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UNA ZONA DI FRONTIERA: L’EFEBIA DI NEOTTOLEMO

2 LO SPAZIO SCENICO

2.3 DUE INTERPRETAZIONI DELLO SPAZIO SCENICO: DAVIES E VIDAL-NAQUET

2.3.2 UNA ZONA DI FRONTIERA: L’EFEBIA DI NEOTTOLEMO

La tesi di Vidal-Naquet necessita di essere approfondita, in quanto offre riferimenti importanti allo spazio scenico dell’isola deserta scelto da Sofocle, messo in relazione con l’istituto dell’efebia ateniese di V secolo a.C. Per comprendere appieno tale tesi sarà necessario far riferimento ad altri due scritti, strettamente legati a questa interpretazione: il primo è dello stesso autore, dal titolo “Il cacciatore nero e l’origine dell’efebia ateniese”332, che rappresenta la premessa di ciò che verrà poi sviluppato in

maniera più particolareggiata nell’articolo sul rapporto tra il Filottete e l’efebia333; il secondo, scritto

da Di Benedetto e intitolato “Il Filottete e l’efebia secondo Pierre Vidal-Naquet”334, offre un’aspra

critica a quanto riportato dallo studioso francese, cercando di smontarne le argomentazioni punto per punto.

Già nell’articolo sul ‘cacciatore nero’ viene mostrato come gli efebi fossero dei giovani che agiscono in zone di frontiera, detti anche per questo peripoloi, almeno a partire dal IV secolo335. E

proprio in una zona di frontiera, una ἐσχατιά, al confine tra Attica e Beozia ebbe luogo lo scontro tra Melanto e Xanto336, dalla cui leggenda pare si originò la festa delle Apaturie, così chiamata per il

legame con l’inganno — ἀπάτη — grazie al quale Melanto ottenne la vittoria. Con questa festa si concludeva il periodo efebico attraverso l’ammissione del giovane nella fratria del padre: ‹‹un passaggio necessario per la legittimità della nascita e per aver riconosciuto il diritto di cittadinanza››337.

Il legame delle Apaturie con l’ἀπάτη di Melanto si basava, però, su una falsa etimologia. Questo era già stato notato da Vidal-Naquet sulla base di uno scolio agli Acarnesi338 in cui veniva riportato che

Apatouria starebbe in realtà per Homopatoria, cioè la festa di quanti hanno lo stesso padre e quindi

331DAVIES,2003:354.

332 In VIDAL-NAQUET,1981:125-46; cfr. VIDAL-NAQUET,1986:126-44. 333 Vd. n. 330.

334 In DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 115-36. 335VIDAL-NAQUET,1981:127.

336 Per un elenco delle fonti sul combattimento tra Melanto e Xanto si veda VIDAL-NAQUET,1981:n. 19. 337DI DONATO,20142:311.

89 festa delle fratrie. Nonostante in tal modo venga perso un punto a favore della tesi sostenuta da Vidal-Naquet, è innegabile che almeno la localizzazione in una zona di frontiera accomuni gli efebi peripoloi ai due combattenti mitici. È, quindi, proprio questa particolare collocazione in un luogo isolato che tiene vivo il parallelo tra la leggenda del ‘cacciatore nero’ e l’efebia e che ci consente di ricollegarci al Filottete. Paragonabile all’ambientazione della battaglia tra Melanto e Xanto e alle zone di competenza degli efebi è, infatti, lo spazio scenico della tragedia sofoclea, definito da Neottolemo — l’efebo di Vidal-Naquet — un τόπον ἐσχατιαῖς (v. 144), ‹‹un lembo estremo del mondo››339. Non

può stupire, dunque, il fatto che sia proprio il giovane figlio d’Achille a pronunciare queste parole, dato che è proprio lui, l’efebo, a riconoscere la zona di frontiera dove potrà portare a termine il suo percorso di crescita, quasi che lo stesso Sofocle volesse guidarci verso questa interpretazione.

Per rendere meglio conto di quest’associazione, sostenuta da Vidal-Naquet, tra l’efebia, la mitica battaglia tra Melanto e Xanto e Il Filottete sulla base dell’ambientazione in una ἐσχατιά, può risultare utile partire dalla critica rivolta da Di Benedetto a questo punto in particolare340. Lo studioso italiano,

sulla base del commento di Jebb e del Lidell-Scott341, cita due passi dell’Odissea da cui Sofocle sarebbe

stato influenzato e che presuppongono che il termine ἐσχατιά si riferisca al margine dell’isola: il primo passo riguarda la parte dell’isola di Calipso — νήσου ἐπ᾽ ἐσχατιῆς (V, 238) — dove Odisseo trova il legname per costruirsi un’imbarcazione, mentre il secondo descrive la parte dell’isola dei Ciclopi dove si trova la grotta di Polifemo — ἔνθα δ᾽ ἐπ᾽ ἐσχατιῇ σπέος εἴδομεν ἄγχι θαλάσσης (IX, 182). Per Di Benedetto non ci sarebbe, quindi, alcuna zona di frontiera nel Filottete, come invece era per Melanto e Xanto, che si affrontavano al confine tra Attica e Beozia, o per gli efebi peripoloi, che pattugliavano le zone più remote dei demi periferici di Atene, ma si tratterebbe semplicemente del bordo estremo di Lemno, il suo litorale, in cui si trova la grotta del protagonista del dramma.

La verità, in questo caso, potrebbe stare nel mezzo. Infatti, il termine ἐσχατιαῖς342, presente nella

tragedia in caso dativo-locativo, poteva certamente essere interpretato nel senso di ‘parte più estrema [dell’isola]’ dal pubblico presente a teatro, visto il parallelo con i passi odissiaci

339VERNANTVIDAL-NAQUET,1972:152. 340DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 116-17.

341 Dello stesso parere sono AVEZZÙ-PUCCI,2003:180e SCHEIN,2013:152;più vago Kamerbeek che si limita a tradurlo ‘in the

extreme parts’ (KAMERBEEK,1980:45).

342 Nessun problema dovrebbe dare la forma plurale, dato che, come sottolineato nel commento di Jebb al v. 144, questa

90 precedentemente citati. Ma ad un livello più profondo, quello definito ‘psicologistico’ da Di Benedetto343, a cui farebbe riferimento Vidal-Naquet, nulla, a mio parere, vieta di interpretare

ἐσχατιαῖς nel senso di ‘zona di frontiera’. In questo senso è infatti già attestato nell’Iliade — ναῖον δʼ ἐσχατιὴν Φθίης (IX, 484) — e nell’Odissea — ἐσχατιῇ Γόρτυνος (III, 294)344 — e, similmente al luogo di

scontro tra Melanto e Xanto citato in precedenza, anche la guerra tra Teseo e i Pallantidi, episodio mitico che stava alla base del sinecismo creato in Attica dall’eroe ateniese, sembra si fosse svolta in una ἐσχατιά, in particolare nei pressi di Sfetto vicino al monte Imetto345.

Senza presupporre un’eccessiva forzatura, in tal modo può dunque essere vista, da parte di Neottolemo, anche la Lemno disabitata ideata da Sofocle. Il giovane figlio d’Achille, tra Sciro, sua isola natale, e Troia, punto di arrivo del suo viaggio, viene così a trovarsi in questa ἐσχατιά che tanto ricorda il ‘margine’ che Van Gennep aveva identificato nelle cerimonie dei riti di passaggio346. È

proprio in questa zona liminale, infatti, che il soggetto si separa dal suo ambiente e dal suo status precedente in attesa di essere riaggregato in società con un nuovo status, esattamente come prevedevano l’efebia ateniese e la criptia spartana347, e come avviene anche per Filottete348, sebbene

il suo rito di passaggio non sembri identificabile con nessuna istituzione ateniese. Tutto ciò giustificherebbe così l’innovazione sofoclea dell’isola deserta, funzionale per rendere Lemno un luogo in cui non si può sviluppare alcuna forma di vita sociale per Filottete, ma perfetto per consentire il compimento di un rito di passaggio all’età adulta per Neottolemo, come era solito avvenire in Grecia antica.

Un altro punto interessante dell’analisi di Vidal-Naquet che prende in considerazione il rapporto tra lo spazio dell’efebia e del Filottete è quello riguardante il giuramento efebico349, che lo studioso

francese vede in qualche modo riproposto nell’opera sofoclea. Tale giuramento, le cui fonti sono

343DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 117. 344 S.v. ἐσχατιά in LSJ.

345 Per la definizione della zona di Sfetto come ἐσχατιά si veda Aeschin. I, 97; cfr. VALDÉS-PLÁCIDO,1998:93.

346VAN GENNEP,1909: 16-18 (i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 1981, da cui, d’ora in avanti, si

citerà); per il legame riti di passaggio-teatro si veda TURNER,1982:54-55 (i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 1986, da cui, d’ora in avanti, si citerà). Cfr. MASSENZIO,1995: 117. Un rito di passaggio simile a quello di Neottolemo, svoltosi in tre tappe molto distanti le une dalle altre, è stato riscontrato da Calame anche nel mito di Io (CALAME,1996: 158-59 i riferimenti alle pagine provengono dall’edizione italiana del 2011).

347 Cfr. JEANMAIRE, 1913: 141-43; DODD-FARAONE,2003:75. 348 Cfr. AVEZZÙ,1988:67-69.

91 discordi riguardo a quando venisse prestato durante il cursus efebico350, sarebbe richiamato per la

prima volta da Odisseo quando definisce Neottolemo οὔτ’ ἔνορκος οὐδενί (v.72) ‘non legato a nessuno da giuramento’. Questa è la condizione perfetta nella tragedia per procurarsi la fiducia di Filottete e rubargli l’arco, dato che tutti quelli che avevano preso parte al giuramento di Tindareo, che li obbligava a riportare in patria Elena in caso di rapimento351, si erano resi colpevoli dell’abbandono

del figlio di Peante. Essa è anche un indizio, per Vidal-Naquet, del fatto che Neottolemo potesse essere considerato come un efebo che non ha ancora giurato, lasciando presupporre, però, come vedremo meglio in seguito, che il giuramento venisse compiuto al termine dell’efebia.

Una seconda allusione al giuramento efebico, secondo Vidal-Naquet352, sarebbe presente nelle

parole di Neottolemo quando, rispondendo alla richiesta di Filottete di dargli la mano come prova del suo impegno a restare, in un verso in ἀντιλαβή carico di pathos353, il giovane figlio d’Achille risponde

ἐμβάλλω μενεῖν (v.813). In questo caso mi sembra fondata la critica rivolta a Vidal-Naquet da parte di Di Benedetto354, dato che si presuppone un giuramento dove in realtà non poteva esserci. Lo studioso

francese sarebbe, quindi, colpevole di aver forzato l’interpretazione del passo per giungere alle conclusioni sperate. È lo stesso Filottete, infatti, che poco prima afferma οὐ μήν σ᾽ ἔνορκόν γ᾽ ἀξιῶ θέσθαι, τέκνον (v.811), allontanando ogni ipotesi di legarsi con un giuramento non necessario tra uomini onesti, così come avviene anche tra Edipo e Teseo nell’Edipo a Colono — οὔτοι σ᾽ ὑφ᾽ ὅρκου γ᾽ ὡς κακὸν πιστώσομαι (v. 605). Sarebbe, dunque, presupposta una semplice stretta di mano, paragonabile a una promessa, come segno di φιλία tra i due personaggi, secondo un uso attestato anche in altre tragedie sofoclee355.

Infine, Vidal-Naquet356 segnala la similitudine di cui Eracle si serve per descrivere il

comportamento che Filottete e Neottolemo dovranno tenere a Troia: ἀλλ᾽ ὡς λέοντε συννόμω φυλάσσετον (v.1436). Essi sono paragonati a due leoni che badano l’uno all’altro, esattamente come

350 Il giuramento è posto all’inizio del cursus efebico da Licurgo (Contro Leocrate, 76) e da Ulpiano (scolio all’Ambasceria di

Demostene, 303), testi a cui rimanda anche Pélékidis (Histoire de l’éphébie attique, Paris 1962, p. 111); al termine dell’efebia è posto, invece, da Polluce (VIII, 105). Cfr. VERNANT–VIDAL-NAQUET,1972:146.Per un elenco completo delle fonti del giuramento si veda SIEWERT,1977:104.

351 Cfr. Schol. ad Phil. 72.

352VERNANTVIDAL-NAQUET,1972:158.

353 Con questa stretta di mano i due personaggi si toccano per la prima volta; cfr. AVEZZÙ-PUCCI,2003:252. 354DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 119.

92 gli efebi giuravano di non abbandonare colui che si trovava al proprio fianco357, con il termine

συννόμω che, come aveva notato Kamerbeek358, può essere interpretato, in questo caso, col

significato di ‘compagno’, più che con quello letterale di ‘nutrirsi insieme’.

Anche in questo caso la critica di Di Benedetto aiuta a fare luce sulla questione, dato che egli sostiene che il rapporto tra Filottete e Neottolemo è qualcosa di esclusivo e che riguarda solo loro due, mentre ‹‹quando l’efebo giurava che non avrebbe abbandonato il compagno che si sarebbe trovato presso il suo fianco, egli pensava certamente al suo compagno, ma nel contesto di una struttura militare che andava ben al di là di questo rapporto a due››359. Proprio in quest’ultima

argomentazione, paradossalmente, ritengo sia possibile scorgere una giustificazione all’interpretazione di Vidal-Naquet. Infatti, se si allarga di poco il campo di analisi del testo del Filottete e si analizzano le parole di Eracle a partire dal verso 1423 fino ad arrivare alla similitudine dei due leoni360, è evidente come il contesto previsto dall’eroe in cui agiranno Filottete e Neottolemo sia

quello della guerra di Troia (vv.1423, 1428, 1435), dove combatteranno a fianco degli altri Achei, offrendo così l’immagine di un possibile schieramento oplitico.

È innegabile che nella Grecia omerica, in guerra, non esistesse il combattimento oplitico, tanto più che proprio Di Benedetto fa notare che ‹‹quando in Iliade X 297 l’immagine dei due leoni è riferita a Ulisse e Diomede, l’impresa a cui questi due si apprestano è mille miglia lontana dal poter essere qualificata come oplitica››361. La guerra oplitica era, però, un combattimento caratteristico del V

secolo e proprio per questo mi sembra possibile che Sofocle, in una tragedia portata in scena nel 409, quando ormai si combattevano le battaglie decisive che avrebbero decretato la vittoria di Atene o di Sparta, potesse inserire un riferimento a quegli ideali oplitici che guidavano i suoi concittadini in armi. Un riferimento talmente attuale che difficilmente poteva non essere percepito anche dal pubblico

356VERNANTVIDAL-NAQUET,1972:163-64. 357 Cfr. SEG 21:519 = 21:629. 358KAMERBEEK,1980:190;cfr. SCHEIN,2013:339. 359DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 127. 360 ἐλθὼν δὲ σὺν τῷδ᾽ ἀνδρὶ πρὸς τὸ Τρωικὸν/πόλισμα, πρῶτον μὲν νόσου παύσει λυγρᾶς,/ἀρετῇ τε πρῶτος ἐκκριθεὶς στρατεύματος,/Πάριν μέν, ὃς τῶνδ᾽ αἴτιος κακῶν ἔφυ,/τόξοισι τοῖς ἐμοῖσι νοσφιεῖς βίου,/πέρσεις τε Τροίαν, σκῦλά τ᾽ εἰς μέλαθρα σὰ/πέμψεις, ἀριστεῖ᾽ ἐκλαβὼν στρατεύματος,/Ποίαντι πατρὶ πρὸς πάτρας Οἴτης πλάκα./ἃ δ᾽ ἂν λάβῃς σὺ σκῦλα τοῦδε τοῦ στρατοῦ,/τόξων ἐμῶν μνημεῖα πρὸς πυρὰν ἐμὴν/κόμιζε. καὶ σοὶ ταῦτ᾽, Ἀχιλλέως τέκνον,/παρῄνεσ᾽: οὔτε γὰρ σὺ τοῦδ᾽ ἄτερ σθένεις/ἑλεῖν τὸ Τροίας πεδίον οὔθ᾽ οὗτος σέθεν. 361DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 128.

93 presente a teatro, composto per la maggior parte da persone che la guerra l’avevano combattuta o la stavano combattendo.

Dall’analisi dei tre passi citati da Vidal-Naquet come prova del fatto che nel Filottete fossero presenti allusioni al giuramento degli efebi, si può comprendere come egli lo ritenesse, specialmente per la parte in cui si giura di rimanere al fianco del proprio compagno in qualsiasi circostanza, un giuramento più che altro ‘oplitico’, che avrebbe avuto più senso avesse avuto luogo alla fine dell’efebia, al momento dell’iscrizione del giovane nei registri del demo di appartenenza. In aggiunta, l’aggettivo ἔνορκος preceduto da negazione, rivolto a Neottolemo sia da Odisseo (v.72), sia da Filottete (v.811), può essere portato a supporto di questa tesi: è normale che Neottolemo non sia legato da alcun giuramento, dato che la sua efebia è in pieno svolgimento sull’isola di Lemno, solo a Troia, dopo aver compiuto il suo periodo d’iniziazione, potrà comportarsi da oplita.

A far giungere Vidal-Naquet alla conclusione che quello che viene generalmente riconosciuto come il giuramento degli efebi fosse in realtà un giuramento oplitico è, come egli stesso ammette362,

la parte finale del giuramento stesso, in cui vengono invocati ‹‹i confini della patria, le messi, gli orzi, le viti, gli olivi, i fichi››. Questo ci permette anche di ricollegarci allo spazio scenico dell’isola deserta, inteso come ἐσχατιά, da cui siamo partiti. Per lo studioso francese, infatti, nell’articolo sul ‘cacciatore nero’, il fatto che gli efebi chiamassero a testimoni le pietre confinarie della patria sarebbe stata la prova che essi operavano in zone di confine363. Ma sarà egli stesso a correggersi in seguito, quando

noterà che ‹‹la menzione dei confini della patria non deve indurre in errore. Non si tratta qui dell’eschatiá, di quelle zone contese dove s’affrontano Melanto e Xanto e molti altri eroi e gruppi di eroi della favola o della storia greche; bensì dei confini che delimitano la chṓra propriamente detta, le terre di coltivazione››364. Solo un oplita, o meglio un efebo che giurava per diventare oplita, poteva,

quindi, riferirsi a zone che fanno ancora parte della χώρα365.

362VERNANTVIDAL-NAQUET,1972:146-47. 363VIDAL-NAQUET,1981:127-28.

364 VERNANTVIDAL-NAQUET,1972: 147;cfr. DI BENEDETTO-LAMI, 1981: 130. Vista la ritrattazione di Vidal-Naquet su questo

punto, mi sembra fuori luogo la critica apparsa in DODD-FARAONE,2003:96-97 riguardo all’utilizzo del termine ἐσχατιά sulla base delle testimonianze contenute nelle rationes centesimarum (iscrizioni che riportano le vendite di terreno pubblico in Attica, risalenti al IV secolo a.C.), secondo cui tale termine avrebbe indicato specificamente il territorio che si trovava nei pressi di una collina; cfr. LEWIS,1973:210-12.

365 Cfr. GIORDANO 1999a: 21 che vede in questi esseri vegetali (e nelle divinità nominate poco prima nel giuramento) la

94 Vidal-Naquet porta a supporto della sua tesi numerose argomentazioni più o meno condivisibili, ma che di sicuro dimostrano come avvenga un cambiamento in Neottolemo366 che, da una fase di

subordinazione a Odisseo, piano piano si rende sempre più autosufficiente nelle scelte e nell’agire, presupponendo una sorta di ‘rito di passaggio’, magari non nettamente identificabile con l’efebia ateniese. Ma perché un autore ateniese come Sofocle, che si rivolgeva ad un pubblico composto per la maggior parte da suoi concittadini, non avrebbe potuto avere in mente l’efebia, quando creava il personaggio di Neottolemo?367 Certamente un’efebia come l’aveva intesa Vidal-Naquet, con il

giuramento che doveva svolgersi alla fine del cursus efebico, come prova dell’effettivo raggiungimento dello status oplitico. Tale interpretazione, inoltre, viene ulterirmente rafforzata dall’ambientazione scelta per la tragedia: una ἐσχατιά in cui è impossibile riproporre la vita sociale, data la totale assenza di uomini.