Negli Usa, James McNeal (2007) continua a lavorare sulla Socializzazione ai consumi e la critica nel suo considerare l’insieme delle influenze sociali, famiglia, pari, scuola, mass media come principale fonte di apprendimento dei consumi. Senza volersi staccare dalla consumer socialization, l’autore cerca di mettere in luce i limiti di questo costrutto, elaborando delle soluzioni integrative e inaugurando un nuovo filone chiamato Consumer Development. La rielaborazione di McNeal porta a prendere in considerazione l’aspetto ambientale – inteso come gli stimoli di marketing e comunicazione, i prodotti e il packaging, prezzi, punti vendita ecc. – come estremamente importante per il bambino per comprendere
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e apprendere in autonomia le dinamiche di consumo (Ironico, 2010) e spiega come il comportamento del minore risponda alla formula
B=f(E,P)
che indica come il behaviour (B) sia una funzione dell’ambiente (environment, E) e delle tracce mentali che esso produce su di una persona (P). L’ambiente porta quindi dei cambiamenti alla persona. Infatti egli definisce il Consumer Development come «the changes in an individual’s level of functioning in the consumer role that result from the enduring changes in thinking behaviour» (McNeal, 2007). Dove i cambiamenti persistenti potrebbero essere il risultato della socializzazione.
Oltre a McNeal, altri studiosi non si trovano completamente d’accordo con la consumer socialization. Nello specifico alcuni sostengono che questo tipo di processo non considera in modo completo la lotta del bambino per comprendere l’ambiente fisico e sociale che lo circonda e che lo porta ad agire un comportamento di consumo meno spontaneo e più attivo fatto di gusti, di preferenze, di informazioni e di divertimento (Valkenburg & Cantor, 2001). Inoltre, la maggior parte delle elaborazioni è trattata da degli esperti di marketing il cui obiettivo è ovviamente rendere il marketing sempre più efficace. In effetti per chi lavora in questo ambito, un processo di socializzazione è quel processo che permette al minore di iniziare a muoversi in ambito di consumo, acquisire competenze e comportamenti, instaurare relazioni con i prodotti. La socializzazione ai consumi non è però comprensione profonda del significato di consumo, non è atteggiamento critico nei confronti di un tipo di consumo, non è decodifica del ruolo della pubblicità e del marketing sui processi decisionali del bambino e quindi atteggiamento scettico nei confronti della pubblicità stessa. Anche quando si riscontra una relazione positiva tra la socializzazione negli adolescenti e lo scetticismo (Mangleburg & Bristol, 1998) sembra che esso sia da intendersi più come passo necessario attraverso il quale il minore dovrebbe acquisire una maggiore competenza a proposito dei vari prodotti per scegliere meglio tra di loro e non meta-cognizione del ruolo della pubblicità e del marketing nella sua vita. Lo stesso Cook (2008) critica il paradigma della socializzazione ai consumi sottolineando come essa sembri vedere una singola traiettoria lungo la quale il bambino diventi consumatore e entri nel mondo dei consumi da una posto al di fuori di esso e dissentendo sull’idea che ci sia un
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termine conosciuto a questo processo di sviluppo del bambino consumatore e che questo termine sia la competenza adulta.
Un assai noto studio di Valkenburg e Cantor (2001) propone un modello descrittivo e alternativo dello sviluppo del consumer behaviour di un bambino dall’infanzia all’età di 12 anni. Esso si basa su di un framework teorico costituito dalle teorie dello sviluppo cognitivo di Flavell, dalle teorie dello sviluppo dell’interazione parentale di Kuczinski e Kochanscka, dai modelli di marketing di Acuff (1997) e McNeal (1992), oltre a quelli sulla «basic assumption that children of all ages strive to understand their physical and social environment» (Valkenburg & Cantor, 2001). Inoltre, gli autori affermano che è il loro livello di comprensione a determinare il comportamento di consumo.
Pur non negando il processo di socializzazione ai consumi, le ricercatrici sostengono che la consumer behaviour evolve secondo dei precisi steps, che sono:
1. sentire desideri ed avere preferenze (0-2 anni), in cui il bambino inizia a sviluppare desideri e preferenze dal punto di vista uditivo (linguaggio materno musica) gustativo e olfattivo (gusti dolci e profumi), visivo (colori e contrasti), i primi contatti con il mondo dei consumi avvengono sostanzialmente quando sono capaci di sedere eretti intorno agli otto mesi e di conseguenza vengono posti seduti nei carrelli del supermercato; intorno ai due anni poi iniziano a collegare i prodotti che vedono nelle pubblicità televisive con quelli che inquadrano al supermercato: il riconoscimento dei prodotti va poi incrementando con il tempo e giungere ad essere generalizzato intorno ai 5 anni; a questa età non sono tanto consumatori veri ma semplicemente figli di consumatori effettivi;
2. cercare di soddisfare i desideri e le preferenze (2-5 anni), è di questo periodo la difficoltà nel percepire la differenza tra realtà e fantasia, quindi la televisione; la stessa pubblicità contiene delle informazioni che i bambini ritengono reali e veritiere tanto far considerare la pubblicità vista al di sotto degli otto anni come di massimo impatto sui bambini; uno dei principali aspetti che influisce sulla consumer behaviour è la centrazione, cioè la tendenza a centrare l’attenzione su di una caratteristica individuale e impressionante di un oggetto ed escludere le altre; strettamente legato alla centrazione c’è la difficoltà dopo esser stati colpiti da una caratteristica nel resistere alla tentazione i bambini al di sotto dei 5 anni non riescono ad accettare il ritardo nella gratificazione e questo provoca il problema del conflitto genitore-figlio;
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3. compiere una scelta e acquistare (5-8 anni), in cui il minore continua ad esibire la caratteristica della centrazione anche se in diminuzione, iniziano a considerare il reale e non reale e subiscono una serie importante di cambiamenti quali incremento nei tempi di attenzione, lo sviluppo del gioco immaginativo agli apici, preferenza per giochi più veloci, maggiore responsività a informazioni e divertimento;
4. valutare il prodotto e le sue alternative (8-12), le opinioni dei pari tendono ad essere di un certo rilievo e al tempo stesso l’attenzione del bambino per il dettagli e la qualità è in rapido incremento come incrementa la loro abilità a valutare criticamente un prodotto e a comparare prodotti e informazioni; sviluppano un interesse per il reale e diventano molto critici del divertimento o di quanto manca di realismo; l’egocentrismo è in rapida diminuzione e questo permette loro di apprezzare i numerosi dettagli degli oggetti; l’attenzione per il dettaglio si manifesta a volte anche nella preferenza per collezionare oggetti, inteso però in termini di accumulare più che collezionare; cresce l’abilità nel riconoscere e interpretare le emozioni degli altri e nel rendersi conto di poter provare più di una emozione allo stesso tempo; le persone intorno a loro iniziano ad assumere importanza e in particolare i pari le cui interazioni diventano sempre più sofisticate verso la fine del periodo della primaria; l’interesse per la pubblicità diminuisce anche se incrementa la loro fedeltà a certi marchi.
A 12 anni i bambini, pur se le loro conoscenze di consumo sono destinate a crescere, hanno già acquisito in maniera rudimentale tutti i concetti base della consumer behaviour.
Le autrici della ricerca sottolineano il fatto che oggi abbiamo dei bambini i cui processi decisionali e le informazioni sono estremamente più sofisticate e quindi la teoria relativa alla socializzazione deve in qualche modo aggiornarsi e considerare tutti questi cambiamenti. Inoltre le pressioni sui minori sono diventate notevolissime.
Loro partono da due assunti fondamentali: che il minore è un esploratore attivo e motivato di ciò che incontra nei media e che ogni effetto dei media è enfatizzato incanalato e mitigato da ciò che il minore fa di un certo messaggio. Per comprendere gli effetti dei media sui bambini diventa quindi cruciale comprendere gli antecedenti dell’esposizione ai media. Quindi la ricerca futura dovrebbe proprio occuparsi di legare le agenzie di socializzazione ai fattori dei minori e considerare varie altre tematiche come il consumismo dei genitori.
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Se pensiamo ai minori questo processo di socializzazione che principalmente li riguarda ha un limite: la mancanza di consapevolezza con la quale essi lo vivono. Gunnar Mau (2009) sottolinea che è proprio il gap tra le proposte del mercato e la consapevolezza da parte dei minori che ha portato a porsi delle domande relative a quanto effettivamente debba il minore essere protetto da ciò che gli succede e che introduce il tema del vulnerable child, in contrapposizione, come diciamo qui, dell’empowered child.
Ciò che risulta tuttavia fondamentale sottolineare è come in ultima analisi il minore vive un processo di apprendimento che porta all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze che lo rendono consumatore, un processo graduale, spontaneo e raramente intenzionale che fa di lui un individuo abile nel valutare, fare scelte, discriminare formarsi atteggiamenti ed agire comportamenti nel mondo dei consumi. Ciò che come abbiamo più volte sottolineato manca è l’abilità di comprendersi in quanto consumatore.