• Non ci sono risultati.

Esposizione, attenzione, comprensione e memorizzazione

La funzione percettiva del bambino è centrale nell’analisi della fruizione televisiva ed è la funzione attraverso la quale il bambino conosce la realtà (Puggelli, 2002).

Le quattro caratteristiche principali dello sviluppo sensoriale sono  l’intenzionalità dell’azione percettiva;

 la consapevolezza del significato delle informazioni percettive;  il grado di differenziazione e di dettaglio ottenibile nella percezione;  la capacità di ignorare l’irrilevante.

La funzione percettiva varia a seconda dell’età secondo due macro momenti: dalla nascita ai 6 anni si verificano rapidi progressi nei singoli ambiti sensoriali e nelle relazioni tra di essi ma anche nell’organizzazione del campo percettivo secondo i principi dell’articolazione figura-sfondo, le attività percettive hanno un ruolo di sostegno delle attività cognitive in questo periodo. Dai 6 anni all’adolescenza lo sviluppo delle capacità cognitive complesse si riflette sul piano della percezione veicolandone un ulteriore avanzamento. In questo periodo diminuisce il sincretismo infantile, ovvero quel fenomeno per cui la percezione della struttura d’insieme ostacola l’individuazione delle singole parti

70

(Camaioni, 2000) e il minore riesce a estrarre dalla realtà un numero sempre superiore di informazioni.

L’accostarsi del bambino agli strumenti mediatici e in particolar modo alla televisione, che risulta essere ancora il principale mezzo attraverso il quale il bambino riceve molte informazioni relative ai prodotti, avviene attraverso diverse fasi indispensabili per il sortire dell’intento persuasorio che sono l’esposizione, l’attenzione, la comprensione e la memorizzazione.

L’esposizione del bambino alla pubblicità è il primo indispensabile momento senza il quale il processo di comunicazione pubblicitaria non avrà inizio, consiste nel processo attraverso il quale il destinatario entra in contatto fisico con uno stimolo e può avvenire secondo modalità diversissime.

Gli studi di Metastasio (2007), documentano come in una settimana campione del maggio 2006, le reti RAI e Mediaset hanno trasmesso oltre 1.000 spot rivolti ai bambini, per un totale di circa 154 spot giornalieri e una proiezione di oltre 56.000 spot annuali. Secondo invece una ricerca più recente, svolta tra dicembre 2011 e febbraio 2012 in Italia sui canali Rai, Mediaset e tematici Sky, la media di spot trasmessi per giorno è diventata 442, con un aumento del 287% (Bustreo, Micheletto & Russo, 2012). Oggi rilevare la quantità complessiva di spot cui sono esposti i minori è più difficile perché i mezzi che li veicolano sono di gran lunga superiori rispetto al passato e non coincidenti con la sola televisione.

Per quanto riguarda il tipo di pubblicità trasmesso cui i minori sono esposti, il rapporto annuale dell’APA American Psychology Association del 2004 evidenzia che negli Stati Uniti l’80% di tutto l’advertising destinato ai bambini rientra nelle 4 categorie di prodotti: giocattoli, cereali, caramelle e fast food (Kunkel et al., 2004). D’altra parte, in Italia, si evidenzia come i prodotti appartenenti alla categoria dei “big five”, ovvero cereali per la colazione, dolci, snack salati, bibite e fast food, rappresentano il 67% del totale campionato (Bustreo, Micheletto & Russo, 2012).

Per una adeguata veicolazione del messaggio pubblicitario finalizzato alla persuasione, tuttavia l’esposizione non risulta sufficiente.

Il passaggio successivo è l’attenzione.

L’attenzione è quel processo attraverso il quale l’individuo limita gli stimoli per concentrarsi su quelli che ritiene di maggior valore (Kahnemann, 1973, qui citato in Vannoni, 2001). L’attenzione è fondamentalmente un processo selettivo di elaborazione

71

delle informazioni critiche che tende a economizzare e a semplificare il processo cognitivo di apprendimento (Puggelli, 2002) e nasce dal fatto che un individuo non può elaborare un numero troppo elevato di informazioni allo stesso tempo.

Per quanto riguarda il bambino, le caratteristiche di brevità e semplicità del messaggio pubblicitario, i contenuti e linguaggi semplici, i jingle, i volti sorridenti e le atmosfere piacevoli, sono dei mezzi estremamente efficaci per attirarne l’attenzione tanto da fargli spesso interrompere – anche solo per brevi periodi – le attività che sta svolgendo. Questo passaggio è più comune per i bambini della scuola materna che di solito fanno altre attività mentre guardano la televisione, ma si verifica anche con minori della scuola primaria. Elementi quali la musica, il ritmo, gli aspetti ludici, umoristici, paradossali, i personaggi sorridenti, simpatici e rassicuranti, il clima di serenità, amicizia e successo, gli effetti speciali sonori e visivi, il tipo di voce narrante (piace molto quella femminile) favoriscono particolarmente l’incremento di attenzione che il bambino dimostra per la pubblicità (Puggelli, 2002).

Questo tipo di attenzione è di tipo reattivo, mentre l’attenzione di tipo attivo è legata a filo doppio alla comprensione: è la comprensione stessa a richiedere e a orientare l’attenzione. Un interessante studio (Lorch, Anderson & Levin, 1979) ha analizzato i bambini di 5 anni che guardano dei programmi televisivi. I bambini – divisi in 2 gruppi, di cui uno aveva a disposizione dei giochi per distrarsi, e l’altro no – dimostrano lo stesso grado di comprensione del programma. Ciò ha permesso agli studiosi di asserire che i bambini sono in grado di mantenere l’attenzione necessaria finalizzata alla comprensione di ciò che stanno guardando, indipendentemente dall’attività che stanno svolgendo.

La comprensione è il processo attraverso cui vengono estratti significati di ordine superiore alle entità che si è conosciute. Nel 1977, Ward, Wackman e Wartella chiesero a 615 bambini tra i 5 e gli 11 anni che cosa fosse la pubblicità. Giunsero alla conclusione che esistevano 3 livelli di comprensione, in parte mediati dall’età del bambino la quale è positivamente correlata alla comprensione:

 la comprensione debole, che è il primo livello che corrisponde alla pura descrizione di ciò che viene mostrato e dove l’effetto, agli occhi del bambino, può diventare causa: lo spot serve per interrompere il film, per far riposare gli attori, per fare una sosta. Di questa categoria fanno parte bambini di 5-6 anni fino anche ai 7-8 anni;

72

 la comprensione media che fa riferimento alla pura nozione informativa sui prodotti;

 la comprensione forte, che avviene quando il bambino coglie l’intenzionalità persuasiva della pubblicità.

Gli stessi tre livelli di comprensione sono ripresi anche da Owen e colleghi (2007) che distinguono tra no understanding, limited understanding e sophisticated understanding. I tre livelli di comprensione e la relativa verbalizzazione mettono in evidenza come bambini di anche 10 anni a volta abbiano delle difficoltà ad esprimere le competenze acquisite.

Altri ricercatori (Chernin & Hornik, 2008) sostengono che l’età spartiacque va dai 7 agli 8 anni, in quanto i bambini di 7 anni e precedenti sembrano non comprendere la necessità persuasoria della pubblicità, mentre quelli di 8 anni – al pari di coloro che hanno 9, 10 o 11 anni – dimostrano di comprenderla perfettamente.

Si è dimostrato come spesso, inoltre, i bambini diano un valore prettamente informativo alla pubblicità. Questo è fuorviante perché viene così attribuita ad essa, indirettamente, una funzione più elevata, obiettiva, e soprattutto veritiera, di quella che le pertiene.

Abbiamo precedentemente sottolineato come la comprensione della pubblicità avvenga per step diversi. Si evidenziano così cinque aree di comprensione della pubblicità (Roedder John, 1999)

1. distinzione della pubblicità dai programmi (Vaccaro & Slanemyr, 1998); 2. comprensione dell’intento pubblicitario;

3. riconoscimento di giudizi e inganni della pubblicità;

4. utilizzo delle difese cognitive per contrastare il potere della pubblicità; 5. riconoscimento delle tattiche e strategie dei pubblicitari (Buijzen, 2007). Il processo di acquisizione del contenuto di un messaggio pubblicitario termina con la memoria che indica «una capacità diffusa a molti esseri viventi e non soltanto all’uomo di conservare un ricordo o una traccia delle trasformazioni che sono state indotte dalle stimolazioni esterne» (Quadrio & Puggelli, 2000).

La memorizzazione è elemento fondamentale nel processo di comunicazione pubblicitaria perché significa che il soggetto utilizzerà l’informazione ricevuta sotto forma di tracce mnestiche in momenti che sono temporalmente distanti dalla percezione ed

73

elaborazione dei contenuti. Secondo Metastasio (2007), esistono due tipi di memorizzazione: attiva e reattiva. La prima è mediata dall’attenzione e determinata dalla struttura del messaggio e dalle strategie attive di elaborazione del messaggio da parte del destinatario. La seconda pone maggiore enfasi alla forma, come il ritmo e la continuità dello spot.

I momenti di fissazione della memoria sono diversi: il primo momento porta all’acquisizione che si sedimenta grazie alla fissazione, dopodiché si parla di ritenzione

In letteratura si parla di tre agevolatori del ricordo nel bambino:

 l’età, con un incremento notevole della memorizzazione dagli 8 anni fino all’adolescenza;

 il grado di sviluppo del bambino: con l’età vengono segmentate le varie informazioni di programmi o pubblicità e suddivise in chunks o unità discrete che permettono ai bambini più piccoli di agevolare il ricordo;

 le caratteristiche di salienza percettiva dello stimolo, ad esempio gli effetti sonori che sono in grado di attivare e favorire la comprensione, e migliorare il ricordo.

Inoltre c’è da sottolineare che la ripetizione è un elemento importante che lavora sul ricordo, in particolare, per quanto riguarda i bambini, in quanto va a colpire la loro esigenza di abitudinarietà, il desiderio di ritrovare le stesse cose e di condividere con i pari le stesse canzoncine e jingle.