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Lo slancio creativo individuale e il metodo del «non so come»

Alla base della sua critica al concettualismo e di quelle che riteneva essere le derive “immaginifiche” della scienza giuridica, Satta individua il rischio di un pericoloso «vizio di metodo», colpevole di impedire una corretta visione del diritto e di compromettere la legittimità dell’indagine scientifica151.

149 SATTA, Il formalismo nel processo, in Id., Il mistero del processo, cit., p.

109.

150 SATTA, Introduzione, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 36. 151 SATTA, Norma, diritto, giurisdizione, in Id., Quaderni del diritto e del

62 La principale indicazione che l’autore fornisce del suo approccio metodologico è contenuta nella Prefazione, scritta nel 1959, al primo volume del suo Commentario. «Vorrei che del mio libro si potesse dire» egli afferma «quel che ho letto in un’antica massima cinese, che mi è stata di guida nel cammino […] Quando fabbrico una ruota, se agisco adagio, il risultato sarà debole, se agisco forte il risultato sarà massiccio: se agisco non so come il risultato sarà conforme al mio ideale, una bella e buona ruota. Non posso definire questo metodo: è un trucco che non può essere espresso»152.

Tale criterio operativo, esplicitato attraverso il ricorso all’antico aneddoto, viene immediatamente fatto oggetto di serrata critica153; quasi che Satta volesse sostituire all’impostazione metodologica tradizionale un anti-metodo, con ciò operando una vera e propria «rivoluzione nichilista», la cui hybris avrebbe destituito di valore l’intero pensiero degli antichi maestri del diritto154. Nel difendere la sua opzione in campo di metodo, il docente nuorese avanza un’equiparazione tra quest’ultimo e l’attività artistica155 al fine di evidenziare come la dimensione dell’inventiva, elemento imprescindibile nella realizzazione di qualunque opera umana, il più delle volte, operi al di là della volontà individuale156. Dunque, il richiamo all’antica massima cinese viene

152 SATTA, Prefazione al primo volume del Commentario al c.p.c (1959), in

Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 159.

153 CARNELUTTI, Il metodo del non so come, in «Rivista di diritto

processuale», 1960, pp. 1 e ss.

154 In merito all’interpretazione della sua posizione metodologica, in

relazione alla massima orientale impiegata, Satta scrive: «Ebbene, quel detto ha avuto una strana e inaspettata fortuna: perché un nostro grave scrittore […] se l’è presa con me e con la Cina, quasi volessimo sostituire il metodo al non metodo, il metodo appunto del “non so come”: una specie di rivoluzione nichilista nella quale sparirebbero come in un vortice tutti i maestri e tutte le opere, e quel che è peggio la scienza del processo, anzi la scienza del diritto, anzi la scienza in generale […]» (SATTA, Presentazione al secondo volume del Commentario al codice di procedura civile, ora Discorso sul metodo, in Id., Soliloqui e Colloqui di un giurista, cit., p. 160).

155 Ivi., p. 163.

156 Con riferimento all’elemento creativo è lo stesso Satta a riconoscere in

una lettera indirizzata alla moglie: «ho avuto un potere di illusione incredibile, sono sempre stato vittima della mia fantasia» (SATTA, Lettera a Laura Boschian, 30 gennaio 1939, in Mia indissolubile compagna, cit., p. 86). In particolare, in relazione all’indiscussa vena artistico-letteraria di Satta, osserva Vanna Gazzola Stacchini: «La libertà di spirito e la sprezzatura con la quale Satta destituisce di

63 impiegato per focalizzare l’attenzione sulla presenza di una “vena” creativa tanto nell’attività dell’artista quanto in quella dell’uomo di scienza.

Agire non so come starebbe a significare che anche lo studioso del diritto, nell’individuazione dell’iter procedimentale più appropriato da seguire, dovrebbe avere in debita considerazione al di là degli schemi astratti e concettuali relativi alla propria formazione anche i suggerimenti e le suggestioni provenienti dall’intuito. Ciò non implica che il metodo sattiano del non so come debba essere scambiato per un metodo “purchessia”, quasi un mero ricorso all’ improvvisazione.

Tale precisazione pare opportuna nella misura in cui si ponga mente alla strenua opposizione condotta dal nostro autore nei confronti delle astratte concettualizzazioni della scienza giuridica e delle sue derive formalistiche. Satta sostiene, nel corso della sua intera attività di studioso, l’impossibilità di rintracciare il diritto altrimenti che nell’esperienza; di conseguenza, il fondamentale compito del giurista risiede nell’identificazione delle fonti di tale esperienza. Nella misura in cui quest’ultima coincida con il vissuto degli uomini, le manifestazioni giuridiche di esso andranno colte nella concretezza dei rapporti quotidiani. Tuttavia, il giurista sardo è pienamente consapevole che un’operazione di tal genere proprio a causa dell’“immediatezza” richiesta non possa che configurarsi come limitata; pertanto, all’analisi diretta della vita deve necessariamente affiancarsi la presa in esame delle fonti giurisprudenziali. A tal proposito, egli precisa come lo studio della giurisprudenza, inteso in termini di «ricerca delle fonti», non vada interpretato quale semplice individuazione della massima giurisprudenziale da applicare quanto, piuttosto, come

significato i termini giuridici usati da sempre senza verifica, la rivendicazione di un proprio modo “scandaloso” di lavorare, l’appello al non so come, la necessità di cogliere volontà umane profonde, e con un linguaggio nuovo, sono tutti modi che appartengono eminentemente al suo operare artistico» (GAZZOLA STACCHINI, Come in un giudizio, cit., pp. 52-53).

64 ricostruzione del relativo «caso di vita» nella sua intera parabola esistenziale, dall’istanza al giudizio157.

Dunque, pur essendosi espresso in termini di non so come, Satta fornisce una implicita indicazione di metodo mediante il riferimento alla ricerca delle fonti. Di qui, la possibilità di accomunare il metodo sattiano a quello dello storico; se è vero che il lavoro di quest’ultimo assume ad oggetto l’analisi delle fonti, non si può non ammettere che egli non interpreti le fonti in sé ma la realtà nella sua veste di episodio di vita passata, di cui le fonti non rappresentano altro che i «segni indicativi o frammenti»158.

Alla luce di tali considerazioni sembra, pertanto, potersi concludere che il metodo del non so come ben si presti ad essere interpretato come il “precipitato” di una armonica combinazione tra metodo storico e dimensione creativa dell’agire159. Nell’illustrare la propria metodologia di lavoro, infatti, l’intellettuale nuorese si riferisce all’esigenza di far “riaffiorare” in superficie i casi della vita, di cui le sentenze massimate rappresentano, al pari delle fonti dello storico, manifestazioni documentali. Ad una simile attività, finalizzata all’individuazione di quello «scambio di vita»160 che egli sempre ribadisce esistere tra la norma e la sua applicazione concreta, non poteva essere estraneo l’insopprimibile mistero della forza creatrice.

157 SATTA, Commentario al Codice di procedura civile, Padova, Cedam,

1959, pp. XI-XII.

158 L’espressione presente in A. MOMIGLIANO, Le regole del gioco nello

studio della storia antica (1974), in Sui fondamenti della storia antica, Torino, Einaudi, 1984, pp. 484-5, è ripresa in F. DE MARINI AVONZO, Gli anni genovesi di Salvatore Satta, in Salvatore Satta giuristascrittore, cit., pp. 487-492.

159 Riferendosi all’impossibilità di sottrarsi all’impulso creativo, Satta

confessa all’amata Laura: «Ma non scrivo soltanto. A tratti la penna si arresta, si capisce non da sola, ma perché si è arrestata la mano, e via via il cervello, e Bob cammina. Cammina a testa in giù, a testa in su, per terra, sul mare, come meglio gli piace: cammina con la fantasia che ci rende simili a Dio, poiché ci consente di creare le cose, come meglio ci piace, appunto, fuori da ogni legge di gravità» (SATTA, Mia indissolubile compagna, cit., p.88).

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8. Un primo bilancio: Salvatore Satta tra