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4.2 La famiglia, culla di consumo

La famiglia quale nucleo sociale convivente caratterizzato da relazioni di matrimonio o di parentela tra i componenti è una istituzione che ha sempre rivestito un valore enorme nella formazione del minore. Riferimento primario, fonte di conoscenza e culla di pratiche di consumo (Buckingham, 2011; Moschis, 1985).

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L’influenza della famiglia è spiegata in termini generali dagli psicologi dello sviluppo che indicano che il comportamento dell’individuo a qualsiasi età è determinato dalle sue conoscenze e abilità intellettive, dagli obiettivi che si pone e dalle emozioni che prova, ma anche dal contesto sociale all’interno del quale è inserito (Berti & Bombi, 1985). Si intende per “sociale” l’interazione diretta dell’individuo con altre persone, e nel caso del bambino si tratterà principalmente della famiglia, degli insegnanti, dei pari, dei gruppi.

Postman (1994) gli attribuiva – insieme alla scuola – il ruolo di contrasto al declino dell’infanzia e la capacità di plasmare valori e sensibilità nei giovani, pur se la sua funzione indispensabile è stata ridimensionata dalla presenza a volte ingombrante dei media, le cui affermazioni decise, le istruzioni, la normalizzazione degli eventi attraverso i vari schermi rendono il genitore tendenzialmente più insicuro del suo compito educativo tanto che arriva a lasciarsi guidare da quanto piccoli o grandi schermi suggeriscono.

Il ruolo della famiglia è particolarmente significativo nell’assunzione e apprendimento di pratiche di consumo da parte dei bambini e durante tutto l’arco della vita (Moschis, 1987). In particolare, le due figure genitoriali sono latrici di usi e abitudini, stili di vita che vengono veicolati in maniera non formalizzata e che il bambino acquisisce spontaneamente. In effetti, nella norma questo tipo di azione non è programmata ma è implicita e i figli acquisiscono i comportamenti di consumo per imitazione e modeling (Bandura, 1970).

Tuttavia, può esserci anche una forma esplicita di comunicazione delle competenze di consumo in cui i genitori spiegano e istruiscono i piccoli consumatori in termini di scelte e preferenze di marche e prodotti, in termini di atteggiamenti sulla fruizione della pubblicità e simili. Invero Kline (2011) sostiene che tra i fattori mitiganti l’influenza del marketing e della pubblicità alimentare sui bambini ci sia proprio l’azione parentale che agevola una consumer literacy da un lato e nutrition literacy dall’altro.

Di conseguenza, si spiega come Buckingham (2011) consideri per la famiglia e i genitori in particolare una varietà di ruoli quali quelli di attori chiave delle attività di consumo, fornitori, facilitatori, regolatori, gatekeepers, insegnanti delle pratiche di consumo.

Fino a qualche tempo fa, proprio per quanto riguarda i consumi, la famiglia non era inclusa nel frame e, nel trattare della relazione tra bambini, consumatori e mercato (Cross, 2010; Lindsay & Maher, 2013), i bambini venivano intesi come agenti liberi e isolati dalle loro complesse interazioni con la famiglia. Grazie anche alla socializzazione ai consumi,

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definita e spiegata qui nel capitolo 3, la famiglia diventa una delle agenzie di socializzazione la cui azione consente al bambino di acquisire le prime basilari competenze di consumo fin da quando è in fasce. La famiglia, e in particolare i genitori, ha delle abitudini di consumo che trasmette ai figli «from cradle to grave» (Schor, 2005).

Come si è già anticipato nel capitolo 3, i cambiamenti recenti all’interno della famiglia sono notevoli ed hanno reso questa istituzione non più salda e stabile ma tendenzialmente molto dinamica e facilmente alterabile nella sua composizione anche nel giro di pochi anni. Oggi le famiglie tendono ad essere «longer and thinner» (Buckingham, 2011), durano più a lungo letteralmente, con meno figli che però rimangono in casa per molto più tempo rispetto al passato. Unitamente alle diverse conformazioni attuali delle famiglie che oltre ad una struttura standard bi-parentale possono avere strutture mono-parentali, ricomposte o ricostituite e al fatto che tendenzialmente c’è una attività lavorativa per entrambi i genitori, porta a dei cambiamenti non solo nella gestione dei figli ma anche nella articolazione delle pratiche di consumo.

Sono cambiati anche i tempi e le modalità di gestione dello spazio domestico e famigliare rispetto a qualche anno fa. Il tempo domestico è superiore rispetto al passato, cioè le persone spendono più tempo in casa e anche gli stessi bambini. Questo sembra essere legato agli strumenti mediatici e tecnologici presenti nelle case e utilizzati nel tempo libero e ai timori dei genitori relativi al mondo esterno che inducono a tenere i bambini chiusi in casa piuttosto che spingerli ad uscire per incontrarsi con i compagni di giochi.

Anche gli spazi famigliari sono modificati: tempo addietro esisteva una stanza centrale della casa, solitamente riscaldata e vissuta da tutta la famiglia. Oggi le case sono costituite di più stanze e di dimensioni più ridotte, e spesso i bambini tendono ad usare le proprie camere come spazio privilegiato ritirandovisi per lunghe ore specie se sono dotate di apparecchi televisivi (Buckingham, 2011).

La cura è uno degli aspetti che maggiormente coinvolge la famiglia e in particolare la figura materna e che tende ad essere mescolata con le pratiche di consumo in quanto il consumo sembra uno dei mezzi per permettere alle famiglie di vivere con più comfort e in maniera più serena la loro vita. Come Zelizer 2005) sottolinea «people are continuously mixing their intimate relations with economic transactions» ed è questo il motivo per cui Lindsay & Mares (2013) sostengono che le famiglie si mantengono anche grazie alle pratiche di consumo. Le studiose sottolineano come l’ineluttabilità generale di consumo che

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coinvolge tutte le persone nel caso della famiglia si manifesta attraverso tre componenti: la cura; la connessione con il mondo esterno, con le altre famiglie; l’appartenenza.

Le famiglie e in particolare i genitori tendono ad avere bambini che oltre a godere di pocket money sono anche buoni conoscitori dei prodotti che loro interessano e hanno maggiori capacità di valutazione dei prodotti stessi rispetto al passato. Questo porta ad una necessità di negoziazione molto più frequente e ad una gestione di eventuali tematiche legate ai bambini più piccoli come il pester power cioè il potere che deriva loro dalla capacità di fare capricci ed assillare un genitore (nag factor) nel tentativo di ottenere uno specifico prodotto (Lawlor & Prothero, 2011). Questa situazione è foriera di grande frustrazione e impotenza per i genitori che si sentono incapaci e inadeguati. Anche Pugh (2009) rinforza che in ogni situazione e in ogni luogo i genitori lottano con i desideri dei bambini dicendo di sì più di quanto vorrebbero e dicendo di no non appena riescono. Lo stesso Buckingham (2011) rileva che c’è anche una sostanziale difficoltà nell’imporre lo stile di vita genitoriale e le regole di consumo dovuto alla minore autorità di cui gode oggi un genitore rispetto al passato causa la crescita di importanza e di potere degli altri strumenti mediatici che rivaleggiano in questi termini con l’autorità genitoriale.

Per quanto riguarda i componenti della famiglia, la figura più rilevante è quella della madre. Come Cook rileva nella letteratura accademica l’importanza di questa figura è poco studiata mentre dovrebbe essere compreso quanto questo ruolo influisce sia nei consumi famigliari sia nelle conoscenze e competenze di consumo di ogni bambino. Seiter (1995) sostiene che sono soprattutto le madri che decidono il tipo di consumo di cultura materiale e simbolica dei loro bambini.

Nelle scelte di consumo del genitore e nella sua sensibilità rispetto alle richieste del minore c’è sempre l’influenza delle esperienze emotive che egli stesso ha vissuto (Pugh, 2009). Ma gli atteggiamenti parentali di consumo non si fermano a questo, c’è anche il desiderio di dare ai propri figli ciò che vogliono come una forma di esternazione della cura e attenzioni genitoriali miranti anche a eludere qualsiasi possibilità di esclusione da parte dei pari (Pugh, 2009).

Al giungere del bambino agli anni della pre-adolescenza, l’influenza sociale della famiglia tende a ridursi (Ironico, 2010; Roedder John, 1999) a favore dell’influenza dei pari che assumono sempre maggiore importanza.

Le influenze di consumo che la madre e l’intera famiglia esercitano sui bambini sono accompagnate a propria volta da influenze che i bambini esercitano sulla famiglia stessa.

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Moschis (1985) per primo ha trattato il tema della socializzazione inversa cioè quel processo attraverso il quale sono i bambini a socializzare i genitori a certi tipi di consumo. Questo avviene sempre più di frequente specialmente riguardo a una certa tipologia di prodotti quali quelli tecnologici in cui il bambino acquisisce frequentemente conoscenze più approfondite rispetto al genitore. L’influenza del bambino all’interno della famiglia è stata studiata da Ekstrom che sostiene che essa può variare a seconda dell’approccio educativo che una famiglia adotta. Nella sua ricerca, Ekstrom (2010) indica come le famiglie suddivise tra moderne e tradizionaliste e secondo criteri come la propensione all’acquisto e la relazione comunicativa tra genitori e figli hanno messo in evidenza che l’influenza del bambino nei processi di acquisto è più pronunciata all’interno delle famiglie moderne e proiettate verso l’acquisto stesso.

Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda la famiglia italiana. Un interessante studio sul modo di gestire il pretend-play tra bambini italiani e statunitensi mette in evidenza come lo sforzo genitoriale sia tendenzialmente quello di lasciare i bambini liberi di giocare in maniera spontanea e non guidata, mentre la cura parentale tende a lavorare sull’interconnessione interpersonale, l’affetto e la relazionalità; i minori americani, al contrario, sono spinti a gestire l’attività ludica in termini strutturati sotto l’occhio attento del genitore che è focalizzato su quanto il gioco può sviluppare nei bambini in termini di abilità sociali e cognitive, ponendo l’enfasi su l’individualità e l’autonomia (Chessa, et al., 2012).