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Persone senza dimora e politiche di controllo

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 89-93)

1. Introduzione

La “visibile” concentrazione dei senza dimora nelle aree pubbliche rinnovate del centro urbano li rende, tra i poveri estremi e gli emarginati gravi, quelli che sono considerati, in un certo senso, più “scomodi”. Scrive, infatti, Randall Amster: «almeno i poveri con dimora sono “out of sight” se non addirittura “out of mind”»396. I poveri senza dimora, invece, per definizione, non hanno una casa e

sono quindi costretti a vivere le loro intere giornate negli spazi pubblici della città, spazi che spesso coincidono con i centri urbani spettacolarizzati397. In altri termini, i senza dimora diventano troppo

visibili. E lo diventano, ed è proprio questo a costituire il problema della loro eccessiva visibilità, in aree caratterizzate da un'elevata fruizione, in spazi pubblici, dunque, frequentati da un ampio numero di persone, in cui sono presenti numerose attività e destinati a funzioni ben specifiche, tra cui il consumo e lo svago in primis. In tal senso, come scrivono Snow e Mulcahy: «non è l'esistenza delle persone senza dimora in sé a costituire il problema ma la diffusione dei senza dimora nei domini spaziali dei domiciliati e l'intersezione delle loro routine quotidiane con quelle dei senza dimora»398.

Anche Wardhaugh sottolinea che il senza dimora è considerato scomodo, fuori posto o pericoloso solo se visibile negli spazi pubblici. In particolare, scrive: «è la presenza visibile di persone marginali all'interno degli spazi primari a rappresentare una minaccia al senso di ordine pubblico e al buon costume»399.

In particolare, come abbiamo visto, la presenza dei senza dimora nello spazio pubblico e le modalità con cui gli stessi lo utilizzano rappresentano un “elemento perturbante”400, un disturbo o

una vera e propria minaccia alle normali attività per le quali gli spazi pubblici rinnovati sono stati pensati e progettati. Quando non addirittura pericolose, le persone senza dimora sono considerate individui “fuori luogo” che contraddicono l'immagine e i simboli che si vogliono promuovere nei processi di city marketing.

Senz'altro, le tensioni tra i senza dimora e il resto della società esistono da secoli e nel corso del

396Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit., pag. 196 397Ibidem

398Snow A.D., Mulcahy M., “Space, politics anc the survival strategies of the homeless”, op.cit., pagg. 154-155

399Wardhaugh J., “Homeless in Chinatown: deviance and social control in cardboard city, in Sociology, vol. 30, n. 4, 1996,

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tempo hanno assunto diverse forme401. Henry Miller, nel suo lavoro del 1991, sostiene che è da

quando la proprietà privata ha cominciato a dominare i paesaggi culturali e fisici che si è iniziato a considerare “il vagabondaggio come una minaccia all'ordine”402. In un secondo momento, quando i

centri urbani si sono sviluppati e con l'affermazione dell'economia di mercato il “vagabondaggio è diventato una minaccia al capitalismo”403. In tal senso, la questione della presenza, inevitabile, dei

senza dimora negli spazi pubblici delle nostre città costituisce non un pericolo in sé, nel senso che questi individui minino alla sicurezza del resto della popolazione, ma piuttosto una minaccia all'“American dream”, ai valori della classe borghese e del consumo.

La povertà urbana estrema è spesso annoverata tra i fattori di disordine urbano che concorrono a rendere pericoloso ed estraneo l’ambiente di vita. Scrive Bergamaschi: «la persona senza dimora, nell'immaginario metropolitano, viene a rappresentare il disordine»404. Questo in quanto la persona

senza dimora viola le regole implicite che riguardano il comportamento negli spazi pubblici urbani. Persone marginali, dunque, che suscitano facilmente sentimenti di ansia e disagio, di ostilità e paura, piuttosto che compassione e solidarietà, nel resto del pubblico. «Percepito come in selvaggio in città, la sua presenza visibile non è tollerata»405. Conferme di tale tendenza profondamente intollerante

della maggioranza della popolazione nei confronti di questi “indesiderabili” sono, in primo luogo, le numerose ordinanze locali che riguardano il divieto, nello spazio pubblico, di alcune attività considerate tipiche dei senza dimora, come quella, ad esempio, del mendicare, così come di attività umane basilari (andare al bagno, dormire, ecc.) e, in secondo luogo, i numerosi stratagemmi che si diffondono nelle aree urbanizzate per impedirne il bivacco. Tra questi ultimi, assumono rilevanza alcune tipologie di arredo urbano, banale direbbe Flusty, scelte dalle città, tra cui le già citate panchine “anti-barbone”.

Il legame tra povertà urbana estrema, disordine e sicurezza urbana è complesso e multiforme. Se, ad esempio, da una parte, ai soggetti marginali si attribuisce l’aumento di criminalità e di insicurezza, dall’altro lato, sono proprio i marginali, e i senza dimora in particolare, a subire, per primi, gli effetti dell’insicurezza. Sono più spesso vittime di reato, come ci dimostra, ad esempio, Cabrera analizzando le notizie che riguardano i senza dimora pubblicate da due giornali, El pais e El mundo. L'autore, in particolare, sottolinea che entrambi i giornali spagnoli riportano regolarmente numerosi gesti di violenza perpetrati da parte di cittadini comuni nei confronti di persone senza

401Wasserman J.A., Clair J.M., “Housing patterns of homeless people: the ecology of the street in the era of urban

renewal”, op.cit., pag.76

402Miller H., On the fringe: the dispossessed in America, Toronto, Lexington, 1991, pag.9 403Ibidem

404Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 208 405Ibidem

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dimora406. Anche in Italia si verificano questi atti di violenza e di intolleranza da parte degli stessi

cittadini. Allarmante è l'episodio di Rimini, dove, nel 2008, un senza dimora che, semplicemente, dormiva su una panchina è stato bruciato vivo da quattro giovani di “buona famiglia”407. I senza

dimora sono, inoltre, più esposti a condizioni di sfruttamento e caratterizzati da un accesso più difficile alla possibilità di sporgere denuncia alle forze dell’ordine. Un esempio viene fornito da una controversia sullo spazio pubblico urbano emersa a Parigi nell'estate del 2006. L'associazione Médicins du monde, nel dicembre 2005, per affrontare l'emergenza freddo ha donato ai senza dimora delle tende in cui questi potessero ripararsi. Sette mesi dopo, in occasione dell'operazione “Parigi- spiaggia”, i cittadini parigini esigono dal sindaco che queste tende siano allontanate. Alla fine del mese di luglio, diverse tende saranno trovate incendiate, senza che nessuna denuncia sia presentata, dal momento che i senza dimora preferiscono mantenere l’anonimato. I senza dimora sono, infine, anche vittime indirette del dilagante senso di insicurezza, nel senso che subiscono gli effetti delle nuove politiche urbane di controllo che si diffondono nel registro delle varie amministrazioni locali, in termini di ordinanze, architettura e design.

Il controllo delle persone senza dimora, seppur riscontrabile in epoche precedenti, diventa: «una caratteristica distintiva della città contemporanea»408, assumendo un'intensità senza precedenti,

grazie, tra l'altro, alla disponibilità delle nuove tecnologie, che hanno permesso l'emergere di ciò che Monahan chiama “fortificazione elettronica”409. Per comprendere come mai lo spazio pubblico

urbano e il suo pubblico, o perlomeno una parte dello stesso, sono soggetti in modo crescente a pratiche di controllo e sorveglianza, che riflettono preoccupazioni relative a chi utilizza tale spazio e in che modo, vi sono diversi fattori da prendere in considerazione. Un primo fattore riguarda la minaccia, nelle città occidentali, del “terrorismo urbano”, che ha portato ad un aumento dei controlli soprattutto nei nodi aeroportuali e ferroviari, ripercuotendosi, seppur “incidentalmente e indirettamente”, sulle persone senza dimora410. A questo proposito, tuttavia, Tosi e Petrillo

specificano che, in Europa, un certo grado di controllo caratterizzava questi spazi prima dell'emergere del terrorismo urbano. Dunque, per risalire alle cause del maggior controllo degli spazi pubblici delle nostre città: «dobbiamo guardare altrove»411. In particolare, le ragioni sembrano risiedere in due

aspetti della città contemporanea: da un lato, il crescente e dilagante senso di insicurezza che

406Cabrera P., “The image of the homeless in two Madrid newspapers”, in Meert H., The changing profiles of homeless

people. Homelessness in the written press: a discourse analysis, Feantsa, Brussels, 2004, pagg. 15-22

407La Stampa, “Clochard bruciato a Rimini, confessano quattro ragazzi”, 24/11/2008, www.lastampa.it

408Doherty J. et al, “Homelessness and exclusion: regulating public space in European cities”, in Surveillance & Society,

vol. 5, n. 3, 2008, pag. 307

409Monahan T., “Electronic Fortification in Phoenix: surveillance technologies and social regulation in residential

communities”, in Urban Affairs Review, vol. 42, n. 2, pagg. 169-192

410Doherty J. et al, “Homelessness and exclusion: regulating public space in European cities”, op.cit., pag. 308

411Tosi A., Petrillo A., “Urban governance, homelessness and exclusion in Italy”, National Report for Italy, Working Group

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caratterizza l'individuo metropolitano che si traduce in una forte richiesta di sicurezza a cui i governi locali sono tenuti a rispondere, e, dall'altro, la “mercificazione” dello spazio urbano, che viene organizzato a uso e consumo di chiunque abbia sufficiente potere di consumo, aggravando così la distanza e la scissione tra i benestanti e i marginali, tra i domiciliati e i non domiciliati. Si tratta, in un certo senso, di due fattori profondamente legati. Ad esempio, infatti, dal momento in cui i processi di mercificazione dello spazio pubblico per avere successo richiedono un certo tipo di ordine sociale e spaziale, i loro sostenitori, per giustificare la sanitizzazione socio-spaziale che ne deriva e renderla apparentemente “giusta e necessaria”, suscitano le paure e le insicurezze dei cittadini attraverso il ricorso a immagini stereotipate delle persone senza dimora.

La percezione di insicurezza, come sappiamo, è slegata dall'andamento dei dati reali. Questo vale anche con riferimento alla presenza nello spazio pubblico di persone marginali, e in particolare di coloro che vivono in strada. A questo proposito, gli studi sulla devianza hanno continuamente evidenziato che la reazione della società agli elementi devianti è raramente connessa a un'effettiva minaccia. In altri termini, la minaccia è spesso percepita più che reale. Nella costruzione di questa percezione giocano, ovviamente, un ruolo fondamentale i media, sia locali che nazionali. In particolare, la rappresentazione dei marginali presentata dai media: «alimenta stereotipi del pericolo, del disordine, della malattia e della criminalità, contribuendo a costruire l'“altro” come inferiore, disumano, insensibile, sgradevole, meritevole del suo destino e, probabilmente, anche di misure punitive»412. Sostiene rappresentazioni di questo genere anche l'architettura difensiva e interdittoria

che caratterizza gli spazi urbani in modo crescente, che, come sappiamo, “costruisce paranoia”, e i rappresentanti di una classe politica che, sotto l'auspicio di “ripulire” la città per renderla accogliente a tutti, dove tutti non è una categoria inclusiva, spesso prendono di mira i senza dimora e le loro attività considerate “illegittime”. In particolare, i senza dimora sono presentati dai governi come direttamente responsabili della loro situazione, come devianti, o come portatori di patologie.Eppure, come sottolineano Wasserman e Clair, il profilo medio della persona senza dimora di certo non corrisponde a questo modello413. Infatti, come abbiamo visto, le persone senza dimora, nella loro lotta

per la sopravvivenza, agiscono come soggetti razionali che capaci di elaborare, nel corso del tempo, diverse e ingegnose strategie per adattarsi e sopravvivere alla vita sulla strada, una strada che diventa sempre più ostile, sadica e meschina e che necessita di un adattamento continuo ai suoi cambiamenti.

412Amster R.., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit., pag. 196

413Wasserman J.A., Clair J.M., “Housing patterns of homeless people: the ecology of the street in the era of urban

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