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Ordinamento, azione, giurisdizione: medesima problematica

medesima problematica

Effettuati quelli che sembravano essere i necessari chiarimenti preliminari, pare a questo punto possibile procedere ad un’analisi degli aspetti costitutivi della concezione dell’unità dell’ordinamento giuridico sostenuta dal nostro autore.

Satta non è mai pago di sottolineare come la criticità sostanziale dell’attività scientifica di astrazione risieda nella creazione di una rete di concettualizzazioni la cui forza persuasiva è tale da sostituirsi alla realtà del concreto. A detto vizio di fondo va

58 Più in particolare, l’intollerabile dualismo tra azione e processo andrebbe

rintracciato, nella prospettiva sattiana, in una serie di equivoci, primo fra tutti, l’identificazione del contenuto del processo nello svolgimento di ciò che viene tradizionalmente definito rapporto giuridico processuale. In proposito, il nostro autore sostiene: «[…] se è vero che non si può contestare l’esistenza di diritti e obblighi tra le parti e il giudice e se è ammissibile che tali diritti e tali obblighi possono ricondursi alla nozione di rapporto giuridico, l’errore sta proprio in questo che si vuole fare del processo il contenuto di questo rapporto». Assunta una tale concezione, secondo Satta, non si considera che «se il rapporto esprime gli obblighi e i diritti vicendevoli delle parti e dell’organo, come tale ha la sua fonte fuori dal diritto processuale»; pertanto, «il processo indica ed esprime il modo di realizzarsi della tutela giuridica, il prodursi della sanzione, o se più aggrada dell’attuazione della legge, e come tale avrà la sua regola in una norma del tutto diversa, una norma tipicamente tecnica. […] L’errore di considerare il processo come lo svolgimento del rapporto, è simile a quello di considerare la costruzione di un edificio come lo svolgimento del contratto di appalto. È chiaro che il contratto segnerà i diritti e gli obblighi delle parti, ma l’edificio sarà costruito con l’applicazione di norme tecniche che col contratto non hanno nulla a che vedere» (SATTA, Gli orientamenti pubblicistici della scienza del processo, in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, cit., p. 174).

59 Ivi, p. 173. 60 Ibidem.

89 attribuita la responsabilità della parcellizzazione dell’esperienza giuridica, frazionata in una irreale serie di nozioni “entificate” tra le quali emergono, principalmente, quella di ordinamento, di diritto oggettivo, di diritto soggettivo e di azione. Esattamente agli antipodi di una simile visione, nella prospettiva del processualista nuorese, «azione, giurisdizione, ordinamento non costituiscono tre distinti problemi ma uno solo» connessi tra loro da «una indissolubile unità»61. Lo scioglimento dell’equivoco risiede, dal suo punto di vista, nel chiarire come quella “dimensione” concettualizzata in termini di ordinamento, che appare distinta e preordinata rispetto all’assetto del concreto, altro non sia che la realtà stessa nel suo strutturarsi come ordinata.

La problematica fondamentale, di conseguenza, diviene quella di stabilire a cosa si intenda riferirsi quando si sostiene che la realtà si presenti come ordinata. Una soluzione meramente descrittiva e truistica tenderebbe ad identificare il concetto di ordine con quello di organizzazione. Viceversa, Satta delinea una modalità del tutto peculiare attraverso la quale ritiene che l’ordine si stabilisca nel concreto. La crucialità della tesi è tale da riportare espressamente le sue parole: «la realtà è ordinata perché può essere postulata come tale; perché quando il concreto non si adegui all’ordine (se si adegua l’ordine della realtà è proprio questo adeguamento), il soggetto può postulare quest’ordine, vale a dire, può postulare il giudizio. L’azione è nient’altro che postulazione del giudizio […]»62.

Ancora una volta, la cartina al tornasole per la comprensione del pensiero dell’intellettuale nuorese e, nel caso specifico della sua concezione unitaria dell’ordinamento, risiede nell’assunzione dell’individuo e della sua azione quale perno attorno al quale far ruotare l’analisi. Egli pone quale dato di partenza, nel processo di determinazione dell’ordinamento, «il potere giuridicamente determinante della volontà dei soggetti»63.

61 SATTA, Azione in generale, in Enciclopedia del diritto, cit., p. 822. 62 Ibidem. Corsivo nostro.

63 Più nello specifico, «il diritto del soggetto» sostiene Satta «dominio

assoluto della sua volontà, è la concreta manifestazione dell’ordinamento» (SATTA, Diritto processuale civile, IV edizione, come riportato in C. GLENDI,

90 Proviamo ad individuare le tappe di tale sviluppo. Una volta ammesso il potere costitutivo della volontà soggettiva nell’iter formativo della realtà, Satta chiarisce che nel momento in cui l’autonomia privata viene “riconosciuta” dall’ordinamento è come se quest’ultimo avesse compiuto esaustivamente la propria funzione, necessitando di intervenire nuovamente soltanto qualora la volontà soggettiva non provvedesse alla sua concretizzazione.

Due sono le ipotesi che richiedono l’azione diretta dell’ordinamento a tutela della propria esistenza. La più evidente si verifica mediante la giurisdizione contenziosa che si apre in tutti i casi nei quali si fronteggiano le volontà di due soggetti ed è necessario stabilire quale delle due prevalga.

La seconda possibilità ha luogo nelle circostanze in cui a mancare sia la stessa volontà soggettiva come nel caso del soggetto non ancora nato, incapace, scomparso o morto. L’autore specifica che in tale ultima eventualità si tratta di «una vera e propria crisi dell’ordinamento, non diversa, se non nella causa, dalla crisi data dalla sua violazione»64.

Nel Commentario al codice di procedura civile del 1959, egli continua a riferirsi al concetto di crisi, quale causa della necessità dell’ordinamento di provvedere alla sua concretizzazione; in tal caso, però, ripropone la nozione impiegando il termine di «disordine», a sua volta inteso come «frattura dell’ordinamento». Seguendo l’impostazione già adottata in precedenza, tale “squarcio” subito dall’esperienza viene distinto da Satta in due tipologie.

Come per il concetto di crisi, infatti, il giurista sardo individua dapprima un «disordine dell’azione» rappresentato dalla situazione

Giurisdizione volontaria e Procedimenti in Camera di Consiglio (Rievocazione del pensiero di Salvatore Satta sul tema), in Salvatore Satta giuristascrittore, cit., p. 433) In tale scritto, Cesare Glendi afferma che: «Il tema della volontaria giurisdizione e dei procedimenti in camera di consiglio, per le sue radicate interconnessioni con i problemi di fondo della giurisdizione, sul giudicato e sull’azione non poteva non costituire, come di fatto ha costituito, un costante punto di riferimento […] rappresentando quindi un “luogo di avvistamento” particolarmente indicato e significativo per comprendere più in generale l’evoluzione del pensiero giuridico di Salvatore Satta».

64 GLENDI, Giurisdizione volontaria e Procedimenti in Camera di

Consiglio (Rievocazione del pensiero di Salvatore Satta sul tema), in Salvatore Satta giuristascrittore, cit., p. 439.

91 nella quale un soggetto si oppone alla posizione di un altro soggetto, mettendo in tal modo in discussione l’ordine assunto dalla realtà. Successivamente, si riferisce all’evenienza in cui l’esperienza in sé non abbia potuto formarsi dal momento che «il soggetto stesso, nel quale la realtà si concreta, non riesce a porsi come ordinamento». Anche tale ipotesi è riconducibile al disordine dell’azione ma non di un’azione già manifestatasi che, nel suo attuarsi, nega la realtà ordinata, quanto piuttosto «dell’azione nel suo formarsi, quindi una sua autentica crisi»65.