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Il processo quale chiave di lettura del diritto

Nel corso del biennio 1949-1951, la penna dei più noti giuristi dell’epoca si trova impegnata in un sentito confronto che si svolge sulle pagine della «Rivista del diritto processuale». Le motivazioni poste alla base di tale dibattito vengono evidenziate dallo stesso Satta il quale, nel ribadire la necessità di infrangere il diaframma creatosi tra la scienza e la vita, evidenzia l’esigenza di «ristudiare il

7 MANDRIOLI, L’opera scientifica di Salvatore Satta, in Studi in memoria

74 processo là dove soltanto esso vive, cioè nell’esperienza del giudizio»8. In particolare, sul finire del 1950, la città di Firenze ospita il Primo Congresso Internazionale di diritto processuale civile. La relazione di apertura su Processo e giudizio9, tenuta da

Calamandrei, e lo scritto di Satta intitolato La tutela del diritto nel

processo10 contribuiscono all’individuazione e alla delimitazione

delle tematiche fondamentali del dibattito, delineando diversi percorsi di riflessione ed inserendosi perfettamente nel fulcro della discussione in corso.

Il simultaneo avvio, da parte dell’insieme di tali studiosi, ad una generale riconsiderazione in merito alla reale essenza del processo scaturisce, come il nostro autore più volte sottolinea, dalla situazione di diffusa crisi originata dal turbamento delle coscienze successivo alla guerra. La sentita urgenza di realizzare l’effettiva tutela dell’individuo considerato nella sua “dimensione” di umanità, scongiurando al contempo derive individualistiche, genera lo stimolo ad una revisione dell’impianto metodologico, degli assunti teorici e degli esiti sino a quel momento conseguiti dalla scienza giuridica11. A tal proposito, Caiani rileva come la disputa tra questi giuristi abbia rappresentato l’esito dell’acquisita consapevolezza «del valore e del significato metagiuridico, cioè, in definitiva del valore e del significato umano dei problemi relativi al processo e al giudizio». In altri termini, si sarebbe pervenuti ad una «presa di coscienza del significato ideologico» posto alla base di numerose

8 SATTA, Dalla procedura civile al diritto processuale civile, in Id.,

Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 126.

9 CALAMANDREI, Processo e giustizia, in «Rivista del diritto processuale»,

1950, I, pp. 273-290.

10 SATTA, La tutela del diritto nel processo, in Id., Soliloqui e colloqui di un

giurista, cit., pp. 61-69.

11 SCERBO, Salvatore Satta e il ritorno dei processualisti alla filosofia, in

Tecnica e politica del diritto nella teoria del processo, cit., p. 159. «In altri termini» osserva ancora Scerbo «si pone la necessità di risalire alle radici del processo, per accorgersi che con l’accentuazione della spinta sistematizzatrice della scienza si assiste ad una ricostruzione della fenomenologia giuridica in chiave rigorosamente impersonale, che, per una riduzione della consapevolezza del valore convenzionale dei principi assunti assiomaticamente e per la conseguente elevazione a verità dei dogmi tratti more geometrico, declina dal discorso giuridico il problema del fine ultimo del processo, e quindi del diritto» (SCERBO, Premessa, in Tecnica e politica del diritto nella teoria del processo, cit., pp. 9-10).

75 problematiche affrontate, sino a quel momento, dalla teoria processuale solo nella misura in cui fosse stato possibile convertirle «in forma tecnica»; confinandole, in alternativa, «sul terreno delle questioni giuridicamente irrilevanti»12.

Di tale tendenza innovatrice, Satta è autentico portavoce. A causa della sua intolleranza nei confronti di formalismi e dogmatismi, maturata sulla base di una profonda apertura in direzione della realtà del concreto, si può sostenere che la sua intera produzione scientifica rappresenti il risultato di una meticolosa analisi dell’esperienza giuridica nella sua effettiva dimensione di vita vissuta. In particolare, come anticipato, la sua indagine si indirizza a quello specifico ambito del diritto in relazione al quale egli avverte l’obbligo di dover spendere il talento affidatogli, vale a dire la dimensione del processo. La riflessione del giurista nuorese, infatti, è caratterizzata dall’adozione di una decisa «prospettiva processuale»13 del diritto dal momento che egli considera il

12 L. CAIANI, La filosofia dei giuristi italiani, Padova, Cedam, 1955, p. 114.

A proposito della “metagiuridicità” del processo lo stesso Satta si esprime facendovi riferimento in relazione al nesso che ritiene sussistente tra tale profilo e l’impostazione sistematica propria della dottrina chiovendiana: «E la vitalità, al di fuori e al di là dei concetti e dei dogmi, stava in quel pensiero del processo come valore universale che era alla base del sistema, e per la cui comprensione il sistema era stato creato, quasi nel supremo sforzo di tradurre in termini giuridici un presupposto metagiuridico» (SATTA, Dalla procedura civile al diritto processuale civile, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 123).

13 Per quanto esuli dall’oggetto del nostro lavoro una trattazione puntale di

tale specifica tematica, sembra opportuno, tuttavia, far riferimento ad alcune considerazioni di carattere generale. In merito, riportiamo le osservazioni di Francesco Cavalla: «Tale “prospettiva” si traduce in un modo specifico di interpretare il rapporto tra tre elementi che – anche nell’ambito di concezioni molto diverse tra di loro – sono comunque considerati costitutivi appunto dell’esperienza giuridica: norma, azione tipica, giudizio. Più precisamente, a definire la prospettiva in questione possono valere le seguenti affermazioni: a) una norma è dotata del requisito della giuridicità non già in grazia di specifiche note formali, né per la supposta giustizia dei suoi contenuti, né in virtù dei caratteri dell’autorità che la promana, ma solo se, e perché, è in grado di svolgere una precisa e specifica funzione: che è quella di consentire che determinati conflitti tra volontà opposte cessino in virtù della pronuncia di un soggetto (il giudice) che svolge un ruolo del tutto diverso rispetto alle parti (ed è perciò detto “terzo” rispetto ad esse). In altri termini la norma è giuridica perché offre regole idonee a che un giudizio – finalizzato alla soluzione di controversie – si organizzi e si determini; b) l’azione – cioè una modificazione del panorama fenomenico dovuta ad una volontà soggettiva – è “tipica”, giuridicamente rilevante, e costituisce quindi una fattispecie concreta, non perché conforme ad una fattispecie astratta normativa, ma perché, e dal momento in cui, la volontà che l’ha prodotta può confliggere con una pretesa opposta: originando allora una controversia che è destinata a svilupparsi alla presenza di un terzo la cui funzione, appunto, è quella di far cessare, di “risolvere” la controversia stessa […]; c)

76 processo quale “traduzione” della vita giuridica o, per meglio essere fedeli alle sue parole, «la vita giuridica stessa che si manifesta con l’esigenza del suo riconoscimento e della sua realizzazione»14.

Pertanto, anche per coloro i quali assumano l’angolo visuale di un differente settore disciplinare, la concezione sattiana può apparire di notevole interesse non solo in relazione alle sue dirette ricadute sulla tematica del processo in sé, quand’anche per i significativi risvolti che essa presenta in ordine alla più onnicomprensiva problematica dell’ordinamento giuridico. Gli apporti sattiani al contesto del diritto processuale si prestano, dunque, a rilevanti spunti di riflessione che travalicano i confini del medesimo15. In tal senso, si ritiene che essi possano contribuire all’arricchimento dei contenuti della stessa teoria generale del diritto nella misura in cui si “riferiscono” al processo non in termini di mera procedura tecnica di accertamento e di formale attuazione del diritto, bensì quale dimensione «costitutiva» dell’esperienza giuridica determinante il suo fisiologico iter di «formazione»16.

Nella prospettiva del giurista sardo, la comprensione del diritto non può arrestarsi allo studio dell’apparato concettuale, sistematizzato dai giuristi, ma deve necessariamente estendersi alla

Dunque il fenomeno che possiede intrinseci ed originari i caratteri della giuridicità – e conferisce quindi giuridicità a tutti gli altri fenomeni che vi si connettono strutturalmente – è il giudizio, non la norma, non un tipo di azioni. Per giudizio si intende qui non solo l’atto conclusivo, di un processo, idoneo a risolvere la controversia, ma anche l’intero svolgimento della controversia dal momento in cui essa si organizza intorno all’intervento del giudice. Tutto ciò presuppone l’idea […] secondo la quale nell’ambito dell’esperienza si staglia come momento specifico e necessario quello costituito dalla controversia giudiziale […]» (F. CAVALLA, La prospettiva processuale del diritto. Saggio sul pensiero di

Enrico Opocher, Padova, Cedam, 1991, pp. 1-4).

14 SATTA, Dalla procedura civile al diritto processuale civile, in Id.,

Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 124.

15 «Ed al di là dei diversi punti di vista, occorre riconoscere a Satta un ruolo

fondamentale nel dibattito dottrinario sul ruolo del diritto. Perché si pone al di fuori del formalismo giuridico cercando un orizzonte ulteriore, perché come altri maestri spesso dimenticati […] è un punto di riferimento per chi pensa – a prescindere dalle diverse concezioni ispiratrici – che il diritto sorge dalla Storia, che è storia umana, e non si esaurisce nelle sue forme; che la “concettualizzazione del rapporto umano”, per riprendere un suo pensiero è “la intrinseca normatività del rapporto umano” stesso, “da un lato nel diritto soggettivo, espressione giuridica della libertà, dall’altro dello Stato, espressione giuridica della giustizia”» (G.BIANCO, Crisi dello Stato e del diritto in Satta, in Nella scrittura di Salvatore Satta, cit., pp. 46-47).

16 S. DE FINA, Ordinamento e giurisdizione. Una polemica tra

77 concreta realtà della giurisdizione. Come noto, egli non si oppone alla concettualizzazione quale metodologia di interpretazione del diritto, la cui utilità ribadisce spendibile anzitutto a fini didattici; ma, viceversa, alla tendenza di tale orientamento scientifico ad alterare la natura del diritto stesso, strappandolo alla realtà del processo alla quale, al contrario, esso risulta essere connaturato.

In altri termini, Satta «posto di fronte al vuoto di esperienza risultante da una concezione normativa dell’ordinamento», rinveniente le proprie radici nell’humus di norme astratte ed immateriali sradicate dalla effettiva realtà del processo, «lo riempì trasportando il diritto nel campo dell’esperienza processuale, ritornando […]dalla norma alla condotta umana»17.

Se in aperta opposizione alla concezione di un ordinamento normativamente inteso, il nostro autore individua nel processo la modalità di realizzazione dell’esperienza giuridica, l’ulteriore perno intorno al quale ruota la sua teorizzazione deve essere identificato nella corrispondenza biunivoca che egli pone tra azione e postulazione del giudizio. Il docente nuorese sostiene che risolvendosi l’ordinamento nel processo e, pertanto, nella giurisdizione, essa vada necessariamente connessa all’azione; quest’ultima, a sua volta, altro non sarebbe se non postulazione del giudizio da parte degli attori del processo.

Nella prospettiva sattiana, la relazione che lega azione, processo e giudizio si presta ad essere chiarita in termini esatti attraverso il ricorso all’ antica formula «jus persequendi judicio». L’azione postulando la necessità del giudizio e, dunque, richiedendo l’intervento dell’ordinamento nella persona del giudice «con ciò stesso si fa processo». In una tale ottica, il giudizio trova nell’azione la sua genesi; di conseguenza, conclude Satta: «l’azione è necessaria al giudizio, per questo non vi può essere giudizio senza azione (nemo judex sine actore)»18. Azione, giurisdizione e ordinamento rappresentano tre sfaccettature di una medesima concezione

17 Ivi, p. 66-67.

18 SATTA, L’esercizio dell’azione, in Trattatello di diritto processuale civile

78 unitaria del diritto. Profili che appaiono distinti solo in quanto osservati da angoli visuali differenti ma che, considerati nella loro globalità, confluiscono «nel tutto denotato dal termine processo», dal momento che «l’ordinamento si fa nel processo e come processo»19.

3. Antropologia “fenomenologica” e teoria