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Dalla legge all'azione

In perfetta coerenza con l’intento di rivalutazione della dimensione pragmatica dell’esperienza, Satta propone una diversa e suggestiva lettura dello “statuto di esistenza” dell’ordinamento giuridico. La procedura da cui origina il concreto viene dall’autore definita in termini di «progressione ideale dalla legge all’azione»66. Egli illustra come la riflessione scientifica abbia concettualizzato tale prassi impiegando il riferimento alle nozioni di astratto e di concreto e ciò, essenzialmente, a causa di due motivazioni.

In primis, perché se il concreto (l’essere), nella sua

imprescindibile necessità di esistere, deve volere la propria legge pare effettivamente «rifletterla come qualcosa che sta al di fuori e al di sopra di lui»67. Siffatta raffigurazione corrisponde ad una provata regolarità comportamentale dei soggetti nella misura in cui «in generale si ha uno spontaneo adeguarsi dell’azione alla legge, e quindi tutti sembrano applicare, attuare una uguale legge, ad essi estranea e imposta»68. Tuttavia, il docente nuorese precisa come una tale rappresentazione possa essere giustificata esclusivamente in ambito teorico dal momento che, nell’esperienza, il processo di creazione dell’ordinamento avviene senza soluzione di continuità. Nello specifico, Satta sostiene che il concreto rappresenti «il

65 Ivi, p.441.

66 SATTA, Il processo nell’unità dell’ordinamento, in Id., Soliloqui e colloqui

di un giurista, cit., p. 129.

67 Ibidem. 68 Ibidem.

92 risultato di questo lungo processo, è l’ordine, la realtà, la volontà obiettiva che si è fatta azione, e in quanto si è fatta azione»69, in tal modo sottolineando l’inscindibilità dei suoi aspetti costitutivi.

Nella prospettiva del nostro autore tale climax che dalla legge conduce all’azione può acquisire significato esclusivamente nella dimensione collettiva del reale. Egli stabilisce, infatti, una coessenzialità tra ordinamento e azione dal momento che il primo scaturisce e si identifica nella comune azione di tutti i soggetti.

Sarà quest’ultima, nella sua globalità, a portare a termine la sequenza formativa del concreto che, teoricamente, ha avuto inizio con la posizione della norma70. Come anticipato nel precedente paragrafo, in qualsiasi circostanza in cui tale progressione ideale dalla legge all’azione venga a mancare l’ordinamento, in ragione della necessità di affermarsi e di attuarsi, reagisce attraverso il processo giurisdizionale il quale interviene, per l’appunto, «quando è mancato l’adeguamento spontaneo della volontà subiettiva alla volontà obiettiva, quando la legge non si è concretata»71.

È questo un passaggio di cruciale importanza nella riflessione del processualista sardo. Secondo Satta, la giuridicità dell’ordinamento coincide con l’imprescindibile necessità che quest’ultimo ha di realizzarsi e, cioè, di “essere” nel concreto. Se tale processo di concretizzazione non avviene attraverso l’adeguamento della volontà dei singoli, che “fisiogicamente” dovrebbe porsi come istitutivo dell’ordinamento, si impone l’urgenza dell’identificazione di «qualcuno che lo realizzi»72. Tale qualcuno, ed in ciò

69 Ivi, p. 130.

70 SATTA, Giurisdizione (Nozioni generali), in Enciclopedia del diritto,

XIX, Milano, Giuffrè, 1970, p. 222. Per dirlo con Capograssi, un ordinamento è, più ed oltre che un insieme di norme, un insieme di soggetti e attività che stabiliscono «in termini concreti la volontà obiettiva». Se questo insieme di soggetti e attività forma un ordinamento è nel senso che «l’azione si ordina secondo criteri seguiti da tutte le volontà dei soggetti e attuati da tutti sia spontaneamente che indirettamente» (CAPOGRASSI, Appunti sull’esperienza

giuridica, cit., p. 409).

71 SATTA, Il processo nell’unità dell’ordinamento, in Id., Soliloqui e colloqui

di un giurista, cit., p. 130. Nella prospettiva sattiana una legge acquisisce rilevanza solo durante la sua applicazione in giudizio, poichè in assenza di quest’ultimo esiste solo l’azione umana, la quale «presa in se stessa, nel suo prodursi (o non prodursi) non è né giuridica né antigiuridica» (SATTA, Giurisdizione (Nozioni generali), cit., p. 222).

93 probabilmente risiede l’elemento di maggiore innovazione della concezione sattiana, non può che essere l’ordinamento in sé.

Detto in altri termini in tutte le occasioni, di crisi o di disordine che dir si voglia, in cui l’ordinamento non abbia potuto portare a conclusione la sua esigenza di realizzazione mediante il semplice riconoscimento dell’autonomia del singolo, esso deve necessariamente intervenire inserendosi “positivamente” nella procedura costitutiva del concreto. In merito, nessuna spiegazione pare essere più esaustiva di quella fornita dall’autore stesso che preferiamo riportare nella sua interezza: «poiché l’ordinamento non ha per se stesso una voce, bisogna che esso esprima dal suo seno chi parli per lui, sia un vero “altro da sé”. Costui è il giudice, e nel suo giudizio, l’ordinamento si risolve. La risoluzione dell’ordinamento nel giudizio è quella che noi chiamiamo, con termine etimologicamente perfetto, giurisdizione (ius dicere)»73. La vita con l’intero suo carico di bene e di male si riversa nella legge74 e quest’ultima, nella sua indissolubilità dall’azione, ricerca nel processo (che è processus iudicii) quella realtà che antecedentemente ed esternamente ad esso non è stata in grado di prendere forma75. Sarà, pertanto, il momento del giudizio a rappresentare il punto di incontro tra realtà ed ordinamento, i quali “esauriscono” il loro rapporto solo allorquando la prima riesca a ripristinare se stessa come realtà ordinata76. Volendo dirlo con le parole di Piovani, il diritto nell’ámbito del processo si presenta non come «una proposizione comandata ma un’esperienza ordinata»77.

73 Ibidem.

74 SATTA, Il giudice e la legge, in Quaderni del diritto e del processo civile,

IV, Padova, Cedam, 1970, p. 12.

75 SATTA, Analisi di due giudizi (De Cupis e Brulliard), in Id., Quaderni del

diritto e del processo civile, III, cit., p. 84.

76 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., p. 18 ss.

77 P. PIOVANI, Introduzione, a CAPOGRASSI, Il problema della scienza del

diritto, Milano, Giuffrè, 1962, p. XV. Non diversamente si esprime Elio Fazzalari secondo il quale: «nel giudizio e col giudizio in diritto la giurisprudenza giunge all’ultimo e più importante risultato, giacchè si adopera per far rivivere le norme, per realizzare l’ordine nel concreto […] L’esperienza degli atti giuridici concreti influenza […] il giurista, quale che sia il ruolo assegnatogli o ch’egli si assegni lungo l’arco delle attività giurisprudenziali […]. In tal modo, la giurisprudenza segue la vita, e non viceversa» (E. FAZZALARI, Conoscenza e valori, Torino, Giappichelli, 1999, p. 109).

94 A questo punto, sembra possibile affrontare l’analisi del nesso che collega azione, domanda e giudizio nella prospettiva sattiana. Ciò a cui il giurista nuorese si riferisce in termini di «postulazione di giudizio»78 indica la situazione per la quale, dato il potere creativo della volontà particolare, è il soggetto stesso a richiedere, nei confronti di colui a cui spetta il ruolo di “dire” l’ordinamento giuridico, che la propria situazione concreta deve essere affermata. In altre parole, è la parte a reclamare l’esigenza di affermare che la realtà è ordinata nel modo in cui essa sostiene che sia79.

A voler essere più specifici, nella concezione del nostro autore, sussiste una identificazione perfetta tra l’ordinamento e la parte nell’atto della domanda «perché la parte nella domanda si fa ordinamento»80. Nel sostenere tale tesi, Satta pone in discussione la concezione chiovendiana della domanda, caratterizzata da una duplice declinazione a seconda che la prospettiva adottata fosse il riferimento alla teoria dell’azione piuttosto che il contesto del processo81. Lo sdoppiamento dell’angolo visuale determinava l’ascrizione alla domanda di due destinatari distinti: in relazione all’azione, la domanda sarebbe stata rivolta alla controparte; in relazione al processo, indirizzata al giudice. Al contrario, dal punto di vista del docente sardo, come ogni dualismo teorico anche quello tra azione e domanda sarebbe inesistente, giacchè la postulazione

78 SATTA, Spunti per una teoria della domanda, in Id., Soliloqui e colloqui

di un giurista, cit., p. 291.

79 Sul punto, L. CAVALLARO, Satta, il giudice e la legge. Ovvero: «una

polemica tra processualisti»?, in Salvatore Satta. L’impegno civile di una vita, cit., p. 83.

80 SATTA, Spunti per una teoria della domanda, in Id., Soliloqui e colloqui

di un giurista, cit., p. 291.

81 A tal proposito, specificamente, secondo Satta: «Il sistema di Chiovenda

era essenzialmente fondato sulla distinzione tra azione e processo (rapporto giuridico processuale), concepita la prima come un autentico diritto (autonomo) ancorato a determinate condizioni, prima fra tutte “l’esistenza di una volontà di legge che garantisca un bene a qualcuno obbligando il convenuto ad una prestazione”; legato il secondo alla sussistenza di meri presupposti del decidere, cioè del sorgere nel giudice dell’obbligo di giudicare (in qualunque modo, cioè sia favorevolmente che sfavorevolmente all’attore). Orbene, questo originario irriducibile dualismo si riproduce fatalmente nella configurazione della domanda, alla quale Chiovenda dedica due distinte trattazioni, l’una appunto in sede di analisi dell’azione, l’altra in sede di analisi del processo. […] la duplice trattazione si conclude con una duplice definizione della domanda […]» (SATTA, Spunti per una teoria della domanda, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 288).

95 del giudizio si indirizza inscindibilmente tanto nei confronti del giudice quanto della controparte. Per usare un’espressione in linea con il linguaggio sattiano, si potrebbe sostenere che la domanda manifesti l’esigenza incondizionata della parte alla realizzazione dell’ordinamento giuridico in proprio favore nel corso del giudizio. Pertanto, data l’identificazione del giudizio con il processo, il reale significato della domanda può cogliersi soltanto «considerando il carattere contraddittorio del processo civile» nel quale si rivela la «bilateralità» dell’azione e, di conseguenza, della domanda stessa che da essa è indistinguibile82. Se, dunque, formalmente la domanda sembra essere diretta al giudice in quanto istanza di provvedimento, sostanzialmente, essa è rivolta all’altro soggetto poiché «solo nei suoi confronti l’affermazione di un diritto può avere un senso e un valore»83.

Il valore essenziale dell’autonomia del soggetto, in relazione alla procedura di determinazione del concreto, viene sottolineato da Satta non solamente mediante la trattazione della domanda ma anche tramite l’esame di determinati istituti di diritto positivo84.

In particolare con riferimento all’analisi dell’arbitrato, oggetto di studio già a partire dalle sue iniziali riflessioni scientifiche, il giurista nuorese sostiene che esso rappresenti «una manifestazione logica e addirittura primordiale dell’autonomia negoziale delle parti, che nessuna forza esterna può impedire senza andare contro la realtà»85. Con tali parole il nostro autore richiama l’antitetica tendenza, propria della dottrina tradizionale, alla contrapposizione di tali istituti alla giurisdizione a causa dell’inveterata attribuzione allo Stato del monopolio del diritto86. All’opposto, nella sua

82 SATTA, L’esercizio dell’azione, in Trattatello di diritto processuale civile,

cit., p. 107.

83 Ibidem.

84 «[…] la rilevanza della volontà» afferma Satta «non è esclusiva

dell’arbitrato, nel fenomeno generale della risoluzione delle controversie. Essa si manifesta in altri istituti, e particolarmente nella transazione, nella conciliazione e nel negozio di accertamento» (SATTA, Meditazioni sull’arbitrato. Chiose, in

Quaderni del diritto e del processo civile III, cit., pp. 21-24).

85 SATTA, Diritto processuale civile, Padova, Cedam, 1948, p. 631.

86 Ricorda Carlo Furno nella «Presentazione» della ristampa «Contributo

alla dottrina dell’arbitrato» che questa prima grande opera di Satta venne pubblicata nel 1931, «quando ormai la tirannia ha preso già da qualche tempo il

96 concezione, la realizzazione dell’ordine giuridico non è rimessa in misura esclusiva alla giurisdizione ma «più veramente sorge dalla stessa volontà delle parti», dal momento che la giurisdizione può declinarsi secondo le più differenti modalità senza pur tuttavia mutare di essenza87.