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Stephen Kline nel suo testo Out of the garden. Toys, TV and children's culture in the age of marketing (1993) esordiva ricordando che il grado di civilizzazione di una società si evidenzia dal modo in cui essa tratta i bambini. In più secondo la Convention on the Rights of Children (1989), i bambini – empowered e vulnerable insieme – hanno la necessità così come il diritto di vivere in un mondo che ne comprenda e rilevi la loro complessità. Hanno bisogno al tempo stesso di opportunità di essere ascoltati, di collaborare con gli adulti e di costruire attraverso l’educazione – che dovrebbe richiamare e rispettare il diritto dei bambini di partecipare al processo decisionale educativo – le loro competenze e abilità (Sinclair, 2004).

Nelle premesse di questo lavoro si presupponeva innanzi tutto di poter guardare al bambino come soggetto (Maggioni, 2008) e di poter ascoltare ciò che egli, o ella, avesse da dire. Una rivalutazione e un riconoscimento del bambino che seppur non completamente nuovi da un punto di vista sociologico, altri studi hanno messo in evidenza quale priorità. Ma quando si tratta di consumi, il bambino viene silenziato, come se egli non fosse in grado né di intendere, né di volere e né tanto meno di agire. Ed è di questo bambino che è desiderabile, e singolare, sentire le parole, ed è su questa tematica, il suo well-being che è necessario, e vitale, sentire opinioni, commenti e pensieri.

Si è considerato che il bambino non entra consapevolmente nel mondo dei consumi ma vi è parte dalla nascita senza possibilità di scelta (Buckingham & Tingstad, 2010; Cook, 2008). Il mondo dei consumi è parte integrante della vita sociale e culturale di un bambino (Pugh, 2009; Kenway & Bullen, 2003) pur se esiste un processo di apprendimento delle pratiche e delle competenze di consumo (De La Ville & Tartas, 2010) non solo in virtù del processo di crescita (Roedder, 1999) ma anche e per effetto delle relazioni psico-sociali che lo stesso bambino intrattiene in particolar modo con la famiglia (Buckingham, 2011; Seiter, 1993; Moschis, 1985) e con i pari (Blazquez & Bonas, 2013; Betts & Stiller, 2014) ben oltre al marketing (Buijzen & Valkenburg, 2003; Bustreo, Micheletto, & Russo, 2012). E tale aspetto induce a non fermarsi alla valutazione del consumo come positivo o negativo per l’infanzia, anche se appare come una valutazione superflua, senza possibilità di scelta.

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Si è spostata quindi la domanda dal cercare di comprendere se e come il mondo dei consumi possa influenzare e modificare in positivo o negativo la vita dei bambini che ha portato in passato a sollevare forti critiche sul loro comportamento di consumo (Schor, 2005; Mayo & Nairn, 2010) al verificare se il bambino che è inserito nel mondo dei consumi possa essere felice –e come è stato più volte sottolineato come è felice, ma se, quanto e perché lo è, ovvero cosa crei la sua felicità – e se questa supposta felicità – analizzata non in proiezione futura ma nel qui e ora – abbia legami di tipo positivo o negativo nelle due direzioni con il materialismo.

Dall’analisi della letteratura e degli studi svolti, un primo punto importante è che i bambini sembrano essere felici. Di una felicità (Hervas & Vazquez, 2013) che pare essere costituita di aspetti sociale e eudemonico importanti, mentre l’aspetto edonico e l’esperienza positiva presentano valori più bassi ma fortemente correlati. In generale tuttavia tutte le dimensioni che creano un’idea di benessere multidimensionale sono ricche di sfaccettature, articolate e per questo motivo magari anche più stabili nel tempo.

Questa composizione della complessità del fenomeno “felicità” è fondamentale per individuare gli ambiti di miglioramento e per comprendere quali sono le dinamiche che possono influenzare maggiormente il benessere dei minori e come si differenziano nei sottogruppi di genere ed età. Questo tipo di comprensione può essere utile a tutti i livelli, quello parentale, educativo, scolastico fino a comprendere eventuali azioni programmate da parte delle istituzioni.

La questione temporale ha invece suggerito che la percezione del momento felice esperito nel passato recente abbia valori diversi rispetto al momento felice conservato nel ricordo, dando l’idea che con il tempo i bambini tendono a interpretare i momenti positivi in modo più positivo rispetto al passato recente.

Il secondo punto che emerge dalla ricerca mette in evidenza che i bambini sono materialisti, anche se esiste una curva di materialismo che, come abbiamo visto, ha il suo apice intorno agli 8-9 anni. Questo risultato è importante per tre motivi: innanzi tutto è in linea con la letteratura precedente che indica l’esistenza di una curva di materialismo (Chaplin & Roedder John, 2007). Inoltre sembrerebbe confermare la tesi che esista una anticipazione, un processo di adultizzazione in atto come spiegato nel Capitolo 2. Tuttavia e in terza istanza, conferma anche che il materialismo dopo il picco tende a calare, dimostrando un maggiore focus dei bambini più piccoli verso gli aspetti materiali e una progressiva attenzione verso altri aspetti non materiali con la crescita. Tale risultato si

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allinea con quanto emerso dall’analisi compiuta una decina di anni fa (Chaplin & Roedder John, 2007) contribuendo a quel percorso di verifica sul fatto che il materialismo non stia effettivamente crescendo in maniera consistente.

Un terzo punto riguarda l’adulto. Anche in considerazione del processo di anticipazione, sembra necessario che l’adulto sia in grado di condurre il bambino per mano nel percorso di conoscenza e interpretazione del mondo che lo circonda (Corsaro, 2003) secondo i tre punti critici che erano state segnalati all’inizio: lasciando al bambino la libertà di interagire con il mondo, anche sbagliando, per comprenderlo e conoscerlo attraverso la sua personale esperienza, rispettando il tempo del bambino, sia quello di immaturità e di crescita, sia quello che gli necessita per poter esperire e capire ed educazione come elemento fondamentale per la costruzione del bambino consapevole e capace di valutare criticamente ciò che lo circonda.

L’adulto deve essere responsabilizzato in questo senso facendo un passo indietro sulle proprie esigenze, rispetto a quelle del bambino, sui propri tempi e modalità, e soprattutto sul proprio modo di interpretare gli eventi o di vivere le emozioni rispetto a come il bambino interpreta o vive. Deve essere responsabilizzato anche a dare una interpretazione meno fortemente critica e talvolta preconcetta dei consumi, specialmente nella loro relazione con l’infanzia, fare da filtro con se stesso e imparare a comprendere ciò che nei consumi permette di apprendere in modo migliore la vita. Apprezzando aspetti positivi e valutando in maniera critica quelli negativi.

Infine, un’ultima considerazione sull’ambito valoriale. Tenendo presente che nelle variabili influenti sulla formazione della felicità (Uusitalo-Malmivaara, 2012) da un lato gli aspetti legati al materialismo (come l’importanza del denaro) sono giudicati non importanti e, dall’altro lato, che nella indagine relativa al solo materialismo certi aspetti (come la stessa importanza del denaro) vengono giudicati come salienti, si potrebbe ritenere che esista nel bambino un’attribuzione valoriale diversa. L’assetto valoriale generale del minore non si costruisce sui beni materiali e per quanto lui sia inserito nel mondo dei consumi dà indicazioni ben precise e non materialiste su quanto ritiene possa formare la sua felicità: egli dimostra di credere nella famiglia, di amare gli amici e di cercarne di nuovi, di conoscere il valore della salute, di sapersi collocare con fiducia all’interno della società, di voler essere bravo/a a scuola e competitivo/a nello sport.

Il secondo livello è costituito di aspetti più contingenti che fanno parte della vita di tutti i giorni che sono legati invece ad aspetti materiali, al gradimento per lo shopping

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piuttosto che all’importanza del denaro e sono considerati come importanti ma solo nell’ambito di un’indagine sui valori materialisti. Nel livello contingente il materialismo esiste e si differenzia per età, i bambini più piccoli lo sono di più, e per genere. Se così fosse bisognerebbe indagare quanto i primi influenzino i secondi e viceversa. Questo risultato è interessante perché potrebbe far pensare a una consapevolezza del bambino che richiama quanto affermato in altri campi da Rozendaal, Lapierre, Van Reijmersdal & Buijzen (2011) i quali sostenevano, per quanto riguarda la pubblicità, che nel bambino esistono un livello di competenza e un livello di performance. Il bambino può essere sì consapevole della pubblicità, ma non è detto che applichi questa sua consapevolezza nella sua vita quotidiana e nella capacità di discernere l’immagine attribuita a un oggetto di consumo dall’oggetto in sé. Allo stesso modo, il bambino può, per insegnamenti famigliari, scolastici e simili, esser consapevole o ritenere che i valori materiali non sono importanti al fine di una effettiva felicità. Tuttavia questo non implica che poi nella vita di tutti i giorni questi non abbiano un peso nei singoli processi decisionali dello stesso.

Da un certo punto di vista si potrebbe pensare che quanto comunicato dal mondo dei consumi comunque fa i conti con un assetto valoriale costruito in altri ambiti e non lo offusca. E questa è una evidenza che conduce alla originale domanda di ricerca: oggi il bambino consumatore e materialista può essere considerato felice? Sembrerebbe di poter rispondere di sì.