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La riscoperta del centro storico

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 69-77)

La fuga nel periurbano, protetto e sicuro, sembra risultare dalla criminalizzazione dei quartieri poveri e dei centri cittadini e da coloro che li abitano. In tal senso, dunque, il centro storico, le cui strade e spazi pubblici sono stati abbandonati da coloro che sono scappati a causa della paura e automaticamente lasciati a coloro che non hanno altra scelta se non stabilirvisi, pare aver assunto le caratteristiche di un bidone della spazzatura, come un luogo dove risiede la popolazione residua che non può permettersi un posto migliore dove vivere. Seguendo Bauman che scrive: «le città sono state convertite nella discarica dei problemi di origine mondiale»295, il centro storico, da fulcro della vita

sociale ed economica, è stato convertito in una discarica in cui si concentrano svariati problemi sociali. Tuttavia, recentemente, si sta assistendo ad una rivalutazione degli spazi centrali, tale da mettere in moto un processo di tipo inverso rispetto alla “fuga” dalla città e i suoi fastidi, in generale, e dal centro urbano, spazio in cui tali fastidi si concentrano, in particolare. Si prospetta, in breve, un “ritorno alla città”, funzionale, tra l'altro, al posizionamento, o allo status, economico che le diverse città occupano nella gerarchia mondiale.

La “riscoperta del centro”296 ha interessato città dopo città, fino a diventare un fenomeno

universale. In particolare, un rinnovato interesse rispetto al potenziale che l'ambiente urbano, ed in particolare il centro cittadino, potrebbe esprimere in termini di profitti, ha portato, negli anni, a notevoli cambiamenti dello spazio pubblico dei centri storici delle città contemporanee, per quanto concerne l'immagine, la sicurezza, il design e la governance. Smith, a proposito di questo processo inverso che vede il centro storico, dapprima, come fonte di paure e di disagio e, successivamente, come nuovo prodotto di lusso da offrire ai consumatori, scrive: «largely abandoned to the working class, amid postwar suburban expansion, relinquished to the poor and unemployed as reservations for racial and ethnic minorities, the terrain of the inner city is suddenly valuable again, perversely profitable»297. In altri termini, sembra emergere un tentativo di “riappropriarsi” di, o “rivendicare”,

una porzione specifica della città, quella centrale, al fine di rimodellarla nell'interesse dell'attività

295Bauman Z., Fiducia e paura nella città, op. cit., pag. 23

296Whyte W.H., City: rediscovering the center, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2009 297Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, Routledge, London, 1996, pag. 6

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economica, e, dunque, nell'interesse delle classi più forti ed agiate, a scapito di quelle più deboli e povere.

Dunque, dalla crescente tendenza di stabilire e preservare la sicurezza non si sottrae il territorio del centro storico, che, da spazio trascurato e “pericoloso”, occupato dai “nemici urbani”, viene rivalutato, recuperato e rilanciato come uno “spettacolo” tutto da godere, un luogo ripulito, scintillante, sicuro, purificato dai pericoli della “città reale”. Insomma, nell'epoca dell'urbanistica “igienica”298 con l'emergere della metafora della città bisognosa di “cure”, di interventi necessari a

estirpare i mali che l'affliggono, la gentrification viene presentata come una possibile “medicina”. Le implicazioni sociali sono ben note: la crescente ghettizzazione, le spinte verso una fortificazione dello spazio urbano e l'incoraggiamento verso atteggiamenti di sospetto nei confronti di categorie sociali svantaggiate, viste come potenziali disturbatrici dell'ordine. In particolare, le strategie di rinnovo urbano sono mirate a trasformare la morfologia sociale e fisica degli spazi centrali, promuovendo il turismo, il consumo, l'intrattenimento e “reclamando”, al contempo, gli spazi pubblici per quei gruppi che possiedono valore economico in quanto produttori o consumatori a scapito dell'esclusione dei meno abbienti299.

Così, inizialmente, con lo sprawl urbano e la suburbanizzazione, si assiste ad uno svuotamento del centro storico che, associato ad un'immagine negativa e al disordine, viene abbandonato in massa dalle classi medio-alte. Queste si muovono verso l'esterno, verso le comunità protette, sicure, omogenee e “pulite” che sorgono nel territorio suburbano al fine di aumentare la distanza sia fisica che sociale da tutti coloro che sono considerati “diversi”300. Il centro storico diventa una città

fantasma, abitata esclusivamente da questi “diversi”, da coloro che non possono permettersi di trasferirsi altrove: i criminali, i marginali, i poveri. Successivamente, quando ci si rende conto che i centri di molte città hanno: «troppo spazio vuoto e troppo poche persone»301 e del potenziale che

questi potrebbero esprimere in termini di profitti se fossero “riempiti” con le “giuste persone e attività”, prendono corpo nuove politiche di riqualificazione urbana che trasformano l'immagine e la stessa fisicità del centro storico, mettendo in moto un movimento spaziale cruciale, ossia il ritorno della classe medio-alta verso il centro e la conseguente dislocazione degli altri indesiderabili: questa volta dagli spazi pubblici del centro, dove in un recente passato erano stati, in un certo senso, segregati o “contenuti”, per dirla alla Davis, verso le aree esterne.

298Pavia R., “La città come farmaco”, in Pavia R., Le paure dell'urbanistica. Disagio e incertezza nel progetto della città

contemporanea, Meltemi, Roma, 2005, pagg. 85-108

299Amin A., Graham S., “The ordinary city”, in Transactions of the Institute of British Geographers, vol. 4, n. 2, 1997,

pagg. 411-429

300Roschelle A.R., Wright T., “Gentrification and social exclusion: spatial policing and homeless activist responses in the

San Francisco Bay Area”, in Miles M., Hall T., Urban futures, Routledge, New York, 2003, pagg.149-166

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Comprendere lo stato neoliberale, che definisce i limiti e le possibilità di “una nuova frontiera urbana”302, è fondamentale quando ci si vuole confrontare con i processi di esclusione che si

sviluppano nella città sorvegliata303. In particolare, in Europa, l'orientamento al welfare delle

istituzioni politiche urbane, prevalente durante gli anni del boom economico della seconda metà del Novecento, è stato sostituito da una nuova politica focalizzata sui problemi della competitività economica locale304. Harvey, a questo proposito, parla di passaggio dalla “managerialità”

all'“imprenditorialità” urbana. La seconda, a differenza della prima, è profondamente influenzata da potenti interessi economici ed è guidata da un'economia politica non del territorio ma del luogo: i benefici delle strategie imprenditoriali sono vissuti da coloro, come, ad esempio, i turisti, che non vivono nella specifica località305.

L'imporsi di un'agenda politica di questo genere: «implica l'acuirsi delle divisioni sociali, basate soprattutto sulla classe, la razza/etnia, la differenza nazionale e di genere»306. Inoltre, il controllo

dello spazio pubblico è una strategia fondamentale del neoliberalismo307, in quanto: «è nello spazio

che si crea l'immagine positiva di un luogo degno di investimento»308. Insomma, quando si tratta di

attrarre il capitale: «l'immagine diventa tutto»309. Così, la città imprenditoriale o neoliberale è una

città fortemente controllata tramite una fusione di forme architettoniche e pratiche istituzionali il cui obiettivo è quello di impedire la visibilità dei gruppi marginali che, con la loro presenza, potrebbero compromettere la valorizzazione dell'immagine della città stessa310. Il predominio del neoliberalismo

implica che la visione “ordinata” dello spazio pubblico diventi il principale modello disponibile nella città occidentale contemporanea, nella misura in cui questo modello rappresenta l'interesse del capitale. Tra l'altro, secondo alcuni accanto a queste strategie imprenditoriali operano altri fattori: una potente ideologia anti-welfare, una criminalizzazione della povertà e una risposta politica “punitiva” o “revanscista”311. Queste caratteristiche, seppur ormai diffuse a livello internazionale, sembrano

302Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit.

303Coleman R., “Reclaiming the streets: closed circuit television, neoliberalism and the mystification of social divisions

in Liverpool, UK”, in Surveillance & society, CCTV Special, vol. 2, n. 2-3, www.surveillance-and-society.org, pag. 306

304Brenner N., “Glocalization as a state spatial strategy: urban entrepreneurialism and the new politics of uneven

development in Western Europe”, in Peck J., Yeung H., Remaking the global economy: economic-geographical

perspectives, Sage, London, 2003, pagg. 197-215

305Harvey D., “From managerialsm to entrepreneurialsm: the transformation of urban governance in late capitalism”, in

Geografiska Annaler, vol. 71B, n. 1, 1989, pagg. 3-17

306Low S., Smith N., The politics of public space, op.cit., pag.15 307Ibidem

308Jones M.O., “Sexing up the city: neoliberalism, public space and protest in Bahrain”, in

www.marcowenjones.hostbyet2.com

309Mitchell D., The right to the city. Social justice and the fight for public space, op.cit., pag. 166

310MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city”? On the spatial injustices of Glasgow's

Renaissance”, in Antipode, vol. 34, n. 2, 2002, pag. 602

311Cohen S., “The punitive city”: notes on the dispersal of social control”, in Contemporary Crisis, vol. 4, n. 4, 1979,

pagg. 339-363; Mitchell D., The right to the city. Social justice and the fight for public space, op.cit.; Smith N., The new

urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit.; Wacquant L., “The penalization of poverty and the rise of

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presentarsi con maggiore drammaticità nei paesaggi urbani dell'America del nord, centrale e latina, rispetto all'Europa occidentale312.

Sono i centri delle città gli spazi considerati indispensabili a questa nuova agenda imprenditoriale, che da luoghi malandati e trascurati vengono ripuliti a fondo e reinventati come sede di uffici e alberghi, zone ricreative a tema, esclusivi e incantevoli centri commerciali, alloggi gentrificati313. In risposta al declino del centro, la geografia urbana, dunque, si confronta, almeno a

partire dai primi anni '80, con diffuse e complesse strategie di recupero della centralità economica delle città, effettuate attraverso operazioni di rilancio promozionale, di city marketing, di riqualificazione urbana e di risanamento edilizio che trovano diverse manifestazioni nei più disparati contesti mondiali. In generale, incoraggiati dall'inarrestabile avanzare dalla globalizzazione e dalla radicata egemonia politica di un'ideologia neoliberale, i governi delle città americane e di quelle europee hanno cercato di ricapitalizzare i paesaggi economici delle loro città314, predisponendo azioni

strategiche capaci di assicurare alla propria città, in competizione con le altre nel mondo, investimenti e posti di lavoro. In tal senso Neil Smith considera il ritorno in città come un ritorno di capitale, piuttosto che di persone315, osservando come la gentrification sia una: «strategia d’accumulazione di

capitale, per delle economie urbane in concorrenza»316. In particolare, si tratta di progetti che mirano

ad attribuire alla città un'immagine positiva, innovativa, appetibile che contribuisca ad attirare nuove attività economiche, nuovi servizi e varie categorie di consumatori. Gli attributi degli spazi pubblici considerati irrinunciabili sarebbero, tra altri, competitività, seduzione, bellezza, varietà, centralità, fruibilità, sicurezza.

Indubbiamente, tali strategie di rinnovo urbano hanno diverse conseguenze positive, in quanto, da un lato, rispondono alle negative conseguenze ambientali (si pensi all'uso massiccio delle auto) e sociali (isolamento o minore possibilità di rapporti faccia a faccia) dello sprawl urbano317 e, dall'altro,

rappresentano un'occasione per rilanciare l'economia di molte città. Al contempo, tuttavia, hanno un alto prezzo, non trascurabile: l'acuirsi di diseguaglianze socioeconomiche e l'esclusione sociale di certi gruppi marginali318. Il reinvestimento negli spazi pubblici del centro storico ha portato, infatti, a

cambiamenti nel design, nel mantenimento, nella sicurezza e nella governance degli stessi; questi cambiamenti fisici e amministrativi, a loro volta, riflettono le idee riguardo a cosa costituisce lo spazio

312Caldeira T., “Fortified enclaves: the new urban segregation”, op.cit.

313MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city”? On the spatial injustices of Glasgow's

renaissance”, op.cit, pag. 605

314Ibidem, pag.602

315Smith N., “Toward a theory of gentrification. A back to the city movement by capital, not people”, in Journal of the

American planning Association, vol.45, n.4, 1979, pagg. 538-548

316Smith N., “La gentrification comme stratégie urbane globale”, in Esprit, vol.3, n.4, 2004, pag. 163 317Wassermain J.A., Clair J.M., “Housing patterns of homeless people”, op.cit. pag.75

318MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city”? On the spatial injustices of Glasgow's

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pubblico e chi costituisce lo spazio pubblico319. A questo proposito, diversi autori concordano nel

riconoscere che la maggior parte dei tentativi di rigenerare gli spazi pubblici sono stati caratterizzati dal tentativo da parte delle classi medio-alte, dei commercianti, delle amministrazioni e dei pianificatori di promuovere visioni parziali di chi fa parte del “pubblico” e di come gli spazi pubblici dovrebbero funzionare320. La città imprenditoriale è, dunque, una città “esclusionaria”.

La “rinascita di questi spazi curati”321, basata su: «un'estetica dell'opulenza, della pulizia,

dell'ordine e dell'uniformità»322, nasconde, dunque, una demarcazione brutale tra vincitori e perdenti,

tra inclusi e esclusi. La possibilità di vivere il centro rinnovato, il nuovo “centro vetrina”, infatti, opera in modo estremamente selettivo e discriminatorio, permettendo l'accesso ai soli detentori di sufficiente potere d'acquisto e cercando di impedirlo a chi non ne ha e potrebbe compromettere il gioco delle forze economiche in atto. In tal senso, il ritorno in città implica una guerra di classe che si combatte proprio sul territorio dei centri storici tra chi ha il diritto o meno di accedere a tali spazi. Vi è uno spazio che occorre difendere e la soluzione è ravvisata nel renderlo il più invivibile possibile per chi si considera non avere nemmeno il diritto di accedervi, insomma, per gli “altri indesiderabili”. Scrive Serafino: «il concetto chiave qui è quello di esclusione sociale. Le ristrutturazioni urbane (urbanistiche e sociali) antepongono esclusivamente i valori e gli interessi propri delle élite dirigenti, e trascurano, quando non escludono metodicamente dal paesaggio, quelle componenti sociali più sfavorite all'interno della comunità urbana (immigrati, disoccupati, giovani, e altre categorie disagiate che non sono in grado di “consumare” l'ambiente urbano) raffigurate come presenze pericolose, disturbatrici dell'ordine sociale dominante, in una parola indesiderate. In sintesi, secondo le argomentazioni di Herbert, nella realtà urbana neoliberista e conservatrice la logica dell'esclusione è il risultato dell'asservimento delle politiche di sicurezza urbana agli imperativi della riproduzione del capitale»323. Così, la difesa dei privilegi, degli stili di vita, della sicurezza e dei

profitti dei potenti sono evidenti non solo nelle gated communities che si diffondono nel periurbano, mettendo in discussione il concetto di città cui eravamo abituati, ma anche nei centri storici gentrificati, il cui accesso dipende, ancora una volta, dal potere di acquisto. Scrivono MacLeod e

319Mitchell D., “The end of public space? People's park, definitions of the public and democracy”, op.cit, pag.115 320Kats C. “Power, space and terror: social reproduction and the public environment”, in Low S., Smith N., The politics

of public space, op.cit., pagg. 105-121; Mitchell D., “The end of public space? People's park, definitions of the public and

democracy”, op.cit.; Mitchell D., Staeheli L.A., “Clean and safe? Property redevelopment, public space and homelessness in downtown San Diego”, in Low S., Smith N., The politics of public space, op.cit., pagg. 143-175; Staeheli L.A., Thompson A., “Citizenship, community and struggles for public space”, in Professional Geographer, vol. 49, n. 1, 1997, pagg. 28-38

321MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city”? On the spatial injustices of Glasgow's

renaissance”, op.cit, pag. 605

322Williams J., “Homelessness as delinquency: how private interests enforce constructs of normalcy in public space”,

www.poynter.indiana.edu, pag.1

323Serafino L., “Il paesaggio criminogeno: l'ordine morale negli spazi urbani”, in Agribusiness Paesaggio & Ambiente,

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Ward: «class difference and the stench of money power permeate every pore of the new political economy»324.

4.1. Il centro come “spazio di interdizione banale”

Il ritorno in città da parte delle classi medio-alte sembra essere reso possibile da una sorta di “presa in prestito” di alcune delle caratteristiche tipiche degli insediamenti cintati e degli shopping mall che proliferano nei territori della città diffusa. Innanzitutto, il centro storico è influenzato dal bisogno di promozione e pubblicità proprio di queste ultime. In particolare, le città, sempre più, vengono progettate come “prodotti commerciali” per attrarre il capitale e il turismo all'interno di mercati mondiali altamente competitivi325. Scrivono Aurigi e Graham: «le città non possono

permettersi di non promuoversi. E, poiché l'efficienza, la sicurezza e la vivibilità sono tra le variabili capaci di attrarre sia gli investitori che i turisti, in altre parole soldi e lavoro, la logica del city marketing fa sì che le città prendano in prestito alcune delle caratteristiche degli shopping mall per lo sviluppo degli spazi pubblici»326. In uno spazio destinato alla crescita economica e ad essere

consumato come un prodotto commerciale, come quello rappresentato dal centro storico gentrificato, emerge una necessità di primaria importanza: purificare il paesaggio urbano sia “fisicamente” che “socialmente”, in modo da renderlo confortevole per il turista benestante o il visitatore suburbano. In breve, la purificazione del centro storico richiede, da un lato, una ripulitura e una messa a nuovo “fisica” del centro urbano rilanciato come centro dello svago e del consumo, potremmo dire una riparazione delle “finestre rotte”, e, dall'altro, una ripulitura “sociale”, intesa come l'allontanamento di certe categorie sociali marginali e svantaggiate, che, al pari di spazzatura, muri imbrattati e finestre rotte, “sporcano” il paesaggio urbano pubblico. La “ripulitura sociale” viene ottenuta attraverso il disciplinamento dello spazio urbano che comprende una fusione, piuttosto drammatica, di architetture del controllo, di design esclusionario e di politiche punitive.

Il centro storico è anche influenzato dal bisogno di sicurezza, e dall'ingiustizia socio- spaziale che ne deriva, che caratterizza le gated communities e gli shopping mall. In altre parole, la città compatta si rifà ai modelli del panopticon e della fortezza, rispondendo alle nuove paure: «with malice»327, con cattiveria, per dirla nei termini di Mike Davis, seguendo le medesime tendenze di

324MacLeod G., Ward K..,”Spaces of utopia and dystopia: landscaping the contemporary city”, in Geografiska Annaler

Series B, Human geograpahy, vol. 84, n. 3-4, 2002, pag. 158

325Aurigi A., Graham S., “Virtual cities, social polarisation and the crisis in urban public space”, in Journal of Urban

Technology, vol. 4, n. 1, 1997, pagg. 21-22

326Ibidem, pagg.22-23

327Davis M., “Fortress Los Angeles: the militarization of urban space”, in Sorkin M., Variations On a Theme Park, op.cit.,

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privatizzazione, fortificazione e sorveglianza, al fine di rassicurare i cittadini-consumatori-elettori che, finalmente, possono ritornare in città senza preoccupazioni. Abbiamo, ad esempio, già affrontato il termine scanorama introdotto dallo stesso Davis per descrivere l'ambiente panottico e ipersorvegliato del centro storico delle città contemporanee, in generale, e del downtown di Los Angeles, in particolare, dove la onnipresenza delle telecamere risponde alla necessità, inderogabile, di assicurare ai ceti medio-alti la possibilità di muoversi nello spazio pubblico e di “consumarlo” senza paure. Il termine introdotto dal sociologo americano può essere facilmente applicato ad altre realtà, sia americane che europee. Particolarmente famoso, tra gli esempi europei, è il caso di Londra che si è dotata, negli ultimi anni, di un sistema di sorveglianza che sorveglia praticamente tutto il territorio cittadino328. Anche nelle città italiane, è possibile notare come le amministrazioni locali, per

non vedere svuotati i loro centri urbani a favore dei “grandi contenitori”, sono costrette, a loro volta, ad adottare gli stessi sistemi: telecamere e sensori permeano, infatti, lo spazio urbano delle città in cui viviamo. Così come il modello del panopticon, anche quello della fortificazione prende sempre più piede nei centri storici della città contemporanea. Si fortifica lo spazio privato che, ad esempio, oltre alle tradizionali mura, recinzioni e sbarre (rispetto a queste ultime, si pensi a quelle solitamente presenti alle finestre degli appartamenti al piano terra), si dota di nuove tattiche di arredo per allontanare gli indesiderabili, come, ad esempio, gli scivoli installati sugli scalini all'entrata delle proprietà private o piante spinose poste all'atrio di condomini. Si fortifica lo spazio pseudopubblico: i negozi, i locali, i ristoranti si muniscono di svariati sistemi di controllo per controllare l'accesso e l'uso degli stessi (negli Stati Uniti alcuni ristoranti mettono i lucchetti ai bidoni della spazzatura per evitare che qualcuno vi rovisti). Si fortifica, infine, anche lo spazio propriamente pubblico, dove, tramite l'utilizzo di nuove strategie, lo scopo è chiaramente quello di escludere certe categorie di persone. Si pensi ad alcuni esempi di architettura del controllo il cui scopo è: «“difendere” il pubblico generale dal comportamento “indesiderato” di altri membri del pubblico»329, come le panchine “a

prova di barbone” o le sedute scomode presenti alle fermate del pullman progettate appositamente così per scoraggiare la sosta prolungata. Whyte, a questo proposito, scrive: «la città è piena di

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