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Giustificazioni alla sanitizzazione spaziale e alla criminalizzazione

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 95-98)

Nel suo articolo, Amster dedica un paragrafo, “Scuse respinte, l'inciviltà della civiltà”, alle giustificazioni invocate dai sostenitori del controllo dello spazio pubblico e dei suoi fruitori per far apparire gli interventi adottati giusti e necessari. In particolare, secondo l'autore per giustificare le ordinanze che limitano il comportamento negli spazi pubblici e che, direttamente o indirettamente, colpiscono i senza dimora, vista la loro inevitabile dipendenza dagli stessi spazi, vengono sollevate questioni che riflettono diverse preoccupazioni431. Seguendo il lavoro di Amster, vediamo, dunque,

quali temi sono posti alla base dell'aumentato controllo che interessa gli spazi pubblici delle nostre città, in termini di chi può utilizzarli e come.

Il benessere pubblico e la sicurezza. Spesso i sostenitori delle politiche urbane di esclusione riconducono le restrizioni a tentativi di proteggere il benessere pubblico e la sicurezza. Le giustificazioni che si basano sulle preoccupazioni relative al benessere pubblico e sulla sicurezza impiegano la metafora della malattia e quella del disordine, rappresentando i senza dimora, da un

426Waldron J., “Homelessness and the issue of freedom”, op.cit., pag. 313

427Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit., pag. 201

428Mitchell D., “The annihilation of space by law: the roots and implications of anti-homeless laws in the United States,

op. cit., pagg. 305-311

429Foscarinis M., “Downward spiral: homelessness and its criminalization”, in Yale Law and Policy Review, vol. 14, n. 1,

1996, pag. 63

430Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit., pag. 202 431Ibidem, pagg. 202-204

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lato, come “antigienici” e, dall'altro, come “immorali”. Come abbiamo visto, queste rappresentazioni rafforzano nel pubblico più ampio la convinzione secondo cui le persone senza dimora sono infette, ammalate, egoiste e criminali. Tuttavia, come viene sottolineato nel rapporto del 1999 del National Law Center on Homelessness and Poverty (NLCHP): «nella maggior parte dei casi la presenza di persone che dormono, siedono o si sdraiano negli spazi pubblici, o che elemosinano pacificamente, non possono ragionevolmente essere considerate direttamente una minaccia al benessere pubblico e alla sicurezza»432.

L'economia. Un altro tema che appare tra le preoccupazioni legate alla presenza delle persone senza dimora negli spazi pubblici riguarda considerazioni di tipo economico. In particolare, si cita il bisogno di mantenere la “vitalità economica” in determinate aree e di promuovere il turismo, al fine di prevenire il “declino urbano”. Eppure, come sottolinea ancora il rapporto NLCHP, non sono i senza dimora a causare il declino economico ma altri fattori più complessi e aggiunge, anzi, che è il declino economico ad aggravare la condizione delle persone che vivono in strada433. Altre preoccupazioni

includono le paure dei commercianti di perdere clienti a causa della presenza minacciosa, o semplicemente sgradevole, delle persone senza dimora e le paure dei consumatori, animati da una “compassion fatigue”434 (una sorta di intolleranza o impazienza nei confronti dei marginali), di

incontrare, durante lo shopping sfrenato, queste persone sgradevoli. Tuttavia, come sottolinea Amster, se: «i senza dimora sono dannosi per il commercio, tali nozioni sono invertite, dal momento che il commercio è dannoso per i senza dimora»435.

L'estetica e la qualità della vita. Alcuni sostenitori del controllo dello spazio pubblico evidenziano che alcuni comportamenti, come il dormire o il lavarsi negli spazi pubblici urbani, vanno limitati per migliorare le qualità estetiche di questi stessi spazi e per preservare e proteggere la “qualità della vita” dei cittadini e dei commercianti. In tal senso, emergono tentativi di: «rimuovere le persone sgradevoli dallo sguardo pubblico... e di rendere le aree del centro cittadino “accoglienti per tutti”»436, dove tutti è, evidentemente, come già sottolineato, una categoria non inclusiva. In

particolare, tali preoccupazioni appaiono come: «un pretesto per razionalizzare le discriminazioni verso un certo gruppo di individui, o come una scusa per escludere certe persone dagli spazi pubblici basata su stereotipi e stigmi»437.

432NLCHP, “Out of sight- out of mind? A report on anti-homeless laws, litigation and alternatives in 50 United States

cities”, Washington DC, January 1999, www.nlchp.org, pag. 45

433Ibidem, pag. 47

434Ellickson R.C., “Controlling chronic misconduct in city spaces: of panhandlers, skid rows and public-space zoning”,

in Yale Law Journal, vol. 105, n. 5, 1996, pag. 1182

435Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit, pag. 205 436Foscarinis M., “Downward spiral: homelessness and its criminalization”, op.cit., pag. 55

437NLCHP, “Out of sight- out of mind? A report on anti-homeless laws, litigation and alternatives in 50 United States

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La civiltà. Un concetto legato alle preoccupazioni legate alla qualità della vita è anche quello di “civiltà”438. Un sostenitore del concetto è, senza dubbio, Robert Tier che, da un lato, considera la

questione delle persone senza dimora come un problema, essenzialmente, di civiltà, e, dall'altro, ritiene che quest'ultima sia un fattore fondamentale per creare un ambiente urbano “di successo” e una piacevole vita urbana. In particolare, Tier accusa le persone senza dimora di aver “colonizzato” gli spazi pubblici urbani, deprivando gli altri di posti una volta bellissimi. Tuttavia, è convinto che, tramite l'applicazione di interventi legislativi giusti e imparziali e l'“amore severo”, le comunità locali possano e debbano reclamare lo spazio pubblico che gli è stato derubato. Con riferimento agli interventi urbani di controllo sostiene che sono: «mirati a preservare la vitalità delle comunità urbane e la sicurezza e la civiltà degli spazi pubblici che la sostengono»439. Ristabilire l'ordine è, quindi,

necessario per: «facilitare il commercio, favorire i contatti comunitari e rendere le città di ogni dimensione luoghi desiderabili in cui lavorare, divertirsi e consumare» e, dunque, per: «creare o preservare spazi pubblici accoglienti, attraenti e sicuri per l'uso e il divertimento di tutti noi»440. Tutti

sono benvenuti dunque, ma come sottolinea Mitchell: «presumibilmente non coloro che non hanno alcun luogo in cui esistere se non negli spazi pubblici della città»441. Il problema, infatti, secondo

Amster, è che sono i benestanti, i proprietari, gli imprenditori, i commercianti, i pianificatori, ad aver “derubato” e “colonizzato” gli spazi pubblici della città, mettendo al bando le persone senza dimora e altri individui che potrebbero minacciare i valori consumistici borghesi, su cui si basa l'attuale essenza della civiltà. In tal senso: «i sostenitori della civiltà sembrano avere poco interesse nel preservare gli spazi pubblici (…). Ironicamente, gli stessi senza dimora hanno la funzione di preservare gli spazi pubblici come democratici, spontanei e inclusivi»442.

La prevenzione del crimine. Infine, una più complessa giustificazione della sanitizzazione spaziale e della criminalizzazione delle persone senza dimora risiede nel presentare tali interventi come strumenti di prevenzione del crimine. Questa idea si basa sulla teoria delle “broken windows” (“finestre rotte”), di cui abbiamo già avuto modo di parlare. In particolare, secondo Wilson and Kelling il disordine e il crimine sono profondamente connessi in una sorta di legame sequenziale. Così: «se una finestra è rotta e non viene riparata tutte le altre finestre saranno presto rotte», fino all'emergere di seri crimini di strada. Per gli autori sono proprio: «i mendicanti non sorvegliati» a rappresentare «la prima finestra rotta»443, indice, in particolare, di una perdita o di un indebolimento

dell'ordine pubblico e del controllo che alimenta, a sua volta, crimini più seri. Similmente scrive

438Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit, pag. 205

439Tier R., “Restoring order in urban public spaces”, in Texas Review of Law & Politics, vol. 2, 1998, pag. 291 440Ibidem, pagg. 255-257

441Mitchell D., The right to the city. Social justice and the fight for public space, op.cit., pag. 16 442Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit, pag. 206

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Ellickson: «un mendicante regolare è come una finestra rotta non riparata- un segno dell'assenza di un effettivo meccanismo di controllo sociale in quello spazio»444. In tal senso, scrive Amster: «lo

scopo dovrebbe essere mantenere la comunità senza “individui rotti”, dal momento che rappresentano la fonte e l'origine del problema del crimine, il primo passo su una brutta china da “proprietà trascurata” a “comportamento trascurato” a “serio crimine di strada”»445. Questa teoria

supporta le preoccupazioni di persone come Tier secondo cui la presenza delle persone senza dimora: «si ripercuote sulla qualità della vita urbana, il generale senso di comfort, l'estetica, la sicurezza e la libertà che le persone dovrebbero avere nei loro spazi pubblici»446.

Questo approccio, tuttavia, solleva diverse critiche. Alcuni autori ne sottolineano il carattere discriminatorio, altri sollevano preoccupazioni rispetto alla sua equità e imparzialità447. Gli stessi

autori, Wilson e Kelling, ad esempio, sottolineando che: «la società vuole un ufficiale che abbia i mezzi legali per rimuovere gli indesiderabili» e che, dunque, sta alla discrezione degli agenti distinguere tra desiderabili e indesiderabili, si chiedono: «come garantiamo che i poliziotti non diventino agenti del bigottismo di quartiere?»448. L'unica speranza, secondo gli autori, è che tramite

la loro selezione, addestramento e supervisione, siano consapevoli dei limiti della loro autorità discrezionale. Ma in un articolo successivo Kelling e Coles, ritornando sull'argomento, concluderanno: «Ci saranno ingiustizie? Sì, a volte»449.

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 95-98)