• Non ci sono risultati.

2 LO SPAZIO SCENICO

3.1 DIFFERENTI PERCEZIONI TEMPORAL

3.2.2 TEMPO E MOIRA

All’interno del Filottete è necessario specificare che il tempo presenta un forte legame con la Moira, il destino personale che accompagna tutti gli uomini fin dalla nascita437. Essa lo regola e lo gestisce in un

modo incomprensibile per gli esseri mortali che ne sono soggetti, come conferma Neottolemo quando, nel corso della Parodo, spiega che le sofferenze di Filottete non potranno avere fine πρὶν ὅδ᾽ ἐξήκοι χρόνος, ᾧ λέγεται χρῆναί σφ᾽ ὑπὸ τῶνδε δαμῆναι (vv.199-200).

Proprio dallo scolio al verso 199438 si può notare come già lo scoliasta legasse la vicenda di

Filottete a una divinità come Moira attraverso un possibile gioco di rimandi etimologici che vedono alla base di tutto il verbo μείρομαι439: si noti, a proprosito, la presenza nello scolio di un participio

perfetto con funzione aggettivale come εἱμαρμένος ‘stabilito dal fato’, riferito al tempo, e un verbo al perfetto medio come εῖμαρται ‘è destino’, per giustificare il momento in cui Troia cadrà. Non c’è, dunque, alcuna spiegazione del motivo per cui determinati eventi si verifichino: gli alti e i bassi della vita fanno parte della natura del tempo e accadono per i mortali semplicemente perché così deve essere440, secondo una concezione della Moira che si può far risalire a Solone: Μοῖρα δὲ τοι θνητοῖσι

κακὸν φέρει ἠδὲ καὶ ἐσθλόν (13.63)441.

436CALAME,2006:295;cfr. PIANO,2012:55-56 che nel papiro di Derveni mostra come secondo la concezione degli Orfici la

Moira potesse essere assimilata alla phronesis di Zeus, in quanto caratterizzati entrambi da una forma di controllo temporale.

437 ‹‹To be a hero in Sophocles is to have a destiny, to bear and painfully realize fate, given by the gods, that is, given by

something beyond his immediate comprehension that sets him apart from the mass of men and makes him simultaneously both exemplary and fearful›› SEGAL,19992: 293-94.

438 Schol. ad Phil. 199 πρὶν ὅδ᾽ ἐξήκοι χρόνος: πρίν αὐτήν, τὴν Τροίαν, εἰς τὸν εἱμαρμένον ἐλθεῖν χρόνον ἐν ᾦ εῖμαρται

αὐτὴν πορθηθῆναι.

439 S.v. μείρομαι in CHANTRAINE,1968. 440 Cfr. DE ROMILLY,2009:116-17. 441LEWIS,2001:132.

113 A dimostrazione di come quest’idea della Moira, forza regolatrice del destino di tutti, sia parte integrante dell’opera, è interessante notare come essa sia ritenuta anche la causa primaria della morte di Achille — ἐπεὶ γὰρ ἔσχε μοῖρ᾽ Ἀχιλλέα θανεῖν (v.331) —, dato che senza il suo intervento probabilmente non si sarebbero messi in moto tutti gli eventi che portarono Apollo a guidare la freccia di Paride che uccise il Pelide. Ad essa, inoltre, si affida Filottete al termine della tragedia, appena prima di abbandonare Lemno, invocandola in qualità di μεγάλη Μοῖρα (v.1466), la Sorte potente a cui nessuno può sottrarsi, istituendo, a mio avviso, un parallelo con il celebre passo dell’Edipo re in cui Edipo stesso si dichiara ‘figlio della Sorte’ (v.1080), non riuscendo più a capire chi siano i suoi genitori. Allo stesso modo di Filottete, anche Edipo si affida alla Sorte in un momento di grande incertezza e paura, come se rappresentasse l’ultimo appiglio sicuro a cui aggrapparsi, mostrandosi consapevole del legame che essa aveva con il passare del tempo: ‹‹Eccola mia madre! E i miei fratelli sono i mesi, i giorni e gli anni che mi hanno fatto piccolo e grande››442.

Ci sono, però, delle sostanziali differenze tra i concetti espressi da questi due eroi sofoclei. La prima riguarda l’aspetto temporale a cui è legata la sorte a cui essi si affidano: mentre Filottete invoca la Sorte per guidarlo nel suo imminente viaggio lontano da Lemno e poter così dimenticare un passato pieno di sofferenze, Edipo se ne serve proprio per giustificare il suo passato e allontanare l’ombra dell’incesto che provocherebbe la rovina della sua famiglia. La seconda, più importante, riguarda il termine utilizzato per designare tale sorte. Nell’Edipo Re essa è designata col termine τύχη al verso 1080, mediante il quale si esprime un concetto esterno alla persona e che partecipa del senso di ‘accidentalità’ presente nel verbo τυγχάνω da cui deriva443, esattamente come accade anche in un

passo del Filottete — ἀ τύχα (v.1096)444; attribuendole il significato di ‘caso’ essa svolge

perfettamente la funzione di deresponsabilizzare Edipo dalle colpe commesse, così come i marinai di Neottolemo, negando l’intervento della τύχη, cercano di spronare il figlio di Peante a prendere la decisione migliore. Nel Filottete, invece, viene utilizzato il termine Moira e si può notare come tale concetto di sorte sia strettamente legato a un determinato individuo. Essa è propriamente un δαίμων (v.1187) capace di determinare il destino della persona a cui appartiene445, ma incapace di operare

442 Soph. OR 1082-83; trad. it. M. Stella.

443 S.v. τυγχάνω in CHANTRAINE,1968;cfr. NILSSON,19492:284-85. 444 Cfr. KITZINGER,2008:128.

114 senza rendere conto della soggettività del protagonista del dramma, come sottolineato anche dal Coro (vv.1095-100): σύ τοι σύ τοι κατηξίωσας, ὦ βαρύποτμε, κοὐκ ἄλλοθεν ἁ τύχα ἅδ᾽ ἀπὸ μείζονος, εὖτέ γε παρὸν φρονῆσαι τοῦ λῴονος δαίμονος εἵλου τὸ κάκιον αἰνεῖν.

‹‹Tu, tu l’hai voluto, oh sventurato, non da altri, non da una forza maggiore proviene questa sorte, mentre potevi essere saggio, al destino migliore hai preferito il peggiore››

Filottete, dunque, è responsabile della scelta di continuare a soffrire quello che già aveva ampiamente sofferto, la malattia e la solitudine (vv.261-70), perché si rifiuta di scegliere il ‘destino migliore’: andare a Troia ed essere guarito. Questo concetto di Moira, come notava Lewis446, fin dai tempi di

Solone veniva contrapposto a Dike, la giustizia umana che regola la vita sociale. E proprio nell’opera sofoclea mi sembra riproposta questa contraddizione, dato che Dike non appartiene al mondo di Filottete447, che vive in assenza di qualsiasi tipo di pratica sociale vista l’assenza di uomini a Lemno448.

La presenza della Moira, dunque, in qualità di destino personale, serve a dare, seppur parzialmente, una giustificazione alla vicenda del figlio di Peante, che in essa riuscirebbe a scorgere una delle cause che l’avevano portato a sopportare una tale sofferenza.

Non c’è più spazio per la τύχη invocata da Edipo, intesa come ‘caso’, nel Filottete. I personaggi stessi sono ben consci di ciò e, se Filottete si affida alla sua μοῖρα — δαίμων personale —, Neottolemo affianca l’aggettivo θεία (v.1326) ‘divina’ al concetto di τύχη449, dimostrando

consapevolezza che, in fin dei conti, il caos assoluto non esiste, ma tutto viene predeterminato dagli dèi. Concetti come τύχη e μοῖρα furono divinizzati già in epoca arcaica, ma non raggiunsero mai lo

446 Si veda LEWIS,2001:122-23.

447 È interessante, però, notare che i concetti di ‘giusto’ e ‘ingiusto’ cominciano a comparire quando Filottete si rapporta

con gli altri personaggi, riacquistando una dimensione sociale (vv.408; 449-50; 1036); cfr. LEWIS,2001:n.21.

448 Cfr. GERNET,1983:91(i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 1986, dacui, d’ora in avanti, si citerà)

sulla giustizia agli inizi della civiltà ellenica.

449 ‹‹Nel concetto di θεία τύχη il caso recupera il valore religioso che gli assegnava il pensiero primitivo›› DODDS,1951:102

n.82; cfr. GREENE,1944:143che conclude ‹‹finally, tyche itself may be viewed in terms of ananke››, espresione della bocca divina sulla scorta di OC 603: τὸ θεῖον αὐτοὺς ἐξαναγκάσει στόμα.

115 status degli dèi olimpi, rimasero anche in epoca classica delle divinità minori — δαίμονες —, semplici ‘spiriti’450. Proprio per questo è necessario andare oltre la Moira e rivolgere l’attenzione sul rapporto

che il tempo mostra con il padre degli dèi: Zeus.