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Un primo bilancio: Salvatore Satta tra esigenze di emancipazione

tradizione

Gli anni della Prolusione patavina hanno alle spalle gli “statalismi” liberale e fascista, la violazione dei diritti fondamentali operata dal regime, il silenzio di molti giuristi, un ordine socio- politico sconvolto e in attesa di assestamento. In tale atmosfera di generale smarrimento, Satta è un intellettuale che sottopone a dura critica la radicalizzazione del concettualismo e del formalismo ma che, ancor prima, compie un pubblico esame di coscienza interrogandosi sul proprio ruolo di giurista e valutandolo attraverso il prisma impietoso della sua etica professionale161.

Si delinea dinnanzi ai nostri occhi un’articolata dimensione interiore, caratterizzata da turbamenti e perplessità ma anche da saldezze e imperturbabilità. Nell’ambito di tale sfaccettata e complessa personalità appare quasi impossibile separare il travaglio interiore dell’individuo dall’insoddisfazione scientifica dell’autentico studioso che si manifesta nell’istintiva necessità di sperimentare nuovi percorsi intellettuali. Gli interrogativi e le perplessità che scuotono il nostro autore agli esordi della sua carriera giuridica trovano, per sua stessa ammissione, la loro genesi nel delicato contesto storico, politico e sociale dell’Italia del tempo.

Tuttavia, a tale più immediata considerazione proveremo ad affiancare un’ulteriore prospettiva di indagine. In vista di un simile obiettivo, è parso opportuno concentrare l’oggetto della riflessione su due tematiche ritenute essenziali nell’ottica di pensiero sattiana: la natura dell’attività scientifica lato sensu intesa e la responsabilità dell’uomo di studi, più nello specifico del giurista.

161 Con riferimento all’indole critica di Satta, Ferdinando Mazzarella

ricorda: «Egli era, del resto, per temperamento e per carattere un uomo “contro”, un contestatore ante litteram potremmo dire, pronto a mettere in discussione tutto, anche se stesso e le proprie opere» (MAZZARELLA, Quel conservatore che piaceva ai pretori d’assalto, in «L’Ora», 11 aprile 1979, ora in Salvatore Satta giuristascrittore. Rassegnastampa, cit., p. 75).

66 A tal proposito, sembra possibile sostenere che sia stata proprio la peculiare visione dell’intellettuale nuorese sulla reale essenza dell’attività scientifica, combinata al profondo riconoscimento del valore rivestito dalla tradizione, a porsi alla base del suo atteggiamento nei confronti delle tendenze dottrinali proprie dell’accademia a lui contemporanea.

Satta condivide la concezione secondo la quale il quid

proprium della scienza debba risiedere non nel tentativo di

«entrare in possesso dell’immutabile» quanto, viceversa, nell’adozione di un atteggiamento dinamico, di una sorta di perenne tendenza al «perseguire». Pertanto, l’autentica scoperta scientifica non dovrebbe essere intesa quale mera acquisizione di una nuova conoscenza che vada ad aggiungersi al complesso delle nozioni precedentemente acquisite; all’opposto, le innovazioni scientifiche fondamentali comporterebbero sempre la «distruzione o la disintegrazione di vecchie conoscenze»162.

Nella prospettiva del nostro autore, se una simile considerazione risulta essere valida per l’attività scientifica intesa nella sua “globalità”, lo sarà altresì per la scienza del processo. Quest’ultima, anzi, comprende e riassorbe in sé tutte le altre scienze; dal momento che, la fisiologica evoluzione della vita si riflette inevitabilmente nel processo163. Dunque, si pone anche per lo studioso di tale disciplina l’esigenza di contemperare due istanze in apparenza antitetiche: l’opposizione ad uno status di sterile soddisfazione, a cui la forza dell’abitudine tende ad indirizzare ogni attività umana, e la necessità di fare tesoro della lezione dei maestri.

In tale prospettiva, se il diritto si inserisce nelle profonde trame del tessuto della vita sociale, quest’ultima non potrà essere compresa sino in fondo senza assumere come coordinata di riferimento la dimensione della tradizione. In linea generale, per

162 SATTA, Considerazioni sullo stato presente della scienza e della scuola

giuridica in Italia, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 279.

163 SATTA, Prefazione alla quinta edizione del Manuale di diritto

67 tradizione giuridica164 si intende il complesso dell’apparato concettuale, delle categorie teoriche e delle relative strutture argomentative, ovvero, quell’ insieme di strumenti elaborati nel tempo dagli esperti del diritto, sia teorici che pratici, per l’interpretazione del fenomeno giuridico. Tale bagaglio culturale rappresenta lo sfondo che indirizza l’attività metodologica del giurista il quale, pur assumendo come punto di partenza la «forza del presente»165 nel suo incessante divenire, non potrà prescindere dall’ineludibile legame con la memoria del passato.

Probabilmente, è proprio nello sforzo di raggiungere un simile delicato equilibrio che va collocata la posizione di Satta nell’ambito della processual-civilistica del tempo. A tal proposito, l’autore riferendosi alla dottrina chiovendiana sostiene che il relativo sistema rappresenti «il massimo tentativo di comprensione» mai compiuto, fino a quel momento, dalla scienza del processo. Pertanto, esso non poteva non costituire un punto di riferimento obbligato per chiunque avesse voluto cimentarsi nello studio di tale materia. Di conseguenza, la censura da realizzare andava indirizzata alla degenerazione di quel sistema, al concettualismo generatore di formalismo, il quale tuttavia nella prospettiva del giurista sardo non era ascrivibile «ai vecchi credenti, ma ai nuovi»166.

Una simile posizione non ha nulla dell’ossequio formale nei confronti del passato; al contrario, rappresenta la ferma consapevolezza che le sfide del presente possono essere raccolte solo muovendo dall’orizzonte di senso dischiuso dagli avvenimenti trascorsi. A meno di ciò, Satta intrattiene un preciso rapporto con la tradizione nella misura in cui ammonisce che comprendere il linguaggio dei padri non significa necessariamente doverlo

164 Sul ruolo della tradizione giuridica, tra gli altri, C. ATIAS, Présence de la

tradition juridique, in Revue de la recherche juridique – Droit prospectif, 22, 2, 1997, pp. 389-394; M. KRYGER, Law as Tradition, in Law and Philosophy, 5, 1986, pp. 240 ss., 255 ss.; F. OST, La tradizione? Eterna giovinezza del diritto? in Ars Interpretandi, 8, 2003, pp. 129 ss., 138 ss.; PASTORE, Tradizione e diritto, Torino, Giappichelli, 1990, pp. 7-8, 88-90, 205-207.

165 P. RICOEUR, Dal testo all’azione. Saggi di ermeneutica, 1986, Milano,

Jaca Book, 1989, pp. 266-267.

166 SATTA, Letture. Diritto Contemporaneo, in Id., Quaderni del diritto e

68 adottare. Egli avversa il conservatorismo inaridente ed è convinto che se determinate acquisizioni possano ed, anzi in talune ipotesi, debbano essere superate, non bisogna aggrapparsi tenacemente ad esse, come aveva fatto Padre Cremonini che, posto dinanzi al cannocchiale di Galileo Galilei, aveva proclamato: «non guarderò mai per quegli occhiali»167.

Crediamo che secondo il nostro autore, il riferimento alla tradizione implichi la realizzazione di una dialettica tra passato e presente, intesa essenzialmente in termini di discussione intersoggettiva sui contenuti della tradizione stessa. Sembra legittimo sostenere che Satta reputi quest’ultima come essenziale per la comprensione dell’esperienza giuridica; purché al rispetto dei percorsi battuti in precedenza si affianchi la presa di coscienza che il diritto non possa essere imprigionato in una logica autoreferenziale ma che sia, al contrario, connesso in modo inscindibile alle coordinate spazio-temporali caratterizzanti la storia degli uomini. L’intellettuale sardo ripropone il rilievo della complessità dell’ordinamento giuridico, della sua non riconducibilità a linee eccessivamente astratte, della innaturale operazione di riduzione disinvoltamente perpetrata a suo danno. Egli, in qualche misura, anticipa la crisi di una riflessione scientifica di cui si fece interprete, successivamente, la stessa Facoltà universitaria di Padova che, nella primavera del 1951, volle dedicare una serie di conferenze (di seguito raccolte in un volume) alla crisi del diritto168.

Nel sottoporre a revisione critica la formazione giuridica ricevuta, Satta matura la convinzione secondo la quale ogni aspetto della vita sia molto più sfaccettato, complesso, dotato di intime tensioni e interne contraddizioni, di quanto non potesse risultare dalle forme riduttive e statiche in cui lo avevano cristallizzato gli epigoni delle precedenti tradizioni di pensiero. In questo ordine di

167 SATTA, Prefazione al secondo volume del Commentario al c. p. c, in Id.,

Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 163.

168 Ci si riferisce alla raccolta intitolata La crisi del diritto (Padova, Cedam,

1952) nell’ambito della quale occorre segnalare i significativi apporti di Capograssi, Carnelutti, Delitala, Jemolo, Ravà.

69 idee, è necessario secondo il docente nuorese investire su una prospettiva opposta a quella dei dogmatismi astratti che sia in grado di adattarsi al mondo reale dell’esperienza. Una prospettiva che potremmo definire “soggettiva” ma non in quanto incline all’irrazionalità e all’emotività quanto, piuttosto, perché orientata a ricercare una sintonia con le ragioni degli individui, colti nella reciprocità delle loro esistenze.

Certamente, anche l’idea di esperienza giuridica rappresenta un concetto. Tuttavia, appartiene a quella concezione di esperienza giuridica abbracciata da Satta il senso di un’umanità profonda, in quanto nozione che non ostenta certezza definitoria ma che è intimamente consapevole della propria intrinseca problematicità, derivante dal suo legame con la mutevolezza delle vicende umane. In tal senso, sembra potersi concludere che quella del nostro autore sia una visione del fenomeno giuridico che sarebbe lecito definire profondamente “umanistica”. Egli sostiene l’esigenza di riconoscere la derivazione della scienza dalla vita e non viceversa; ammettendo, di conseguenza, la relatività di tutte le nostre concettualizzazioni e dei nostri sistemi, nella consapevolezza che l’esistenza, nel suo ininterrotto fluire, reclami «un’adesione spirituale che trascende i limiti della scienza»169.

169 SATTA, Il formalismo nel processo, in Id., Il mistero del processo, cit., p.

70

CAPITOLO 2

La dinamicità dell’ordinamento giuridico

1. Indipendenza

del

processo

versus

concezione unitaria del diritto

In opposizione alle tesi sattiane, da più fronti della riflessione scientifica, sono state avanzate numerose critiche aventi ad oggetto la riproposizione da parte del docente nuorese di antichi indirizzi dottrinali. Sostanzialmente, le accuse relative ad un tale inaccettabile ritorno al passato derivavano dal biasimo indirizzato dal nostro autore nei confronti delle argomentazioni volte a sostenere la tesi dell’autonomia dell’azione e, dunque, della sua separazione dal diritto soggettivo sostanziale1. In realtà, la teoria di Satta sull’«unità dell’ordinamento»2 rappresenta il tentativo di un totale avanzamento rispetto alle numerose aporie logiche nelle quali la scienza giuridica processuale era rimasta“invischiata”, al fine di superare il dualismo tra diritto oggettivo e diritto soggettivo, tra diritto soggettivo e azione e, di conseguenza, tra diritto e processo. Infatti, in opposizione agli obiettivi perseguiti dalla “scuola del diritto naturale”, finalizzati all’affermazione dell’individuo e del suo diritto quale sola ed esclusiva realtà di riferimento, nel loro susseguirsi, criticismo kantiano, idealismo, romanticismo e storicismo introducono una graduale riconsiderazione delle nozioni

1 ORESTANO, L’azione in generale, in Enciclopedia del diritto, IV, Milano,

Giuffrè, 1959, p. 810.

2 Al riguardo, lo stesso Satta scrive: «Tuffatomi in un lavoro ormai

ventennale le cui tappe sono segnate soprattutto dai volumi dell’incompiuto Commentario, io ripresi ad imis l’indagine sull’esperienza concreta del diritto, dimenticando tutto quello che mi avevano insegnato, e feci la scoperta, che in verità avrebbe potuto fare anche Monsieur De La Palisse, dell’unità dell’ordinamento. Questa comporta che non esistono due ordinamenti, uno sostanziale e uno processuale, ma uno solo, perché unico è il processo di determinazione del concreto, dalla posizione della norma all’azione che da essa è assolutamente indissociabile» (SATTA, Considerazioni sullo stato presente della

scienza e della scuola giuridica in Italia, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 277). Con riferimento alla nozione di ordinamento giuridico, ci limitiamo a citare alcune delle principali posizioni dottrinali: S.ROMANO, L’ordinamento giuridico, Firenze, Sansoni, 1946; F. TESSITORE, Crisi e trasformazione dello Stato, Napoli, Morano, 1963; CASSESE, Ipotesi sulla formazione de «L’ordinamento giuridico» di Santi Romano, in «Quaderni fiorentini», 1 (1972); ORESTANO, Concetto di ordinamento giuridico e storia del diritto, in Diritto: incontri e scontri, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 395-421.

71 di società, nazione e Stato quali elementi di affermazione di un ordine oggettivo, più o meno sovrastante gli individui.

Dietro l’impulso di tali nuovi orientamenti ed esigenze, tra la fine del XVII e gli inizi del XIX secolo, i giuristi tedeschi procedono alla costruzione dei loro sistemi. Nell’ambito di tale opera di sistematizzazione, si assiste al diffondersi di un indirizzo comune che, pur se diversamente declinato, persegue l’obiettivo di operare una sorta di ricongiunzione tra diritto soggettivo e diritto oggettivo; dunque delle coordinate nell’ambito delle quali, sino a quel momento, si era svolta la dialettica del dibattito filosofico-giuridico. L’anello debole della nuova direzione assunta dall’attività della dottrina risiede, appunto, nel tentativo di conciliazione tra le due “categorie” di diritto. Le rispettive prospettive si presentano, infatti, come irriducibili: o i diritti soggettivi nella loro universalità e assolutezza, in quanto caratterizzazioni connaturate all’essenza stessa del soggetto di diritto, si ritengono un prius rispetto al diritto oggettivo e, pertanto, da esso totalmente autonomi; oppure la concezione del diritto obiettivo, quale realtà antecedente e superiore a quella del diritto soggettivo, invalida il contenuto stesso di quest’ultimo. Si rende, in altri termini, irrealizzabile la costruzione di un sistema giuridico armonico e coerente nella misura in cui, per un verso, si assume l’individuo come presupposto logico ed ideologico di tutta l’architettura giuridica ma, per un altro, se ne fanno dipendere predicati e valori da un preesistente diritto obiettivo3. Man mano che tra le crepe del monumentale edificio filosofico-giuridico dei diritti soggettivi penetra l’ineliminabile presenza dell’ordinamento e delle sue norme, l’asse concettuale di riferimento non può non spostarsi su tale ultima polarità; determinando, in tal modo, una “conversione” della scienza giuridica di derivazione pandettistica in direzione di una costruzione oggettiva del fenomeno giuridico. Tale sembra essere

3 Sull’argomento, ORESTANO, Il problema delle fondazioni, Torino,

Giappichelli, 1958, 210 ss e Diritti senza soggetto, linee di una vicenda concettuale, in «Jus», 1959. In tal senso, anche, CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, in «Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche», 1929, pp. 49 ss.

72 stato, almeno nei suoi aspetti essenziali, il percorso della storia del pensiero giuridico europeo-continentale dalla metà del secolo XIX alla prima parte del XX.

In linea generale, iter analogo è stato percorso anche dalla scienza giuridica italiana che, pur nell’impegno assunto rispetto alle proprie esigenze e contingenze specifiche, subisce profondamente l’influenza della Pandettistica tedesca4. Nello specifico in Italia, come già evidenziato, di fronte alla conclamata autonomia del diritto privato ogni altra disciplina giuridica si sente indotta a porsi alla ricerca del proprio fondamento distintivo; ovvero, del proprio “sistema” specifico in modo da potersi proclamare, a sua volta, indipendente. In tale contesto, il capovolgimento del punto focale, dalla visione soggettiva a quella oggettiva del diritto incide significativamente anche sull’individuazione da parte della scienza processuale del suo ubi consistam. Difatti, una volta proiettatasi sulla strada dell’“autosufficienza” scientifica quest’ultima persevera nella costruzione, sempre più meticolosa, di concetti e modelli tratti quanto più possibile dall’ambito del processo, in modo da poter delineare e delimitare un’area dogmatica di esclusivo riferimento processuale5. L’adozione di una simile rigida prospettiva comporta il cristallizzarsi della scienza del processo su posizioni di evidente autoreferenzialità. Essa, anziché procedere alla creazione di costruzioni di più ampio respiro, non riesce a ricomporre quanto il sorgere e lo svilupparsi della teoria dei diritti soggettivi aveva, a suo tempo, frantumato: l’unità del diritto. Infatti, l’edificazione di una dottrina indipendente del processo contribuisce a separare ancor più «il momento sostanziale dal momento della sua attuazione e dei mezzi per realizzarla» i quali vengono impiegati «senza più alcun riferimento al concreto delle singole situazioni»6.

4 ORESTANO, L’azione in generale, in Enciclopedia del diritto, cit., pp. 791-

792.

5 LIEBMAN, L’azione nella teoria del processo civile, in «Rivista trimestrale

di diritto e procedura civile» II, 1950, p. 49.

6 ORESTANO, Azione in generale, in Enciclopedia del diritto, cit., pp. 807-

73 Tuttavia, se tale “orientamento” è di gran lunga prevalente tra la maggioranza dei processualisti non mancano coloro i quali rinunciano a rinchiudersi in tale atteggiamento, tentando di risolvere in una sintesi la contrapposizione tra la dimensione sostanziale e quella processuale del diritto. Nel contesto di simili sforzi indubbio rilievo riveste la riflessione scientifica condotta da Satta la quale, anziché originarsi da un mero impianto astratto- teoretico, discende da una lunga e profonda disamina dell’esperienza concreta del diritto. A tal proposito sembra opportuno ribadire come, in relazione alla specifica dimensione processuale, in nessun momento il pensiero dell’autore abbia costituito un tentativo di ritorno al passato se non in relazione alla sentita esigenza di riaffermare la teoria dell’unità dell’ordinamento giuridico. Ed è proprio in una simile ottica che se si tenta di comprendere, in una prospettiva sintetica, lo svolgimento della meditazione scientifica sattiana non può non cogliersi in essa la costante presenza di siffatta centrale tematica “unitaria”.

Per dirlo con le parole di Crisanto Mandrioli: «Nei primi studi sull’esecuzione forzata, tutto era nel processo e nei suoi orientamenti pubblicistici; poi l’angolazione si rovescia, ma l’unità è sempre presente nell’ottica del diritto sostanziale, del quale il processo si presenta come “forza intrinseca”; infine, nella nuova ed ultima visione, tutto è nel giudizio e nella sua postulazione»7.

2. Il processo quale chiave di lettura del