• Non ci sono risultati.

La giuridicità del rapporto umano

Una volta esplicitata l’impostazione metodologica prescelta e dopo aver espresso le proprie riserve in relazione all’approccio normativistico, il nostro autore fornisce la sua personale definizione del fenomeno giuridico secondo la quale: «il diritto non è altro che l’essere del rapporto umano»24.

In relazione a tale definizione, l’obiettivo sarà quello di individuare a quale livello di “profondità”, nella prospettiva dell’intellettuale sardo, sia connaturata all’individuo quella caratteristica modalità del vivere umano qualificata come giuridica e consistente nell’adozione di regole di condotta oggettive e vincolanti. La tesi che si tenterà di argomentare è quella in ragione della quale sarebbe possibile sostenere che Satta ascriva l’origine della “giuridicità” alla struttura ontologica dell’individuo.

Il concetto di «rapporto umano», con il quale egli identifica l’«essere» del diritto, implica il necessario riferimento alla nozione di “relazionalità”. Il docente nuorese ricorre ad un esempio piuttosto originale per illustrare il funzionamento di tale struttura esistenziale: la descrizione del legame intercorrente tra Adamo ed Eva nel mito veterotestamentario. A tal proposito, afferma che i soggetti della coppia biblica pur apparendo soli, nelle loro rispettive individualità, in realtà non lo fossero in quanto sussistente tra di loro «un rapporto […] che noi oggi stemperiamo […] in una infinità di concetti (diritto, dovere, obbligo, potere e via all’infinito)» e che induce ad inferire che essi agissero in un modo che nella contemporaneità si potrebbe definire come coniugale25.

Satta reputa che l’analisi del rapporto umano in «vitro», ovvero la realtà “giuridica” determinatasi tra Adamo ed Eva, possa essere validamente trasposta anche ad uno studio del diritto calato

idealmente posto al di fuori del suo concreto “esserci storico”» (G.BIANCO, Crisi dello Stato e del diritto in Satta, in Nella scrittura di Salvatore Satta, cit., pp. 40- 41).

24 SATTA, Norma diritto giurisdizione, in Id., Quaderni del diritto e del

processo civile II, cit., p. 8.

121 nella realtà della vita associata. A tal fine, il passaggio necessario risiede semplicemente nell’ampliamento della piattaforma d’esame: vale a dire, individuando le modalità mediante le quali l’essere del rapporto umano si declina nell’ambito della societas. Tale “meccanismo di riproduzione” dell’essere nella società non determina alcuna variazione in relazione all’essere individuato nell’originario mito della Genesi dal momento che, sostiene il giurista nuorese, «l’essere non conosce né modificazioni, né evoluzioni»26. Ciò nonostante, egli evidenzia come possa essere erroneamente ravvisato tra i due contesti un’apparente ma purtuttavia rischioso, quanto alle possibili conclusioni, profilo di differenza. Mentre «nell’isolamento in vitro», infatti, particolare ed universale si identificano, nella società sembra operare una dinamica opposta nella misura in cui la sfera del particolare pare non possedere in se stessa una dimensione autonoma «se non di riflesso all’universale». Viceversa, nella concezione sattiana quanto definito societas altro non rappresenta che la vita così come vissuta dall’uomo: vale a dire, il «suo essere, l’universale nel quale egli soltanto esiste»27. Ne consegue che il fenomeno giuridico, il quale nella narrazione biblica si presenta “singolarmente” come essere del rapporto umano, nella realtà del concreto si dirami “pluralmente” nella varietà dei rapporti intersoggettivi. È in tale multiformità che, nella prospettiva del nostro autore, «il particolare e l’universale

convertunt»28. Rimanda ad echi vichiani, l’assunto del docente sardo secondo cui l’universale non è trascendente all’individuale o, addirittura, a quest’ultimo opposto. Al contrario, per Satta la sola realtà concepibile è data dalla storia e dall’individuale di cui essa si costituisce. Di conseguenza, quest’ultimo condivide con l’universale lo stesso valore di verità, poiché è incarnandosi nel particolare che l’universale assume forma reale e concreta. È come se, argomentando in tal modo, l’intellettuale nuorese volesse sostenere

26 Ibidem. 27 Ivi., p. 16.

28 MAZZARELLA, Meditazioni su Satta ultimo: il diritto come l’essere del

122 che universale e particolare trovino opposizione esclusivamente sotto il profilo semantico. L’universale consente, infatti, di far confluire nel particolare la molteplicità empirica, realizzando una corrispondenza di senso che si presenta come identità non di forma ma di contenuto.

Tuttavia, pur avendo definito il diritto in termini di «essere del rapporto umano», l’argomentazione sattiana non esplicita espressamente cosa identifichi il quid di tale rapporto29. Riferendosi al paradigma biblico impiegato dal docente sardo, opportunamente osserva Ferdinando Mazzarella: «Il rapporto tra i due è un’entità reale o è una modalità dell’essere dei due termini del rapporto medesimo? Esiste il “rapporto” o non piuttosto l’essere-in- rapporto con?»30.

Al fine di fornire una risposta a tale interrogativo, che appare cruciale in un’ottica ricostruttiva della concezione che il nostro autore ha del diritto, sembra opportuno ripartire dalla prospettiva fenomenologica che egli adotta. L’impiego di una simile impostazione metodologica consente di evidenziare due elementi fondamentali nella connotazione di quella “umanità” nella quale Satta identifica il diritto. Il ricorso alla fenomenologia, infatti, implica il riferimento a due ordini di considerazioni. Sulla base del primo, il comportamento umano oggetto di osservazione fenomenologica è ciò che appare “visibile”31 in termini di relazione- rapporto.

29 «Dicendo “essere”» afferma Satta «non si fa riferimento alcuno al c. d

contenuto del diritto […] questa impostazione è uno dei tanti falsi problemi che si trascina appresso il normativismo. Il contenuto (e la forma insieme) del rapporto giuridico è l’essere, tout court» (SATTA, Norma diritto giurisdizione, in Id., Quaderni del diritto e del processo civile II, cit., p. 14).

30MAZZARELLA, Meditazioni su Satta ultimo: il diritto come l’essere del

rapporto umano, cit., p. 176.

31 In relazione al ruolo che lo sguardo dell’altro riveste nel meccanismo di

acquisizione da parte del soggetto dell’identità del proprio sé, scrive Capograssi: «mettendosi a contatto con l’altro soggetto e scoprendolo, il soggetto vede nel tempo stesso rispecchiato se stesso nell’altro, eppure si vede diverso dall’altro» (CAPOGRASSI, Analisi dell’esperienza comune, Prefazione di P. Piovani, Milano, Giuffrè, 1975, p. 47). Sull’importanza della visibilità come strumento dell’io finalizzato alla comprensione delle strutture del proprio essere si veda, in particolare, J.P.SARTRE, L'être et le néant, Paris, Gallimard, 1947, tr. it., G. Del Bo, L’Essere e il Nulla, Milano, Il Saggiatore, 1964. In tal senso, il filosofo francese sostiene: «Se mi si guarda io ho la coscienza di essere oggetto. Ma questa coscienza può prodursi soltanto in e per l’esistenza dell’altro». Dunque: «Solo

123 Tale specifica struttura esistenziale che si realizza attraverso lo svolgimento dell’azione, ovvero della volontà di essere dell’io, culmina nella dinamica del riconoscimento. Nel capitolo precedente, è emerso come il giurista nuorese condividesse la visione capograssiana dell’azione quale imprescindibile “farsi presente” del soggetto nel mondo32. In merito a tale specifico aspetto, riportiamo per intero un’affermazione sattiana che sul tema appare particolarmente chiarificatrice: «a me pare che l’analisi giuridica sia analisi dell’umano rapporto (che nasce giuridico, non riceve cioè dall’esterno, se non in via secondaria e mediata la sua giuridicità) vale a dire in definitiva analisi dell’azione»33. L’azione, ed è questo il secondo elemento fornito dalla prospettiva fenomenologica, presuppone l’esistenza della

attraverso l’essere visto dall’altro soggetto si spezza il cerchio e la solitudine della mia coscienza e del mio mondo, ed io sono posto […] come un essere in mezzo al mondo per altri» (rispettivamente, pp. 332-333, 342-343). Ed ancora, con riferimento alla concezione dell’autocoscienza quale “fenomeno” intersoggettivo, scrive Jürgen Habermas: «Forse che noi non diventiamo autocoscienti soltanto quando un altro prende a volgere il suo sguardo su di noi? Negli sguardi del Tu […] io divengo cosciente di me stesso non solo come soggetto che esperisce in genere, bensì contemporaneamente come io individuale. Gli sguardi soggettivanti dell’Altro hanno una virtù individuante» (J. Habermas, Zwischen Naturalismus und Religion. Philosophische Aufsätze, Frankfurt am Main, 2005, tr. parz. it., M. Carpitella, La condizione intersoggettiva, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 8).

32 A proposito dell’influenza del filosofo di Sulmona sulla teoria dell’azione

condivisa dal nostro autore riportiamo alcune righe di una lettera inviata da Capograssi a Satta, il 25 giugno del 1950: «Certo il modo di risolvere il mistero del processo, cioè riportarlo là dove è, alla storia dell’azione. Se si stacca processo e azione, non si capisce più il processo; e non si capisce più l’azione. Ma d’altra parte bisogna riflettere su quello che è l’azione. L’azione è il soggetto, niente altro che il soggetto, è tutto quello che riesce a realizzare il soggetto della sua profonda e inesauribile natura, e della comunicazione che il soggetto ha con gli altri soggetti (appunto: amicizia!)» (CAPOGRASSI, Lettere a Salvatore Satta, a cura di F. Mercadante, Roma, edizioni Spes – Fondazione Giuseppe Capograssi, p. 33). Più recentemente, con riferimento alla tematica dell’azione, fondamentale la riflessione di Sergio Cotta: «il soggetto è un ente dinamico dacché agisce; tale dinamicità è rappresentata nella forma del tendere-a: agire è tendere a realizzare se stesso nell’azione. Perciò l’azione implica una in-tensione-a, ossia la tensione, presente in un soggetto, a qualche cosa di cui l’io si sente mancante e bisognoso» (S.COTTA, Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 49-50).

33 SATTA, Svolgimenti critici di una dottrina sull’esecuzione forzata, in Id.,

124 pluralità umana34 la quale, a sua volta, si pone come presupposto fondativo della giuridicità35.

Ciononostante, l’elemento che l’intellettuale nuorese acutamente non manca di rilevare è che la dialettica tra le azioni umane in numerose occasioni sfocia in un conflitto interindividuale, suscettibile di risolversi nella negazione dell’essere del rapporto umano e, dunque, del diritto che con esso si identifica.

Per argomentare tale asserzione l’autore effettua un inaspettato ma efficace excursus nell’ambito del diritto internazionale. Proprio in tale contesto, si rende particolarmente visibile come l’ostilità tra la pluralità di Stati attenti ripetutamente alla conservazione dell’umano rapporto, e pertanto, del diritto. Tuttavia a meno di tale dato di fatto, Satta evidenzia come il fenomeno giuridico riesca ad originarsi anche nella specifica e delicata sfera internazionale. In particolare, nella sua riflessione, la genesi di quest’ultimo andrebbe rintracciata nella circostanza che «ogni Stato deve riconoscere (tener conto) che ci sono degli altri Stati»36. Simile affermazione permette di sostenere che le considerazioni effettuate dal docente sardo in relazione al diritto internazionale siano nient’affatto che accidentali. È in tale ambito, difatti, che si pone in termini di macroscopica evidenza la realtà per

34 Al riguardo Husserl, da cui Satta era stato influenzato attraverso

l’insegnamento capograssiano, sostiene che agendo il soggetto si rende conto di essere immerso in una realtà che rispetto ad esso si presenta nella duplice forma della diversità e della similitudine. Nello specifico, i «simili» sono tali perché «agiscono come me» e si pongono dinnanzi all’io «sotto forma di altri io» (E. HUSSERL, Med. Cartes., V, 48). Tuttavia, non è possibile fare a meno di riportare come già Tommaso d’Aquino avesse sostenuto che ogni ente è se stesso sia dal momento che si configura come uno e indiviso in sé, sia poiché presenta un che di distinto (un aliud quid) rispetto agli altri enti. Cfr. Quaestiones disputatae, De veritate, I, 1.

35 «Riecheggiando motivi neoidealistici» rileva Alberto Scerbo «Satta pone

invece a fondamento della propria teoria l’essenziale socialità dell’uomo e la naturale giuridicità del rapporto umano. Il diritto, quindi, in quanto essere del rapporto umano, necessita di riconoscimento: è questo il motivo che giustifica il sorgere dello Stato. Non uno Stato personificato, soggetto pubblico opposto ai soggetti privati, unico al pari del singolo individuo, ma uno Stato strumento della società, perché non è altro che l’organizzazione stessa della societas, e per ciò “esprime il gruppo nella sua volontà, nei suoi valori, nel suo diritto, ed è la possente astrazione di tutti questi valori, rispetto ai quali non ci sono né sovrani, né sudditi”» (SCERBO, Salvatore Satta e il ritorno dei processualisti alla filosofia, cit., p. 166).

36 SATTA, Norma diritto giurisdizione. Chiose, in Id., Quaderni del diritto

125 la quale il diritto affondi le proprie radici nella consapevolezza dei soggetti dell’esistenza di una dimensione “primitiva” ed “antecedente” che, accomunandoli in quanto uomini, dovrà essere necessariamente riconosciuta e salvaguardata. In altre parole, dunque, è nell’atto specifico del «riconoscimento della pluralità»37 che risiede l’originaria affermazione dell’essere.

Ne La creazione del sacro, Burker affronta l’analisi della religione come elemento la cui presenza è costantemente riscontrabile nel corso della storia umana. A suo avviso, le motivazioni di una tale “persistenza” risiedono nell’esistenza di un impulso naturale alla conservazione che scaturisce dal dato della pluralità umana38. Non pare particolarmente azzardato sostenere che una tale pulsione alla sopravvivenza attiri, nella sfera di una pur peculiare dimensione del sacro, anche il fenomeno giuridico che dell’individuo contribuisce a garantire la sopravvivenza sin dalle origini. Nonostante numerose tragedie continuino a susseguirsi sul palcoscenico della storia, l’umanità continua a configurarsi come un “gruppo” che, per quanto fortemente scisso al suo interno, conserva in comune l’istinto ad una proiezione di se stesso nella dimensione temporale del futuro. Il genere umano affida il proprio tentativo di auto-conservazione principalmente ad una sorta di «riserva di fede»39, non solo nelle sue potenzialità scientifico-tecnologiche ma

37 Ivi., p. 38.

38 W.BURKERT, Creation of the sacred, Cambridge, Harvard university

press, 1996, tr. it. F. Salvatorelli, La creazione del sacro, Milano, Adelphi, 2003, p. 20.

39 L’ espressione si ritrova in MAZZARELLA, Bernardo Albanese (1921-2004)

In memoriam, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», Vol. 81, IV, pp. 709-714. Non è sicuramente questa la sede per ripercorrere gli studi compiuti in merito alla nozione di fides; l’aspetto che qui preme sottolineare riguarda essenzialmente il legame che anche tale nozione condivide, al pari del fenomeno giuridico, con la dimensione della relazionalità già a partire dal mondo greco- romano. A tal proposito, il linguista Émile Benveniste, impiega l’espressione «fedeltà personale» evidenziando come «colui che detiene la fides messa in lui da un uomo tiene quest’ultimo in suo potere […] Nella loro forma primitiva, queste relazioni implicano una qualche reciprocità (corsivo nostro): mettere la propria fides in qualcuno procurava, in cambio, la sua garanzia e il suo aiuto» (É. BENVENISTE, Le Vocabulaire des institutions indo-européennes, I: Économie, parenté, societé, Paris, Édition de Minuit, 1969, p. 118-119). La fede, dunque, assume una valenza simmetrica nella misura in cui rappresenta tanto la fiducia concessa a qualcuno quanto la fiducia di cui si gode presso qualcuno. Vi è, tuttavia, un’ulteriore fondamentale caratterizzazione di tale istituto che attiene ai rapporti tra i popoli. Era piuttosto frequente, infatti, che nel corso di una guerra

126 anche nelle sue strutture organizzative. Tra queste ultime, in posizione preminente, si pone il diritto, la cui nascita va sostanzialmente ricondotta alla sola condizione che «più persone convivono senza distruggersi vicendevolmente»40.

Come ancora una volta osserva Ferdinando Mazzarella, nel breve passaggio dedicato da Satta al diritto internazionale il termine essere, oltre al fisiologico rimando alla categoria dell’essenza, implica una ineludibile relazione con quella dell’esistenza, declinata secondo il parametro temporale della durata. Detto in altri termini, il diritto non solamente individua il contenuto della relazione inter- soggettiva ma rappresenta altresì l’elemento che ha, fino a questo momento, «causato la sopravvivenza, l’esistenza appunto»41 dell’uomo.

Pertanto, distruzione e affermazione dell’essere del rapporto umano risultano essere annodate a filo doppio: la pluralità se può annientarsi attraverso un’autonegazione, allo stesso modo, può assicurare la propria esistenza attraverso il meccanismo del «riconoscimento»42. Il contesto internazionale mostra, dunque, come la necessità continua del riconoscimento si imponga non solo per gli Stati ma in primis per gli individui che li compongono. Non dimentichiamo che il diritto, sostiene il nostro autore, si realizza «per le vie, nei fori, nei mercati, nelle prigioni, negli stessi giornali, ovunque in qualche modo si viva»43. Così dicendo, egli sottolinea come la vita assuma la connotazione della giuridicità attraverso la

una delle città in lotta ricorresse alla deditio in fidem ovvero si sottomettesse in maniera incondizionata all’altra impegnandola, però, ad un atteggiamento più indulgente. (Sul punto,S. CALDERONE, Pistis-fides. Ricerche di storia e diritto

internazionale nell’antichità, Università degli studi, Messina, 1964, pp. 38-41). Pertanto nell’epoca greco-romana, la fede si presenta quale «fenomeno complesso, insieme giuridico-politico e religioso, che ha la sua origine, come il giuramento nella sfera più arcaica del prediritto» (G.AGAMBEN, Il tempo che

resta. Un commento alla Lettera ai Romani, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 107-109).

40 ALBANESE, Premesse allo studio del diritto privato romano,

Pubblicazioni del Seminario giuridico dell’Università di Palermo, 1978, p. 15 in nota.

41 MAZZARELLA, Bernardo Albanese (1921-2004) In memoriam, cit., p. 714. 42MAZZARELLA, Meditazioni su Satta ultimo: il diritto come l’essere del

rapporto umano, cit., p. 175.

43 SATTA, Prefazione al primo volume del Commentario al c. p. c (1959), in

127 relazione tra gli uomini; ovvero, sulla base della presa di coscienza, da parte di questi ultimi, che la sussistenza delle rispettive esistenze non possa non dipendere dall’esigenza di un vicendevole riconoscimento.

A questo punto, si ritiene opportuna una precisazione.

La mancata assunzione della filosofia ad oggetto di interesse “esclusivo” da parte di Satta, se pure ha dato adito al tentativo di imputare alla sua riflessione una scarsa attenzione a tale essenziale dimensione del pensiero, non preclude affatto la possibilità di valorizzare la molteplicità degli apporti che la sua opera può offrire in merito. È questa la strada che la seguente analisi ha deciso di percorrere, nella convinzione che la meditazione di tale studioso sul diritto, inteso come luogo di costituzione delle soggettività, possa consentire di ricavare dal suo percorso intellettuale un valido ausilio a supporto della tesi che sostiene l’appartenenza del fenomeno giuridico alla struttura ontologica dell’individuo. Pertanto, ci si assume il rischio di collocare la concezione del diritto del nostro autore nel contesto di una indagine più ampia, che includa l’impiego di categorie teoriche afferenti ad ambiti disciplinari ulteriori rispetto a quello prettamente giuridico: in particolare, a quello filosofico ed a quello socio-antropologico.

In tale prospettiva, abbiamo ritenuto che la dinamica sattiana negazione-riconoscimento dell’«essere del rapporto umano» potesse, probabilmente, essere meglio intesa mediante una sorta di parallelismo effettuato con le “griglie concettuali” coniate, in relazione a tale specifica tematica, da parte del filosofo del diritto Sergio Cotta e del filosofo e sociologo tedesco Jüregen Habermas. Quest’ultimo, nell’affermare che la vicendevole dipendenza tra soggetti declini una specifica «immagine della posizione dell’uomo nel mondo», sostiene che l’animale-uomo esclusivamente mediante il suo «originale inserimento in una pubblica rete di relazioni sociali sviluppa le competenze che fanno di lui una persona»44.

128 Sulla base di tale assunto di partenza, nella dimensione della realtà del concreto, il principale impedimento all’azione dell’io viene ad essere individuato nell’esserci degli altri io e nella loro relativa azione. In siffatto contesto, ciascun io ha la possibilità di esercitare la propria pretesa la quale «è sentita come spontanea affermazione giusta del proprio essere e quindi come un diritto secondo l’arbitrio del soggetto»45. La simultanea presenza di una pluralità di pretese potrebbe indurre a ritenere che l’unico possibile esito del loro relazionarsi risieda nel bellum ominium contra

omnes. In realtà, al contrario, tale situazione si pone per l’appunto

come un’eventualità di fronte alla quale se ne apre un’altra, rappresentata dal meccanismo del riconoscimento che consente di realizzare la «compatibilità delle pretese», sulla base di una superiore «regola comune»46. In tale concezione, la dialettica del riconoscimento determina l’individuazione di una norma condivisa che, regolamentando l’intersoggettività dei legami, rappresenta l’unica garanzia per l’«affermazione e salvaguardia di sé quale soggetto umano»47. È tale norma condivisa a costituire in nuce l’origine del diritto. Dunque, il fondamentale elemento strutturale