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3.3. La Consumer Socialization

3.3.1. La prospettiva individuale

Gli anni che dallo scritto del 1974 di Ward conducono alla fine del secolo scorso sono probabilmente gli anni più prolifici riguardo al processo di socializzazione. L’analisi della letteratura di Roedder John (1999) nasce forse dalla necessità di dare un ordine agli studi fatti oltre a quella di dare un proprio contributo personale – e significativo – a un filone in crescita.

Il risultato è un ricco resoconto del lavoro di ricerca svolto nei soli ambiti di comunicazione e marketing – escludendo quindi aree psicologiche ed economiche – nei 25 anni precedenti, che partendo da una spiegazione estesa del framework concettuale della socializzazione ai consumi stabilisce le caratteristiche evolutive nel minore in quanto consumatore ed elabora, a livello di contenuti, 5 aree di socializzazione:

 pubblicità e persuasion knowledge;  conoscenza della attività di transazione;

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 abilità decisionali;

 acquisto e strategie di negoziazione;  motivazioni e valori di consumo.

Il valore di questo lavoro è evidente e riconosciuto proprio perché, oltre a recuperare quanto è stato fatto nel passato, considera sia il bambino nel suo processo di crescita sia le aree dei consumi all’interno delle quali il minore cresce e apprende.

Il processo di socializzazione ai consumi si attua nel bambino in virtù di – e contemporaneamente a – altri processi. Da un lato, come in Ward, la costruzione semantica a proposito dei consumi di Roedder John poggia sullo sviluppo cognitivo teorizzato da Piaget e visto come processo di adattamento al mondo esterno (De La Ville & Tartas, 2010), che viene affiancato a quello delle information processing theories (Roedder, 1981) con focus sulle abilità in via di sviluppo del bambino in termini di acquisizione, codifica, organizzazione e recupero delle informazioni. Dall’altro, beneficia della maturazione sociale (Selman, 1980, qui in Roedder John, 1999) in termini di sviluppo morale, altruismo e sviluppo prosociale, formazione dell’impressione e acquisizione di una prospettiva sociale. Gli ultimi due aspetti in particolare sono fondamentali per la socializzazione.

Il risultato di queste premesse è una interessante suddivisione del processo di socializzazione in tre specifici stadi di sviluppo:

 percettivo (3-7 anni),  analitico (7-11 anni),  riflessivo (11-16 anni)

delle competenze di consumo in cui si rilevano cambiamenti nella conoscenza di consumo, nelle abilità decisionali e nelle strategie di influenza d’acquisto, indicando chiaramente come la socializzazione ai consumi non possa prescindere dalla crescita cognitiva stadiale e dalle conoscenze economiche di base che si acquisiscono secondo la struttura indicata da Piaget.

Il primo stadio percettivo coincide con il periodo della scuola materna e dei primi anni della primaria. In esso si riprendono e traslano in ambito di consumi le caratteristiche dello stadio pre-operazionale di Piaget. Il bambino di questo stadio ha delle conoscenze superficiali dei mercati, le sue abilità decisionali fanno riferimento a dei singoli attributi o a un limitato numero di informazioni e a livello di influenza di acquisto il punto di vista è

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essenzialmente egocentrico ancora incapace di considerare altre prospettive e quindi di negoziare per ottenere qualcosa.

Il secondo stadio analitico riguarda gli anni terminali della primaria e mette in evidenza importanti sviluppi. Grazie all’incremento notevole in termini nelle abilità di information processing il bambino ha delle conoscenze molto più approfondite riguardo al mercato e al suo funzionamento e anche riguardo a concetti come pubblicità e marchio. Egli inizia ad attuare dei processi decisionali e di scelta basandosi anche su più attributi, generalizzando le esperienze, giungendo a staccarsi dal concreto con qualche razionalizzazione di tipo astratto elementare in termini per esempio di motivazioni alla pubblicità o riconoscimento delle contingenze: queste nuove abilità permettono al minore di aggiungere più riflessioni nei suoi atti di acquisto e di utilizzare delle strategie decisionali precise, con maggiore flessibilità, adattabilità e reattività anche nelle strategie di influenza. L’ultimo stadio, quello riflessivo, tipico dei minori della scuola secondaria inferiore e nei primi anni della scuola secondaria superiore, è caratterizzato da conoscenze sempre più elevate relativamente al funzionamento del mercato e del sistema dei prezzi, si focalizza molto sulle caratteristiche e significati sociali del consumo, i processi decisionali sono sofisticati e le influenze riflettono più una consapevolezza sociale e una competenza argomentativa di tipo linguistico e cognitivo.

Questo tipo di suddivisione mette in evidenza una socializzazione legata a doppio filo con l’età dei bambini, per cui anche se in origine si parla di un intervento di interazione sociale attraverso le quattro agenzie di socializzazione fondamentali che sono famiglia, pari, mass media e istituzioni di marketing, tuttavia questo aspetto sembra essere marginale nelle riflessioni di Roedder John.

Dopo aver analizzato il processo di socializzazione in termini di sviluppo, John prende in considerazione poi gli ambiti tematici nei quali questa socializzazione si attua e manifesta, che risultano essere cinque:

 pubblicità e riconoscimento della persuasione: questo processo si compie per step a iniziare dal riconoscimento da parte del bambino della pubblicità rispetto alla programmazione, per poi procedere in termini di comprensione dell’intento pubblicitario e al successivo riconoscimento dei pregiudizi e degli inganni della pubblicità, all’utilizzo delle difese cognitive contro la pubblicità e alla consapevolezza delle tattiche dei pubblicitari. Questo primo punto sarà considerato un riferimento importante per moltissimi studi successivi anche di

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tipo psicologico (Buijzen, 2007; Rozendaal & Buijzen, 2009; Gunter, Oates & Blades, 2005);

 conoscenza delle transazioni: in questo ambito il lavoro si sviluppa attraverso la conoscenza strutturale e simbolica del prodotto e del marchio, la conoscenza e l’acquisizione di abilità di acquisto (riconoscimento dello store, comprensione degli step da compiere in uno store; abilità di acquisto e conoscenza dei prezzi);

 abilità nei processi decisionali: ricerca delle informazioni (consapevolezza e uso di fonti di informazione, tipo di informazioni e adattamento alla ricerca di costi e benefici) valutazione di un prodotto e paragone con altri (utilizzo delle informazioni a proposito degli attributi, uso degli attributi rilevanti); strategie decisionali (di emergenza, uso adattativo);

 influenza d’acquisto e strategie di negoziazione: bargaining, elaborazione del compromesso e utilizzo di una o più tecniche di persuasione;

 motivazioni e valori di consumo: l’apprendimento e l’adozione delle motivazioni e valori che sono parte delle attività di consumo, che sono tendenzialmente considerati in termini negativi come consumismo, materialismo (che sarà analizzato nel capitolo dedicato) e acquisti d’impulso. Roedder John ha comunque lavorato in termini di marketing cercando di descrivere il fenomeno della socializzazione o più facilmente di rendere più agevole il lavoro dei practitioners di marketing (De La Ville & Tartas, 2010).

In letteratura, la principale critica che viene rivolta a questo tipo di approccio riguarda il fatto che la socializzazione non deve tanto essere tanto frutto di un processo interno di tipo cognitivo ma una funzione delle influenze ambientali cui il bambino sottostà (De La Ville & Tartas, 2011). Al contrario, il modo di Roedder John di interpretare il processo di socializzazione ai consumi presenta dei limiti che nascono dalle premesse teoriche mettendo in evidenza un processo essenzialmente individuale, in cui il bambino viene però socializzato quasi esclusivamente in virtù del processo di crescita, l’età risulta quindi lo spartiacque obbligato del processo di acquisizione delle abilità cognitive e di quelle di consumo (De La Ville & Tartas, 2010). E l’interazione sociale è menzionata, ma è nella sua essenza abbastanza meccanica. Inoltre, il minore in questo tipo di concettualizzazione ha un

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ruolo estremamente passivo in cui il processo si attua limitando al massimo qualsiasi forma di proattività. Infine, un’ultima critica di De La Ville riguarda il fatto che per comprendere il comportamento del bambino bisogna avere in mente il modo di ragionare e le finalità di un bambino, non i ragionamenti degli adulti.

Da ultimo è interessante aggiungere che quando si tratta di competenze di consumo si dovrebbe trattare la tematica in termini più generali di quanto non sia trattata, in particolar modo dagli autori considerati finora: acquisire competenze di consumo in maniera completa non significa forse anche acquisire la capacità di agire atti di consumo e non agirli? Esiste forse una sorta di ineluttabilità che viene attribuita agli atti di consumo, peraltro giustificata dalla situazione attuale ma non completamente corretta se vogliamo avere una analisi esaustiva della situazione.