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Un episodio en la vida del pintor viajero

Nel documento Il fantastico nella letteratura argentina (pagine 56-60)

Il pittore bavarese Johann Moritz Rugendas (1802-1858) e` ricordato per la sua intensa attivita` di viaggiatore: infatti fra il 1831 e il 1847 visita Bra- sile, Haiti, Messico, Cile, Peru`, Bolivia, Argentina e Uruguay. In realta` il suo primo contatto con la realta` americana risale al 1821 in occasione della spedizio- ne scientifica in Brasile organizzata e guidata dal ba- rone russo e console a Rio de Janeiro Georg Hein- rich Langsdorff. In quell’occasione il giovane Ru- gendas era stato chiamato con l’incarico di disegna- tore,1ma, a causa di divergenze con il barone, rima- se con la spedizione meno di un anno e nei succes- sivi quattro viaggio` in Brasile per proprio conto. Tornato in Europa, Rugendas a Parigi conosce il na- turalista e geografo Alexander von Humboldt, con il quale instaura una lunga amicizia. Nel 1831 il pitto- re riparte per l’America Meridionale; tornera` in Eu- ropa nel 1847, chiamato alle corti di Luigi I e Mas- similiano II.

Nei suoi soggiorni e viaggi americani Rugendas frequenta intellettuali e politici locali, fra i quali Do- mingo F. Sarmiento, incontrato in Cile dove l’ar- gentino era esiliato, a indicare, come ricorda Mario Sartor,

il segno indubbio che l’artista viaggiatore, figura di tran- sizione ormai tra lo scienziato e l’artista puro stava tra- sformando il suo agire in un’opera indipendente su vasta scala, cercandosi i contatti che opportunamente gli con- sentivano di promuovere la sua opera e di trarne – direm- mo oggi, da libero professionista – anche i debiti vantaggi economici.2

La sua produzione artistica (migliaia di olii, ac- quarelli, schizzi e disegni), cosı` differenziata a secon- da delle caratteristiche del luogo – gli araucani in Ci- le o i gauchos e la vita di frontiera in Argentina, oltre a ritratti e scene di costume in tutti i paesi visitati –, manifesta una grande curiosita` culturale e la capaci- ta` di interagire con lo spazio circostante. Questi te- mi, rappresentati con grande attenzione nella speci- ficita` dei particolari, e sui quali continuera` a lavorare anche una volta rientrato in Europa, si uniscono al- l’aspetto principale della sua opera, ovvero l’elemen- to paesaggistico per il quale Rugendas e` ritenuto uno dei piu` significativi (se non il piu` significativo) pittore-viaggiatore europeo nell’America meridiona- le della prima meta` del XIX secolo. La sua capacita` di rappresentare la rigogliosa e immensa natura americana lo inseriscono nel clima romantico dell’e- poca e soprattutto nel tema dell’esotismo. Allo stes- so tempo, pero`, per l’attenzione verso il dettaglio, la produzione artistica del pittore bavarese e` stata con- siderata da un lato di grande ausilio alla conoscenza scientifica (in particolare nel campo della botanica), e, dall’altro, dotata di un carattere documentale che le assegna anche valore storico.3E non a caso visto che Rugendas viene ricordato come l’artista che me- glio ha saputo applicare la teoria della fisiognomica del paesaggio naturale formulata da Alexander von Humboldt. In base a tale teoria l’ambiente, con i suoi caratteri fisici e climatici, esercita una forza di organizzazione sulle specie tanto che i tipi delle asso- ciazioni vegetali tendono a convergere morfologica-

1 Gia` dalla fine del XVIII secolo le spedizioni scientifiche coinvolgevano artisti incaricati di ritrarre gli aspetti botanici, zoologici

ed etnologici della realta` americana. Si ricordi, ad esempio, la spedizione Malaspina (1794-1799), alla quale parteciparono i pittori Fernando Brambilla e Giovanni Ravenet.

2 Mario Sartor, Arte latinoamericana contemporanea dal 1825 ai giorni nostri, Milano, Jaka Book, 2003, p. 20.

3 Un aspetto segnalato anche da Sarmiento, il quale, nei suoi Viajes, scrive: «Rugendas e` uno storico piu` che un paesaggista; i

suoi quadri sono documenti in cui si rivelano le trasformazioni, impercettibili per un altro, che la razza spagnola ha subito in Ame- rica». Cfr. Domingo F. Sarmiento, Viajes por Europa, Africa y Ame´rica 1845-1847, coord. Javier Ferna´ndez, Paris, Archivos, 1993, p. 73. Questa e tutte le successive traduzioni sono mie.

mente in territori distanti tra di loro ma simili per condizioni. Per Humboldt il compito di ritrarre la fisionomia della natura spettava proprio alle arti pit- toriche, le quali, nelle riproduzioni paesaggistiche, dovevano saper cogliere simultaneamente l’insieme di quanto rappresentato e i tratti tipici di ogni ele- mento. Ed e` proprio Humboldt, per la stima e l’ami- cizia che lo legava a Rugendas, a spingere il pittore a tornare nelle regioni sudamericane.

Alla vita e all’opera di Rugendas e` dedicato il ro- manzo di Ce´sar Aira Un episodio en la vida del pin- tor viajero (2000), ispirato a un fatto capitato al pit- tore nel 1838 in occasione di una sua permanenza in Argentina, dove era arrivato nel 1837 proveniente dal Cile (paese in cui aveva stabilito la residenza), e da lui stesso narrato nelle lettere alla sorella. La corrispondenza costituisce la fonte principale di Ai- ra, ma, visto il ruolo di narratore/osservatore svolto dal pittore Robert Krause nella struttura del roman- zo, si puo` ipotizzare che l’autore argentino abbia consultato anche il diario di Krause redatto in quella stessa circostanza.4

Nella realta` finzionale di Aira Rugendas si trova a sperimentare una nuova modalita` percettiva in un momento della sua vita in cui versa in uno stato psi- co-fisico di grande debolezza. In viaggio con l’amico Krause da Mendoza a Buenos Aires, Rugendas viene colpito da un fulmine e rimane sfigurato. Convale- scente, soggiorna con Krause in una tenuta presso Mendoza quando una mattina viene dato l’allarme dell’arrivo di un malo´n, l’attacco indio a fortini o a stanziamenti dei bianchi nel territorio di frontiera nel corso dei quali gli indigeni razziavano bestiame per rivenderlo ai commercianti cileni e spesso rapi- vano donne e bambini.5Il pittore, sotto l’effetto del- la morfina che assume per alleviare i dolori, decide di avventurarsi con Krause fuori della tenuta per po- ter riprendere il malo´n dal vivo, desiderio dal quale era ossessionato. Per proteggere (e nascondere) il vi- so martoriato dalle ferite che lo rendono simile a un ‘‘mostro’’, Rugendas indossa una mantilla che do- vrebbe svolgere una funzione di schermo – metafo-

ricamente di distanza – tra il suo sguardo e la scena a cui assiste.

Ma nel corso del malo´n si verificano una serie di eventi che, come si vedra`, da un lato annulleranno la distanza tra il pittore (europeo/civilizzato) e gli in- dios (barbari e selvaggi), ma dall’altro impediranno a Rugendas la traduzione culturale di cio` a cui sta presenziando. All’inizio i due amici sono costretti ad assistere all’attacco da lontano e a riprodurre su carta una visione sfumata del combattimento tra in- dios e bianchi:

La dinamica dell’incontro, che si ripete´ in tutti quelli a cui presenziarono poi, era la seguente: i selvaggi avevano a disposizione solo armi taglienti e appuntite, pugnali, lance e coltelli; i bianchi usavano fucili, ma sparavano in aria a fini dissuasivi; in questo modo i secondi mante- nevano la distanza di cui i primi volevano liberarsi per compiere la carneficina. Era cosı` che andavano e veniva- no. Per mantenere quest’equilibrio era necessaria una grande velocita`; le due bande acceleravano continuamen- te, e poiche´ ognuna doveva mantenersi alla pari, arrivava- no quasi subito alla saturazione. La scena era molto flui- da, molto lontana, si esauriva in un’ottica di appari- zioni...6

I due pittori scoprono cosı` un interesse fisiogno- mico per un diverso tipo di dettaglio:

i dettagli erano lı`, esercitavano una violenta impressio- ne sulle loro retine e si amplificavano sul foglio. Di fatto, se volevano potevano disegnare dettagli sciolti. Il detta- glio che interessava loro era la fugacita`, l’organizzazione nella casualita`, la velocita` di organizzazione. Il procedi- mento del combattimento indios-bianchi si riproduceva in quello dei pittori: c’era un equilibrio di vicinanze e al- lontanamenti da cui bisognava ricavare il massimo bene- ficio. (p. 81)

E ancora:

Gli indios volevano avvicinarsi ma si allontanavano; i bianchi volevano allontanarsi ma per riuscirci dovevano pressare (per spaventare di piu` con le detonazioni). I ca- valli impazzivano in queste ambivalenze, si tuffavano, sbruffavano, oppure semplicemente si mettevano a bere tranquillissimi mentre i loro cavalieri si sgolavano in fu-

4

Cfr. Robert Krause, Travesı´a de los Andes y estadı´a en Mendoza en el an˜o 1838. Diario ı´ntimo del paisajista alema´n, «Phoe- nix», n. s., 9, 2-4, 1923, pp. 42-62; Id., De Mendoza a San Luis de la Punta. Diario ı´ntimo del paisajista alema´n, «Phoenix», n.s., 10, 4, 2-3, 1924, pp. 36-61.

5 I malones, usuali gia` negli anni della colonia, continuano anche dopo la raggiunta indipendenza argentina, tanto che nel 1833

Juan Manuel de Rosas – governatore della provincia di Buenos Aires dal 1829 al 1832 e poi dal 1835 al 1852 – e` al comando di una Spedizione del Deserto, che porta come risultato il riscatto di circa mille cautivos bianchi, episodio narrato in un documento anonimo titolato Relacio´n de los cristianos salvados del cautiverio por la Divisio´n Izquierda del Ejercito Expedicionario contra los ba´rbaros al mando del sen˜or Brigadier General D. Juan Manuel de Rosas (1835). La spedizione rappresentera` anche un successo personale per Rosas, il quale da lı` in avanti si andra` sempre piu` affermando come leader politico.

6 Ce´sar Aira, Un episodio en la vida del pintor viajero, Barcelona, Mondadori, 2005, pp. 79-80. D’ora in avanti tutte le citazioni

ghe e inseguimenti simultanei. C’era una plasticita` infinita (o almeno algebrica) nella scaramuccia, e poiche´ Rugen- das la stava riprendendo da piu` vicino delle altre, lanciava la matita in scorci di muscolatura distesa e contratta, chiome bagnate che si attaccavano a spalle sommamente espressive... (p. 83)

Sulla distanza si gioca la possibilita` da parte di Rugendas di penetrare ancor piu` nel dettaglio attra- verso un procedimento, che allora era la fisiognomi- ca della natura ma che «cento anni dopo si sarebbe chiamato ‘‘surrealista’’» (p. 89), che permette di re- cuperare quella che i formalisti russi hanno indicato come la prima funzione dell’arte: lo ‘‘straniamento’’, la capacita` di rompere quelle pratiche della perce- zione che in ciascun individuo si sono strutturate in relazione al proprio orizzonte culturale di riferi- mento. «Se l’arte e` un congegno, dobbiamo capire come funziona, non com’e` nato».7 Sotto l’effetto della morfina, Rugendas prima subisce un effetto di una visione straniata rispetto alla tecnica della fi- siognomica scoprendone un aspetto che fino ad allo- ra non aveva percepito:

Ed era che il procedimento fisiognomico operava con ripetizioni: i frammenti si riproducevano uguali, cambian- do appena la loro ubicazione nel quadro. Se non era fa- cile notarlo, era perche´ la grandezza del frammento varia- va immensamente, dal punto al piano panoramico (pote- va oltrepassare di molto il quadro). (p. 56)

Poi scopre, ancora straniato, che anche il detta- glio e` un’illusione: «l’indio continuava ad essere in- dio anche frammentato nella sua minima espressio- ne, per esempio un dito del piede, a partire dal qua- le si poteva ricostruire l’indio intero» (p. 92); e que- sto perche´, come si legge nel romanzo, la realta` indi- gena sfugge al sistema di compensazione – in base al quale un qualsiasi difetto ha bisogno di essere ‘‘com- pensato’’ da un pregio – tanto che gli indios arrivano a burlarsi dei due artisti «come oggetti della pittura» (p. 93), come accade nella scena del rapimento della donna bianca, la cautiva,8 che gli indigeni sembre- rebbero rappresentare a uso e consumo (anche arti- stico)9 delle esigenze dei bianchi:

Le danze dei cavalieri selvaggi arrivarono all’apice della fantasia quando cominciarono a esibire le prigionie- re. Questo aspetto e` uno dei piu` caratteristici, quasi defi- nitorio, degli attacchi. Insieme con il furto del bestiame, il rapimento delle donne era il motivo del disturbo. In real- ta` era un fatto molto poco frequente; funzionava piu` co- me scusa e mito propiziatorio. Le prigioniere che questi indios del Tambo non erano riusciti a catturare le mostra- vano comunque, con un atteggiamento di sfida, e an- ch’esso molto plastico.

Lı` veniva [...] un gruppetto di selvaggi urlanti, i pu- gnali, allo straniero! uccidi! aaah! iiih! E in mezzo a loro, trionfante, un indio, che era quello che urlava piu` forte, e portava abbracciata, di traverso sul collo dell’animale, una ‘‘prigioniera’’. Che non lo era, naturalmente, bensı` era un altro indio, mascherato da donna, con un atteggia- mento effeminato; ma era cosı` rozzo l’inganno, che non avrebbe ingannato nessuno, neanche loro stessi, che sem- bravano stare alla burla.

E vuoi per lo scherzo, vuoi per il valore simbolico del gesto, lo portarono piu` in la`. Uno passo` abbracciando una ‘‘prigioniera’’ che era una vitella bianca, alla quale fa- ceva moine giocose [...] E in un altro giro, e nel colmo della stravaganza, la ‘‘prigioniera’’ era un enorme salmone rosato, ancora madido del fiume, di traverso sul dorso del cavallo, tenuto stretto dalla forte muscolatura dell’indio, che con le sue grida e risate sembrava dire: ‘‘me lo porto via per la riproduzione.’’ (pp. 87-88)

La realta` non compensatoria degli indios ha co- me ulteriore effetto quello di mettere in discussione la fisiognomica della natura, perche´:

il procedimento humboldtiano era un sistema di media- zioni: la rappresentazione fisiognomica si frapponeva tra l’artista e la natura. La percezione diretta era scartata per definizione. E tuttavia, era inevitabile che la media- zione cadesse, non tanto perche´ eliminata quanto per un eccesso che la trasformava in mondo e permetteva la comprensione del mondo stesso, nudo e primigenio, nei suoi segni. (pp. 96-97)

Ma adesso «il mondo aveva partorito repentina- mente gli indios. I mediatori non compensatori. La realta` diventava immediata, come un romanzo» (p. 97). Si rende quindi necessaria la presenza di una coscienza in grado di fare propria questa realta`, di

LA FISIOGNOMICA DEL MALO´ N IN CE´ SAR AIRA, UN EPISODIO EN LA VIDA DEL PINTOR VIAJERO

7 Carlo Ginzburg, Straniamento. Preistoria di un procedimento letterario, in Id., Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla di-

stanza, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 17.

8 Sul tema della cautiva cfr. Camilla Cattarulla, Corpi dimenticati/corpi recuperati. La cautiva nella letteratura e nella pittura

argentina, in Id. (a cura di), Identita` americane: corpo e nazione, Roma, Cooper, 2006.

9 Il poema La cautiva (1837) di Esteban Echeverrı´a aveva cosı` colpito Rugendas da fargli progettare un ciclo sui malones, anche

se il tema non gli era sconosciuto visto che gia` nel soggiorno cileno lo aveva riportato su tela. Disegni di Rugendas dedicati alle scor- rerie indigene (probabilmente parte di un album di 24 disegni che il pittore offriva come modelli di ritratti a olio alla sua clientela) sono stati poi inclusi in un’edizione de La cautiva di Echeverrı´a (Barcelona, Emece´, 1966) con una nota di Bonifacio del Carril (El malo´n de Rugendas). Sulla traiettoria pittorica di Rugendas in Argentina cfr. Bonifacio del Carril, Artistas extranjeros en la Ar- gentina. Mauricio Rugendas, Buenos Aires, Academia Nacional de las Artes, 1966.

penetrarla. Alla fine del romanzo, e dopo una lunga giornata trascorsa a inseguire e ritrarre l’attacco in- digeno, Rugendas e Krause si uniscono a un gruppo di indios che stanno riposando intorno al fuoco do- po il malo´n. Rugendas a questo punto si e` tolto la mantilla, che durante il giorno aveva ‘‘filtrato’’ il suo sguardo, ed esibisce il volto reso ‘‘mostro’’ dal- l’incidente. E anche gli indios lo osservano straniati come se in lui vedessero per la prima volta se stessi. Cosı` apparentato alla brutalita` indigena puo` final- mente ‘‘vedere’’ e ritrarre gli indios da vicino, realiz- zando quel ‘‘corpo a corpo’’ che il malo´n ha tradizio- nalmente sempre evitato. La distanza e` stata annul- lata, ma il mondo indigeno rimarrebbe intraducibile perche´ osservato da un Rugendas talmente immerso in esso da non poterlo comunicare a chi non vi fa parte, ma solo indicargli un procedimento di ripro- duzione. Come segnala Juan Villoro: «La tecnica del mostro e` piu` vicina al rito che all’arte: il pittore sfi- gurato non ritrae, e` identico alla sua opera. [...] Ru- gendas passa dall’altro lato della contemplazione an- tropologica: vede da dentro e questa autenticita` gli impedisce di rendersi comprensibile agli ignoran- ti».10

Rugendas ha attraversato la frontiera culturale diventando quello che Aira in un’intervista ha di- chiarato di voler essere: un selvaggio.11Consapevole di non poter penetrare la realta` ‘‘altra’’ se non attra- verso un meccanismo di intermediazione – quale puo` essere una teoria o un sistema intellettuale – lo scrittore argentino utilizza, in questo come in altri suoi romanzi di ambientazione patagonica o pam- peana, una mescolanza di risorse finzionali che rin- viano alla tecnica di costruzione di un’opera d’arte. Nel caso di Un episodio en la vida del pintor viajero la forma artistica e` quella pittorica, per cui i quadri e i disegni di Rugendas, pur se frutto di un contatto dall’interno della realta` indigena, rimangono condi- zionati dalla teoria della fisiognomica e da una per-

cezione ‘‘automatica’’, conseguenza della morfina che assume, che esalta la tecnica del dettaglio. Ma l’opera d’arte assume anche un valore di strumento storico, come pure il romanzo sembra voler segnala- re nel momento in cui i due pittori riflettono sulla relazione fra pittura e storia per giungere alla con- clusione che qualsiasi racconto ufficialmente tacitato puo` essere recuperato e persino ‘‘reinventato’’ da una generazione futura sempre che questa abbia a disposizione l’insieme degli ‘‘strumenti’’ per poterlo realizzare: «E la chiave di quegli strumenti era lo sti- le. Secondo questa teoria, l’arte era piu` utile del di- scorso.» (p. 37) E allora Aira crea, attraverso l’uomo ‘‘mostro’’, la morfina, la mantilla, quel dispositivo necessario a rendere la fisiognomica della natura, con la sua tecnica del dettaglio, un ‘‘frammento’’ che permette la ricostruzione di un livello superiore che non e` soltanto la storia di un malo´n, bensı` la sto- ria della lunga lotta fra civilta` e barbarie nell’Argen- tina del XIX secolo. In questo senso il romanzo in- staura anche un dialogo con la storiografia nazionale e con la definizione di Nazione cosı` come si era af- fermata nel progetto liberale del XIX secolo, il quale aveva deliberatamente cancellato le minoranze etni- che dalla storia nazionale per fondare e legittimare un paese ‘‘discorsivamente’’ bianco. Invece, nell’Ar- gentina degli ultimi decenni del XX secolo e del principio del nuovo, il nuovo romanzo storico sem- bra voler anche recuperare quelle minoranze etniche e sociali in precedenza accuratamente gettate nell’o- blio e instaurare uno nuovo rapporto con la Storia e i suoi corredi simbolici.12Aira, nella gia` citata inter- vista, afferma di essersi reso conto di aver scritto un romanzo storico senza volerlo. Chissa` che anche in lui non si sia verificato un fenomeno di straniamento rispetto alla propria storia nazionale....

* Universita` di Roma Tre

10 Juan Villoro, El juego de identidades cruzadas, «Iberoamericana», II, 7, 2002, p. 166.

11 Cfr. Ce´sar Aira, Quisiera ser un salvaje, «Revista 3 Puntos», n. 227, 2001, www. elprotagonista.htm.

12 Fra i romanzi impegnati nel recupero del passato nazionale e in particolare, ma non solo, del mondo indigeno, si segnalano

Ema, la cautiva (1981) e La liebre (1991) ancora di Ce´sar Aira, Fueguı´a (1995) di Eduardo Belgrano Rawson, La tierra del fuego (1998) di Sylvia Iparraguirre e La lengua del malo´n (2003) di Guillermo Saccomanno. Sui fattori che concorrono a questo processo di revisione cfr. Cattarulla, Corpi dimenticati..., pp. 103-105.

Nel documento Il fantastico nella letteratura argentina (pagine 56-60)