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IL RAPPORTO CON GLI UOMIN

2 LO SPAZIO SCENICO

2.2 AMBIGUITÁ DELLA GROTTA, AMBIGUITÁ DI FILOTTETE

2.2.2 IL RAPPORTO CON GLI UOMIN

L’ambiguità sottolineata supra per il personaggio di Filottete, in particolare, per quanto riguarda il suo rapporto con la grotta, si rispecchia anche nel rapporto con gli uomini. Bisogna sempre tenere in considerazione, infatti, che egli ha vissuto per quasi dieci anni in un antro a Lemno nella più completa solitudine — ἄφιλον ἔρημον ἄπολιν (v.1018). Per questo è importante notare la differenza tra i rapporti instaurati da Filottete prima dell’abbandono sull’isola e quelli successivi. Si noterà, quindi, che i primi si caratterizzano per essere duraturi e indissolubili, mentre i secondi appaiono meno saldi e subiscono variazioni nel corso della tragedia.

Un antico legame di φιλία probabilmente legava Filottete e Achille se, basandoci su quanto detto dal primo a Neottolemo, si accetta il fatto che egli era molto amico di suo padre — ὦ φιλτάτου παῖ πατρός (v.242). Nel corso dell’opera non sono presenti ulteriori menzioni di questo rapporto, ma è

267 Mi riferisco alle tesi esposte in La production de l’espace, Paris 1974; i riferimenti al testo si basano sulla traduzione

inglese di D. Nicholson-Smith: The Production of Space (LEFEBVRE,1991).Per l’utilizzo della teoria di Lefebvre nello studio del teatro classico si veda WILES,1997:19-21.

268LEFEBVRE,1991:11-12.

72 interessante l’ipotesi di Kamerbeek270: Odisseo sarebbe stato ben conscio di ciò e avrebbe sfruttato

Neottolemo, il figlio di un caro amico di Filottete, per vincere la resistenza del figlio di Peante, anche se poi tale espediente si rivelerà infruttuoso dato che proprio la φύσις di Achille prenderà il sopravvento sul giovane portandolo ad abbandonare l’inganno.

Una simile amicizia viene rapidamente menzionata da Filottete anche nei confronti di Nestore, definito παλαιὸς κἀγαθὸς φίλος τ᾽ ἐμός (v.421) e molto apprezzato per la sua capacità di limitare le cattive azioni di Odisseo e Diomede grazie ai suoi buoni consigli (vv.422-23), per i quali era già noto nell’Iliade.

Il sentimento più forte che Filottete si porta dentro da quando è stato abbandonato a Lemno, però, è l’odio nei confronti di Odisseo e degli Atridi, presentati con la perifrasi οἱ ἐκβαλόντες ἀνοσίως ἐμὲ (v.257), in quanto responsabili di aver preso la decisione di abbandonarlo. Tale sentimento accompagna il protagonista del dramma per tutta la tragedia e di ciò si mostra consapevole, fin dalle prime battute, Odisseo (vv.45-7), che proprio per questo teme di essere aggredito da Filottete.

Il rancore di Filottete si mostra, oltre che nelle imprecazioni più generiche che augurano la morte ai suoi malfattori (vv.418; 1035-36; 1369), soprattutto nel desiderio che essi provino la stessa sofferenza che egli stesso ha dovuto patire a Lemno per tutto quel tempo (vv.274-75; 314-16; 794-95; 1113-15)271. Queste espressioni rientrano nella categoria della “parola efficace” e sono state

analizzate nel dettaglio da Manuela Giordano272. In particolare, mi soffermerò su alcune maledizioni

— ἀραί273 — scagliate da Filottete, in quanto mezzo attraverso cui l’odio provato dal protagonista

dell’opera trova modo di manifestarsi. La presenza dell’ottativo — τύχοι (v.275), δοῖεν (v.314), τρέφοιτε (v.795), ὄλοισθε (v.1035), ἰδοίμαν (v.1113) — è fondamentale per esprimere un rapporto diretto con la realtà, in quanto tende ad escludere gli dèi e a fare delle maledizioni una questione tra uomini. La maledizione dimostra così di essere un tratto peculiare del mondo degli uomini, essa non riguarda gli dèi se non indirettamente: a questi esseri immortali si può al massimo rivolgere una

270KAMERBEEK,1980ad 242.

271 Pucci, nel suo commento al v.275 (in AVEZZÙ-PUCCI,2003),nota come il desiderio che i colpevoli soffrano le stesse pene

subite dalle loro vittime sia tipico dell’eroe sofocleo (Ant. 927-28; OC 868-70).

272 Si tratta propriamente di “enunciati performativi”, che non si riferiscono semplicemente ad un’azione, ma la portano a

compimento; cfr. GIORDANO,1999a: 13.

73 preghiera, ma la struttura sintattica (generalmente imperativo seguito da un’infinitiva) e, soprattutto, le finalità sono ben differenti274.

Sebbene gli dèi vengano nominati due volte durante una maledizione (vv.315; 1036) ad essi deve essere assegnato il semplice ruolo di garanti più che di esecutori materiali275. Gli dèi devono, dunque,

garantire che si realizzi l’atto espresso dalla maledizione, perché in esso è presupposto un concetto di giustizia retributiva connaturato in Dike: ‹‹legge che determina gli eventi sia nel mondo fenomenico sia in quello umano, ipostasi mitica della legge di analogia, reciprocità e compensazione››276. Così,

infatti si esprime Filottete (vv.1035-36): κακῶς ὄλοισθ᾽: ὀλεῖσθε δ᾽ ἠδικηκότες τὸν ἄνδρα τόνδε, θεοῖσιν εἰ δίκης μέλει277.

La punizione dei suoi malfattori è diretta conseguenza proprio dell’ingiustizia — ἀδικία — che essi hanno perpetrato nei suoi confronti. E quale punizione sarebbe migliore di far in modo che gli Atridi e Odisseo sopportassero quanto egli stesso aveva dovuto patire? In questa direzione, infatti, è rivolta la maggioranza delle maledizioni di Filottete, come esposto sopra, quasi che non ci fosse niente di peggio da augurare al proprio nemico. In effetti, il dolore che Filottete ha dovuto sopportare sull’isola si caratterizza con un termine specifico nell’ultima imprecazione rivolta al solo Odisseo: ἀνία (v.1115). Tale termine, assente in Eschilo ed Euripide278, assume nell’opera sofoclea il significato di

una sofferenza totale, sia fisica, sia spirituale, come conferma Filottete stesso al momento dell’incontro con Neottolemo e i suoi marinai: ηὕρισκον οὐδὲν πλὴν ἀνιᾶσθαι παρόν (v.283). La sofferenza a Lemno è dappertutto e non lascia, quindi, tregua al malcapitato che, oltre a provare dolore per una ferita che non si rimargina, deve affrontare anche la solitudine, dato che si trova abbandonato su un’isola completamente deserta.

274 Salvo nell’eccezione della preghiera di male, che mostra la stessa struttura sintattica di una preghiera, ma ha

sostanzialmente lo scopo di una maledizione; cfr. GIORDANO,1999a: 24.

275GIORDANO,1999a: 20. 276GIORDANO,1999a: 28-29.

277 ‹‹Possiate morire male! E morirete per l’ingiustizia che avete commesso nei miei confronti, se agli dèi importa della

giustizia››; come rilevato nel commento ad loc. in AVEZZÙ-PUCCI,2003lo stesso concetto è espresso in altre due tragedie sofoclee: cfr. Tr. 808-11; El. 245-50.

278 S.v. TLG. Cfr. DGE in cui si nota come questo termine ricorra in casi di sofferenza inflitta da una divinità (Sapph., I 3; Pi., P. IV 154); sebbene all’interno del Filottete, a mio parere, tale termine potesse rientrare sotto questa accezione, viene

74 Proprio il lungo esilio di Filottete provoca dei ripensamenti nel suo rapporto con gli altri. Tali ripensamenti sono dovuti al suo mutevole stato d’animo279, esattamente come si è cercato di

evidenziare supra con la grotta, e così accade anche per quanto riguarda il suo rapporto col padre che non vede da quasi dieci anni. Questa lontananza sia spaziale, sia temporale, porta Filottete a mettere in dubbio il fatto che suo padre sia ancora vivo, specialmente in momenti di grande sconforto, come quando teme che nessuno abbia consegnato a Peante i messaggi in cui gli chiedeva di andare a prenderlo (vv.497-99), oppure quando, privato dell’arco, chiede una spada per uccidersi e ritrovare il padre nell’Ade (vv.1204-11). Nei momenti di euforia, però, che coincidono con le parti dell’opera in cui Filottete e Neottolemo si avviano a lasciare l’isola, non viene mai messa in dubbio la buona salute del padre che sarebbe in patria ad aspettarlo (vv.662-66) e, addirittura, doppiamente riconoscente nei confronti del giovane che gli ha riportato a casa il figlio (v.1370). Bisogna, comunque, notare che il legame col padre resta immutato durante tutta la tragedia, dato che, anche quando lo crede morto, Filottete si mostra disposto a raggiungerlo nell’Ade.

L’ambiguità nei rapporti da parte del figlio di Peante si mostra pienamente nei confronti di Neottolemo e questo è perfettamente normale se si considera che la loro relazione non risale a prima dell’esilio, ma, anzi, proprio a Lemno i due si conoscono per la prima volta. L’arrivo di Neottolemo e dei suoi marinai sconvolge l’esistenza di Filottete che, inizialmente, sembra commuoversi per il solo fatto di vedere degli abiti greci (vv.223-24) e, soprattutto, sentire qualcuno parlare nella sua lingua (vv.234-35). Si instaura, così, un forte rapporto di fiducia tra i due, dovuto al fatto che Neottolemo sembra avere acconsentito a riportare a casa Filottete (vv.645-46). Ciò consente al giovane figlio di Achille di entrare nelle grazie del protagonista del dramma che gli concede di toccare l’arco di Eracle, privilegio riservato a lui solo tra i mortali (vv.667-669), e arriva perfino ad affidargli la sua stessa vita, come Eracle aveva fatto con lui in precedenza (vv.799-803). Prima del voltafaccia di Neottolemo, Filottete lo loda apertamente per il suo comportamento, mettendolo a confronto con quello scellerato degli Atridi che hanno preferito abbandonarlo (vv.869-73). Forse proprio questa lode sincera tocca nel profondo Neottolemo che non riesce più a mentire e rivela a Filottete che in realtà vuole portarlo a Troia (vv.895-924).

75 Da questo momento il loro rapporto entra in crisi perché si rompe il legame di fiducia instauratosi in precedenza. Il figlio di Peante si lascia così andare ad una serie di insulti nei confronti di Neottolemo (vv.927-29), che si concludono con un augurio di morte (vv.961-62). Nel mezzo c’è uno sfogo ancora più significativo che merita di essere analizzato (vv.936-40):

ὦ λιμένες, ὦ προβλῆτες, ὦ ξυνουσίαι θηρῶν ὀρείων, ὦ καταρρῶγες πέτραι, ὑμῖν τάδ᾽, οὐ γὰρ ἄλλον οἶδ᾽ ὅτῳ λέγω, ἀνακλαίομαι παροῦσι τοῖς εἰωθόσιν, οἷ᾽ ἔργ᾽ ὁ παῖς μ᾽ ἔδρασεν οὑξ Ἀχιλλέως

‹‹Oh insenature, oh scogliere, oh compagnia delle fiere montane, oh rupi scoscese, a voi, dato che non conosco altra persona con cui parlare, miei compagni abituali rivolgo il lamento per quello che mi ha fatto il ragazzo, il figlio d’Achille!››

Filottete, disperato, non sapendo più a chi rivolgersi, indirizza il proprio lamento alla natura circostante con cui ha condiviso gli anni dell’esilio280, ma nel profondo sembra evidente che voglia far

leva sull’animo di Neottolemo, unico vero testimone di questo sfogo281. Il figlio di Peante non si è,

dunque, rassegnato nei confronti di colui che l’ha ingannato e non ha, perciò, interrotto completamente il legame che li univa. Lo stesso augurio di morte di poco successivo, che riprende le caratteristiche delle maledizioni analizzate in precedenza, — ὄλοιο—μή πω, πρὶν μάθοιμ᾽ εἰ καὶ πάλιν γνώμην μετοίσεις: εἰ δὲ μή, θάνοις κακῶς (vv.961-62) —, viene posto, però, sotto condizione: Neottolemo merita di morire, a meno che non ci ripensi e cambi nuovamente idea. Il fatto di tornare sui suoi passi riporterebbe Neottolemo alla condizione originaria, annullando l’ingiustizia commessa nei confronti di Filottete. Stando così le cose verrebbe eliminato il bisogno di ricorrere alla giustizia retributiva connessa alla maledizione.

280 Cfr. MAUDUIT,1995:347‹‹En cet instant où il se sent, plus que jamais, abandonné par ses congénères, ce monde

sauvage, qu’il perçoit le plus souvent sous un jour hostile et menaçant, apparaît à Philoctète comme le dernier refuge, l’unique source de sympathie et de consolation››.

281 L’importanza della componente visiva è sottolineata in SEALE,1982:50‹‹[…] in the last analysis it is not suffering, but the

‘sight’ of suffering which is the main concern. On the stage with the one who suffers is the one who observes››. Cfr. MEDDA, 1983:139-40‹‹Quello che mi preme osservare è la novità della situazione drammatica che Sofocle ha creato: non si tratta di un a parte in cui il parlante sfoga la tensione emotiva senza farsi ascoltare, ma di una situazione in cui Neottolemo ha davanti a sé la disperazione del protagonista, che si sente risospinto verso l’abbandono completo, e sa di esserne la ragione››.

76 Inizialmente, sembra che Neottolemo non si sia pentito per ciò che ha fatto e questo porta Filottete, che ormai si è convinto che l’arco non gli verrà più restituito, a lasciarsi andare ad un’imprecazione in cui Neottolemo si merita lo stesso trattamento auspicato per gli Atridi e Odisseo, i suoi peggiori nemici — ὄλοισθ᾽, Ἀτρεῖδαι μὲν μάλιστ᾽, ἔπειτα δὲ ὁ Λαρτίου παῖς καὶ σύ (vv.1285-86). Ma, come anticipato in precedenza dal dialogo tra Odisseo e Neottolemo (vv.1222-60), il giovane figlio d’Achille ha cambiato idea, come auspicava Filottete, e gli restituisce finalmente l’arco (vv.1291- 92) aprendo la strada al consolidamento di un legame che sembrava destinato a spezzarsi (vv.1308- 13). Tale legame solo ora può definirsi veramente φιλία, come conferma Filottete stesso annoverando Neottolemo nella cerchia dei suoi φίλοι (v.1467)282. In precedenza, infatti, entrambi i personaggi non

sembrano aver raggiunto un rapporto così profondo: il protagonista del dramma non definisce mai Neottolemo φίλος, mentre il giovane sembra servirsi di questo termine solo ai fini dell’inganno, per guadagnarsi la fiducia del figlio di Peante (vv.585-86; 671-73). È proprio, invece, dopo la pace tra i due che il termine assume il significato di ‘amico’ anche da parte di Neottolemo, che finalmente si comporta da φίλος (v.1385) cercando di consigliare Filottete per il meglio. Proprio in quest’amicizia nata tra Filottete e Neottolemo si potrebbe vedere un richiamo da parte di Sofocle a quelle risorse umane di eticità e giustizia e a quegli ideali gentilizi che avevano fatto grande Atene prima dello scoppio della Guerra del Peloponneso e che il tragediografo si auspicava ancora presenti in alcuni suoi concittadini283.

Lo ‘spazio sociale’ analizzato in 2.2.1 ha una grande influenza sul rapporto di Filottete con gli uomini, dato che in esso si cristallizzano i rapporti instaurati in precedenza, siano essi positivi (Achille e Nestore), caratterizzati da un legame di φιλία, o negativi (Odisseo e gli Atridi), resi manifesti dal ricorso a maledizioni, mentre l’unico vero rapporto nato sull’isola (Neottolemo) partecipa dell’ambiguità del luogo, passando da uno stato di possibile φιλία a un odio equiparabile a quello provato per i suoi malfattori. Non deve, dunque, stupire il fatto che il rapporto tra Filottete e Neottolemo si ricomponga nel finale e venga sentito veramente come φιλία solo nel momento in cui non c’è più dubbio che si lascerà Lemno e la grotta. Vengono così mostrate indirettamente sulla scena due entità divine Eris-Philia (potenza di conflitto – potenza di unione) all’opera, definite da Vernant ‹‹i

282 Cfr. SEGAL,19992:332. 283 Cfr. UGOLINI,2000:205.

77 due poli della vita sociale nel mondo aristocratico che succede agli antichi regni››284: la loro presenza

rappresenterebbe, quindi, la prova che con l’arrivo di Neottolemo e Odisseo sull’isola, capaci di risvegliare i sentimenti sopiti di Filottete che aveva vissuto per quasi dieci anni nella più completa solitudine, il figlio di Peante sta finalmente cominciando un processo di recupero della socialità che invece egli stesso era convinto di ottenere solamente attraverso il ritorno in patria.