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“ SCOPO COMUNE ” PER OTTENERE LA PERCEZIONE VERA

L A FRAMMENTAZIONE E IL RITORNO ALL’UNO: UN PROCESSO DELLA MENTE

“ SCOPO COMUNE ” PER OTTENERE LA PERCEZIONE VERA

ACIM ripete instancabilmente che si vede ciò che si crede, e che questa è l’unica legge della percezione; ma ammette anche che, una volta che la credenza si sia formata, “è impossibile non credere a ciò che si vede” (T-11.VI.1:1), come “è impossibile negare l’esistenza del corpo in questo mondo” (T-2.IV.3:10): nella condizione attuale, quella dell’illusione, la mente non riesce a non credere al mondo che percepisce, altrimenti sarebbe già libera dalla stessa percezione.

Il Corso pertanto parte proprio dalla percezione, nel suo “programma di studi” verso la conoscenza e la guarigione, anche se in realtà la percezione “non è mai stata” (T-12.VIII.8:6): una volta data una chiarificazione dei processi della mente per i quali il mondo appare irrinunciabilmente reale, il passo successivo è ora il conseguimento di una percezione vera, corretta, per preparare la mente a lasciarla poi del tutto e tornare all’interezza della conoscenza:

La percezione perfetta ha molti elementi in comune con la conoscenza rendendo possibile il trasferimento ad essa.

(T-13.VIII.3:1)

Ora, si dirà innanzi tutto che la percezione, in generale, “cambia” in continuazione (T-26.VII.3:4), laddove la vera conoscenza è invece certezza, forza e stabilità (T-3.III.1:5): la percezione è infatti “temporanea” (T-3.III.1:6), ed è intrinsecamente caratterizzata dall’incertezza e dalla confusione, poiché “distingue fra la parte e l’intero” (T-8.VIII.1:14), e poiché “implica interpretazione”, la quale a sua volta è mutevole, quindi non è “coerente” (T-3.III.2:3). In breve, la mente che percepisce è nell’incertezza perché non è la “Mente Una”:

Solo l’essere nella Mente Una può essere senza confusione. Una mente separata o divisa

deve essere confusa.

(T-3.IV.3:3-4)

L’incertezza infatti è uno degli effetti dell’ego, in quanto indica sempre un atteggiamento difensivo: è segno del “dubbio su se stessi”, e quindi in fin dei conti è paura, è una mancanza d’amore.

L’amore riposa nella certezza. Solo l’incertezza può essere sulla difensiva. E ogni incertezza è un dubbio su te stesso.

(T-22.V.3:10-12) [L’insegnante di Dio] deve riconoscere che la sua incertezza non è amore ma paura.

(M-7.2:5)

Tuttavia il Corso ora afferma che esiste una possibilità per la mente di uscire da questa incertezza e dall’ambiguità, a partire dalla percezione stessa: la “percezione chiara” è proprio questo livello preparatorio della mente verso la conoscenza.

La percezione implica sempre un qualche uso improprio della mente, perché porta la mente in un’area di incertezza. La mente è molto attiva. … La sola via d’uscita dall’ambiguità è la percezione chiara.

(T-3.IV.5:1-2, 5)

Sorprendentemente allora, nonostante tutte le premesse che si sono viste, “la percezione può e deve essere stabilizzata”:

Prima che Dio possa comunicare direttamente coi Suoi altari, che Egli ha stabilito nei Suoi Figli, è necessaria la corretta percezione. Lì Egli può comunicare la Sua certezza, e la Sua

conoscenza porterà una pace senza dubbi. … La conoscenza veniva prima sia della percezione che del tempo, e alla fine li rimpiazzerà. … La percezione può e deve essere stabilizzata.

(T-3.III.6:1-2,4,6)

La possibilità della mente di ottenere una percezione “stabile”, o “vera”, in opposizione ad una percezione “falsa” riveste un’importanza fondamentale nella comprensione del messaggio di ACIM, poiché è la chiave di volta di tutto il percorso di ritorno all’Uno, e naturalmente è un processo unicamente mentale. La domanda, a questo punto, è come ottenere una percezione vera, poiché “l’obiettivo è chiaro, ma ora hai bisogno di metodi specifici per raggiungerlo” (T-30.In.1:2).

Non sarà difficile distinguere i due tipi di percezione, poiché è sufficiente osservare il loro effetto sulla mente: una percezione vera produce amore, mentre una percezione falsa produce paura. Le alternative sono sempre queste due nel mondo attuale, l’amore o la paura:

Prima che tu possa conoscere qualcosa deve essere rimessa in ordine la percezione. Conoscere è essere certi. Incertezza significa che non conosci. La conoscenza è potere perché è certa, e la certezza è forza. La percezione è temporanea. Come attributo del credere nello spazio e nel tempo, è soggetta alla paura o all’amore. Le percezioni errate producono paura e le

percezioni vere alimentano l’amore.

(T-3.III.1-8)

Ora, poiché la nuova percezione è una preparazione al ritorno all’unità, è naturale che il mezzo per l’attuazione di questo stato mentale sia esso stesso una forma di unificazione: “il mezzo ed il fine sono in completo accordo” (T-12.9:3), sempre per il principio secondo cui ogni cosa produce se stessa. Quindi, per giungere ad una percezione chiara e stabile, è necessario scegliere “uno scopo comune”, e questo, secondo ACIM, è proprio l’unico mezzo per prepararsi a guarire:

Uno scopo comune è l’unico mezzo col quale si possa stabilizzare la percezione e si possa dare una sola interpretazione al mondo e a tutte le esperienze qui. In questo scopo condiviso c’è un solo giudizio condiviso da tutti e da tutto ciò che vedi. Non devi giudicare, perché hai imparato che è stato dato un solo significato ad ogni cosa, e sei felice di vederlo ovunque. Non può cambiare perché lo vuoi percepire ovunque, immutato dalle circostanze. E così lo offri a tutti gli eventi, e permetti loro di offrirti stabilità.

(T-30.VII.4:1-5)

L’idea di uno “scopo comune”, come apertura alla nuova percezione, è comprensibile all’interno del contesto metafisico di cui si è parlato: nella visione di

ACIM, il mondo e la percezione esistono solo in quanto adempiono ad uno scopo ben preciso, ed è a questo scopo che ora si può cercare un’alternativa. Il cambiamento, cioè, non avviene direttamente sulla percezione, ma, per così dire, sull’intenzionalità sottostante ad essa: si opera sulla causa anziché sull’effetto. Lo scopo di prima era il perpetuamento della separazione, il nascondimento/proiezione della colpa, il tentativo di “avere ragione” (T-30.I.11:6), o in altre parole la sopravvivenza dell’ego; ed è ovvio che se ciascun ego ha lo scopo di sopravvivere, il suo scopo è unicamente “suo”, individuale, separato. Lo “scopo comune” ora è esattamente l’opposto di quello, è l’inversione della finalità di tutto il mondo fenomenico: dove c’erano una molteplicità di scopi separati c’è ora uno scopo unico, comune, condiviso.

La terminologia di ACIM va chiarendosi man mano proprio attraverso l’identificazione degli opposti: l’Unico e il molteplice, l’unione e la separazione, la verità e l’errore, la certezza stabile e l’incertezza mutevole, lo scopo individuale e lo scopo comune. Il procedere per coppie di opposti conferisce al discorso di ACIM una particolare logicità ed evidenza: la soluzione del problema è già in qualche modo presente nel problema stesso, poiché una volta compresa la natura della sofferenza, una volta data una definizione, sarà sufficiente cercare il suo opposto per capire qual è l’uscita.

In particolare, a questo punto, le due polarità su cui si articola il discorso sono il peccato e il perdono: sinteticamente, lo scopo dell’ego viene definito lo scopo della colpa, o lo “scopo del peccato” (T-21.II.9:4), pertanto ad esso verrà opposto lo scopo del perdono, altrimenti detto “espiazione”. Il perdono è esattamente lo “scopo comune”, come risulterà chiaro man mano, che risponde simmetricamente al binomio separazione-colpa.

Ma il Corso parla di “una serie di passi pragmatici nel più ampio processo di accettazione dell’Espiazione” (T-2.VI.7:3): per giungere alla visione del perdono sono necessari degli stadi intermedi per predisporre la mente. Il primo di questi è il

riconoscimento della paura:

Il primo passo correttivo nel disfare l’errore è sapere innanzi tutto che il conflitto è un’espressione di paura. … Sappi prima di tutto che questa è paura. La paura nasce dalla mancanza d’amore. … Tutti provano paura. Tuttavia basterebbe un modo di pensare minimamente corretto per rendersi conto del perché si verifichi la paura.

Quando, cioè, si acquisisce consapevolezza che lo stato percettivo abituale deriva dalla paura, è fonte di paura, e che la paura a sua volta è fonte di sofferenza, allora e solo allora si può attivare la decisione che apre la strada ad una percezione differente: la decisione, come si è già visto, è infatti la chiave del cambiamento.

Puoi incominciare a cambiare la tua mente in questo modo: “almeno posso decidere che non mi piace come mi sento ora”. Questo è per lo meno ovvio, e apre la strada al successivo facile passo: avendo deciso che non ti piace il modo in cui ti senti, cosa potrebbe essere più facile che continuare con: “così spero di essermi sbagliato”. … E puoi dire in perfetta onestà: “voglio un altro modo di vedere questa cosa”.

(T-30.I.8:1-3,9:1-2,11:3-4)

Ma giungere a decidere che si desidera “un altro modo di vedere” è un’acquisizione che deve accompagnarsi ad un’altra, parallela a questa ed estremamente importante: la mente deve riconoscere non solo che vuole cambiare, ma che otterrà proprio ciò che vuole, ossia deve riconoscere il potere della sua volontà. Volontà significa anche “attenzione”, “fede”, “desiderio”, “disposizione”:

Devi solo offrire totale attenzione. Tutto il resto ti verrà dato. Perché tu vuoi realmente imparare nel modo giusto, e nulla può opporsi alla decisione del Figlio di Dio. Il suo apprendimento è illimitato come lui.

(T-12.V.9:4-7) Essere nel Regno è semplicemente focalizzare tutta la tua attenzione su di esso.

(T-7.III.4:1) Sii disposto, per un istante, a lasciare liberi i tuoi altari da ciò che hai posto su di essi, e non potrai non vedere cosa c’è veramente su di essi. … La fede e il desiderio vanno mano nella mano, perché ciascuno crede in ciò che vuole.

(T-21.8:1,6)

La frase “ciascuno crede in ciò che vuole” non sta tanto ad indicare la libertà di fede, quanto il fatto che alla sorgente di tutte le funzioni della mente ci sta un atto di volontà, e in base a ciò che si vuole, ossia in base allo “scopo”, si struttura il pensiero, quindi di seguito la proiezione, la percezione e poi la credenza; e la credenza ha il potere “di spostare le montagne”, come dice il Corso riecheggiando un passo evangelico:

È difficile rendersi conto che pensiero e credenza si combinino in una potente ondata che può letteralmente spostare le montane.

(T-2.VI.9:8)

Per poter “scegliere diversamente”, insomma, è necessario che la mente riconosca la propria responsabilità nel procedimento percettivo e veda se stessa come fonte delle proprie credenze: questa è la base per poter esercitare consapevolmente la facoltà di scegliere e dare inizio al cambiamento.

È importante a questo punto notare il legame con le premesse di ordine metafisico: la necessità per la mente di comprendere il suo stesso potenziale ribadisce ancora una volta la connessione inscindibile fra causa ed effetto, che rimanda al mito originario:

Vedrai ciò che desideri. … Quando la visione viene negata, la confusione di causa ed effetto diventa inevitabile. Adesso lo scopo diventa il mantenere oscura la causa dall’effetto e far sembrare che l’effetto sia la causa. … In precedenza avevamo parlato del tuo desiderio di creare il tuo creatore, e di essergli padre e non figlio. Questo è lo stesso desiderio. Il Figlio è l’Effetto che vorrebbe negare la propria Causa. … È tanto necessario che tu riconosca di aver fatto il mondo che vedi, quanto che tu riconosca che non hai creato te stesso. Sono lo stesso errore.

(T-21.II.9:5,10:1-2,4-6)

Sembra, cioè, che il mancato riconoscimento del legame causa-effetto abbia portato il figlio a credere di poter fare a meno di una causa, cioè a rifiutare la paternità di Dio, e che lo stesso errore lo porti ora a credere che ciò che vede non dipenda da lui, cioè, di nuovo, sia un effetto senza causa. Riconoscere invece il legame fra causa ed effetto lo rende capace di poter scegliere diversamente le sue percezioni, di cui finalmente si riconosce come causa, e lo porterà in fine a ritrovare la consapevolezza della propria identità di figlio, cioè alla guarigione. Ecco perché il Corso insiste che si tratta sempre di “errore” e non di peccato: non è possibile che un effetto non abbia una causa, ma è un errore l’averlo pensato, e come tale attende correzione e non punizione. Ora, se la mente è giunta a comprendere che vuole scegliere, e che può scegliere, a questo punto è in grado di orientarsi allo scopo comune, al perdono, alla percezione vera: questo significa aver trovato la strada per guarigione, poiché scegliere uno scopo comune significa in fondo identificarsi, almeno su un certo livello, con coloro che condividono questo scopo, e quindi è un processo di “unificazione”:

Ciò che condivide uno scopo comune è la stessa cosa. Questa è la legge dello scopo, che unisce in sé tutti coloro che lo condividono.

Cercheremo ora di comprendere più a fondo cosa significhi, effettivamente, scegliere uno scopo comune come base per la percezione corretta, e attraverso quali procedimenti la mente giunga a correggere l’errore originario; vedremo come una volta trasformata la mente, tutto il mondo si trasforma a sua volta in un unico movimento di guarigione, poiché “è stato unito”:

…e nessuno è escluso da questa speranza, perché il mondo è stato unito nella credenza che lo scopo del mondo deve essere tale che tutti lo possano condividere.

CAPITOLO 6

HOLY

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