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1 “Q UANDO VORRAI SOLTANTO L ’ AMORE NON VEDRAI ALTRO ”: LA RINUNCIA AL GIUDIZIO

L A SANTITÀ : INTEREZZA CHE GUARISCE

1 “Q UANDO VORRAI SOLTANTO L ’ AMORE NON VEDRAI ALTRO ”: LA RINUNCIA AL GIUDIZIO

Nei primi due capitoli abbiamo analizzato l’impostazione metafisica che sta alla base di ACIM, e si è visto come tutto il processo di separazione e guarigione riguardi solo la mente. Risulta chiaro a questo punto che è la percezione il luogo della malattia della mente, e che dunque è la percezione stessa il luogo della sua guarigione: “guarire è correggere la percezione” (T-7.II.2:1), dice il testo esplicitamente. Si tratta ora di mettere in rilievo il ruolo specifico della “santità”, del holy, in tutti i passaggi che portano alla guarigione della percezione, quindi all’unità, all’interezza della mente. In breve, la santità è lo stato della mente guarita, ma è la santità stessa a guarire la mente (dove “Uno-totalità” e “santità” sono sempre sinonimi).

Tutto il discorso di ACIM è impostato sulla base di coppie di opposti, come abbiamo già osservato, e questo consente di comprenderne il linguaggio e seguirne la logica: dall’Uno alla separazione, e poi dalla colpa all’espiazione, dall’illusione alla verità, dalla paura all’amore, dallo scopo separato allo scopo comune. La scelta di uno “scopo comune” si chiarisce ora ulteriormente allo stesso modo, poiché rappresenta l’interpretazione stabile contro la molteplicità di interpretazioni: scegliere di percepire uno scopo comune significa scegliere di attribuire un unico significato a tutto ciò che si vede.

Solo uno scopo costante può conferire agli eventi un significato stabile. Ma deve accordare un solo significato a tutti quanti. Se vengono attribuiti loro significati diversi, deve derivarne che non riflettono che scopi diversi.

Scopo e significato qui sembrano sinonimi, nel senso che indicano l’intenzionalità della mente che percepisce:

Ciò che non ha significato non può essere percepito. E il significato si rivolge sempre all’interno per trovare se stesso, e poi guarda fuori. Ogni significato che dai al mondo esterno deve perciò riflettere l’immagine che hai visto dentro, o meglio, se hai veramente visto qualcosa o hai semplicemente giudicato contro qualcosa.

(T-20.VIII.10:1-3)

L’alternativa quindi non è fra più significati differenti, ma fra significato e giudizio, cioè se non si percepisce il significato di qualcosa significa che il giudizio che è sorto nella mente riguardo quella cosa ha impedito di vederne la vera natura: “il significato è perso per te proprio perché stai giudicando” (T-3.VI.3:3). Non a caso il Corso afferma che “il significato stesso è di Dio” (T-8.IX.9:4), e che “c’è un solo significato, il quale proviene da Dio ed è Dio” (T-7.II.7:4); o ancora: “il tuo significato non può essere in disaccordo col Suo, poiché … proviene dal Suo ed è come il Suo” (T-7.V.6:13). In altre parole, il giudizio impedisce di vedere Dio, la santità. Vedere il significato, al contrario, equivale già di per sé ad un movimento verso “l’Uno”, in quanto il significato stesso è unico, e proprio per questo non lascia possibilità di giudizio:

Sfuggire al giudizio sta semplicemente in questo: ogni cosa non ha che uno scopo, che tu condividi con tutto il mondo. E niente al mondo vi si può opporre, perché appartiene ad ogni cosa, così come appartiene a te. … è l’idea di obiettivi differenti che fa mutare la percezione e cambiare il significato. In un obiettivo unificato questo diventa impossibile, perché il tuo

consenso fa sì che l’interpretazione sia stabile e duratura (corsivo mio).

(T-30.VII.5:1-2,5-6)

Sfuggire al giudizio, scegliere un unico scopo, vedere il significato, tutto questo quindi implica interpretare il mondo in modo tale per cui ogni cosa rappresenta una sola medesima idea: poiché il significato è Dio, ed è di Dio, vedere correttamente vuol dire “immaginare” consapevolmente la santità-unità in tutto ciò che si percepisce, quindi fare di questa idea il proprio criterio di interpretazione. ACIM parla di un “consenso”, cioè acconsentire a questa interpretazione delle proprie percezioni è “la condizione per trovare il significato” (T-8.IX.9:3-4): a partire dalla scelta dell’idea della santità-totalità-amore, ossia a partire dall’interpretazione come atto della coscienza, questa idea poi si rivelerà da sola nella sua evidenza alla coscienza stessa.

In definitiva questo è l’unico compito dell’uomo in questo mondo; ecco perché viene molto enfatizzato il ruolo della volontà:

Quando vorrai soltanto l’amore non vedrai altro. … Il potere di decidere è la sola

libertà che ti è rimasta. … Vedrai come deciderai di vedere (corsivo mio).

(T-12.VII.8:1,9:1,11:8)

Il legame con il mito originario rimane sempre chiaro: abbandonare il giudizio significa abbandonare la colpa, infatti non ci può essere colpa se non attraverso un giudizio che la identifichi e che la definisca tale; contemporaneamente abbandonare il giudizio significa anche non dare più valore alla separazione, perché solo distinguendo e separando è possibile formulare giudizi:

Cosa succede alle percezioni se non ci sono giudizi e niente altro che perfetta uguaglianza? La percezione diventa impossibile.

(T-3.V.8:1-2)

Non solo la percezione diventa impossibile, ma lo stesso “ego non può sopravvivere senza giudizio” (T-4.II.10:3); il giudizio infatti avviene come “incapacità di vedere la totalità” (W-pII.311.1:4). La rinuncia al giudizio incontra, non a caso, tutte le resistenze dell’ego: se l’ego è nato come un “problema di autorità”, che è “la radice di tutti i mali” (T-3.VI.7:2), esso adopera il giudizio proprio per difendere la propria autorità, quindi si tratta sempre del male originario; questo è il motivo per cui può sembrare così difficile non giudicare:

La rinuncia al giudizio, l’ovvio prerequisito per udire la Voce di Dio, è solitamente un processo piuttosto lento, non perché sia difficile, ma perché può essere percepito come un’offesa personale. … Il mondo addestra ad affidarsi al proprio giudizio come criterio di maturità e forza. il nostro programma di studi insegna che abbandonare il giudizio è la condizione necessaria per la salvezza.

(M-9.2:4,6-7)

Il giudizio, quindi, è la manifestazione della presenza dell’ego nella mente, ed è la perpetuazione dell’idea originaria della separazione, poiché il giudizio principalmente “distingue” e condanna: la rinuncia al giudizio, perciò, costituisce l’inizio del processo della guarigione.

È importante sottolineare ancora una volta che questa rinuncia avviene attraverso un atto libero della volontà: è solo in virtù di questa possibilità di scegliere, rimasta intatta nella mente del figlio, che tutto ACIM può avere senso, poiché è

proprio in quel margine di libertà che ACIM si inserisce come proposta di un cambiamento per la mente. La libertà della volontà non a caso coincide in ACIM con la libertà di creare (T-5.II.6:5; T-2.I.3:10), e dunque di amare (T-8.IV.8:2): tutto ciò, d’altra parte, è perfettamente coerente con l’interpretazione che ACIM dà del mondo a partire dal mentale:

Poiché la capacità creativa risiede nella mente, tutto ciò che crei è necessariamente una questione di volontà.

(T-2.VIII.1:4)

In realtà, la volontà del figlio è intatta perché si tratta della stessa volontà di Dio, essendo che Dio e suo figlio non sono mai stati separati: “Dio ha dato alla tua volontà il suo potere” (T-8.IV.6:2), e “il figlio che Dio ha creato è libero come Dio lo ha creato” (T-26.V.11:1).

Per questo la rinuncia al giudizio attraverso la scelta di un unico scopo ha un’importanza cruciale: mette la mente in grado di riconoscere la volontà di Dio:

La Volontà di Dio risiede per sempre in coloro le cui mani sono unite. Finché non si sono uniti, pensavano che Lui fosse il loro nemico. Ma quando si sono uniti e hanno condiviso uno scopo, sono diventati liberi di apprendere che la loro volontà è una. E così diventeranno consapevoli della volontà di Dio. Né potranno dimenticare a lungo che non è la loro.

(T-30.V.11:1-5)

Un semplice atto di volontà che contiene l’idea di uno “scopo comune”, e che si esprime con la rinuncia al giudizio, possiede la capacità di riportare la mente all’unità divina: contiene già infatti il principio dell’unità, che è in se stesso divino. Ogni idea di unità contiene tutto il potere dell’unità stessa, poiché non c’è differenza fra l’uno e la totalità: l’uno porta all’Uno, o la santità genera santità, se così si può dire.

Vedremo ora concretamente come si esprime questa volontà, attraverso ciò che il Corso chiama il “perdono”.

2. “T

UTTE LE COSE DEVONO PRIMA ESSERE PERDONATE E POI

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