoVa- rese, dove consegue la licenza tecnica. Allo scoppio della guerra, Lucio si arruola come volontario. Il congelamento al braccio sinistro sul Carso gli varra`

Nel documento Il fantastico nella letteratura argentina (pagine 134-140)