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Gli studi processualistici e la dottrina chiovendiana

Gli studi processualistici attraversano una emblematica inversione di tendenza a partire dalla produzione scientifica di Giuseppe Chiovenda16. È la vicenda intellettuale di tale giurista ad

14 A. ROCCO, Il problema e il metodo della scienza del diritto penale (1910),

ora in Opere giuridiche, vol. III, Roma, «Il Foro Italiano», 1933; V. MANZINI, La concezione giuridico-positiva del diritto penale in «Rivista penale», LXV, 1907 e Trattato di diritto penale italiano, vol. I, Torino, Bocca, 1908.

15 L’espressione è di Carlo Lessona (1898) rinvenibile in F. CIPRIANI, Storie

di processualisti ed oligarchi. La procedura civile nel regno d’Italia (1866-1936), Milano, Giuffrè, 1991, p. 47.

16 In particolare sulla tematica, tra gli altri, si veda, A. SCERBO, Il trionfo

della scienza del processo: il pensiero di Giuseppe Chiovenda, in Tecnica e politica del diritto nella teoria del processo. Profili di processualisti italiani contemporanei, Soveria Mannelli, Rubettino, 2000, pp. 103-154.

25 offrire solide fondazioni metodologiche alla processual-civilistica italiana determinando la transizione, al contempo nominale e sostanziale, dalla procedura civile al diritto processuale civile: «Il passaggio dalla procedura al diritto processuale era la formula di un autentico capovolgimento. Tutto ciò, unito al fascino di una personalità quasi ascetica spiega il rapido radunarsi degli scolari intorno a lui e, così, il rigoroso germogliare della scuola. Noi la chiamiamo oggi scuola italiana del diritto processuale e riconosciamo in Giuseppe Chiovenda il suo fondatore»17.

In realtà, è lo stesso Chiovenda a specificare, con l’obiettivo di giustificare il mutamento della tradizionale terminologia, come il termine procedura sia stato impiegato, sino a quel momento al fine di indicare «lo svolgimento esteriore dell’istituto che è oggetto del nostro studio»18. Si tratta di una precisazione di importanza fondamentale in quanto finalizzata ad evidenziare come, in realtà, una nuova scienza del processo venisse profilandosi19.

A Chiovenda è sempre stato attribuito il merito di aver liberato la cultura processualistica dall’ingerenza della scuola esegetica20 e di aver ultimato il processo di affrancamento della materia processuale rispetto al diritto sostanziale21.

17 F. CARNELUTTI, Scuola italiana del processo, in «Rivista di diritto

processuale» 1947, I, pp. 238-239. Sulla figura di Chiovenda, Carnelutti tornerà l’anno seguente con Addio Chiovenda, in «Rivista di diritto processuale», 1948, I.

18 G. CHIOVENDA, Principî di diritto processuale civile, Napoli, Jovene,

1928, p. 26, nota 1.

19 In merito a tale espressione, in tal senso si esprime Salvatore Satta:

«“Svolgimento esteriore dell’istituto” voleva dire che vi erano sì le forme, ma al di là di queste ultime era possibile risalire a qualcos’altro di cui esse rappresentavano lo svolgimento» (SATTA, Dalla procedura civile al diritto

processuale civile, in Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 115).

20 E. T. LIEBMAN, Giuseppe Chiovenda, in «Rivista di diritto commerciale»,

1938, p. 93.

21 E. FAZZOLARI, Chiovenda e il sistema di diritto processuale civile, in «Rivista di diritto processuale», 1988, p. 294; GROSSI, Scuola giuridica italiana.

Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 89-90. Tuttavia, una prima percezione del mutamento dei segni dei tempi si ebbe già a partire dal monumentale “Commentario del Codice e delle leggi di procedura civile” di Lodovico Mortara (Milano, Vallardi, s.d), la cui uscita in fascicoli risale al 1898 per poi concludersi nel 1909. Cfr. Bibliografia di Lodovico Mortara, curata da CIPRIANI-N. CARRATA, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», n. 19 (1990), pp. 131-136. Una tendenza interpretativa consolidata identifica nella successione Mortara-Chiovenda, il passaggio dalla scuola dell’esegesi, di cui Mortara sarebbe stato l’ultimo significativo esponente, alla

26 L’itinerario scientifico chiovendiano si caratterizza per la saldatura tra la problematica metodologica e la necessità di un disegno riformistico della giustizia civile nell’Italia tardo liberale.

Alla base dell’opera di Chiovenda possono rintracciarsi due essenziali convincimenti: il primo, relativo all’esigenza di una riconsiderazione radicale della legislazione processuale vigente; il secondo, inerente ad un ripensamento circa il ruolo ricoperto dalla scienza giuridica. Il relativo ambito di intervento si riferisce, dunque, a due dimensioni che, per quanto strettamente interdipendenti circoscrivono, nella realtà giuridica del tempo fondata sul principio di legalità, un campo di tensione alla ricerca di un nuovo equilibrio22. In vista della configurazione di un diverso ordinamento processuale si avverte la necessità di una altrettanto nuova scienza giuridica. Quest’ultima viene chiamata a condurre un «lavoro preparatorio» alla fase di legislazione, lavoro consistente nello «studio razionale delle forme» processuali23; di qui la necessità di dotarsi di un metodo a tal fine idoneo.

In particolare, Chiovenda sottolinea la necessità di «effettuare una revisione storico-dogmatica delle dottrine processuali e la costruzione di un sistema»24. Il fine dell’organica sistematizzazione dell’intero materiale processuale e della configurazione di un assetto armonico a valenza generale viene realizzato adottando

scuola sistematica, in qualche misura importata in Italia da Chiovenda. Cfr. ad es., P. CALAMANDREI, Gli studi di diritto processuale in Italia nell’ultimo

trentennio, ora in Opere giuridiche, I, Napoli, Morano, 1965, p. 524 ss. Di senso contrario alla restrittiva ubicazione di Mortara nel contesto e al termine della scuola esegetica, Salvatore Satta: «Chi oggi ritorni […] all’opera di Mortara, non può condividere più questa opposizione ideale, anzi stupisce nel vedere da un lato come i motivi di quel rinnovamento siano già interamente percepibili nella vasta, esuberante scrittura, dall’altro come in certe posizioni e proposizioni si anticipino svolgimenti della dottrina processualistica più recente […]» (SATTA, Dalla procedura civile al diritto processuale civile, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 120); si veda, anche Attualità di Lodovico Mortara in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., pp. 388 ss; voce Diritto processuale civile, in Enciclopedia del Diritto, XII, Milano, Giuffrè, 1964, p. 1103.

22 GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., pp. 71-117; M. MECCARELLI, Diritto giurisprudenziale e autonomia del diritto nelle strategie discorsive della scienza giuridica tra Otto e Novecento, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», n. 40, 2011, pp. 721-45.

23 CHIOVENDA, Le forme nella difesa giudiziale del diritto [1901], in Saggi

di diritto processuale civile 1900-1930, I, Roma, «Il Foro Italiano», 1930.

27 alcune delle tematiche provenienti dalla letteratura tedesca25. Rappresenta quest’ultima una tendenza diffusasi negli stessi anni in diversi altri ambiti di studio: «un bagno di germanesimo per cui sono passate la più parte delle altre discipline giuridiche», osserva Chiovenda nel saggio Del sistema degli studi del processo civile26. Nello specifico, il ricorso al metodo pandettistico assicura, nel caso della procedura civile, la possibilità di fornire ad un settore metodologicamente incerto coordinate ed obiettivi dotati di maggiore stabilità, in modo tale che tale disciplina possa assurgere a rango di scienza giuridica27. Il riferimento alla “dottrina” chiovendiana si pone, dunque, come un passaggio di natura obbligata da parte di chiunque intenda soffermarsi sul concetto di sistema e sulla nozione di sistematica adottati nell’àmbito del diritto processuale civile italiano.

Già dagli inizi della sua produzione scientifica Chiovenda ascrive a ciò che egli intende per «studio sistematico» una posizione di interruzione ed avanzamento nei confronti del metodo esegetico di matrice francese. Secondo lo studioso, al fine di assicurare il «compimento necessario all’opera del legislatore» e, dunque, allo scopo di colmare in via interpretativa le lacune contenute nella legge, è necessario individuare «raggruppamenti prima non usati» di istituti già esistenti nonché «costituire a sé figure di istituti non nominati dalla legge, e ciò non in base a costruzioni arbitrarie ma

25 Bisogna, in particolare, far riferimento alla Prolusione bolognese del

1903 per avere un quadro delle fonti dottrinarie tedesche cui Chiovenda ha attinto. Nello specifico, si vedano le note del saggio ma anche CHIOVENDA, Adolfo

Wach, in «Rivista del diritto processuale civile», 1926, I, ora in Saggi, I. Sembra opportuno ricordare, se pure en passant, che la condivisione dell’orizzonte teorico di origine tedesca da parte di Chiovenda discenda, altresì, dall’insegnamento ricevuto dal proprio maestro Vittorio Scialoja. Per una delineazione della figura di quest’ultimo si vedano, S. RICCOBONO, Vittorio

Scialoja, in «Bollettino dell’Istituto di diritto romano», 1934; CARNELUTTI, Vittorio Scialoja, in «Rivista di diritto processuale civile», 1933, I e Arte del diritto. In memoria di V. Scialoja, in «Rivista di diritto processuale civile», 1934, I.

26 CHIOVENDA, Del sistema degli studi del processo civile, in «Rivista

italiana per le scienze giuridiche», 1908, ora in Saggi, cit., I, p. 229.

27 LIEBMAN, Storiografia giuridica manipolata, «Rivista di diritto

28 per via di induzione dai casi sparsi nelle leggi»28. In tal modo, si sarebbe potuto non solo ricostruire la struttura della legge, ma anche identificare nuove forme di istituti non esplicitamente contemplate dal diritto positivo.

Chiovenda adotta, come anticipato, una nozione di sistema di evidente ascendenza tedesca, inteso quale intima intelaiatura del “corpo” della legge suscettibile di oggettiva conoscenza. Dal diritto positivo si risale al sistema per via di induzione; in tal modo, una volta identificati i concetti generali si passa nuovamente al livello del diritto positivo per procedere, dunque, ad una interpretazione rinnovata delle leggi scritte oppure alla delineazione di una regolamentazione delle fattispecie sprovviste di disciplina.

L’elemento normativo identifica il momento iniziale di un iter interpretativo volto a risalire ai «sommi principi» che governano il «delicato organismo»29 della legge, per procedere successivamente ad individuare quanto in essa risulta essere insito ed appurare in tal modo la «natura stessa dell’ordinamento»30. L’attività realizzata dall’interprete assume, pertanto, le vesti di un’operazione sostanzialmente ricostruttiva dell’interna sistematicità del diritto. Tale concezione, pur non costituendo il risultato di un’autonoma speculazione chiovendiana, assume risvolti alquanto prolifici nel contesto degli studi di diritto processuale civile, dal momento che l’adozione della metodologia sistematica rappresenta il bagaglio strumentale impiegato dallo studioso al fine di sancire la citata transizione dalla «procedura civile» al «diritto processuale civile»31.

28 CHIOVENDA, Del sistema degli studi del processo civile, ora in Saggi di

diritto processuale civile, cit., I, p. 234.

29 Ivi, p. 238.

30CHIOVENDA, Dell’azione nascente dal contratto preliminare, in «Rivista

di diritto commerciale», 1911, ora in Saggi di diritto processuale civile, cit., I, p. 111.

31 CARNELUTTI, Scuola italiana del processo, in «Rivista di diritto

processuale», cit., p. 238. In particolare, sui caratteri di tale transizione scrive Alberto Scerbo: «Il passaggio “dalla procedura civile al diritto processuale civile”, per usare la terminologia di Satta, si dipana gradualmente, in maniera meno netta ed accentuata di quanto si possa postulare in apparenza e con minori fratture e divaricazioni di quanto ci si possa attendere. In un contesto che è caratterizzato dal medesimo humus culturale, quello ordito dalle dottrine politiche e giuridiche della modernità, che accomuna all’origine l’opera di Mattirolo, come quella di Mortara e di Chiovenda. Ciò non esclude, ovviamente, la diversità in ordine alle

29 Chiovenda procede alla delineazione di una salda «impalcatura teorica capace di sorreggere compiutamente l’intero edificio processuale, geometricamente concluso, in sé completo, privo di sbavature, ma anche di spazio per movimenti dialettici non preordinati»32. L’attività del giurista piemontese prosegue, in un certo qual modo, l’operato di Mortara ma con una evidente accentuazione «della vena sistematica ed una progressiva accellerazione del processo di configurazione della dinamica processuale secondo le modalità rigorose proprie della scienza, presunta garanzia di precisione, coerenza e imparzialità»33.

Un nuovo ordine processuale viene delineandosi e Chiovenda si pone come uno dei maggiori protagonisti, probabilmente il principale, della ridefinizione del processo in chiave pubblicistica34. La comprensione del sistema chiovendiano apparirebbe, infatti, incompleta qualora non si tenesse conto di un elemento incidente in maniera essenziale sulla sua prospettiva globale: la specifica volontà di acquisire gli strumenti necessari per riorganizzare dalle fondamenta la struttura del processo, nell’ottica finale della collocazione del medesimo all’interno dell’area pubblicistica.

A livello “costruttivo”, i principali elementi finalizzati alla strutturazione pubblicistica del processo sono individuati nel concetto di azione e in quello di rapporto giuridico processuale.

Per azione, il processualista piemontese intende «l’autonomo potere giuridico di realizzare per mezzo degli organi giurisdizionali l’attuazione della legge in proprio favore»35, configurandosi, a sua volta, quest’ultima come «l’ordine immanente di una realtà che si tratta di accertare nel processo»36. L’azione, nella concezione di

prospettive operative perseguite, il cui bilancio può essere valorizzato pienamente solamente attraverso il filtro della prospetticità filosofica» (SCERBO,

Premessa, in Tecnica e politica del diritto nella teoria del processo. Profili di processualisti italiani contemporanei, cit., p. 9).

32 SCERBO, Il trionfo della scienza del processo: il pensiero di Giuseppe

Chiovenda, cit. 113. 33 Ivi., p. 117.

34 Sul punto, si veda, TARUFFO, La giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi,

Bologna, Il Mulino, 1980.

35CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. IX.

36 SATTA, Giuseppe Chiovenda nel venticinquesimo anniversario della

30 Chiovenda, va ad esercitarsi «di fronte all’avversario più che contro l’avversario»37, dal momento che quest’ultimo subisce la produzione dell’«effetto giuridico dell’attuazione della legge»38 senza essere «tenuto ad alcuna cosa dinanzi a questo potere», essendo egli semplicemente «soggetto ad esso»39. Concepita in tal modo, l’azione viene “sussunta” nell’ámbito del «tradizionale sistema dei diritti»40, più nello specifico, nella categoria dei diritti potestativi, che «si esauriscono in un puro potere giuridico»41.

Premessa la definizione del diritto di azione, Chiovenda si premura di precisare come «altro è dunque l’azione, altro il rapporto processuale; quella spetta alla parte che ha ragione, questo è fonte di diritti per tutte le parti»42. Ne discende la convinzione da parte dello studioso che il sistema-processo non possa essere concepito in termini di realtà indipendente quanto, all’opposto, quale “organizzazione” predisposta all’attuazione di una puntuale funzione, specificamente identificata nella concretizzazione del diritto oggettivo da parte del giudice. Detto in altri termini, l’attuazione della legge rappresenta la tipica funzione pubblica che, nel contesto dello Stato moderno, si attua nel processo43.

La concezione del processo delineata da Chiovenda risente dell’impostazione statalistica di fondo che caratterizza la sua riflessione44. Si profila, infatti, una dottrina finalistica del processo

37 CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto

processuale civile, cit., I, p. 15. Diversamente, secondo alcuni teorici tedeschi l’azione avrebbe dovuto esercitarsi contro lo Stato, cfr. ad es., A. CASTELLARI, Il

diritto di agire nella nuova scienza processuale civile tedesca, in Scritti per Chironi, II, Torino, Bocca, 1915, p. 73 ss.

38CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 46. 39 Ibidem.

40 CIPRIANI, Storie di processualisti ed oligarchi, cit., p. 254.

41 CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto

processuale civile, cit., p. 42.

42 CHIOVENDA, Principii, cit., p. 91 e Istituzioni, cit., p. 49.

43 CHIOVENDA, Del sistema degli studi del processo civile, in Saggi di diritto

processuale civile, cit., p. 230; L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto processuale civile, cit., pp. 32 ss; Principi di diritto processuale civile, cit., pp. 65 e ss.

44 «Nello Stato risiede» sostiene Scerbo «tanto il potere di porre le leggi,

quanto quello di provvedere alla loro pratica applicazione; pertanto “scopo del processo è sempre l’attuazione della volontà della legge nel caso concreto”, che va precisato nel senso della predisposizione di un’attività del giudice conforme “in ogni caso – a – volontà di legge preesistente, e se fa opera di specializzazione della legge, ciò è solo nel senso che egli formula caso per caso la volontà di legge

31 in virtù della quale quest’ultimo assume la “struttura” di un sistema preordinato alla realizzazione di uno scopo ad esso esterno, individuato nell’attuazione del diritto sostanziale. Chiovenda adotta, dunque, una nozione di scopo processuale «che può dirsi obiettiva perché essa prescinde affatto dalla considerazione degli scopi subiettivi delle parti»45, e che si pone alla base «della moderna scienza processuale»46. Dunque, mentre precedentemente alla dottrina chiovendiana, lo scopo del processo viene fondamentalmente identificato nella tutela della autonomia e della libertà dei privati, a partire da essa si individua un differente parametro di valutazione del processo medesimo. In tale nuova prospettiva, quest’ultimo avrebbe dovuto garantire non solo la tutela della libertà delle parti ma soprattutto il conseguimento dell’obiettivo essenziale dell’attuazione della legge oggettiva47.

Pur astenendosi da più puntuali precisazioni tecniche, deve essere tuttavia sottolineato come la nuova procedura civile estenda i poteri del giudice nella trattazione della causa. Va necessariamente chiarito, ad ogni modo, come la centralità del ruolo di quest’ultimo venga concepita essenzialmente in una prospettiva legalistica, in quanto tale non rinviante né al perseguimento di un compito equitativo né tantomeno ad un tentativo di adeguamento del diritto ai bisogni sociali. Di conseguenza, non si procede col riconoscere al diritto giurisprudenziale un possibile risvolto nomopoietico quanto piuttosto un potenziale nomofilattico in relazione al quale la sentenza attesta semplicemente la «volontà di legge accertata nel caso singolo»48.

divenuta concreta prima del processo» (SCERBO, Il trionfo della scienza del processo: il pensiero di Giuseppe Chiovenda, cit., pp. 133-134).

45 CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto

processuale civile, cit., p. 32.

46 Ivi., p. 33.

47 TARUFFO, Sistema e funzione del processo civile nel pensiero di Giuseppe

Chiovenda, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1986, 40, p. 1148.

48 CHIOVENDA, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di diritto

32 Attraverso la lezione di Chiovenda e la sua teoria del rapporto giuridico processuale49 la concezione pubblicistica del processo civile consegue in Italia una completa fondazione teorica e sistematica, in relazione alla quale viene a modificarsi il significato sino ad allora assunto dalla tutela giurisdizionale50. Quest’ultima finisce con il configurarsi essenzialmente come funzione propria dello Stato e non più quale attività predisposta principalmente alla individuazione di strumenti finalizzati alla garanzia dei diritti individuali dei privati51. La sistematizzazione scientifica chiovendiana favorisce la diffusione di una supremazia dell’astratto sul concreto, un’accentuazione del rilievo assunto dall’apparato concettuale, nonché la progressiva delineazione di una concezione del diritto in termini di strumento funzionale agli obiettivi statali. La teorica del processualista piemontese si pone totalmente in linea con gli assunti propri della dottrina politico-giuridica moderna; dunque, con la condivisione della «posizione sovraordinata del “pubblico” rispetto al “privato”» e con una concezione del principio di separazione dei poteri volto a configurare «“il potere dello Stato, uno nella sua essenza, frazionato nell’esercizio” con l’obiettivo di operare “nell’interesse del libero andamento della cosa pubblica”»52.

Tuttavia, nonostante la definizione in senso statalistico del processo sia evidente nella riflessione scientifica di Chiovenda appare eccessivo far scaturire da essa un’aperta finalità di

49 Sulla nozione chiovendiana di rapporto giuridico processuale, in

particolare, TARUFFO, Sistema e funzione del processo civile nel pensiero di

Giuseppe Chiovenda, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», cit., pp. 1133-68.

50 «La giurisdizione consiste nella sostituzione definitiva e obbligatoria

dell’attività intellettiva del giudice all’attività intellettiva non solo delle parti ma di tutti i cittadini nell’affermare esistente o non esistente una volontà concreta di legge concernente le parti» (CHIOVENDA, Principii, cit., pp. 296-297).

51 «Nel processo si svolge una funzione pubblica e questa è l’attuazione della

legge, cioè il diritto in senso obbiettivo. Questa è la destinazione del processo, non già la difesa dei diritti soggettivi, come molti affermano» (CHIOVENDA, Principi del diritto processuale civile, cit, pp. 65-66).

52 SCERBO, Il trionfo della scienza del processo: il pensiero di Giuseppe

33 superamento dell’ordine giuridico liberale, espressamente volta alla fondazione di una «organizzazione statale autoritaria»53.

La dottrina di Chiovenda può ritenersi, pertanto, come «storicamente giustificata» in relazione al senso di smarrimento attraversato dalla giustizia civile, nel più ampio contesto della crisi vissuta non solo dalla dimensione giuridica ma anche da quella politica e sociale tra il XIX e XX secolo54.

In definitiva e al di là di tali considerazioni, va evidenziato come il processo, in seguito alla lezione di Chiovenda e sulla sua scia, sia divenuto la chiave di volta per l’interpretazione dell’intero sistema del diritto. Da quel momento in avanti, due presupposti non