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L’ ETIMOLOGIA DEL SACRO ( HOLY ): INDIVIDUAZIONE DELLE “ COSTANTI DI SIGNIFICATO ”

I L SINTAGMA SACRO (holy) TOTALITÀ (whole) SALVEZZA (heal): UN CONTRIBUTO

3. L’ ETIMOLOGIA DEL SACRO ( HOLY ): INDIVIDUAZIONE DELLE “ COSTANTI DI SIGNIFICATO ”

Il termine “sacro” presenta una situazione linguistica originale: non sembra esserci infatti un termine specifico comune in indoeuropeo, anzi esiste un vocabolario molto ricco e diversificato, ma molte lingue presentano per questo concetto una duplice designazione. Lo studio più approfondito sull’argomento è nel Vocabolario

delle istituzioni indoeuropee di Émile Benveniste: “la ricerca [riguardo la designazione

del sacro], chiarendo le connotazioni dei termini storici, tende a precisare la struttura di una nozione la cui espressione sembra esigere non uno, ma due segni. Lo studio di ognuna delle coppie attestate ci spinge ad ammettere nella preistoria una nozione di segno duplice: positivo - ciò che è carico di presenza divina - e negativo - ciò che è proibito al contatto con gli uomini”300

.

Non è difficile rintracciare in questo il duplice aspetto del sacro presentato da Otto, il fascinans e il tremendum: il carattere di ambiguità del sacro è qualcosa che è apparso chiaramente già da molto tempo. Si tratterà ora di vedere come le lingue possano indicare un’ermeneutica di questa ambiguità, nei termini della sensibilità umana che l’ha percepita.

inventa il suo mondo, è autopoietico. Cf. anche D. HARVEY, The Condition of Postmodernity (Oxford: Blackwell, 1990).

298 S. P

INKER, L'istinto del linguaggio. Come la mente crea il linguaggio (Milano: Mondadori, 1998), 11.

299 Cf. l’ermeneutica di Davidson in K. S

CHILBRACK, "The Study of Religious Belief after Donald Davidson," Method and Theory in the Study of Religion 14, no. 3/4 (2002): 341.

300 B

Il latino (e quindi poi l’italiano e molte delle lingue neo-latine) possiede i due termini sacer e sanctus. Senza inoltrarci nello specifico della storia complessa di questi due vocaboli301

, è da notare però che entrambi risalgono da una medesima radice indoeuropea sak-302, a significare una separazione303: ciò che è investito della

potenza divina è protetto, reso inviolabile, distinto in maniera invalicabile dal

profanus. Quest’ultimo termine sottolinea la connotazione spaziale di questa

separazione: pro-fanus è letteralmente tutto ciò che è “fuori o davanti al recinto del tempio”.

Sacer e sanctus sono i termini che nella Vulgata traducono hieros e hagios

della Settanta. In greco, a differenza del latino, manca il riferimento linguistico ad una separazione strettamente spaziale, ma in hieros è presente in modo più esplicito un concetto di “forza”, di potenza divina304

, e in hagios quello di “purezza rituale”, come

301 Sulla distinzione fra sacer e sanctus ci sono pareri discordanti: secondo Colpe infatti sanctus

è ciò che è direttamente riferito a Dio, mentre sacer sarebbe usato per denotare la qualità risultante dalla “consacrazione” di qualcosa/qualcuno a Dio: cf. C. COLPE, "Sacro e profano," in Enciclopedia delle

religioni, ed. MIRCEA ELIADE (Milano: Jaca Book-Marzorati, 1993), 494; secondo Benveniste, invece,

sacer sarebbe uno stato naturale di qualcosa, laddove sanctus è il risultato di un’operazione rituale, ciò

che sta “alla periferia del sacer per isolarlo da ogni contatto”: chiama il primo il “sacro implicito”, che ha un valore proprio, misterioso, il seconodo “il sacro esplicito” che è frutto di un interdizione degli uomini (cf. BENVENISTE, Il vocabolario, 428).

302 Cf. W. G. O

XTOBY, "Idea del Sacro," in Enciclopedia delle Religioni, ed. MIRCEA ELIADE

(Milano: Jaca Book, 1995), 461.

303 Sacer è un derivato in –ro dalla radice sak, e sanctus è propriamente il participio del verbo sancio (sancire, rendere inviolabile, o come suggerisce Benveniste, “rendere qualcosa inviolabile

mettendola sotto la protezione degli dei), che deriva dalla stessa radice per mezzo di un suffisso nasale. Cf. Ibid., 465; cf. anche BENVENISTE, Il vocabolario, 426-8. Ries interpreta diversamente: per lui sak- da cui deriva “sancire” significa originariamente “conferire validità, realtà, far sì che qualche cosa esista e diventi reale”. In questo senso per Ries il sacro è a fondamento del reale e tocca la struttura fondamentale degli esseri e delle cose. Cf. J. RIES, "I riti di salute/salvezza nelle religioni del passato. Interferenze storico-religiose tra salute e salvezza," in Liturgia e terapia. La sacramentalità a servizio

dell'uomo nella sua interezza, ed. ALDO NATALE TERRIN (Padova: Edizioni Messaggero, 1994), 37.

304 Nella lingua epica, in particolare in Omero, questa stessa parola è usata in contesti differenti

per indicare il “sacro”, il “forte”, il “vivo”. Ma, dice Benveniste, “oggi si riconosce che questa divisione è artificiale: tutti si accordano sull’unità del senso” (BENVENISTE, Il vocabolario, 431).

se la lingua svelasse una “parentela profonda del sacro, del puro, del morale”305

: entrambe le nozioni di forza straordinaria e di purezza rimandano comunque ad una necessità di separatezza306

, dovuta in un caso al contenimento di quella forza, nell’altro al mantenimento di quella purezza. A conferma di questo esiste anche il termine

hagnos derivato dalla stessa radice hag- di hagios, il quale è un utlizzato sempre in

ambito rituale, e che sembra collegato a hazesthai col significato di “evitare per paura, temere, venerare”307

.

Non è a caso, allora, che il termine ebraico originale che la Settanta ha tradotto con hieros/hagios sia qadoš, che deriva forse da una radice qdš- non proto-ebraica ma cananea308

: questo termine, anche se la sua etimologia rimane incerta, potrebbe significare “separare”. Qdš- esprime la caratteristica fondamentale di tutto ciò che ha attinenza al culto, ed è infatti strettamente connesso a thr, “purezza”309

. Dalla stessa radice infatti abbiamo il babilonese qudduš: “purificato”, o “reso perfetto”310

. Quando

qadoš viene riferito a Dio, l’elemento cultuale di questo termine viene meno: in questo

caso il significato del termine è “divino” e diventa un attributo costante di Jahvé e del suo santo nome, protetto, come ben si sa dalla legge ebraica, da qualunque tipo di

305 L. M

OULINIER, Le pur et l'impur dans la pensée et la sensibilité des Grecs jusqu'à la fin du

IV siècle avant J.-C. (Paris: Klincksieck, 1952), 296.

306 Vernant, nel suo studio approfondito sul puro e l’impuro nell’ambito greco, fa notare che

non è solo la “purezza” ad essere associata al sacro, ma anche l’impurità, quando quest’ultima è tale da diventare temibile, ossia da minacciare il profano. “L’impurità, per quanto inseparabile dalle realtà materiali, ha tuttavia un’esistenza soprannaturale”, dice, e quindi secondo lui accanto a un sacro essenzialmente puro, c’è un sacro radicalmente impuro. Anche in questo caso, comunque, sebbene sia a ragione della sua impurità, il sacro necessita di essere distanziato e protetto da una prossimità eccessiva col “profano”. Puro e impuro, in questo senso, finiscono per confondersi sotto l’insegna di ciò che è “temibile”, e che per tanto è posto sotto interdizione. Questo concetto verrà chiarito e ripreso più avanti. Cf. J.-P. VERNANT, Mito e Società nell'antica Grecia (Torino: Einaudi, 1981), 120-31.

307 Cf. C

OLPE, "Sacro e profano," 495.

308 Cf. O. P

ROCKSCH, "Hagios," in Grande Lessico del Nuovo Testamento, ed. GERHARD

KITTEL and GERHARD FRIEDRICH (Brescia: Paideia, 1965), 237-8.

309 Secondo Colpe, infatti, lo stesso termine qadoš deriverebbe dalla radice qdsh- come per

l’accadico qadashu, “diventare puro”. Cf. COLPE, "Sacro e profano," 495.

“profanazione”. La parola “Elohim”, poi, viene da una radice ’alàh che significa la “forza”311

.

Anche qui, dunque, la lingua riporta alle idee di purezza e di forza da cui deriva la necessità di una separazione cultuale, spaziale, concettuale, e quasi alla percezione di un confine invalicabile: è “l’eterogeneità assoluta” fra sacro e profano di cui parlava Durkheim. “Per separare queste due specie di cose”, diceva il grande sociologo, “è sembrato talvolta sufficiente localizzarle in regioni diverse dell’universo fisico: altre volte le une sono relegate in un mondo ideale e trascendente, mentre il mondo materiale è abbandonato alle altre in dominio assoluto; ma, se le forme del contrasto variano, il fatto stesso del contrasto è universale”312

. Proseguendo con la nostra analisi tenteremo di chiarire man mano la “natura” di quel confine, le sue ragioni, e le sue implicazioni in merito alla connessione fra sacro, totalità e salute- salvezza.

Vediamo ora brevemente il versante più orientale.

Il greco hieros, foneticamente hiarós (eolico), corrisponde al vedico ishirah, che pur avendo varie traduzioni, si ricollega sempre alla nozione di vigore, forza, vivacità: è probabilmente un aggettivo derivato di ishayati, “egli rende vivo, forte”313

, e quindi siamo di nuovo intorno ad un concetto di potenza divina, di ciò che è robusto, perfino impetuoso. Collegato al greco hagios sarebbe invece il sanscrito yaj- (sacrificare) e anche l’avestico-iranico yaz-, che contengono insieme la nozione di santità e di timore/reverenza; il termine si riferisce in particolare alla perfezione fisica o materiale in ambito rituale, quindi all’integrità nel contesto del culto314

.

Anche nella lingua iranica antica esistono due termini principali per designare il sacro: oltre a yaz- c’è spenta-, che nei testi religiosi viene tradotto dal latino sanctus, e che è un termine di grandissima importanza nel vocabolario dell’Avesta. L’essere o l’oggetto spenta- è dotato di una forza incommensurabile e sovrannaturale, ha potere

311 Cf. F. H

EILER, Le religioni dell'umanità. Volume di introduzione generale, Storia delle

religioni (Milano: Jaca Book, 1985), 39-40. 312 E. D

URKHEIM, Le forme elementari della vita religiosa (Milano: Edizioni di Comunità, 1982), 41.

313 Cf. B

ENVENISTE, Il vocabolario, 430-1. Cf. anche COLPE, "Sacro e profano," 497.

314 Da yaz- o yaoz- c’è poi il derivato yaozda-, con l’aggiunta di un suffisso da- che significa

“far fruttare” indicando quindi nuovamente, anche in questo termine della lingua iranica, il concetto di una forza creativa e feconda. Cf. BENVENISTE, Il vocabolario, 368.

di autorità ed efficacia, di esuberanza e potere creativo, ma nello specifico del linguaggio religioso indica insieme potenza e santità315

. Lo sfondo culturale sembra essere quello della natura, dove la fecondità e la forza della terra assume nella sensibilità antica le connotazioni del sacro.

Il termine corrispondente nelle lingue slave (antico slavo svetu, lituano ƛventas che è associato all’antico prussiano swints, russo svjatój, polacco shvieti) che è usato in contesti cristiani per rendere sacer, ha lo stesso significato originario, cioè “dotato di poteri soprannaturali”316

, a partire da una radice che significa efficace, integro: in indoiranico, infatti, il senso evolve da un’idea di pienezza ad un’idea di forza317

. Questo insieme di parole potrebbe essere riconducibile, secondo Antonen, al verbo sanscrito su-, sva-, “crescere, essere ricolmo”, e dice: “tutte queste parole denotano l’idea di separazione, ma allo stesso tempo quella dell’essere ripieni di potere abbondante e sovrannaturale”318

.

La catena semantica che si può ricostruire fin d’ora, dunque, è composta dall’idea di forza, di pienezza, di integrità e purezza; ma il tratto più ricorrente e irrinunciabile sembra essere in ogni caso la necessità di una separatezza associata al sacro.

A questo punto, spostandoci nel contesto delle lingue germaniche, vedremo tutti questi temi ricomporsi assieme secondo una traiettoria chiara: da qui si giunge ad individuare quella che forse è stata un’intuizione di base comune, come una sorta di matrice di fondo nel concetto di sacro.

315 Cf. Ibid., 420-3, C

OLPE, "Sacro e profano," 496.

316 Cf. C

OLPE, "Sacro e profano," 496.

317 Cf. B

ENVENISTE, Il vocabolario, 422.

318 Cf. V. A

NTONEN, "Rethinking the Sacred: The Notions of "Human Body" and "Territory" in Conceptualizing Religion," in The Sacred and its Scholars. Comparative Metodologies for the Study of

Primary Religious Data, ed. EDWARD A. YONAN THOMAS A. IDINOPULOS, Studies in the History of

Religions (Numen Book series) (Leiden: Brill, 1996), 45: “nouns and adjectives in Indo-Iranian, Slavic,

Baltic and Greek which mean ‘power’, ‘strenght’, ‘sovereingty’ and ‘fullness’ and which imply the motif of ‘swelling’, ‘growth’ and ‘being pregnant’ belong to one and the same family of wards which have their origin in the Vedic verb su-, sva- ‘to swell, to grow’. (…) They all denote the idea of separation, but at the same time ‘being swallen with abundant and supernatural power’”.

L’antico slavo svetu corrisponde al termine gotico weihs, che traduce il greco

hágios, e da cui derivano i verbi weihan/weihnan (consacrare ed essere consacrato)319

; originariamente però weihs significava “intero, intatto, senza debolezza dal punto di vista fisico e psichico”320. Corrispettivamente l’avestico spenta-, che abbiamo visto

essere legato etimologicamente allo slavo svetu, equivale al germanico heilwirkend, che significa “ciò che produce benessere e prosperità”, da un tema heil che indica ciò che è “intero, solido, intatto”, ma anche “salvezza, sanità, integrità fisica e corporale”.

Heil diede origine al runico hailag (dotato da un Dio di buona fortuna, o

consacrato321

), al gotico hails (sano), al tedesco heilig (sacro), allo svedese helig, all’olandese heilig322

e all’inglese moderno holy (sacro/santo)323

. In antico islandese si trova heil (presagio favorevole, di buon auspicio), e in antico inglese hael (presagio favorevole, felicità), che come aggettivo (l’islandese heilagr corrispondente appunto al runico hailag) significa di nuovo “santo”. Anche il concetto di “separatezza”, che sembra più evidente in altri ambiti linguistici, è presente a sua volta in ambito germanico, se si accetta la teoria di Antonen secondo cui la radice helig sarebbe sinonimo dello svedese vigd, un termine che designa il sacro e che rimanda ad una radice vik- che significa appunto “separare” (da cui anche per esempio i verbi sanscriti

vinakti o vivekti, “separare”, o il latino victima, “animale sacrificale”)324

.

Ora, questo termine gotico hails, che significava originarmente “sano-integro”, e che come abbiamo detto si è sviluppato in “santo”, sembra essere quello che nel corso della storia ha sostituito il primitivo weihs (poi whole), “interezza-totalità”:

weihs e heils (che può svilupparsi in hailigs) sarebbero quindi etimologicamente

intercambiabili325

.

Sul concetto di sacro convergono quindi l’idea di totalità-interezza (con weihs) e quella di salute-integrità-prosperità (con heil), essendo che entrambi questi termini hanno finito col designare il sacro all’interno dello stesso contesto linguistico, non in maniera complementare ma “intercambiabile”. A questo punto appare cioè, in modo 319 Cf. B ENVENISTE, Il vocabolario, 423. 320 Cf. H EILER, Le religioni, 514. 321 Cf. C

OLPE, "Sacro e profano," 497.

322 Cf. Ibid., 498. 323 Cf. B

ENVENISTE, Il vocabolario, 424.

324 Cf. A

NTONEN, "Rethinking the Sacred," 44.

325 Cf. C

molto significativo, che le nozioni oggi distinte di interezza, salute e sacralità

“intrattengano in data antica la relazione più stretta”326

, come dice anche Benveniste.

Riassumendo ciò che è emerso da questa panoramica, possiamo dire che esistono alcuni tratti comuni fondamentali fra i significati contenuti nelle parole che dicono il sacro: abbiamo visto inizialmente che le lingue indoeuropee presentano una duplice designazione, il che indica l’ambiguità del sacro; si è poi constatato che il sacro viene associato nella maggioranza dei casi al concetto di separatezza, il che appare facilmente come un concetto complementare al primo, se si suppone che l’ambiguità caratteristica del sacro ne riveli i tratti “pericolosi”. In fine, fra le associazioni più ricorrenti abbiamo riscontrato esserci quella fra sacro e totalità-

integrità, con particolare evidenza nell’ambito delle lingue germaniche: le parole che

denotano il sacro presentano spesso come sottofondo semantico questo concetto, vuoi nel suo significato di ciò che è “onnicomprensivo”, vuoi in quello di ciò che è “illeso”, “puro”, o “sano”.

Ora, questo ultimo concetto potrebbe essere la chiave per la comprensione a livello storico-religioso della triade w-h-h, quindi poi per un approfondimento ulteriore rispetto all’esoterismo. Dobbiamo quindi provare a riflettere ancora sulla validità effettiva del legame fra sacro e totalità, fra holy e whole (da cui poi il heal emerge quasi come corollario) non solo da un punto di vista etimologico, chiarendo prima lo sfondo di comprensione su cui si sta lavorando.

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