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Lo storicismo sattiano tra individuo e ordinamento giuridico

Analizzate le strutture portanti della concezione unitaria dell’ordinamento giuridico sostenuta da Satta, la parte conclusiva del capitolo verterà su due specifici spunti di riflessione.

Dapprima nel ribadire la centralità assunta, nel processo di formazione dell’esperienza giuridica, dal soggetto e dalla sua azione ci si concentrerà sul carattere di quest’ultima quale immediata proiezione dell’individualità del singolo. Successivamente, ci si

114 SATTA, Giurisdizione (nozioni generali), cit., p. 224. «La legislazione»

prosegue Satta «può, formalmente, mancare, e del resto storicamente la giurisdizione precede, non segue, la legislazione; l’amministrazione può astrattamente concepirsi come mera azione; ma la giurisdizione non può essere pensata come inesistente, se non in quanto si consideri inesistente l’ordinamento. Essa ed essa soltanto è […] la giuridicità dell’ordinamento».

115 SCERBO, Salvatore Satta e il ritorno dei processualisti alla filosofia, cit.,

106 soffermerà sulla prospettiva dell’ordinamento inteso quale riduzione ad “ordine unitario” della molteplicità del sociale.

In merito al primo punto, per meglio comprendere l’essenzialità del ruolo rivestito dalla volontà individuale nella meditazione del nostro autore pare, ancora una volta, opportuno operare un confronto in relazione agli orientamenti assunti dalla scienza processuale a lui contemporanea. In tal caso, il riferimento specifico sarà al legame intercorrente tra processo e giudizio.

Come evidenziato in precedenza la «nuova scienza»116, nello sforzo di affermare la propria autonomia ma anche la propria pari dignità scientifica nei confronti del settore civilistico, “introietta” la prospettiva logica e l’apparato concettuale adottati dall’impostazione metodologica prescelta dal diritto privato.

Lo studioso del diritto, quale che sia il suo campo di afferenza, è sempre più convinto che in tanto la sua analisi possa risultare realmente scientifica in quanto riesca a modellare la propria attività sul prototipo fornito dalle scienze sperimentali, in particolare dalla fisica. Pertanto, se l’intera disciplina del diritto civile risulta essere dominata dai canoni “operativi” impiegati da tali scienze pare d’obbligo improntare e conformare ad essi anche lo studio del processo. Dunque, la scienza del processo finisce con l’adottare una visione «fisicizzante»117 dello stesso nella misura in cui procede ad analizzarlo esclusivamente quale sequenza tecnica di atti, suscettibili di una specifica collocazione spazio-temporale.

Esito quasi obbligato dell’acquisizione di tale criterio metodologico da parte dei cultori del processo diviene il graduale affievolirsi della riflessione relativa al momento del giudizio. Quest’ultimo, infatti, per sua essenza, si configura inevitabilmente come insuscettibile di sottoporsi ad un’indagine scientifica nell’accezione fatta propria dalle scienze empiristiche.

116 L’espressione si ritrova in CAPOGRASSI, Giudizio, processo, scienza e

verità, in «Rivista di diritto processuale», Num. I, 1950, p. 15.

117 Il concetto di «fisicizzazione» del processo è presente in NASI, Giuseppe

Capograssi, Emilio Betti, Salvatore Satta: Amici della persona umana, in Studi in onore di Carmine Punzi, cit., pp. 541-543.

107 Satta propone un radicale mutamento dell’angolo visuale prescelto. Se è vero che agli esordi della sua carriera tale rovesciamento prospettico si scaglia nei confronti delle derive pubblicistiche della scienza processuale, molto probabilmente, siffatta iniziale critica si pone già come prodromica all’affermazione di una nuova concezione dell’ordinamento giuridico, nell’ambito della quale «azione e diritto» si sarebbero «riunificati in capo al soggetto e, mediante il processo, risolti nel giudizio»118.

In opposizione agli eredi della scuola chiovendiana, l’intellettuale nuorese procede, per un verso, ad una «rivalutazione del soggetto nell’azione»; per un altro, a propugnare una concezione del processo come dimensione all’interno dei cui confini la «volontà particolare» si esprime «attraverso l’affermazione della volontà generale, che poi non vuol dire se non attraverso il giudizio»119. Sviluppando l’insegnamento del maestro di Sulmona, il giurista sardo matura la profonda convinzione che lontano dal giudizio, dal processo e dalle parti che ad esso danno vita non sia prospettabile alcuna ipotesi di “pensabilità” del diritto.

In particolare, egli pone il soggetto-parte quale motore dell’intera esperienza giuridica. E proprio della parte, in linea con il suo sentire profondamente ancorato alla concretezza del reale, fornisce una definizione che sembra utile riportare fedelmente: «il concetto di parte non è esclusivo del processo: il processo, anzi, come atto di vita qual è, riceve il suo concetto dalla vita»120.

Secondo Satta l’essenza di tale nozione, dal punto di vista giuridico, rappresenta il precipitato di un “esito” interpretativo al quale il giurista potrà pervenire soltanto varcando i confini della storia, della filosofia, della sociologia e, non ultima, della filologia. Ciò che di fondamentale una tale indagine riporta in superficie è il legame originario della parte con la globalità di un tutto di cui è

118 SATTA, Presentazione, in Trattatello di procedura civile, cit., pp. VII-IX.

Sul punto si veda anche, MAZZARELLA, Interpretazione di Satta, in «Rivista di Diritto Civile», 1977, pp. 492-493.

119 SATTA, Presentazione, in Trattatello di procedura civile, cit., p. XV. 120 SATTA, Il concetto di parte, in Scritti giuridici in memoria di Piero

108 elemento e da cui è contenuta. Progressivamente, il termine in questione sarebbe «traslato ad indicare un soggetto» identificato non in dimensione assoluta ma nel suo rapporto con «un divenire nel quale è totalmente impegnato fino a risolversi in esso»121.

A questo punto, il nostro autore pone un’equazione: il soggetto starebbe al divenire come la parte rispetto al tutto; ciò nella misura in cui il divenire altro non rappresenti che il soggetto stesso che «svolge la sua azione in un processo di vita»122. Detta relazione evidenzia, pertanto, una inscindibilità assoluta tra azione e soggetto, configurandosi la prima quale diretta e necessaria manifestazione del secondo. Tuttavia, il soggetto è parte non solo con riferimento alla dimensione del divenire ma anche in relazione agli altri soggetti che in tale flusso pure sono collocati. Dalla presenza di tale pluralità, l’azione riceve il suo imprescindibile carattere dialettico che è il solo a consentirle di identificarsi in quanto tale: mediante, cioè, il confronto-scontro con le differenti altre azioni.

Chiarito ciò, si perviene al tratto distintivo dell’essenza della nozione di parte individuato nella necessaria «fedeltà» di quest’ultima alla legge del divenire; ovvero, nell’esigenza della volontà particolare di affermarsi come universale. Ebbene, nella prospettiva sattiana, tale fedeltà al divenire «non è altro che il processo: la risoluzione della parte nel processo»123.

In una simile ottica, pare potersi “azzardare” come la parte a cui il docente nuorese si riferisce possa essere a buon titolo identificata con la nozione di persona umana124. Ciò nella misura in

121 Ivi, p. 693. 122 Ibidem. 123 Ivi, p. 694.

124 I pochi cenni presenti in questa nota sono evidentemente assai scarsi.

Lo sviluppo e la lezione del pensiero filosofico-giuridico in relazione alla nozione di “persona umana” costituiscono dal punto di vista bibliografico un’impresa in sé molto complessa e non direttamente attinente agli obiettivi del presente lavoro. Tuttavia, appaiono imprescindibili i riferimenti a J. MARITAIN, L’éducation à la croisée des chemins, Paris, Egloff, 1947; W. CESARINI-SFORZA, Collettività e persona, in Studi in memoria di Francesco Ferrara, Milano, Giuffrè, 1943; N. NAVA, Personalismo giuridico, Modena, Bassi & Nipoti, 1951; OPOCHER, Socialità della persona e PADOVANI, Linee di una fenomenologia dell’egoismo, persona e società, entrambi in «Archivio di filosofia», Padova, 1951; PIGLARU, Persona umana e ordinamento giuridico, Milano, Giuffrè, 1953.

109 cui non si è mai persona in astratto ma lo si diviene soltanto mediante una concatenazione di legami concreti. Difatti, pur nella consapevolezza di una identità comune, di una intrinseca corrispondenza con gli altri, è necessario che intervenga uno specifico atto di distinzione attraverso il quale l’individualità possa trovare affermazione nella realtà sociale125. Il richiamo continuo operato da Satta allo svolgersi della vita dell’uomo nella sua concretezza, induce a pensare che egli adotti una “filosofia” dell’azione quale punto di confluenza tra le esigenze dell’individuale e quelle dell’universale. In tal senso, è certamente radicata nell’intellettuale sardo la visione capograssiana dell’azione come impulso vitale che, riconoscendo uno scopo più elevato rispetto al proprio fine particolare, supera il limite delle proprie intenzionalità contingenti proiettandosi in direzione dell’universalità.

Siffatta modalità di raffigurazione della realtà rinvia in maniera diretta alla dimensione della storia, dal momento che tanto la singola azione quanto il loro insieme trovano in essa confluenza. A tal riguardo, va precisato come la trama del divenire storico sia caratterizzata, innanzitutto, dai contegni naturalmente giuridici normalmente posti in essere dagli individui senza il diretto intervento di un ordinamento positivo126. Un simile «istituzionalismo trascendentale»127 rappresenta il presupposto per la completa assimilazione della dimensione giuridica a quella storica. Ciò implica, sulle ali del pensiero vichiano, l’indissolubilità del nesso tra il diritto e la storia nel senso di una concezione del

125 In tal senso, osserva Giuseppe Cicala: «il soggetto dell’attività creatrice

del diritto è l’uomo associato […], l’uomo cioè che in grazia della vita sociale vissuta e appresa come tale sia giunto a porsi come personalità e a concepire l’intera comunanza come un naturale aggregato di distinte personalità identiche alla propria» (G. CICALA, Corso di filosofia del diritto, Firenze, D. U. F, 1931, p. 22).

126 In una simile prospettiva, Guido Fassò identifica la storia con «il diritto

concreto, […] logicamente e storicamente anteriore al diritto astratto, che è traduzione in imperativo delle leggi conoscitive di esso» (G. FASSÒ, La storia

come esperienza giuridica, Soveria Mannelli, Rubettino, 2016, p. 93).

127 E. PATTARO, In che senso la storia è esperienza giuridica:

l’istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1983, ora Appendice in FASSÒ, La storia come esperienza giuridica, cit., pp. 145-188.

110 primo quale «forma necessaria, naturale della storia»128. In una tale prospettiva, pare potersi inserire anche la visione del diritto condivisa dal nostro autore; di un diritto che, per dirlo con un’aggettivazione grossiana, nella sua carnalità si identifica con l’azione dell’uomo comune, attore non della storia “pubblica” ma protagonista di quella storia più sommessa e sconosciuta che tuttavia assume imprescindibile importanza in quanto costitutiva della linfa vitale della società129. Dai livelli più intimi della struttura sociale emerge l’esistenza di una realtà ordinante ed ordinata quale esito dell’azione dell’uomo “ordinario”; di qui, dunque, la concezione di un diritto inteso in termini di vita che ordina se stessa130.

Come anticipato, la visione del diritto come realtà ordinata rappresenta il secondo elemento di riflessione sul pensiero di Satta che ci si è proposti di affrontare in tale paragrafo conclusivo.

Nella meditazione dell’intellettuale sardo, infatti, la società si struttura come ordinata sulla base di uno specifico processo ordinante. In tal senso, sembra potersi ritenere valida anche per il giurista nuorese, la concezione del suo corregionale Antonio Pigliaru secondo il quale «l’ordinamento è propriamente funzionale» alla società «per il suo carattere istitutivo o forse costitutivo di tutte le relazioni di poteri particolari sotto un principio di suprema unità»131.

La molteplicità, sembrerebbe dire il nostro autore, strutturandosi in ordine sulla base di un principio unitario si trasforma in societas. La modalità di conseguimento di tale ordine e, probabilmente in ciò risiede l’originalità della sua teoria, viene

128 FASSÒ, La storia come esperienza giuridica, cit., p. 13.

129 In tal senso, Giuseppe Capograssi fa riferimento a «quel nascosto nucleo

di ragione diretta e concreta su cui vive la sua vita l’uomo comune […] Quello che si chiama sentimento […] è la profonda segreta diretta consapevolezza pratica con cui l’individuo vive la sua esperienza, con le certezze che fanno la umanità della sua coscienza, e che insomma reggono tutto l’ordinamento giuridico e il complesso delle norme e delle istituzioni da cui l’ordinamento risulta» (CAPOGRASSI, Il quid ius e il quid iuris in una recente sentenza, in «Rivista di diritto processuale», 1948, I, p. 59).

130 GROSSI, Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, cit., p. 644.

111 individuata nel mezzo processuale. Parafrasando alcune formule hegeliane, l’ordinamento giuridico potrebbe essere definito come il complesso delle norme e degli istituti finalizzati alla fondazione di una società civile; intesa, quest’ultima, quale “unità” di molti conseguita nell’ “unità” dell’ordine. Detto in altri termini, nella società sattiana gli individui si pongono in rapporto tra di essi non soltanto attraverso una relazione immediata ma, altresì, mediatamente, cioè nel momento della controversia tramite l’ordinamento incarnatosi nella persona del giudice132.

Non esiste nella visione del docente sardo contrapposizione alcuna tra persona umana ed ordinamento giuridico. Al contrario, potrebbe parlarsi di una concezione di matrice “individual- esistenzialista” nella misura in cui si ritenga che proprio nel diritto il soggetto trovi lo strumento necessario alla propria affermazione come persona, intesa quale «coscienza di sé come dovere»133.

Tuttavia, va sottolineato come sullo sfondo di una tale concezione non si possa concepire il diritto, come effettivo ordinamento dell’azione, se autorità e persuasione non riconoscono la loro funzionalità reciproca134. Attraverso la collocazione dell’azione dell’individuo comune al centro della complessa problematica del diritto-ordinamento, Satta si riferisce e, probabilmente, auspica la fondazione di un sistema giuridico integralmente “cucito” sull’uomo. Nell’ àmbito di quest’ultimo, la vera “scommessa” non è quella di accontentarsi di una pura meccanica comando/obbedienza quanto, piuttosto, quella di conseguire una dialettica ordinamento/osservanza finalizzata alla realizzazione di un’azione comune di cui si condivide un implicito

132 G. W. F. HEGEL, Propedeutica filosofica, Firenze, Sansoni, 1952, p. 48. 133 PIGLIARU, Persona umana e ordinamento giuridico, cit., p. 55.

134 In tal senso, Capograssi individua alla base dell’atto di obbedienza la

coscienza del soggetto: «la quale giudica che questo atto di obbedienza è necessario, perché è necessaria l’adesione all’ordine generale e concreto del diritto, nel quale si organizza la vita del mondo sociale in cui il soggetto vive» (CAPOGRASSI, Obbedienza e coscienza, in Opere, vol. V, p. 200). Sul tema, cfr. anche A. PUNZI, Il bisogno di persuasione e le incertezze dell’individuo, in Dialogica del diritto. Studi per una filosofia della giurisprudenza, Torino, Giappichelli, 2009, pp. 197-212.

112 giudizio di valore135. Di qui, nella prospettiva dell’intellettuale nuorese, una visione dell’individuo quale soggetto attivo e costitutivo del processo di formazione della realtà giuridica; individuo che, inevitabilmente, sperimenta e fronteggia in prima persona il profondo tormento di tutta la storia del diritto come riflesso dello speculare tormento della sua stessa esistenza, dal momento che «è la vita che è crudele, e il diritto esprime tutta la crudeltà della vita»136.

135 È questa l’idea, prettamente capograssiana, di fedeltà all’azione: «Il

principio e l’esigenza fondamentale da cui nasce tutto il mondo del diritto è il principio della fedeltà all’azione»; tale fedeltà, si risolve «nell’esigenza di riflettere sulla propria azione», cioè «ascoltare la propria ragione sulla propria azione, sottoporre la propria azione ad essa» (CAPOGRASSI, Appunti sull’esperienza giuridica, in Id., Opere, vol. III, cit., p. 442).

136 S. SATTA, Il giorno del giudizio, cit., p. 147. In relazione alla correlazione

tra la vita e il diritto, osserva Vittorio Spinazzola: «Il dolore e il male, che sono nella natura delle cose, non trovano riparazione di sorta negli istituti di civiltà, i quali presuppongono e sanciscono uno stato di ostilità irriducibile tra i viventi» (SPINAZZOLA, La memoria giudicatrice di Salvatore Satta, in L’offerta letteraria, Napoli, Morano Editore, 1990, p. 182).

113

CAPITOLO 3

Ontologia dell’individuo e diritto

1. L’inafferrabilità del diritto

Nello scritto Il diritto, questo sconosciuto Satta definisce il fenomeno giuridico, non inteso in termini di concetto ma nella sua reale essenza, «un’entità inafferrabile»1. Il senso di smarrimento (che discende dall’incapacità di fornire una risposta all’interrogativo sull’effettiva natura del diritto) non disorienta, secondo l’autore, solo l’uomo comune ma anche, e forse soprattutto, il giurista dal momento che egli vede progressivamente sgretolarsi, davanti ai suoi occhi, l’«oggetto stesso della sua conoscenza»2.

L’intero percorso scientifico sattiano si pone come una profonda e severa riflessione sulle modalità di concepire e di interpretare il diritto nel suo complesso; tanto con riferimento allo specifico ambito della scienza giuridica quanto, consapevolmente o inconsapevolmente, in relazione al piano della filosofia del diritto3.

Si tratta di una questione che, nella prospettiva del docente sardo, sconta gli effetti di una crisi che egli ritiene investire di rilevanza generale l’intera realtà dell’esperienza giuridica. Tuttavia va sottolineato come, nella sua concezione, tale problematica non attenga alla «dimensione òntica della società»4, bensì ad una determinata modalità di relazionarsi al diritto. In particolare, Satta si riferisce alla concezione specificamente moderna di quest’ultimo che trova origine al tramonto della lunga esperienza medievale e che giunge a pieno sviluppo nel secolo del predominio statualistico della legge e del sapere giuridico5.

1 SATTA, Il diritto questo sconosciuto, in Id., Il mistero del processo, cit.,

p. 112.

2 Ivi., p. 113.

3 «Ogni pensiero, quando è vero pensiero, è filosofico, quindi non conosce

esclusive: e tale è soprattutto il pensiero che si svolge dalla osservazione del processo. In ogni processualista c’è un filosofo occulto, e talvolta la vocazione è così prepotente da costituire un’autentica tentazione» (SATTA, Dalla procedura civile al diritto processuale civile, cit., p. 123).

4GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p.276.

5 Sul punto, diffusamente, VOGLIOTTI, Introduzione, in Saggi sulla

114 Pur a rischio di una consapevole ed indebita semplificazione, ricordiamo come il fulcro di simile concezione riguardasse il modo di intendere il legame intercorrente tra soggetto e diritto, a partire dalla seconda metà del Settecento in avanti. In tale contesto storico, tra i due termini della relazione si consolida, a livello concettuale e sistemico, un rapporto di generale subordinazione del primo rispetto al secondo. A rappresentare il presupposto “fondativo” della giuridicità non è l’uomo, nelle sue differenti declinazioni esistenziali, ma l’individuo generale e astratto. Tale categoria, rovesciando totalmente i caratteri dell’antropologia medievale, pone le basi per la successiva attività codificatoria attraverso una quasi pressoché totale semplificazione del panorama giuridico, sino a quel momento caratterizzato dalla presenza di molteplici figure soggettive connotate da peculiari specificità6. Nel mutato contesto storico-culturale, la competenza a connotare giuridicamente la figura dell’individuo viene rivendicata dall’ordinamento, incarnato nella figura di un astratto e “mitologico” legislatore7.

Di qui, la totale assenza di un’autonoma sfera di rilevanza concettuale del soggetto: l’individuo trae la propria giuridicità, e dunque riceve la qualificazione di soggetto di diritto, sulla base del complesso di diritti e di doveri a lui ascritti dal sistema giuridico di appartenenza. A costituire l’esito ultimo e più raffinato di tale concezione filosofico-giuridica, la kelseniana Dottrina pura del

diritto laddove, nel contesto del rigoroso impianto metodologico-

formale, il giurista praghese sostiene che il soggetto non incarni «una realtà naturale, bensì una costruzione giuridica, creata dalla scienza giuridica»8.

In aperta opposizione ai più recenti epigoni formalistici dell’originario progetto moderno di «unità e purezza», Satta si batte

della modernità giuridica. Un percorso interdisciplinare, Torino, Giappichelli, 2008, pp. 1-27.

6 Si veda, in proposito, TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna.

Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna, Il Mulino, pp. 37-39.

7 Sulla nozione di «assolutismo giuridico» e sulla mitologia giuridica

moderna si rinvia aGROSSI, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998 e Id., Mitologie giuridiche della modernità, Milano, Giuffrè, 2001.

115 per un «recupero della complessità»9, tentando di ricondurre l’attenzione dell’accademia a lui contemporanea sulla priorità antropologica dell’individuo rispetto alle artificiose costruzioni concettuali della scienza giuridica. Vedremo, infatti, come proprio l’elemento della “preminenza esistenziale” del soggetto rappresenti, nella prospettiva dell’intellettuale nuorese, il fattore a partire dal quale strutturare l’attività di comprensione dell’universo giuridico dal momento che, nella sua visione, il diritto non rappresenta altro se non «la gente che ha vissuto e che vive»10.

Imprescindibili per intendere la concezione sattiana del fenomeno giuridico risultano essere, in particolare, due scritti: Il

diritto, questo sconosciuto, discorso inaugurale tenuto

all’Università di Genova in occasione dell’apertura dell’anno accademico 1954-1955 ed in seguito confluito nella raccolta

Soliloqui e colloqui di un giurista, ed il saggio Norma diritto e