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La «terribile responsabilità della propria esistenza»: la reazione

L’intima convinzione sulla necessaria correlazione tra il diritto e la vita porta Satta a meditare sugli obblighi che il primo deve assumere nei confronti della seconda; è a partire da tale angolo visuale che egli definisce la scienza giuridica in termini di «scienza morale», nella misura in cui essa, più di qualunque altra scienza,

io non potevo anteporre ad essa il concetto, ma dovevo lasciare che il concetto si svolgesse dal concreto”» (DELOGU, Esperienza giuridica e esperienza della pena

in Salvatore Satta, in Nella scrittura di Salvatore Satta, cit., p. 94).

76 Con riferimento alla necessità del giurista di calarsi nel concreto della

vita sociale, Satta afferma: «A differenza di ogni altro uomo di studi, che può ben isolarsi nei suoi libri ed eccellere, acquistando una fama che a noi in generale è negata, il giurista deve vivere intensissimamente la vita che si srotola e rotola sotto i suoi occhi, osservare i fenomeni sociali e pseudosociali che agitano il mondo, penetrare le istanze che ad ogni momento gli esseri umani propongono in nome della politica, dell’arte, della religione, della libertà e via dicendo, deve insomma leggere il giornale» (SATTA, Introduzione, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 35).

77 In relazione alla rigorosa attenzione prestata da Satta alla realtà

dell’esperienza osserva Antonio Delogu: «egli ha svolto la sua attività di docente e di studioso nella convinzione che il diritto non è altro dall’uomo, anzi dagli uomini. La comprensione della vita concreta degli individui lo conduce a considerare il diritto come momento fondamentale della umana esperienza: nel diritto c’è e non può non esserci l’uomo concreto, poiché l’uomo realizza se stesso attraverso il diritto» (DELOGU, Esperienza giuridica e esperienza della pena in Salvatore Satta, in Nella scrittura di Salvatore Satta, cit., pp. 93-94).

41 richiede l’assunzione di un effettivo «impegno morale» da parte di chi decida di professarla78.

La natura morale della scienza giuridica pone il nostro autore di fronte a ciò che egli stesso definisce in termini di «terribile responsabilità della propria esistenza», riferendosi con tale espressione allo studio della procedura civile; cioè, al contesto nell’ambito del quale ritiene di essere stato “chiamato” ad operare nel mondo79. Tale senso del dovere nei confronti della vita induce il giovane docente a maturare la decisione di rivedere criticamente il cammino percorso fino a quel momento dalla scienza processuale a partire dalla prolusione bolognese di Chiovenda80. Detta scelta trova la sua consacrazione formale nello scritto intitolato Gli

orientamenti pubblicistici della scienza del processo con il quale,

nel 1937, Satta succede a Carnelutti alla prestigiosa cattedra processualistica dell’Università di Padova81.

L’intento fondamentale che anima tale lezione inaugurale, e che egli continuerà a perseguire attraverso tutta la sua opera, riguarda l’esigenza di ripristinare il legame tra diritto processuale e diritto sostanziale; nesso oramai messo in ombra dalle contemporanee tendenze pubblicistiche della scienza del processo.

78 SATTA, Introduzione, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 35. 79«Il lettore troverà che è un’idea abbastanza curiosa quella di presentarsi

al giudizio di Dio con un libro di procedura […] Ma la procedura civile era il talento affidatomi, e io credo che l’aver messo a frutto – così come potevo – questo talento, resistendo ad ogni lusinga di evasione, varrà molto a farmi perdonare nel giorno di quel giudizio» (SATTA, Prefazione alla prima edizione del

Manuale di diritto processuale, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 143).

80«Mi è parso che, a trenta anni di distanza dalla prolusione di Chiovenda

al corso di procedura civile presso l’Università di Bologna, dove appunto quelle premesse sono state primamente affermate, non fosse del tutto inopportuno cogliere l’occasione per questa minor prolusione per ritornare su di esse, e rivedere criticamente il cammino percorso» (SATTA, Gli orientamenti

pubblicistici della scienza del processo, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 174).

81 Sugli anni dell’insegnamento a Padova, si veda, G. CANGEMI, “Salvatore

Satta all’Università di Padova: entusiasmi delusioni ripensamenti”, in Nella scrittura di Salvatore Satta, cit., pp. 111-154; CANGEMI, Salvatore Satta sotto il torchio dello storico, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», XCI, n.1, gennaio-marzo 2014. Ancora sul tema, C. MONTAGNANI, Insegnare il fascismo e difendere la libertà. L’esperienza di Salvatore Satta, Napoli, Editoriale Scientifica, 2015, pp. 125-144; di MONTAGNANI si veda, altresì, “Salvatore Satta e gli anni bui dell’insegnamento a Padova: una proposta di lettura”, in «Rivista del Diritto Commerciale», CXIV, n. 2, 2016.

42 Secondo il giurista sardo, l’indirizzo più recente assunto dagli studi processualistici, proprio a causa dell’eccessiva valorizzazione degli elementi pubblicistici, avrebbe determinato l’allontanamento del processo dalla «sua naturale base, che si trova nel diritto sostanziale, e più precisamente nel rapporto giuridico sostanziale»82.

Ciò premesso, la riflessione sattiana adotta una prospettiva teorica ben precisa: l’abbandono delle acquisizioni ereditate dalla dottrina tedesca e dei suoi dogmatismi. Di qui, la riproposizione della concezione dell’indistinguibilità dell’azione dal diritto sostanziale ad essa sotteso e, dunque, la qualificazione della stessa in termini di potere spettante esclusivamente al titolare del diritto leso83. Corollario obbligato di tale visione è la delineazione della giurisdizione quale mezzo di tutela dell’interesse privato o, detto in termini speculari, del processo quale modalità, giuridicamente regolata, di realizzazione di quella tutela84.

La prolusione patavina si pone come autenticamente rivoluzionaria85. La critica operata nei confronti della corrente pubblicistica della scienza processuale, che si era ammantata degli assunti dogmatici del diritto civile e che regnava incontrastata dai

82 SATTA, Storia e “pubblicizzazione” nel processo, in Id., Soliloqui e

colloqui di un giurista, cit., p. 200.

83 «[…] l’azione è il potere di produrre una determinata modificazione

giuridica (sanzione) per mezzo degli organi giurisdizionali, potere che spetta di fronte alla controparte e ha carattere rigidamente sostanziale […]» (SATTA,

Orientamenti e disorientamenti della scienza del processo, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 189).

84 «Il processo è il mezzo e il modo con cui si tutela l’interesse per il quale

l’azione è stata esercitata: ciò che implica conseguenzialmente che non esiste uno scopo del processo distinto da quello che anima la parte nel proporre l’azione». (SATTA, Gli orientamenti pubblicistici della scienza del processo, in Id., Soliloqui

e colloqui di un giurista, cit., p.175).

85 «La profonda meditazione delle opere di Capograssi, ed anche di

Ascarelli» sostiene Crisanto Mandrioli «lo aveva portato ad accentuare ed affermare quella consapevolezza del valore dell’esperienza che la sua innata inclinazione per il concreto già gli aveva suggerito. Di qui la spinta a rivedere in questa chiave tutte le posizioni acquisite in precedenza, perchè Satta, da vero scienziato, non amava assidersi sulle posizioni acquisite. Ma ecco che il gusto del paradosso, l’amore per le posizioni estreme e le affermazioni sconcertanti gli prende in un certo senso la mano» (C. MANDRIOLI, L’opera scientifica di Salvatore Satta, in Studi in Memoria di Salvatore Satta, vol. I, Padova, Cedam, 1982, p. 849).

43 primi anni del Novecento, è radicale86. Ne scaturisce una polemica che svela il reale substrato delle due ideologie in conflitto. Ad opporsi, infatti, sono due antitetiche concezioni riguardanti la natura del processo civile: carattere privato versus carattere pubblico dello stesso. L’alternativa è tra una fondazione del processo incentrata sulla tutela degli interessi delle parti o quella di un suo radicamento nel superiore obiettivo dell’attuazione della legge87. La reazione, ovviamente, non tarda a profilarsi. È lo stesso Carnelutti, in qualche misura chiamato in causa dal suo successore, a proporre a Chiovenda di negare alla prolusione sattiana accoglienza nella Rivista di diritto processuale88; tuttavia, «il

Maestro, che forse aveva inteso, con l’intuito di chi soffre, il profondo senso del ripensamento delle sue idee, negò il veto»89.

In realtà, Satta include anche se stesso nella generazione dei giuristi e dei processualisti che, formatisi in un determinato contesto storico-culturale, ha creduto in specifici principi e condiviso determinate certezze90. Ciò nonostante egli, che pure si è

86 «In maniera inattesa, e suscitando critiche serrate, il giurista sardo

smantella i cardini del sistema di Chiovenda. Sottopone ad analisi severa la concezione dualistica imperante, per la quale l’azione è tenuta distinta dal processo, in modo che l’una costituisce un diritto potestativo e l’altro instaura un mero rapporto processuale. Rifiuta la visione pubblicistica di fondo implicante la coincidenza dello scopo del processo con l’attuazione della legge. Nega al processo la funzione di tutela di un interesse dello Stato o della società. E sostiene la prevalenza del diritto sostanziale su quello processuale» (SCERBO, Salvatore

Satta e il ritorno dei processualisti alla filosofia, in Tecnica e politica del diritto nella teoria del processo, cit., p. 160).

87 Per un’approfondita analisi sul punto, si rinvia a GROSSI, Scienza

giuridica italiana, cit., pp. 242-247.

88 «Successivamente i rapporti tra Satta e Carnelutti migliorarono, come

confermano due importanti pezzi epistolari inediti, presenti nel FASS (Fondo Autografi Scrittori Sardi Moderni e Contemporanei), a firma di Carnelutti, che consentono di rivedere la biografia dello scrittore, ferma l’interruzione del loro legame, anche professionale» (SATTA, Mia indissolubile compagna, cit., p. 64). Quando Carnelutti muore, quel Carnelutti che in tante controversie dottrinarie lo aveva implacabilmente accusato, così d’altronde riconoscendone implicitamente il valore, Satta è sopraggiunto da una profonda tristezza, al punto da confessare che gli è venuto a mancare, uno dei suoi naturali interlocutori. In seguito alla scomparsa del grande giurista udinese con tali parole egli esprime il suo sincero dolore: «Dove sono le male parole che Carnelutti scagliava contro ogni mio libro, a cominciare da questo: dove le mie irriverenti risposte? Non ho mai capito il principio del contraddittorio da quando il grande uomo non c’è più» (SATTA, Prefazione alla settima edizione del Manuale di diritto processuale, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 151).

89 SATTA, Introduzione, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 32. 90«La direttiva pubblicistica mi ha dato l’abito critico e la coscienza viva

44 iniziato allo studio del processo alla scuola di Chiovenda e di Zanzucchi, ancora nel 1937, questa volta nella Prefazione al volume sull’Esecuzione Forzata, già riconosce come nella dottrina tradizionale siano ravvisabili tanto dei pregi quanto dei difetti91. Nell’analisi del docente nuorese, l’evidente merito della scuola chiovendiana degli inizi va riconosciuto, innanzitutto, «nella mirabile severità degli intenti e dei mezzi», che avrebbe reso possibile, in seguito, ripensare in chiave di processo tutte le fondamentali problematiche inerenti alla teoria generale del diritto92. Viceversa, il profilo di intrinseca fragilità viene individuato, da parte di Satta, «in un certo orrore dell’originalità, quasi che per tutti bastasse l’originalità del Maestro»; da tale originaria criticità sarebbe scaturita una successiva «limitatezza di orizzonte»93.

Tuttavia, a tal proposito, occorre precisare ed anticipare come la critica sattiana non si indirizzasse al pensiero di Chiovenda ma alla ricezione ed alla rielaborazione di quest’ultimo da parte dei suoi allievi. In tal senso, il nostro autore identifica il fondamentale demerito della nuova scuola in un peccato d’orgoglio, dal quale sarebbe derivata una «mancanza di critica»94; di conseguenza, il venir meno di uno dei requisiti fondamentali che dovrebbero necessariamente caratterizzare qualsivoglia attività pretenda qualificarsi in termini di scienza.