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Come si è visto, la ricerca accademica sul bambino ha lavorato molto per comprendere il processo di crescita e sviluppo del bambino. Tale sviluppo ha coinvolto più ambiti quali l’aspetto cognitivo, quello emotivo e quello sociale.

Dal punto di vista cognitivo il lavoro di Jean Piaget con la teoria dell’epistemologia genetica anche se non completamente esule da critiche è un importante punto di riferimento. Secondo Piaget la conoscenza è un processo in cui si instaura una relazione tra conoscente e conosciuto (Legrenzi, 1980) e lo sviluppo intellettuale che lui ritiene avvenire per stadi è un processo continuo e un fenomeno discontinuo al tempo stesso in cui si verificano modificazioni qualitative tra gli stadi di sviluppo più primitivi e quelli più evoluti (Camaioni, 2000). Gli stadi sono connessi secondo 3 principi:

 l’integrazione gerarchica tra stadi: in cui le acquisizioni di uno stadio non vanno perse con lo stadio successivo ma integrate;

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 l’universalità: la sequenza è uguale per tutti gli individui.

Il passaggio da uno stadio all’altro avviene in virtù della maturazione del sistema nervoso, l’esperienza acquisita (anche esperienza logico-matematica), l’interazione sociale che ha come strumento principale il linguaggio. E, soprattutto, il fattore d’equilibrio che porta all’equilibrio tra assimilazione e adattamento e tra perturbazioni esterne e attività del soggetto in cui il ruolo del bambino è attivo nello sviluppo della conoscenza e la conoscenza avviene quindi attraverso tre processi fondamentali:

 l’assimilazione, processo attivo nel quale un evento viene incorporato in uno schema preesistente;

 l’accomodamento, come cambiamento dello schema preesistente grazie alle nuove informazioni ricevute;

 l’equilibrazione, in cui il bambino cerca un equilibrio tra i suoi schemi preesistenti e quelli appena acquisiti (Piaget, 1964).

Gli stadi di cui Piaget (1969) parla sono quattro, ai quali accosta le età di riferimento, anche se i confini non sono necessariamente fissi:

 lo stadio senso-motorio, da 0 a 2 anni, in cui i sensi e le capacità motorie sono utilizzate dal bambino per scoprire il mondo e, partendo dai riflessi, egli impara a coordinare i movimenti a intuire l’esistenza degli oggetti aldilà della presenza e pone le basi per le rappresentazioni mentale;

 lo stadio pre-operatorio, dai 2 ai 6 anni, in cui inizia a sviluppare il pensiero pre-simbolico quindi il linguaggio tende in questo periodo ad affinarsi, l’egocentrismo che agli inizi è massimo inizia a lasciare lo spazio ad altri punti di vista, e si sviluppa l’immaginazione. Con l’aiuto delle operazioni concrete matura una nuova comprensione della realtà;

 lo stadio operatorio concreto da 7 a 12 anni, in cui il bambino inizia ad astrarre i concetti e a usare operazioni logiche;

 lo stadio operatorio formale, oltre i 12 anni, quello dell’adolescente che affina la sua capacità di astrazione e si verificano forti interessi per etica politica e problemi sociali. (Piaget, 1964).

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Lo sviluppo emotivo è uno degli aspetti fondamentali che influenza e modifica il processo di crescita del bambino. L’emozione è «una complessa catena di eventi che incomincia con la percezione di uno stimolo, e finisce con una interazione tra l’organismo e lo stimolo cha ha dato avvio alla catena di eventi. Le maggiori componenti della catena sono la valutazione cognitiva dello stimolo, una esperienza soggettiva o sentimento, una eccitazione fisiologica, un impulso all’azione e un comportamento manifesto» (Plutchik, 1983 in Berti & Bombi, 1985). Per quanto riguarda i bambini una delle cose che maggiormente sembra stupire è il fatto che le emozioni siano riconosciute molto presto. Esse influenzano le attività cognitive del bambino. Si distinguono in emozioni fondamentali come gioia, tristezza, rabbia, paura e interesse e sono soggette a cambiamento sulla base dello sviluppo cognitivo di un bambino ma anche dello sviluppo sociale. Le emozioni sono dagli psicologi interpretate come affect e possono essere intese come positive affect o negative affect, che poi vedremo avere un ruolo importante nella formazione della felicità di un individuo.

Gli studi recenti di Goleman (1999) hanno messo in luce interessanti questioni sulla percezione, uso, comprensione, e gestione delle emozioni che secondo la teoria dell’intelligenza emotiva dovrebbero essere alla base della realizzazione degli scopi nella vita di un individuo.

Per quanto riguarda lo sviluppo sociale, Bowlby stesso (1982) mette in evidenza come la socializzazione sia un bisogno primario del bambino. Socializzazione è un termine che ha subito una profonda evoluzione nel tempo (Moschis, 1987). Nei suoi primi utilizzi era considerato come semplicemente e meccanicamente «making one fit for living in society». Solo più tardi si trovano definizioni diverse, come quella di Clausen (1968) che lo indica come «lo sviluppo di valori, atteggiamenti, e comportamenti socialmente funzionali o disfunzionali».

La sostanza è che questo termine è stato studiato e ha fatto parte di molti processi teorici in diverse aree di studio. Tra queste, distinguiamo principalmente l’approccio sociologico, che è stato il primo ad interessarsi allo sviluppo del Self all’interno del processo di interazione sociale riconoscendo l’importanza dei gruppi per lo sviluppo della personalità.

Il concetto di socializzazione poi evolve andando a fissare l’attenzione su concetti principalmente di learning e considerando che gli apprendimenti non avvengono solo nei bambini ma durante tutto l’arco della vita (Moschis, 1987).

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L’interesse degli psicologi (Parsons, 1974) per questo termine nacque quindi più tardi, attraverso l’interesse per la Child Psychology e facendo principalmente riferimento al meccanismo di apprendimento, in cui l’attenzione era volta all’analisi stimolo-risposta, all’analisi funzionale e alle Social Learning Theories. Parsons sosteneva che il bambino fosse originariamente una minaccia per la società, come un ‘sasso’ lanciato nello stagno sociale, finché non fosse socializzato e integrato nelle regole della società stessa.

Infine, anche i ricercatori nei campi della comunicazione hanno dato il proprio contributo trattando prima di temi come la Public Opinion e l’influenza e focalizzando sugli effetti degli altri significativi cambiamenti individuali di conoscenza e comportamenti, ed evolvendo verso lo specifico del processo comunicativo e del tipo di apprendimento che attraverso la socializzazione si verificherebbe (Blumer, 2008).

Ward analizza estesamente il termine in questione e riprende una definizione di Ziegler & Irvin (1969) specificando come la socializzazione sia un termine a largo respiro che indichi l’intero processo attraverso il quale un individuo sviluppi attraverso delle transazioni con altre persone le sue specifiche caratteristiche di esperienze e comportamenti socialmente rilevanti (Ward, 1974). Hess & Thorney (1967) lo trattano in maniera più circostanziata come il processo attraverso il quale gli individui acquisiscono conoscenze abilità e disposizioni che permettono ai soggetti di partecipare come membri più o meno effettivi dei gruppi e delle società. Il concetto di socializzazione a volte si riferisce anche alla questione dell’apprendimento dei ruoli sociali e ai comportamenti associati a tali ruoli.

È interessante la distinzione tra ‘socializzazione’ e ‘socializzazione anticipatoria’ trattata nello specifico da Hess & Thorney (1967) e che si riferisce ad apprendimenti di tipo implicito e spesso inconsapevoli di ruoli che il minore per vari motivi non può assumere al momento ma che assumerà in futuro.

Aggiungere tema della socializzazione e superamento della stessa ad opera di Corsaro con riferimento alla routine interpretativa pagg. 44 e tutto il primo capitolo.