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Tra natura e fede: l’indissolubilità del matrimonio

7. Satta pubblicista

7.1 Tra natura e fede: l’indissolubilità del matrimonio

In relazione alla tematica dei cosiddetti «valori eterni», costantemente difesi da Satta, Mario Segni nel ricordare l’amicizia che legava il giurista nuorese al padre Antonio ha fatto riferimento alla condivisione da parte dei due uomini di alcuni principi il cui

ma neppure inseriti in una logica capace di darne il senso in rapporto alle oggettive tendenze al cambiamento» (DELOGU, Esperienza giuridica e esperienza

della pena in Salvatore Satta, in Nella scrittura di Salvatore Satta, cit., p. 110).

143 GAZZOLA STACCHINI, Come in un giudizio, cit., p. 85. Ed ancora, in

relazione all’incidenza che sulla vita del nostro autore rivestì il giovanile esercizio dell’avvocatura, sostiene Alberto Scerbo: «è la risposta di chi non si arresta alle fredde teorizzazioni e si accontenta di inserire le fattispecie concrete entro caselle normative preordinate, ma di colui il quale ha intensamente vissuto i problemi e gli affanni che si agitano nelle aule giudiziarie e si è impegnato a scostare il velo posto dinanzi alle regole processuali» (SCERBO, Salvatore Satta e il ritorno dei

processualisti alla filosofia, cit., p. 169).

144 «All’università Satta aveva fama di uomo della conservazione. Si era

pronunciato, al tempo del referendum sul divorzio, per l’indissolubilità del matrimonio. Era stato lui a coniare, scrivendo per Il Tempo di Roma, la definizione dei “pretori d’assalto”. In realtà Satta è stato un conservatore anomalo, sempre insoddisfatto e contrario, nemico dei luoghi comuni, sospettoso di una modernità superficiale. “Aveva una visione morale rigida, ma passionale ed intensa e un mondo costruito sui valori assoluti”, ricordano gli amici» (S. MALATESTA,Perchè fu rimandato “Il giorno del giudizio”, in «La Repubblica», 12 maggio 1979, ora in Salvatore Satta. Rassegnastampa, cit., p. 90).

157 rispetto essi ritenevano essenziale tanto nella sfera privata, quanto in quella pubblica. Tra tali valori, che il figlio dell’ex Presidente della Repubblica definisce ottocenteschi, vengono annoverati la dedizione nei confronti della famiglia, l’inclinazione alla modestia, la predilezione per la sobrietà, la pratica dell’onestà145.

In particolare, la devozione del nostro autore alla sfera familiare è ciò che fornisce giustificazione alla posizione assunta a proposito della tormentata vicenda dell’istituto del divorzio146. Le motivazioni dell’assoluta esigenza di rispettare l’indissolubilità del vincolo matrimoniale e, pertanto, la contrarietà alla legalizzazione del suo scioglimento, vanno rintracciate nel ruolo centrale che egli ritiene la famiglia abbia assunto nel processo di formazione dello Stato. Prima di delineare l’“originale” concezione sattiana posta a fondamento delle ragioni dell’indissolubilità del matrimonio, sembra opportuno inquadrare, seppure a livello molto generale, la vicenda storica che ha caratterizzato l’iter del divorzio nel nostro Paese.

Nonostante la forte resistenza della Democrazia Cristiana, il divorzio viene introdotto in Italia con la legge 1°dicembre 1970, n. 898, rubricata: “Disciplina dei casi di scioglimento del

matrimonio”147. In mancanza dell’unanimità nella sua approvazione ed anzi vista la forte opposizione del partito di maggioranza relativa, negli anni successivi sorge un movimento politico-sociale che riesce a raccogliere cinquecentomila firme di “dissenzienti”, finalizzate all’abrogazione della legge mediante referendum. Tuttavia la consultazione diretta, per alterne vicende,

145 M.SEGNI, Ricordo di un amico, in Salvatore Satta giuristascrittore, cit.,

p. 479.

146 «Il vero fulcro di tradizionalismo etico del Giorno del giudizio» sostiene

Vittorio Spinazzola «sta nella convinzione che il rapporto uomo-donna sia legittimato solo dal matrimonio. Non per nulla, del resto, l’autore a suo tempo si era dichiarato contrario al divorzio. Vero è che l’istituto familiare gli appariva in crisi permanente, come sede non di espansione fertile ma di inaridimento malevolo di sentimenti affettivi. Tuttavia, al di là di questa barriera dell’ethos egli non vedeva altro che lo scatenamento del libertinaggio» (SPINAZZOLA, La

memoria giudicatrice di Salvatore Satta, cit., p. 165).

147In relazione all’istituto del divorzio, per un inquadramento generale, G.

SCIRÈ, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al

158 viene rimandata dal 1972 al 1974. È solo in quest’ultimo anno che il referendum sancisce la volontà della maggioranza della popolazione di mantenere in vigore la legge.

Nell’articolo intitolato Il divorzio e la sua legge, scritto all’indomani dell’approvazione della legge in questione, Satta esprime le proprie amare considerazioni. Pur concordando sull’attribuzione al divorzio della “qualifica” di fatto storico di indiscutibile portata, egli dissente dalla prevalente tendenza a riconoscere in esso una semplice modificazione “esterna” delle strutture di vita di un popolo. Nella sua prospettiva, il nucleo familiare formatosi successivamente all’entrata in vigore della nuova legge si sarebbe, di lì in poi, contraddistinto per la inequivocabile presenza del «transeunte» e dell’«effimero»; sentimenti che avrebbero usurpato il prezioso «senso del sacro» che aveva connotato, per tradizione millenaria, l’istituto del matrimonio. Nel contesto di una simile visione, rappresentando la famiglia la «proiezione più alta» dell’uomo, la solubilità del legame matrimoniale avrebbe determinato un inevitabile mutamento nella dimensione spirituale di quest’ultimo148.

La posizione più dettagliata espressa dal nostro autore sulla tematica del divorzio e, attraverso di essa, sulla sua concezione del matrimonio e della famiglia la si ritrova nello scritto Il problema del

divorzio, antecedente all’approvazione della legge e contenuto nel Terzo dei Quaderni149. Come di consueto, in linea con la sua onestà

scientifica, il giurista sardo esplicita la prospettiva a partire dalla quale intende prendere le mosse nell’esprimere il suo parere. Pertanto, una volta individuati i referenti testuali di riferimento, rispettivamente, negli articoli 2 e 29 della Costituzione, egli si premura di chiarire che le sue intenzioni non sono quelle di analizzare se tali disposizioni rappresentino un limite di natura formale ad un eventuale inserimento, nella normativa italiana, di

148 SATTA, Il divorzio e la sua legge, Gli articoli del «Gazzettino», 29

novembre 1970, in Id., Quaderni del diritto e del processo civile VI, cit., pp. 104- 106.

149 SATTA, Il problema del divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del

159 una legge disciplinante il divorzio. Le motivazioni di una simile scelta non risiedono nella svalutazione della rilevanza pratica della questione quanto, piuttosto, nella decisione di collocare la riflessione ad uno specifico livello: un livello «universale ed eterno», trascendente quello «particolare e contingente»150.

In tale ultimo caso sarebbe stato infatti sufficiente, secondo Satta, far riferimento al procedimento formale di modificazione della Carta Costituzionale. Dal suo punto di vista, tuttavia, tale percorso rappresenta un iter fin troppo agevole attraverso cui sottrarre «ogni valore determinante»151 alle disposizioni costituzionali il cui contenuto valoriale, all’opposto, andrebbe tutelato con maggior cura e responsabilità. Di qui discende nella concezione sattiana, la necessità di adottare in relazione ai citati articoli della Costituzione una prospettiva ermeneutica connotata dalla presenza di un elemento che l’autore definisce in termini di «spirito curiale»; intendendo con ciò la sola “attitudine” in grado di cogliere in tali norme «qualche cosa di eterno»152.

Premessa l’indicazione dell’ottica interpretativa prescelta, il processualista nuorese procede ad analizzare il legame di complementarietà che lega gli articoli 2 e 29 della Costituzione. Ancora una volta, egli assume quale dato di partenza un rilievo critico di natura metodologica riferito alla tradizionale tendenza esegetica sviluppatasi in relazione a tali disposizioni.

Nella prospettiva di Satta l’equivoco, come sempre discendente da un’esigenza concettual-lessicale, scaturisce dall’operare del noto meccanismo della “personificazione” da cui deriva la concezione dello Stato quale entità assoluta e sovrapposta alle altre sfere della socialità. Secondo una simile impostazione teorica, gli articoli di riferimento non farebbero altro che convalidare la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici,

150 Ivi., p. 41. 151 Ivi., p. 42. 152 Ibidem.

160 intesa nella sua accezione di «autolimitazione che lo Stato pone a se stesso»153.

È possibile, giunti a questo punto, individuare lo snodo fondamentale che fornisce, a nostro avviso, la chiave di lettura per comprendere l’argomentazione di Satta sul tema. Se l’errore risiede nell’adozione di detta inesattezza prospettica, si pone come legittima una sorta di inversione interpretativa in virtù della quale non sarebbe la Repubblica a dover riconoscere la famiglia quale principale formazione sociale quanto, all’opposto, la famiglia a doversi riconoscere nella Repubblica, in quanto esito della sua naturale evoluzione. Per il nostro autore, «la Repubblica è la famiglia» e la relazione che lega le due realtà si traduce in una «indissociabile unità»154, a tal punto che qualsivoglia trasformazione della famiglia determina una speculare modificazione della Repubblica. La verità di tale imprescindibile connessione è, per l’intellettuale sardo, comprovata dalla scelta del costituente di riferire alla famiglia l’attributo di «naturale».

Egli definisce tale opzione costituzionale una sorta di «pennellata metafisica» finalizzata ad identificare una «realtà che è diritto» ma che, contestualmente, «trascende il diritto»155.

Il valore, per così dire, “ontologico” che la nascita della famiglia apporta al processo di formazione della società viene, anche in tal caso, individuato nella dimensione della relazionalità. Per riferirsi all’operare di tale struttura esistenziale nel contesto del nucleo familiare, Satta riporta alcune espressioni capograssiane contenute nel Saggio sullo Stato. In tale scritto, il filosofo di Sulmona afferma che l’individuo inizia «ad essere relazione» per la prima volta nell’ambito della famiglia, laddove si verifica l’originario riconoscimento da parte dell’uomo e della donna della loro «comune natura umana»156. Effettuato questo preliminare inquadramento concettuale, il nostro autore riporta il lettore alla

153 Ibidem. 154 Ivi., p. 43. 155 Ivi., p. 44. 156 Ivi., p. 45.

161 formula contenuta nell’articolo 29 della Costituzione, in base alla quale la famiglia viene definita in termini di «società naturale fondata sul matrimonio». Pertanto, riconosciuto il carattere naturale della famiglia per estensione se ne dovrà inferire anche quello del matrimonio. Se si ritiene corretta una tale deduzione, il nocciolo della questione risiede, per Satta, nel seguente interrogativo: «fa parte l’indissolubilità della naturalitas del matrimonio?»157.

Al fine di risalire alla risposta fornita dal processualista nuorese a tale questione si può fare riferimento ad un altro degli scritti presenti nel Secondo dei Quaderni158, laddove egli sostiene

che il matrimonio costituisca la reale «testimonianza dello spirito umano» e che, in quanto tale, possieda «carattere sacro».

Detta intrinseca connotazione di sacralità implica che all’unione tra gli sposi appartenga in embrione la capacità di “assorbire” tutti gli imprevisti e le difficoltà della vita, eccezion fatta per la morte. Pertanto, al di là di essa, nessuna ragione può legittimamente giustificare l’annullamento del vincolo.

Pur dichiarando di non volersi riferire, con l’impiego della nozione di sacralità alla positiva credenza in uno specifico dogma, Satta sostiene espressamente che «il nostro spirito» (lo spirito italiano) sia uno «spirito cattolico», a prescindere dalla fede individuale di ognuno159. Del tutto peculiare è il percorso mediante il quale egli argomenta che sia la tradizione cattolica di cui tutti, atei compresi, saremmo partecipi a render ragione della “naturalità” del matrimonio e, conseguentemente, dell’impossibilità di scioglierlo. Il giurista sardo, infatti, avanza l’originale ipotesi che il dogma religioso dell’indissolubilità del legame coniugale discenda dall’evoluzione “storica” della legge biologica secondo la quale per garantire la prosecuzione della specie umana, non essendo il ciclo riproduttivo degli uomini tanto rapido quanto quello animale, la

157 Ivi., p. 47.

158 Il riferimento è alla lettura, da parte di Satta, del testo di FRANCO LIGI,

Divorzio: Dibattito all’italiana, Padova, Cedam, 1968 (SATTA, Letture. Divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del processo civile II, cit., pp. 159-163).

162 natura avrebbe disposto l’indissolubilità dell’unione tra di essi160. Per dirlo con le specifiche parole sattiane, il postulato religioso dell’inscindibilità del matrimonio rappresenterebbe la «traduzione in atto di fede di un’esigenza biologica»161. Sarebbe stata la confluenza delle leggi di natura nella sfera religiosa a permettere che quest’ultima facesse apparire «naturali veramente le civili istituzioni»162, prime fra tutte la famiglia ed il matrimonio.

L’autore ritiene che il concetto di matrimonio, così come giunto sino ai suoi tempi, scaturisca dalla fede tramandata dalle generazioni che ci hanno preceduti. Di conseguenza, la nostra sarebbe una «società cattolica» non nel senso dell’effettiva messa in pratica del culto da parte dei suoi membri, quanto piuttosto per originaria «formazione spirituale»163. Dunque, così come concepita da Satta la famiglia naturale è quella che, sulla base della progressiva «laicizzazione della fede»164, si è formata nella storia e nell’ambito di essa si è gradualmente data la sua disciplina165.

Lo studioso nuorese, tuttavia, è assolutamente consapevole dell’ineluttabilità della trasformazione sociale. Egli non manca di evidenziare, infatti, come il mutamento della “natura-fede”, conseguente al processo di secolarizzazione della religione cattolica, discenda da un’evoluzione della società in seguito alla quale, in seno a quest’ultima, nuovi valori sono subentrati ai precedenti. Il problema consiste, nella prospettiva sattiana, nel verificare con certezza se tale intimo cambiamento possa dirsi realmente avvenuto. Secondo il docente sardo, un’osservazione superficiale della realtà potrebbe far propendere, in relazione allo specifico caso del matrimonio, per una risposta positiva. Se ciò fosse vero, tuttavia,

160 SATTA, Il problema del divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del

processo civile III, cit., p. 49.

161 Ibidem. 162 Ivi., p. 50.

163 SATTA, Il problema del divorzio. Postilla, in Id., Quaderni del diritto e

del processo civile III, cit., p. 57.

164 SATTA, Il problema del divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del

processo civile III, cit., p. 51.

165 A tale specifico proposito Satta sostiene che: «la naturalità è proprio la

disciplina giuridica della famiglia e del matrimonio, quale un dato momento storico ce lo presenta» (SATTA, Il problema del divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del processo civile III, cit., p. 33).

163 analoga considerazione dovrebbe essere estesa, altresì, ad ulteriori sfere della dimensione sociale: la politica, la giustizia, la scuola; contribuendo con ciò a far sorgere il fondato timore che un generalizzato stato di crisi stia attraversando la societas in tutte le sue principali istituzioni166. Eppure la solubilità del matrimonio,

riconosciuta la rilevanza cruciale della famiglia nel processo formativo della vita associata, non dovrebbe originarsi da una fase di smarrimento quanto, all’opposto, dall’avvenuta acquisizione da parte della società di una «profonda consapevolezza di se stessa». Esclusivamente in tale circostanza, potrebbe scongiurarsi il rischio che l’ammissione del divorzio possa rappresentare un’espressione aggiuntiva del senso di disorientamento, un «acceleramento della dissoluzione in atto»167, il che è quanto Satta sembra ritenere stia avvenendo nella realtà a lui contemporanea.

Questo è il passaggio essenziale per comprendere la sua opposizione nei confronti dello scioglimento del matrimonio: egli non ritiene che quest’ultimo sia scaturito da un «reale mutamento» dello «spirito»168 italiano. Tutt’altro, è fortemente radicato in lui il convincimento che tale stato di cose non sia in alcun modo manifestazione di un’evoluzione quanto, al contrario, espressione di un «disordine» ovvero di un’incapacità di «custodire i valori della vita»169. A coloro i quali sostengono che l’indissolubilità del matrimonio non consenta un reale esercizio della libertà, l’autore replica come non possa essere individuata modalità più corretta di concepire la libertà se non rapportandola all’ambito sociale nel quale si è inseriti. Tale dimensione di confronto implica che non si possa essere totalmente liberi quando nell’atto che si compie «è impegnata la società»170, nel senso che da esso scaturiscono effetti

166 In merito alla situazione storico-sociale attraversata dal nostro Paese in

quegli anni, Satta si esprime in termini di: «cupio dissolvendi da cui tutti siamo invasati, e che mascheriamo di democrazia, di libertà, di storicità, di psicologia e via dicendo» (SATTA, Il problema del divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del processo civile III, cit., p. 52).

167 Ibidem. 168 Ivi., p. 51.

169 SATTA, Il problema del divorzio. Postilla, in Id., Quaderni del diritto e

del processo civile III, cit., p. 58.

164 di rilevante portata per la collettività. Se si condivide tale assunto, pare impossibile non riconoscere una simile incidenza sociale ad un atto quale quello del matrimonio che rappresenta la «fonte» della

societas171. Ciò nonostante, l’intellettuale nuorese precisa di non essere un antidivorzista in assoluto: ma solamente con riferimento allo specifico contesto storico nel quale risulta essere inserito.

In più occasioni egli ribadisce, infatti, che l’annullamento del vincolo matrimoniale potrà essere accettato esclusivamente nel momento in cui si presenterà come effettiva conseguenza del mutamento spirituale di un popolo. Pertanto, fino a quando la sorte dell’indissolubilità di tale legame sarà gestita da una corrente politica, quand’anche di maggioranza, il divorzio continuerà a doversi ritenere innaturale in quanto introdotto «contro lo spirito»172.

Una volta chiarita tale convinzione, Satta esplicita quale dovrebbe essere, a suo avviso, il ruolo del giurista in merito. Se è vero che i principi incarnati e le finalità perseguite dalla famiglia traslano nell’ordinamento giuridico, di fronte al degenerare della realtà sociale, il giurista ha l’obbligo di ribadire i valori e gli scopi presenti nel contenuto delle norme. Il processualista sardo, pur riconoscendo come all’attività ermeneutica si imponga l’imprescindibile necessità di prendere in considerazione le variazioni del costume, ritiene che siffatta esigenza debba essere soddisfatta esclusivamente nella misura in cui l’incostanza di un simile dato non contrasti con quanto stabilito dalle disposizioni normative173. Alle trasformazioni sociali va, infatti, riconosciuto

171 Ibidem.

172 SATTA, Il problema del divorzio, in Id., Quaderni del diritto e del

processo civile III, cit., p. 51.

173 Con riferimento all’atteggiamento di Satta in relazione ai mutamenti

sociali, osserva Gazzola Stacchini: «La verità sembrerebbe essere questa: i cambiamenti nel costume e nella società apparivano a Satta come dissacrazioni; ciò di cui egli più soffriva era la perdita del senso del sacro e in quest’ottica va vista la sua battaglia politica» (GAZZOLA STACCHINI, Come in un giudizio, cit., p. 102).

165 valore solo a partire dal momento in cui siano state “ratificate” dalla legge174.

In conclusione, possiamo sostenere come il nostro autore si sia speso per la salvaguardia di quelli che ha reputato essere i «valori eterni che non cadono mai in desuetudine»175: il rispetto della persona umana, la famiglia, la giustizia; ciò che, in altri termini, si potrebbe compendiare nella più generica espressione “principi di civiltà”. A tal proposito, tuttavia, si ritiene opportuno precisare come la civiltà a cui Satta si riferisce sia la civiltà di tradizione cattolica. Nella prospettiva del giurista barbaricino, infatti, la genesi delle popolazioni di storia e cultura europea è immancabilmente di matrice cristiano-cattolica e, per quanto l’abbandono della fede sia una tangibile realtà della coscienza contemporanea, l’azione storica degli individui continuerebbe, in qualche misura, a risentire del misterioso impulso dettato da tale originario fondamento.

In un’epoca quale quella in cui vive ove si assiste al declino «della cattolicità di cui siamo impregnati»176 è necessaria, secondo il docente nuorese, una rivalutazione del pensiero umanistico nella sua radice cattolica. Di fronte alla perdita della rotta, la sola possibilità di riacquistare il senso del proprio destino rimane per Satta «l’idea dell’individuo come valore centrale del mondo pratico», di cui la tradizione cattolica ha fatto e continua a fare la sua bandiera177.