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Gli eventi culturali tra difficoltà e nuove strutture di governance per una

CAPITOLO 4: GLI EVENTI CULTURALI COME STRUMENTI D

3. GLI EVENTI CULTURALI: UN’OPPORTUNITÀ PER COMUNICARE IL PATRIMONIO

3.3 Gli eventi culturali tra difficoltà e nuove strutture di governance per una

Il suddetto compito affidato dal legislatore agli Enti Locali è tutt’altro che agevole. Questi, infatti, si trovano a scontare un ritardo storico rispetto agli altri paesi rispetto allo sviluppo di serie politiche di valorizzazione, aggravato dal fatto di dover operare in un contesto caratterizzato da almeno due tipologie principali di problemi: da un lato, si trovano a lottare contro una costante carenza di finanziamenti, e dall’altro, devono fare i conti con una profonda incapacità da parte degli organi centrali di comprendere le reali difficoltà che contraddistinguono le organizzazioni culturali operanti sul territorio.

La necessità di un intervento finanziario pubblico a sostegno della produzione culturale è riconosciuta dagli economisti fin dal XVIII secolo. Pur prevalendo storicamente rispetto al privato, nel nostro Paese, la spesa pubblica per il settore non è adeguata, rappresentando solo lo 0,4% del PIL e lo 0,8% della spesa pubblica totale180.

La questione però non può essere limitata alla considerazione della quantità degli investimenti statali, né alla conseguente necessità di sviluppare adeguate

179 Fourtes, op. cit.

180 La comunicazione istituzionale nel settore artistico-culturale”, in Economia della

politiche di found raising. Il vero problema sta nelle modalità con cui questi pochi fondi vengono gestiti181. Pensare di risolvere i problemi del settore riconducendo il tutto a quanti stanziamenti le strutture pubbliche dedicate hanno a disposizione significa semplificare le cose e probabilmente dare vita ad un’inutile battaglia, visto che ormai, a partire dagli anni novanta, coerentemente con i dettami del New

Public Management, gli sforzi in tutti i campi sono volti a limitare il più possibile

la spesa pubblica, secondo il paradigma delle cosiddette “tre E: economia, efficienza, efficacia”182.

Indipendentemente dalla presenza di risorse in calo, costanti o crescenti, è la configurazione istituzionale ed organizzativa delle organizzazioni culturali facenti capo alla pubblica amministrazioni che rende difficile la trasformazione delle risorse esistenti in reali condizioni d’azione183, in mancanza di una reale responsabilizzazione economica, di trasparenza finanziaria e accountability, di autonomia gestionale delle risorse. Anche i recenti tentativi di introduzione di forme di managerialismo all’interno delle istituzioni culturali si sono dimostrati in molti casi deludenti, perché frutto di un uso confuso e banale degli strumenti manageriali, a partire dalla riforma della Soprintendenza Autonoma, basata su una pretesa assegnazione di autonomia senza, paradossalmente, il controllo di risorse cruciali, come quelle umane, rimanendo queste ultime competenza gestionale del Ministero, come nel caso di Pompei.

Anche l’introduzione del controllo di gestione184 all’interno dei musei civici ha spesso assunto la forma di un rituale banale. Infatti, si è continuato a concentrare l’attenzione sugli obiettivi e sui risultati, dimenticandosi delle risorse, giungendo a forme di falso managerialismo185, nel momento in cui si approvano progetti, senza un’adeguata attenzione ai costi correnti di gestione degli stessi una

181 In ogni caso, è degno di nota il fatto che i finanziamenti, pur rimanendo esigui,

soprattutto rispetto alle altre realtà europee, sono andati costantemente aumentando, soprattutto dopo il 1995, salvo una flessione registrata nel 2002. I fondi destinati al Ministero per i Beni culturali sono passati dai 908,4 milioni di euro del 1995 ai 2240,9 milioni euro del 2001, per poi tornare a scendere nel 2002 di 126,3 milioni di euro. Inoltre nel 2001 il budget messo a disposizione del Ministero per i Beni e le Attività culturali è stato pari allo 0,37% dell’intero bilancio dello Stato, era lo 0,39% nel 2000 e lo 0,35% nel 2002, mentre nella prima metà degli anni Novanta era tra lo 0,19% e lo 0,24% (Silvia Dell’Orso, op. cit.).

182 Luca Zan, Economia dei musei e retorica del management, op. cit. 183 Ibidem

184 Per controllo di gestione si intende “il processo mediante il quale i dirigenti si assicurano

che le risorse siano ottenute e usate efficacemente ed efficientemente per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione” (Brunetti, citato in Luca Zan Economia dei musei e retorica del

management, op. cit.), da cui deriva l’equazione “obiettivi → risorse → azione → risultati”

volta messi a regime186. In questo modo si lacera l’essenza stessa del controllo di gestione, perchè si scinde il processo decisionale dall’allocazione delle risorse:

“La situazione normale infatti è che si decide di iniziare progetti nuovi senza identificare i costi e le risorse necessarie a regime, ma eventualmente specificando solo i costi necessari alla progettazione o al disegno, e a volte anche alla ristrutturazione della sede. Si vincolano così, per intere future generazioni, risorse ignote in modo non trasparente”187

Viste queste contraddizioni, tra le tante riscontrabili nelle riforme attuate negli ultimi anni, non sorprende che la soluzione prediletta dalle organizzazioni culturali sia quella di uscire dal settore pubblico, intraprendendo la strada della privatizzazione vera e propria da un lato, o quella della destatalizzazione dall’altro, mantenendo cioè il carattere pubblico del bene, ma non la sua produzione.

Del resto, è stato il legislatore stesso, a partire dalla legge 142 del 1990, a introdurre la possibilità per Comuni e Province, di sviluppare processi di trasformazione istituzionale e di nuove strutture di governance, prevedendo la possibilità di esternalizzare i servizi legati al tempo libero.

Questa spinta all’outsourcing è stata poi ulteriormente rafforzata prima dalla introduzione della cosiddetta legge Ronchey (L. 4/93), che nel 1993 segnò una vera e propria svolta, prevedendo la possibilità di affidare a privati la gestione dei servizi aggiuntivi, quali bookshop, biglietterie e ristori, poi dal già citato decreto legislativo 112/98, che, accanto ad una maggiore autonomia, introduce la possibilità di cooperazione tra istituzioni culturali e soggetti pubblici e privati in vista della realizzazione di mostre o eventi culturali, studi e ricerche. In seguito l’articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 1998, riconosce formalmente ciò che nella realtà accadeva già di frequente, cioè la possibilità di costituire o partecipare a fondazioni, organi disciplinati dal codice civile e pertanto di stampo privatistico. Sarà poi l’articolo 35 della legge 267 del 2000 a precisare le forme giuridiche che possono essere adottate per realizzare effettivamente questo processo di ristrutturazione gestionale, iniziato ormai da dieci anni, e accompagnato dalle spinte al decentramento e alla responsabilizzazione degli Enti Locali in materia culturale, che abbiamo precedentemente ricostruito.

186 Rientra nella sterminati casistica, anche il progetto di ristrutturazione dell’ex Sala Borsa,

per trasformarla nella più grande biblioteca di’Italia, in vista di Bologna 2000. Stanziati i fondi per i lavori di ristrutturazione, non si era considerato il fatto che i costi di gestione di questa struttura sarebbero ammontati a 14 miliardi all’anno. Da qui la decisione, molto contestata, di aprire la Sala Borsa ai privati, affittando spazi commerciali.

Simili processi di riassetto istituzionale sono mossi da due motivazioni principali: da un lato, si cerca di contenere il deficit pubblico attraverso il coinvolgimento dei privati, dall’altro si vuole

“ridare condizioni di agibilità e azione, flessibilità, autodeterminazione, autonomia, in una parola di risolvere il problema di organizational failure che talora/spesso caratterizza l’amministrazione pubblica: certamente in termini di gestione delle risorse umane; certamente in termini di vincoli all’acquisizione di risorse finanziarie; ma anche e forse soprattutto nell’insieme di regole, «lacci e laccioli» che rendono estremamente difficile e rigida (e costosa) la vita di una qualsiasi entità all’interno del settore pubblico”188

Sono stati soprattutto gli Enti Locali, e nello specifico i Comuni, a sviluppare molteplici esperienze di gestione autonoma dei servizi culturali, attraverso la creazione non solo di fondazioni, ma anche di associazioni e società pubblico-private. I comuni, soprattutto quelli delle grandi città, si sono trasformati così in “laboratori di sperimentazione”189 e nei veri soggetti chiave per dare effettiva concretizzazione ai compiti loro assegnati di valorizzazione e promozione del patrimonio artistico, riconoscendo la centralità della risorsa culturale come elemento importante nei processi di sviluppo urbano.

Le amministrazioni comunali hanno cercato, più o meno consapevolmente, di raggiungere i seguenti obiettivi190:

• Aumentare la qualità dell’offerta culturale della città, prestando maggiore attenzione alle esigenze degli utenti.

• Creare un sistema integrato di servizi culturali.

• Incrementare l’economicità dei servizi offerti, creando anche possibilità di autofinanziamento e quindi di profitto per le organizzazioni coinvolte.

• Valorizzare le risorse umane, affidandone il coordinamento alle società private, potendo di conseguenza contare su una maggiore flessibilità e libertà organizzativa.

Secondo un’indagine condotta a livello nazionale da Federculture sulle amministrazioni comunali di Milano, Torino, Venezia, Genova, Firenze, Roma, Napoli e Palermo, le modalità gestionali privilegiate sono la formula giuridica della società per azioni e le fondazioni di partecipazione191. Un esempio della

188 Luca Zan, Economia dei musei e retorica del management, op. cit., p. 120-121

189 Marcello Minuti e Silvia D’Annibale, “La gestione dei beni e delle attività culturali. Gli

enti locali come laboratorio di innovazione”, in Roberto Grossi (a cura di), Politiche, strategie e

strumenti per la cultura. Secondo rapporto annuale Federculture 2004, Torino, 2004

190Ibidem 191 Ibidem

prima tipologia è costituita da Firenze Mostre S.p.A., istituita nel 1999. Il capitale sociale è detenuto per il 55,11% da soggetti pubblici, e in particolare dal Comune di Firenze, e il restante 44,89% da soggetti privati, e si può definire come

“lo strumento operativo del Comune di Firenze e degli altri enti pubblici territoriali soci per l’organizzazione o la gestione di mostre, eventi espositivi e iniziative culturali collegate ad altre, che contribuiscono allo sviluppo economico e civile della comunità locale”192

Un altro esempio è costituito dalla Società per Azioni Palazzo Ducale, il cui capitale sociale è interamente detenuto dal Comune di Genova, che ha concesso gli spazi alla S.p.A. fino al 2029, per la realizzazione di mostre e grandi manifestazioni culturali.

Un esempio interessante di Fondazione di partecipazione all’interno del comporto culturale è costituita dalla Fondazione Torino Musei, costituita nel gennaio 2003 con l’obiettivo di tutelare e valorizzare i beni artistici posseduti dai Musei Civici, all’interno di un più ampio programma di rinnovamento della città. Con questa nuova struttura di governanace si vuole cioè rendere i Musei più agili e funzionali, coinvolgendo il privato, ma senza privare il Comune delle funzioni di indirizzo, controllo e di compartecipazione del servizio193. Nello specifico, la Fondazione ha il compito di rafforzare l’identità del museo e la sua immagine, di raggiungere una maggiore efficacia operativa e di favorire la partecipazione, anche finanziaria, di terzi. Per facilitare il raggiungimento di questi obiettivi, alcune attività sono state date in outsourcing, come il servizio di vigilanza e pulizie, le attività amministrative e quelle di manutenzione.

Dal 2000, il Comune di Milano sta pensando alla creazione di una Fondazione di gestione nella quale confluiranno tutti i musei civici della città, che continueranno però a rimanere proprietà del Comune. Per il momento l’idea non è ancora stata realizzata, ma è un progetto degno di nota, perchè volto, in primo luogo a superare i principali limiti della gestione pubblica delle organizzazioni culturali, promuovendo la responsabilizzazione economica, l’autonomia e l’accountability, e, in secondo luogo, ad aumentare il valore delle collezioni e l’accesso.

Il progetto in questione prevede che il Comune non rinunci alla proprietà dei beni, ma li affidi alla gestione di una Fondazione, le cui modalità di finanziamento si ispirano al modello anglosassone del one block grant, cioè del finanziamento in un’unica soluzione da parte governativa194. Pur non escludendo l’ingresso di

capitali privati, il Comune, quindi, rimane il principale finanziatore, ma rinuncia

192Ibidem, p. 63 193 Ibidem

alla gestione. Sarà poi responsabilità della Fondazione e del suo Consiglio di Amministrazione decidere come impiegare la somma stanziata. Sarà pertanto fondamentale stabilire con estrema accuratezza l’ammontare del finanziamento annuale, non solo e non tanto a livello di conferimento iniziale, ma piuttosto in termini di gestione ordinaria, affinché la futura struttura di governance sia realmente sostenibile. In tal senso, se l’obiettivo rimane quello di responsabilizzare economicamente la nuova struttura istituzionale, il trasferimento annuale dovrà riprodurre l’effettiva spesa odierna e permettere alla Fondazione di trattenere eventuali recuperi di efficienza, secondo le logiche proprie di un sistema realmente incentivante e responsabilizzante.

In assenza di questo serio orientamento alle risorse, si rischia di ripetere il medesimo errore che da anni contraddistingue l’agire pubblico in campo culturale. Come abbiamo già evidenziato, il problema non è l’ammontare dei fondi in quanto tali, ma la necessità di garantire la coerenza tra gli obiettivi prefissati e le risorse a disposizione, pena l’incapacità di creare reali condizioni d’azione per le organizzazioni coinvolte. Per esempio nel caso già citato della Fondazione Torino Musei, la mancanza di una definizione compiuta dei rapporti finanziari tra il Comune e la Fondazione, è il vero elemento di debolezza del progetto, foriero di seri problemi di raggiungimento degli obiettivi per cui la Fondazione è stata creata.

I problemi legati a questi nuovi assetti istituzionali, però, non si limitano solo a considerazioni di tipo economico-manageriale. Le trasformazioni in atto, infatti, non sono esenti da critiche riguardanti anche la qualità stessa delle attività culturali realizzate. In altre parole, i nuovi assetti istituzionali non possono essere considerati a priori sinonimi di qualità del loro operato, anche al di là di ogni considerazione legata alla sostenibilità economica.

In particolare, per quanto riguarda il fenomeno delle mostre, che abbiamo visto essere il core business di molte di queste nuove organizzazioni culturali, è stato sostenuto che la presenza di soggetti non direttamente appartenenti al mondo delle arti e della cultura, abbia effetti deleteri sulla qualità delle esposizioni organizzate. In particolare, Moretti195 sostiene che il coinvolgimento di attori che non hanno come obiettivo principale lo sviluppo della conoscenza, ma che vedono nelle mostre un mezzo utile per raggiungere i propri obiettivi, conduca ad un processo di standardizzazione sia per quanto riguarda gli argomenti trattati che le procedure utilizzate.

195 Andrea Moretti, “Mostre-evento e musei”, in Economia della Cultura, n. 3, 1997, pp.

Più nello specifico, il fatto che questi nuovi soggetti promotori abbiano come obiettivo primario la soddisfazione di obiettivi privati e sostanzialmente commerciali, li conduce a preferire mostre che assicurino il successo di pubblico, facendo leva su argomenti di consolidato richiamo, come la pittura impressionista o l’archeologia, senza che queste si traducano in esperienze di valore per il pubblico. È il caso di quelle che Moretti definisce mostre-evento, che si contraddistinguono dal numero molto elevato di visitatori coinvolti, contrapposte alle mostre di qualità, che coinvolgono un gruppo più ristretto di fruitori, ma che presentano maggiori livelli di qualità legati al valore delle opere esposte, all’allestimento e al significato culturale dell’esposizione.

Il medesimo argomento è ripreso, seppur da una prospettiva più generale, da Sacco, secondo il quale non basta che le istituzioni pubbliche organizzino eventi, come mostre di grande richiamo per il pubblico, ma è necessario fornire a quest’ultimo gli strumenti per

“discernere tra percorsi di scelta identitariamente gratificanti e percorsi di scelta attraenti nel breve periodo, ma, in ultima, analisi, esistenzialmente deludenti”196.

Dal quadro, per nulla esaustivo, che abbiamo cercato di delineare, tenendo conto sia degli aspetti giuridici, sia della realtà di molti Enti Locali, emergono con evidenza tre aspetti. In primo luogo, i Comuni, soprattutto le amministrazioni delle grandi città, sembrano affermarsi come i reali catalizzatori di quel dovere loro assegnato dal legislatore di valorizzare e promuovere il proprio patrimonio.

In secondo luogo molte delle nuove modalità di gestione che si sono esemplificate precedentemente nascono proprio come entità finalizzate a organizzare iniziative culturali, potendo contare su tutti i vantaggi che derivano da questi tentativi di destatalizzazione, confermando gli eventi come forme predilette di promozione culturale e centrali strumenti di comunicazione nel settore.

Infine, questa spinta a creare progetti e strutture di governance basate sul coinvolgimento di strutture non direttamente dipendenti dalle istituzioni comunali, con cui costruire rilevanti progetti di collaborazione, ci permette di introdurre il tema che sarà oggetto dei prossimi paragrafi, cioè la valenza relazionale che inevitabilmente gli eventi portano con sé.

Infatti, considerando la varietà di soggetti coinvolti e di obiettivi in gioco nell’organizzazione di eventi culturali, la progettazione di tali iniziative passa solo attraverso lo sviluppo di capacità di negoziazione condivise, volte all’implementazione di relazioni di rete:

“La capacità di linguaggio è alla base dello sviluppo di capacità relazionali volte all’identificazione, selezione, sviluppo e/o creazione dei soggetti necessari alla produzione culturale. La capacità relazionale si sviluppa attraverso la ripetizione delle relazioni e delle occasioni di operare insieme a livello locale e globale”197

4. Gli eventi come strumenti di marketing territoriale