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Il fatto irritante in urbanistica

Nel documento Processo edilizio e gestione urbana (pagine 52-60)

In questo capitolo sono stati esaminati alcuni contributi culturali esemplari che hanno cercato di definire alcune prospettive attraverso le quali inter- pretare l’unit`a architettura-urbanistica. Con questo termine sintetico si sono indicati quei molti approcci che hanno mirato alla lettura o alla preparazione di strumenti di progetto attenti alle relazioni tra forme fisiche e forme sociali presenti sul territorio. Ancora pi`u, tali approcci hanno mirato a ricostruire, secondo modelli e punti di vista anche molto diversi, i legami tra le regole che reggono l’assetto complessivo della compagine urbana e le caratteristiche degli eventi individuali che in essa accadono.

Il distacco tra l’esigenza di sintesi formale e la pluralit`a dei fatti urbani appare, se affrontato come problema di solo disegno della citt`a, insanabile. Questa irriducibilit`a tra individualismo e visione integrata degli elementi costitutivi della citt`a mostra l’inattualit`a di qualsiasi programma di ricerca che esprima la volont`a di applicare un controllo della forma urbana secondo uno schema unitario. Per quanto l’architetto-urbanista tenda a proiettarsi verso un’idea sintetica della citt`a, l’autonomia delle parti che la costituis- cono, anche soltanto dal punto di vista morfologico e paesaggistico, risulta irriducibile.

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Palermo, Pier Carlo, Interpretazioni dell’analisi urbanistica, Angeli, Milano, 1992, pp.57-59.

2.7. IL FATTO IRRITANTE IN URBANISTICA 45 Si `e fatto riferimento a questo insanabile dissidio tra unit`a e molteplicit`a dei fatti urbani a prposito della suggestiva metafora della citt`a come cor- rispettivo della Torre di Babele. Attraverso di essa, Quaroni ha bene illus- trato una citt`a composta da segmenti autonomi, ognuno dei quali porta ad esprimere un intreccio tra forme fisiche, stili di vita e relazioni sociali, sem- pre diversi ed in continua evoluzione; una citt`a fatta di elementi mutevoli (spazialmente e temporalmente) alla quale, malgrado ci`o, non si rinuncia comunque testardamente a volere dare una interpretazione progettuale (ur- banistica o architettonica)102.

Per Quaroni, quindi, la citt`a esprimer`a sempre in modo ricorrente la necessit`a di restituire un quadro complessivo della propria forma ma, nelle dinamiche che la attraversano, la sua complessa costituzione non sembra soltanto riducibile alla regolazione sistematica dei suoi elementi fisici. Le dinamiche che attraversano la citt`a determinano relazioni mutevoli tra le sue parti, non leggibili secondo schemi d’ordine generale. Questa impossi- bilit`a di arrivare ad una sintesi progettuale soltanto attraverso un disegno complessivo, frutto della superiore capacit`a e sensibilit`a del progettista, ha portato l’urbanistica a spostare il proprio bersaglio e ad occuparsi pi`u delle dimensioni della programmazione e della politica103. Il progetto della citt`a non si pu`o ricondurre al progetto di architettura (o ad una somma di questi). I due versanti, come abbiamo visto affermare da Lynch, non implicano un semplice passaggio di scala ma coinvolgono problemi, contesti e processi che non possono essere considerati equivalenti104.

Queste posizioni, come molti altri temi emersi nella disamina dei con- tributi di questo primo capitolo, emergono molto lucidamente, in modo inau- gurale, nell’opera di Patrick Geddes, che affronta la tensione tra una citt`a complessa e plurale e la necessit`a di avere un organico principio d’ordine alla base del funzionamento di questa, in quanto la citt`a costituisce il sostrato biologico e funzionale finalizzato a sostenere la vita umana105. Se l’organis- mo urbano `e una unione di uomini e di luoghi allora il suo progetto non pu`o essere intrapreso senza considerare la dimensione politica e il contratto sociale che lo catatterizzano.

La dimensione politico-sociale deve, quindi, informare profondamente tutti gli studi di analisi territoriale. La pratica dell’urbanistica si potrebbe ricondurre in definitiva ad un complesso di approcci di teorie, concetti e tec- niche riferibili principalmente alle scienze umane (che Geddes chiama scienze

102Quaroni, Ludovico, La torre di Babele, Marsilo, Padova, 1967, p.124. 103

Quaroni, Ludovico, La torre di Babele, Marsilo, Padova, 1967, p.122.

104

Palermo, Pier Carlo, Prove di innovazione, Angeli, Milano, 2001, p.36.

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E in tal senso che si pu`o interpretare la nozione di bilancio vitale, formulata dal pi`u au- torevole caposcuola dell’urbanistica ecologica. Cfr. Geddes, Patrick, Citt`a in evoluzione, Il Saggiatore, Milano, 1970 (ed. or. 1915), p.92.

civiche, sottolineando in tal modo il legame indissolubile e coevolutivo che lega la comunit`a con la dimensione territoriale). La ricomposizione dei fatti urbani `e prima di tutto una ricomposizione della vita civica della comunit`a insediata. Essa deve affrontare conflitti e tensioni che non sono soltanto legati alle dimensioni costruttive, geografiche, morfologiche ma che invece fanno capo alla lettura dell’azione sociale106.

Le discipline sociali possono, in tal senso, aiutare a mettere in luce alcuni meccanismi dell’oscillazione tra visione globale e visione frammentaria dei fatti urbani. Esse hanno infatti posto, fin dalla loro fondazione, il problema del riconoscimento delle mutue relazioni tra fenomeni individuali e strutture collettive ed hanno esaminato tali intrecci dal punto di vista delle azioni e delle motivazioni che le condizionano. Questi tradizioni di ricerca han- no messo in rilievo come la societ`a nel suo complesso sia inseparabile dai suoi componenti individuali. Si pu`o leggere l’intero sviluppo della disci- plina sociologica come il tentativo di distinguere le dinamiche reciproche che caratterizzano la competizione dei due opposti estremi dell’analisi di stampo individualista e di quella di tipo collettivista107.

Ci si trova ad oscillare tra le opposte interpretazioni di una azione sociale che cerca di ricomporre le strutture istituzionali ed aggregate a partire dagli atti dei singoli soggetti e dalle loro motivazioni ed una opposta tendenza che inquadra i comportamenti dei singoli a partire dai vincoli e dalla struttura di regole istituzionali della compagine collettiva che li ospita108. Come ogni costrutto fondato su modelli ideal-tipici, queste teorie rappresentano dei manifesti culturali, pi`u che dei reali riferimenti per il comportamento degli attori sociali. Essi hanno per`o il vantaggio di porre con chiarezza la questione dell’interpretazione delle forme aggregative sociali attraverso la disamina dell’azione che in esse si sviluppa109.

Questa interpretazione della societ`a come inesauribilmente sottesa tra i due estremi della struttura e del singolo soggetto ha portato alcuni studiosi ad indicare questo dissidio come il fatto irritante della sociologia110. Tra un approccio dal basso e un approccio dall’alto esiste quindi una distanza dif- ficilmente colmabile, che irrigidisce gli schemi interpretativi e impedisce di inquadrare i fenomeni sociali (e urbani) nei reali livelli di crescente comples-

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Geddes, Patrick, Citt`a in evoluzione, Il Saggiatore, Milano, 1970 (ed. or. 1915), pp.253 e segg.

107Si veda la questione dell’interpretazione metodologica dei fenomeni sociali che superi le

ripartizioni classiche tra spiegazione e comprensione, orientamento ai fatti ed orientamento ai valori, dominio dei significati e dominio delle leggi. Cfr. Weber, Max, Il metodo delle scienze storico sociali, Einaudi, Torino, 1958, p.227.

108Archer, Margareth S., La morfogenesi della societ`a., Angeli, Milano, 1997, p.45. 109

Boudon, Raymond, Il posto del disordine. Critica alle teorie del mutamento sociale, Il mulino, Bologna, 1980, p.31.

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2.7. IL FATTO IRRITANTE IN URBANISTICA 47 sit`a che li caratterizzano111.

In urbanistica, o meglio nel progetto dell’ambiente collettivo e nel gover- no delle sue dinamiche, si sono riscontrate simili fratture e perdite di definizio- ne dell’oggetto di studio. La differenza con la teoria sociale, per`o, risiede nel fatto che, mentre la realt`a sociale si pu`o intendere come un costrutto collettivo eminentemente di natura consensuale112, nella realt`a territoriale ci si trova comunque di fronte ad una entit`a fisica pre-esistente, con una propria autonomia comportamentale, fatta di inerzie al mutamento che in- seriscono all’interno del progetto territoriale un filtro fisico e tecnologico. Se gi`a la possibilit`a d’individuazione dei principˆı d’ordine non contingenti sembra molto incerta nell’analisi sociologica, che tratta di costrutti politici artificiali, tale ricomposizione appare inarrivabile qualora subentrino anche i fattori legati alle dinamiche ed alle inerzie dell’ambiente fisico113.

Per tale ragione, i contributi che cercano di ricomporre una interpre- tazione unitaria e coerente degli esiti delle azioni umane su territorio, in relazione all’obiettivo di ottenere coesione ed identit`a dello spazio abitabile, si sono trovati a dosare secondo proporzioni variabili il ricorso al progetto della forma e l’interpretazione dei processi, delle azioni, delle politiche.

In conseguenza, si pu`o leggere una ipotetica linea evolutiva all’interno delle teorie del progetto del territorio, che ha portato progressivamente ad un peso sempre meno determinante del progetto dell’ambiente fisico ed alla contemporanea maggiore attenzione nei confronti della dimensione del pro- getto immateriale del sistema di governo, della pratica di gestione, controllo e guida delle azioni e delle dinamiche di interazione114.

Da un lato, sembra che la pianificazione territoriale non possa che poggia- re sugli aspetti fisico-morfologici del progetto per potere erogare le prestazioni dei propri servizi, dall’altro lato, l’efficacia dei progetti territoriali e la loro capacit`a di buon inserimento sembra dipendere in modo ineludibile dalla messa a punto di strumenti che permettono di governare i diversi fenomeni e le azioni sul territorio in un quadro di condizioni ambientali complesse e perturbate. La preminenza della dimensione immateriale, capace di rego- lare e guidare i comportamenti e le azioni, le transazioni ed i rendimenti,

111´

E interessante notare come gli studi di morfogenesi sociale trovino un corrispettivo anche in alcuni testi di urbanistica. Cfr. Piroddi, Elio, Le regole della ricomposizione urbana, Angeli, Milano, 2000, p.53

112

Cfr. Berger, Peter, Luckmann, Thomas, La realt`a come costruzione sociale, Il mulino, Bologna, 1969, pp.82 e segg.

113

Crotti, Sergio, ’Progetto e morfogenesi urbana. Per un’architettura delle differenze’, in Urbanistica, n.82, 1986.

114

Si `e, in definitiva, realizzato quel processo di smaterializzazione degli strumenti prodot- ti dalla cultura materiale umana, ben esaminato in un classico testo. Cfr. Toynbee, Arnold J., Storia comparata delle civilta, Newton Compton, Roma, 1974, vol.I, p.205-206.

sembra connaturata alla sempre maggiore richiesta, da parte dei tecnici, di esprimere una capacit`a di gestione ed accompagnamento dei processi.

La forma `e, quindi, intesa come esito di regole e azioni; l’esercizio del- la funzione di progetto e di analisi dovrebbe presentarsi con una natura relazionale ed evolutiva corrispondente. La dimensione politica e la di- mensione gestionale sembrano, nella condizione di molecolarizzazione dei soggetti, degli ambienti e delle tecniche, avere assunto una preminenza ed una capacit`a di penetrazione che sembra indicarle come strumenti centrali per operare attraverso le instabilit`a dell’azione collettiva e della complessit`a ambientale, a tutte varie scale di intervento, per tentare di ricomporre la coerenza delle decisioni pubbliche rispetto agli esiti delle azioni territoriali di trasformazione115.

115

Capitolo 3

I caratteri della gestione

urbana

3.1

Piano, programma, gestione

L’attivit`a di elaborazione e direzione dei progetti strategici delle aziende di produzione `e costituita da una successione di decisioni correlate, orien- tate alla efficacia complessiva del processo. La gestione dei progetti e degli interventi riguarda, quindi, l’intera sequenza che parte dalle decisioni pre- liminari fino a ricucire l’intero corso dell’azione: dalle scelte in merito all’uso delle risorse, alle tecniche adottate, al coinvolgimento dei soggetti parteci- panti. Durante lo svolgimento di questa procedura, spesso, la attivit`a di formulazione delle decisioni non `e distinguibile dalla funzione gestionale ed operativa.

Nell’organizzazione aziendale classica abbiamo una prima distinzione in attivit`a direttive ed esecutive, che separano i meccanismi base di sviluppo di un progetto: la prima attiene alla alla facolt`a di coordinare e fare eseguire le decisioni in conformit`a a quanto stabilito dalle previsioni, la seconda `e di pertinenza dei soggetti operativi. Nella dottrina delle decisioni gestionali d’azienda, a questa individuazione delle competenze direttive ed esecutive si affianca una classificazione in cui vengono descritte le funzioni che caratteriz- zano orizzontalmente l’attivit`a di amministrazione aziendale complessiva: gestione, organizzazione e controllo1.

Come si pu`o vedere, anche con questa elementare suddivisione abbiamo gi`a in ognuna delle tre classi dei fenomeni costitutivi d’azienda la compre- senza e la contaminazione di attivit`a di direzione e di produzione, in esse intrecciate ed inestricabili. Le funzioni base di una azienda, soprattutto quelle decsionali, attengono quindi alla previsione dell’andamento delle at- tivit`a esecutive gi`a in fase di formulazione delle scelte, contaminando in tal modo le due dimensioni della direzione e dell’esecuzione, della politica e del-

1

Rugiadini, Andrea, Organizzazione d’impresa, Giuffr´e, Milano, 1979, p.72.

la tecnica. Questo rimescolamento viene ad essere ancora pi`u estremizzato dall’attuale esigenza che porta ad operare in condizioni ambientali pertur- bate, con una continua retroazione tra le facolt`a di previsione degli assetti futuri e i dati acquisiti dalle esperienze passate2.

Le fasi dell’amministrazione di impresa che definiscono questa relazione tra previsioni di andamenti futuri ed influenze di eventi gi`a verificati nella conduzione dei progetti complessi in ambienti mutevoli sono:

• la pianificazione; • la programmazione; • il controllo.

I primi due termini sono classicamente definiti come: la prima `e l’attivit`a che si occupa della formulazione delle decisioni e delle scelte strategiche e di indirizzo per lo sviluppo delle funzioni d’impresa (si occupa di finalit`a ed obiettivi), la seconda `e l’attivit`a che definisce operativamente le sequenze esecutive pi`u adatte a raggiungere gli obiettivi produttivi fissati.

In sostanza la prima definisce gli scopi e la seconda seleziona i mezzi. La prima, inoltre, occupandosi della definizione degli orizzonti dell’attivit`a aziendale, si esplicherebbe entro un quadro temporale di lungo periodo; la seconda, agendo in termini di scelta efficiente degli strumenti e di gestione operativa, attiene all’orizzonte del breve periodo3.

Sebbene le due attivit`a della programmazione e della pianificazione venga- no distinte per oggetto e strumenti, esse comunque implicano un approccio che coinvolge processi decisionali concettualmente affini. In entrambi i casi si tratta di formulare ipotesi plausibili e fondate sulla realizzabilit`a futura di determinate trasformazioni dell’assetto di una organizzazione (o di un ente territoriale). I collegamenti tra pianificazione e programmazione non consentono quindi di scindere i due processi: l’attendibilit`a di uno scenario pianificato `e spesso preceduto da ipotesi ben definite sulle azioni tecniche da intraprendere per cercare di raggiungere gli obiettivi auspicati.

La fissazione di tali obiettivi non pu`o considerarsi funzione autonoma, es- sa `e sottoposta al confronto con vincoli e mezzi disponibili: con la fattibilit`a, la convenienza economica e le risorse di consenso; si ha quindi una compene- trazione tra anticipazione degli scopi e prefigurazione dei mezzi disponibili e presenti, che nel casi di beni che coinvolgono una dimensione politico- autoritativa accentuano ancora pi`u la loro reciproca commistione: vi sono spesso obiettivi molteplici, progetti abbozzati che attendono una definizione

2

Bubbio, Alberto, Il budget, Il sole 24 ore, Milano, 2001, p.6.

3

3.1. PIANO, PROGRAMMA, GESTIONE 51 in base alle risorse presenti; tutto questo porta allo scambio continuo tra mes- sa a fuoco degli obiettivi e scelta dei mezzi, che avviene in modo progressivo man mano che il processo e l’azione prendono forma4.

Pianificazione e programmazione restituiscono quindi nel complesso l’at- tivit`a di governo e la prefigurazione dell’andamento delle operazioni concrete di amministrazione della produzione. Esse, per`o, possono risultare poco distinguibili se si usano come parametri soltanto quelli che cercano di indi- viduarne il carattere e la portata temporale, la precisione e definizione dei contenuti, la flessibilit`a delle tecniche adoperate in relazione alle prerogative di instabilit`a del contesto.

La programmazione spesso non propone schemi tecnici compiuti e det- tagliati per l’amministrazione, il pi`u delle volte invece viene usata in modo esplorativo come strumento di orientamento, pre-selezione e calibratura dei diversi obiettivi; la pianificazione, dal canto suo, cerca spesso di anticipare il momento esecutivo, incamerandolo gi`a nelle sue prescrizioni generali e di indirizzo.

Questo scambio tra le prerogative dei due momenti di costruzione del progetto territoriale `e riscontrabile in molti meccanismi chiave che definis- cono il rapporto tradizionale tra i vari strumenti di governo del territorio (gerarchia tra piani generali e piani esecutivi, tra piani di settore e piani ambientali, tra programmi per le OO.PP. e prescrizioni urbanistiche)5.

In ultimo, la funzione del controllo attiene alla verifica ed al confronto tra risultati ottenuti e risultati desiderati dalla direzione e dal programma. Il sistema di controllo `e allo stesso tempo l’anello di chiusura del processo di gestione aziendale ed al contempo ne rappresenta il momento di avviamen- to. Esso svolge una funzione di apprendimento e riconsiderazione su tutto quello che ha riguardato le fasi precedenti. Non si tratta, quindi, soltan- to di un momento di verifica delle motivazioni di rendimento di un ciclo ma costituisce un meccanismo influente di ri-modulazione di tutto il pro- cesso decisionale e direzionale, esso sintetizza nei suoi esiti, sia il momento strategico che quello strumentale, di verificare il rendimento dei fenomeni gestionali nel pi`u ampio quadro delle dinamiche di contesto e dei meccanismi interni. Esso `e un supporto alle decisioni ma `e anche lo strumento con il quale si influisce in modo determinante sul comportamento organizzativo dei soggetti decisionali. Il controllo pu`o essere quindi inteso come un momento

4Crozier, Michel, Friedberg, Erhard, Attore sociale e sistema, Etas, Milano, 1978 (ed.

or. 1977), p. 35.

5Stella Richter, Paolo, Profili funzionali dell’urbanistica, Giuffr´e, Milano, 1984, pp.34-

35. In particolare si fa qui riferimento alle funzioni di tutela dei BB.CC. e di localizzazione delle OO.PP. come esempi di retroazione tra indicazioni di piano e provvedimenti esecutivi diretti. Per una prima disamina del controverso rapporto tra pianificazione e program- mazione, cfr. Archibugi, Franco, Principˆı di pianificazione regionale. Metodi e obiettivi, Angeli, Milano, 1981, vol.I, p.21.

conclusivo del processo gestionale (verifica di un piano strategico, dei pro- grammi operativi complessivi o di specifiche attivit`a) oppure, in modo pi`u ampio, come governo e guida delle azioni aziendali (in continua interazione con la formulazione delle strategie)6.

Determinare le interazioni tra le funzioni di pianificazione e controllo risulta determinante per definire la portata dell’efficacia dell’azione pub- blica nel guidare i processi di trasformazione collettiva del territorio. La applicazione di strumenti di controllo gestionale entra sia nella esecuzione dei progetti integrati, sia nella predisposizione di una appropriata azione amministrativa.

Nel documento Processo edilizio e gestione urbana (pagine 52-60)