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La specificità della comunicazione universitaria in quanto comunicazione

CAPITOLO 5: LA COMUNICAZIONE UNIVERSITARIA IN

3. LA COMUNICAZIONE UNIVERSITARIA

3.1 La specificità della comunicazione universitaria in quanto comunicazione

È stato spesso notato come lo sviluppo delle attività di comunicazione e marketing nelle università sia andato di pari passo con l’espansione quantitativa degli atenei e dell’offerta formativa degli stessi, e quindi col crearsi di un contesto competitivo, nonché con l’entrata in vigore della legge numero 509 del 1999301, che, introducendo il cosiddetto 3 più 2, ha perlomeno raddoppiato i terreni di concorrenza302. Con questa riforma dei curricula infatti le università si trovano ad

299 Alessandra Mazzei, Comunicazione per il marketing delle università, op. cit.

300 A tale proposito, Grönroos (Christian Grönroos, “Keynote paper. From marketing mix to

relationship marketing – towards a paradigm shift in marketing”, op. cit.) ha affermato. “Market

communication is a central means of reaching customers, and the focus on relationship building leads to an interest in emphasizing dialogues and creating, for example, advertising campaigns that facilitate various types of dialogues with identified customers”

301 Stefano Boffo, La nuova comunicazione universitaria, op. cit.

302 Secondo un’indagine su un campione di università italiane condotta nel 2001, fino al

1995 solo il 35,6% delle università italiane disponeva di un’unità organizzativa specifica per la comunicazione. Fra il ’96 e il ’99 hanno costituito un ente ad hoc il 39,7% delle università e ben il 24,7% ha attivato un ente specialistico negli ultimi 2 anni. Al 2001 la pianificazione della comunicazione è presente nel 41,3% delle università sotto forma di un programma annuale delle attività di comunicazione. (Alessandra Mazzei, “Finalità e strumenti di gestione della comunicazione delle università italiane”, op. cit.)

interagire non solo con i neodiplomati, ma anche con i neolaureati di primo livello, che vanno così a costituiscono un’ulteriore categoria di studenti, ben più esperti ed esigenti della prima, da attrarre.

In realtà, a parere di chi scrive, è perlomeno limitativo, se non fuorviante, legittimare e giustificare il ricorso sempre più diffuso alla comunicazione, equiparando le università a delle aziende operanti in un terreno sempre più competitivo. Si tratta questa di una tendenza intellettuale che pervade buona parte della più recente letteratura in merito, giustificata in larga parte dalle stesse parole della Commissione Ministeriale per la riforma dei cicli universitari, che parlava di “differenziazione competitiva tra atenei”, di “vendere un preciso prodotto

universitario, collocato, posizionato in un dato mercato universitario”303. In

questo modo però si veicola un’associazione mentale che trascura la peculiarità dell’istituzione coinvolta. In altre parole, non è a causa dell’introduzione di elementi tipici del comparto aziendale privato, come il contesto concorrenziale, gli obiettivi di efficacia ed efficienza dell’agire universitario, che la comunicazione deve essere considerata risorsa strategica. In primo luogo, la comunicazione nelle università infatti, trova piena legittimazione in quanto strumento in grado di migliorare la qualità di un servizio pubblico, che, come tale, deve rispondere ai medesimi valori guida che hanno ispirato la riforma della pubblica amministrazione in senso lato.

In secondo luogo non è vero che prima della riforma le università operavano in un contesto in cui mancava del tutto sia la componente concorrenziale che quella comunicativa. Infatti.

“a differenza di altre amministrazioni pubbliche, le università si sono sempre trovate a doversi confrontare con il mercato (…) a causa della propria particolare connotazione: gli atenei vengono scelti dai propri utenti per il servizio che offrono, cosa che non avviene per i cittadini che utilizzano i servizi del proprio Comune o per i rapporti che si instaurano tra i cittadini e lo Stato. Le università italiane quindi, con grande anticipo rispetto alle altre amministrazioni statali italiane (ma in linea con quanto avveniva negli atenei di tutta Europa), già negli anni ’80, avevano cominciato a porsi il problema di realizzare e coordinane attività di comunicazione verso i propri pubblici esterni, sicuramente in modo estremamente artigianale e scarsamente strategico”304

Da sempre, infatti, i neo-diplomati sono stati disposti a spostarsi dal proprio luogo di origine o di residenza, per intraprendere la carriera universitaria considerata più affine alle proprie esigenze e alle proprie aspirazioni,

303 Simonetta Pattuglia, “Università e impresa: una liaison virtuosa”, in Rivista italiana di

comunicazione pubblica, n. 9, 2001, pp. 218-229

304 Brunella Marchione, “Comunicazione e sviluppo dell’ateneo”, in Universitas, n. 84,

compatibilmente, è naturale, con la disponibilità economica della propria famiglia. Ciò ha condotto i ragazzi a prendere in considerazione l’offerta formativa proveniente anche da altre regioni. Da questo punto di vista nessuna università ha mai operato nel monopolio più assoluto, a differenza invece di altri servizi pubblici, per cui le persone sono sempre state meno disposte a prendere in considerazione l’offerta di servizi simili, ma localizzate in aree geografiche diverse.

Questa tendenza trova giustificazione anche nel fatto che l’esperienza universitaria, oggi come ieri, acquista ulteriori significati e valori, rispetto a quello di pura opportunità formativa di alto livello. L’esperienza universitaria viene anche considerata come un’esperienza di vita, di crescita individuale e non solo culturale, di distacco dal nido famigliare, di indipendenza, in una parola, di maturazione. Da qui la tendenza di molti ragazzi a frequentare, volontariamente e anche in presenza di un’offerta didattica simile nella propria città, l’università lontano dal proprio luogo di origine. Non deve stupire pertanto che la prima seria iniziativa di comunicazione nelle università preceda di molti anni l’introduzione della riforma universitaria. Risale infatti al 1986 la creazione di una house agency per il marketing e la comunicazione all’interno dell’università Bocconi di Milano305.

Detto questo, però, in nodo della questione, che preme sottolineare, risiede in un altro aspetto e cioè nella natura dell’operato universitario. È indubbio che le riforme introdotte negli ultimi anni abbiano profondamente mutato il contesto di azione degli atenei, introducendo elementi nuovi e enfatizzandone altri già esistenti, ma ciò non toglie che il valore primario della comunicazione in questo campo non deriva dalla necessità di creare vantaggio competitivo né dalla necessità di differenziare l’offerta del singolo ateneo dalla concorrenza. Anche perchè, se fosse davvero solo questo l’obiettivo della comunicazione universitaria, non dovrebbero stupire dichiarazioni, come quelle sostenute dal capo ufficio stampa di un grande ateneo, secondo cui la mancanza di una pianificazione delle attività promozionali nella sua sede dipenderebbe dal fatto che gli iscritti sono già tanti e forse troppi306. Al pari di qualsiasi altro ente il cui operato risponde ad esigenze di carattere collettivo, indipendentemente dal suo essere pubblico o privato, la comunicazione ha in primo luogo il delicato compito di conferire qualità, trasparenza, chiarezza e credibilità al servizio didattico, in quanto servizio pubblico.

305 Maurizio Rossi, “Come cambiano i rapporti comunicativi. Intervista a Stefania

Giannini”, in Universitas, n. 84, giugno 2002, pp. 29-31

A tale proposito, mi pare significativo quanto sostenuto da Rolando:

“Il sistema educativo e quello della scuola sono veri e propri protagonisti dell’ambito della pubblica utilità. Pubblica utilità non significa Stato, non significa neppure solo fonti pubbliche. Significa che le funzioni esercitate abbracciano interessi generali e che la relazione con l’utenza è un parte nevralgica di investimento di energie e risorse connaturata alla mission”307

Alla base del rapporto comunicativo tra l’università e i suoi pubblici rimane l’esigenza di creare e alimentare un patto di fiducia, che è la ragion d’essere e il tratto distintivo di tutta la comunicazione pubblica, indipendentemente dagli ambiti in cui questa viene applicata.

Lo studente, cioè, è ben lungi dal poter essere considerato un mero cliente di un servizio, da ammaliare e affascinare, come controparte di uno scambio economico. Qui è in gioco la qualità e la sostenibilità stessa di un servizio indispensabile per il corretto sviluppo della società. La comunicazione, lo abbiamo visto, è veicolo di trasparenza, di legittimazione, di coinvolgimento e di partecipazione, perchè risorsa preziosa per migliorare la qualità del servizio pubblico erogato, nonché l’efficacia e l’efficienza dei processi di lavoro. E, come tale, la comunicazione sviluppata dalle università, è ben diversa da quella sviluppata in campo aziendale. I valori guida della comunicazione universitaria non possono che essere l’onestà, la veridicità, la correttezza, la completezza, l’oggettività dei contenuti e delle informazioni trasmesse, e non certo la finzione e la seduttività della pubblicità commerciale. È, in altre parole, la componente etica ciò che contraddistingue la comunicazione universitaria, perché, come ha dichiarato Giampaolo Azioni al seminario organizzato dall’AICUN nell’aprile del 2003, “Etica e qualità nella comunicazione delle università”,

“L’università è chiamata a rispondere alla fiducia che la società in essa ripone mirando a un’immunità inviolabile e a una libertà incondizionata”308

3.2 La comunicazione come strumento principe del