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Vivere sulla strada: tra strategie di sopravvivenza e violazione dei tabù

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 37-47)

5.1. Tra scelte e adattamento

Vi è un'ampia letteratura sui modi in cui le persone senza dimora sopravvivono materialmente e si adattano alla vita sulla strada126. In particolare, le persone senza dimora, come chiunque, hanno

bisogni: devono mangiare, dormire, andare al bagno, socializzare. E' sulle strade della città che gli stessi, violando numerosi tabù, sviluppano tutta una serie di strategie di sopravvivenza per rispondere ai propri bisogni e alle proprie preoccupazioni quotidiane, utilizzando tutte le risorse e le opportunità che vengono offerte della spazio pubblico urbano. Ciò che emerge è che le strategie di sopravvivenza di queste persone risultano da una combinazione tra scelte e adattamento alle pressioni o ai limiti esterni.

Innanzitutto, soddisfare i propri bisogni per una persona senza dimora non è facile e questo vale ancor più nell'attuale contesto caratterizzato da crescenti processi di controllo degli spazi pubblici cittadini. La vita sulla strada richiede alle persone senza dimora un'approfondita conoscenza del territorio cittadino in cui si trovano a vivere. Dal momento in cui i senza dimora sono, per definizione, privi di risorse, sono costrette a cercarle nello spazio pubblico urbano, individuando tempi e spazi necessari alla propria sopravvivenza, dunque luoghi in cui poter dormire, mangiare o lavarsi. In particolare, con il tempo, questa conoscenza si traduce in ciò che Bergamaschi chiama “circuito della sopravvivenza” delle persone senza dimora, ossia: «un insieme di punti di riferimento spaziali e temporali, dislocati in diversi luoghi, (...) atti a fornire le risorse di cui necessitano»127. Similmente,

scrivono Meert e colleghi: «la vita di strada è strutturata attorno a specifici luoghi e le persone senza dimora sviluppano una serie di strategie all'interno degli spazi pubblici per appropriarsene a fini privati, economici, professionali o sociali. In altri termini, coloro che vivono in strada hanno diversi territori che occupano non in modo casuale, ma specificatamente a seconda del momento della

125Snow D.A., Mulcahy M., “Space, politics and the survival strategies of the homeless”, in The American behavioural

scientist, September 2001, vol. 45, n. 1, pagg. 149-169

126Duneier M., Sidewalk, Farrar, Staruss and Giroux, New York, 1999; Snow D.A., Anderson L., Down on their luck: a

study on homeless street people, University of California Press, Berkeley, 1993; Wolch J., Dear M., Malign neglect: homelessness in American city, Jossey-Bass, San Francisco, 1993; Wright T., Out of place: homelessness mobilizations, subcities and contested landscape, State University of New York Press, Albany, 1997

127Bergamaschi M., Francesconi C., “Fotografare l'invisibile”, in Faccioli P., Harper D., Mondi da vedere, FrancoAngeli,

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giornata128. In tal senso, dunque, le persone senza dimora si dimostrano, seppur limitatamente, attori

razionali, la cui vita quotidiana è caratterizzata da un certo numero di cambiamenti e da un certo grado di mobilità.

Un ruolo cruciale, nella sopravvivenza dei senza dimora, è giocato dallo spazio e dalle sue caratteristiche. Scrivono Wolch and Dear: «sopravvivere all'esterno... (è) inestricabilmente connesso alle qualità del contesto locale»129. Alcuni spazi, infatti, sembrano funzionare meglio, in termini di

di sopravvivenza, rispetto ad altri. Duneier, a questo proposito, parla di “habitat di supporto” (“sustaining habitat”), uno spazio particolarmente idoneo alla sopravvivenza delle persone senza dimora in quanto caratterizzato da un flusso consistente di passanti, utile alla colletta, da svariate opportunità di trovare del cibo e dalla presenza di spazi pubblici aperti e sicuri in cui dormire e di spazi nascosti ed invisibili (“nicchie ecologiche”) da utilizzare per la propria privacy130. Abbiamo, ad esempio, già visto come la stazione ferroviaria rappresenti un luogo ideale per le persone senza dimora. In tal senso, anche il più ampio territorio del centro storico potrebbe allora essere considerato un “habitat di supporto”, essendo affollato e contenendo svariate risorse e opportunità necessarie alla sopravvivenza delle persone senza dimora, oltre che uno scarso controllo sociale informale.

Se, nell'ambiente urbano, alcuni spazi pubblici si offrono alle persone senza dimora come spazi, per certi versi, flessibili e malleabili, nel senso che i senza dimora li occupano, trasformandoli e adattandoli ai propri bisogni, la vita sulla strada, al contempo, impone ai senza dimora di mettere in atto processi di adattamento, ossia “un certo numero di comportamenti codificati propri del luogo di installazione”131, quali, ad esempio, munirsi di un biglietto ferroviario in caso si utilizzi la sala

d'aspetto della stazione nelle giornate invernali o ripulire lo spazio in cui si dorme prima che le persone vi inizino a transitare132. Il processo di adattamento è, dunque, bidirezionale: lo spazio

pubblico è modellato dalle persone senza dimora e, al contempo, queste ultime e le loro strategie di sopravvivenza sono modellate dallo spazio pubblico. In particolare, poiché lo spazio pubblico è di tutti e non dovrebbe, in tal senso, essere occupato in modo stabile da nessuno, la visibilità e la stabilità dei senza dimora nello stesso spazio costituisce come un “elemento perturbante”133. Ciò che emerge,

nella vita quotidiana delle persone senza dimora, è l'esigenza di confondersi nella folla e di restare invisibili134. Scrive Maurizio Bergamaschi: «il comportamento della persona, che ha eletto a proprio

“domicilio” un determinato luogo pubblico, tende a conformarsi e a strutturarsi a partire dalle

128Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 13

129Wolch J., Dear M., Malign neglect: homelessness in American city, op.cit., pag. 246 130Duneier M., Sidewalk, op.cit., pagg. 144-153

131Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 209 132Ibidem, pagg. 210-211

133Bergamaschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag. 133 134Ibidem, pagg. 134-135

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regole e norme che governano l'uso di quello spazio, nascondendo la propria condizione»135. Se

visibili, infatti, le persone senza dimora suscitano tutta una serie di preoccupazioni nella popolazione domiciliata, legate al senso di disordine urbano e di disagio, vista, da un lato, la sovrapposizione, nelle carriere di questi individui, tra sfera privata e sfera pubblica e, dall'altro, una rappresentazione degli stessi basata su stereotipi di malattia, insicurezza, incompetenza e, talvolta, colpevolezza delle stesse persone.

5.2. Bisogni e spazi della città

Lo spazio pubblico utilizzato dalle persone senza dimora, secondo Dyb, può essere suddiviso in due tipologie: da un lato, i luoghi dove le persone dormono e, dall'altro, i luoghi in cui trascorrono la giornata136. I secondi includono gli spazi in cui condurre le attività relative all'igiene personale, al

“lavoro”, al cibarsi e al socializzare. Tuttavia, l'autore sottolinea che non sempre questi luoghi sono separati137. In particolare, dalla sua analisi ad Oslo, emerge che le persone senza dimora tendono a

trascorrere la maggior parte della loro giornata nei limiti del centro della città138. A questo proposito,

come abbiamo visto, anche Castrignanò sostiene che la ricerca degli spazi necessari alla sopravvivenza raramente si spinge fuori dal centro storico139.

Nonostante non tutte le persone senza dimora presentino, nella loro vita quotidiana, delle routine di sopravvivenza140, in generale si osservano alcune strategie e alcuni comportamenti, nella giornata-

tipo di queste persone, caratterizzati da un certo grado di regolarità: seguire certi percorsi, dormire o “lavorare” in specifici spazi, talvolta considerati propri, incontrare altre persone al “solito” posto, recuperare cibo o soldi141.

Una delle maggiori preoccupazioni che segna la vita quotidiana delle persone senza dimora è, senza dubbio, quella di trovare un luogo dove potersi installare, dove dormire e creare un senso di spazio privato e privacy. Vi sono alcuni elementi che giocano un ruolo fondamentale nella scelta di un “letto” e di una “home”. Un fattore di primaria importanza è l'invisibilità142. Uno spazio, infatti,

può essere visibile, esposto allo sguardo pubblico (una panchina in una via del centro) o nascosto. L'essere invisibili implica, sicuramente, un minor rischio di essere allontanati o disturbati, ma non

135Ibidem, pagg. 135-136

136Dyb E., “Roofless people and the use of public space, a study in Oslo”, 2006, www.feantsa.org, pag. 21 137Ibidem

138Ibidem, pag. 20

139Castrignanò M., La città degli individui, op.cit.

140Dyb E., “Roofless people and the use of public space, a study in Oslo”, op.cit., pag. 28

141Bergamaschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag. 138; Dyb E., “Roofless people and the

use of public space, a study in Oslo”, op.cit., pag. 28

142Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 211; Meert H.

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solo. L'invisibilità è fondamentale anche affinché una persona senza dimora possa “sentirsi a casa”143.

Con riferimento alla realtà bolognese, Scandurra scrive: «per trovare spazi privati, dove essere al privato degli altrui sguardi, molti senza dimora scelgono spazi liminali. Per esempio, sotto determinati portici meno visibili, dietro qualche colonna del centro storico bolognese»144. Si tratta di

spazi provvisori costruiti con cartoni o altro che vengono ripuliti ogni mattina, prima che li attraversino il resto dei cittadini145. Un altro aspetto centrale nella scelta di un luogo dove dormire è,

infatti, l'atteggiamento della comunità locale. Solitamente i residenti e le autorità si dimostrano più tolleranti nei confronti della presenza dei senza dimora se questi non recano disturbo e ripuliscono dopo sé stessi146. Così, «in queste regioni interstiziali della città, sottratte al controllo sociale

informale, la persona costruisce e organizza una propria domesticità che viene riconosciuta anche da terzi»147. Infine, altri fattori importanti presi in considerazione nella scelta di un luogo dove

dormire sono la sicurezza148 e le condizioni meteorologiche149.

Un'altra preoccupazione che segna la vita quotidiana di molti senza dimora riguarda il problema di recuperare dei soldi. Le ricerche evidenziano che, a questo scopo, le persone senza dimora si dedicano ad un ventaglio di attività molto diverse fra loro, che vanno dal pulire le strade150, il vendere

giornali151, o l'offrirsi, all'uscita dei supermercati, di riportare il carrello della spesa nell'apposita

struttura, in cambio della moneta che c'è nel manico152, fino al vendere sostanze stupefacenti o,

talvolta, prostituirsi153. Sembra, comunque, che, per molti, una delle fondamentali strategie di

sopravvivenza rimane quella del mendicare154, che per le persone coinvolte assume le caratteristiche

143Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 21

144Scandurra G., Tutti a casa. Il Carracci: etnografia dei senza fissa dimora a Bologna, Guaraldi, Rimini, 2005, pag. 126 145Ibidem

146Dyb E., “Roofless people and the use of public space, a study in Oslo”, op.cit., pag. 30; Wygnańka J., “Homelessness

and access to space”, op.cit., pag.8

147Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 211

148Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 211; Dyb E.,

“Roofless people and the use of public space, a study in Oslo”, op.cit., pag. 23; Győri P., “Excluded groups in the city centre. How do different groups of homeless use public space in the large city?”, Budapest 2006, www.feantsa.org, pag.22; Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit., pag. 14

149Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 211; Dyb E.,

“Roofless people and the use of public space, a study in Oslo”, op.cit., pag. 22; Győri P., “Excluded groups in the city centre. How do different groups of homeless use public space in the large city?”, op.cit., pag.23; Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit., pag. 13; Wygnańka J., “Homelessness and access to space”, op.cit., pag.8

150Wygnańka J., “Homelessness and access to space”, op.cit., pag. 5

151Győri P., “Excluded groups in the city centre. How do different groups of homeless use public space in the large city?”,

op.cit., pag. 12

152Wygnańka J., “Homelessness and access to space”, op.cit., pag. 7

153Snow D.A. et al, “Material strategies on the street: homeless people as bricoleurs”, op.cit., pag. 88

154Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

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di un vero e proprio “lavoro”155. Vivere sull'elemosina implica diverse competenze. Infatti: «per

massimizzare il profitto, il senza dimora deve valutare quali siano i luoghi e i momenti più redditizi o tenere in considerazione la competizione o il rafforzamento delle norme legali che può interessare il luogo in cui va a mendicare»156. Alcuni luoghi si presentano più adatti a questo scopo rispetto ad

altri, come, ad esempio, all'uscita di una chiesa (dove sembra più facile scontrarsi con “benefattori regolari”) o di un supermercato157, o nelle vie affollate del centro158. In particolare, questi luoghi:

«agiscono come luoghi di lavoro di cui i senza dimora si impadroniscono tramite una specifica organizzazione spazio-temporale»159. Alcuni hanno uno spazio abituale in cui elemosinare, vi tornano

ogni giorno perché lo sentono proprio.

Un'altra necessità con cui i senza dimora devono confrontarsi ogni giorno è, senz'altro, quella di recuperare qualcosa da mangiare. Molti senza dimora si recano nelle mense, altri riescono a comprare qualcosa con i soldi recuperati dalla colletta, altri ancora si affidano al buon cuore di certi ristoratori che gli offrono qualche rimanenza. Rovistare nei cassonetti dell'immondizia sembra, invece, presentarsi come l'ultima scelta. Recuperare acqua e bevande costituisce un problema minore. Molti bivaccano all'uscita di supermercati che vendono birra economica160.

Anche l'igiene personale emerge come fattore rilevante nella giornata delle persone che vivono in strada. Accanto ai servizi appositi, vi sono altre possibilità: i bagni pubblici, un fiume, l'acqua piovana, una fontana161. Anche la stazione ferroviaria si offre come luogo adatto in tal senso162,

nonostante l'ingresso ai suoi bagni preveda un piccolo contributo che non sempre una persona senza dimora può avere a disposizione. Un'altra opportunità, ma non sempre disponibile, è l'utilizzo dei bagni di attività private, come bar o ristoranti.

Un'ultima attività che assume un ruolo centrale nella vita dei senza dimora è quella di socializzare. Lo spazio pubblico è, infatti, anche spazio di incontro con gli altri. Luoghi particolarmente idonei a questo scopo sono le piazze e i parchi163. Oltre a rendere possibile l'incontro

con i propri colleghi, lo spazio pubblico, in alcuni casi, permette ai senza dimora di stringere relazioni

155Ibidem; Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 213;

Győri P., “Excluded groups in the city centre. How do different groups of homeless use public space in the large city?”, op.cit., pag 26; Wygnańka J., “Homelessness and access to space”, op.cit., pag. 7

156Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 16

157Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 213

158Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 16

159Ibidem

160Ibidem, pag. 18 161Ibidem

162Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 213

163Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.

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con alcuni abitanti o commercianti della zona occupata164. Inoltre, un interessante sviluppo nei

modelli di socializzazione dei senza dimora riguarda l'introduzione dei telefoni cellulari che, nonostante non tutti ne posseggano uno, sono piuttosto diffusi165. Il discorso tecnologia, insomma,

diventa trasversale.

Anche se le persone senza dimora, per sopravvivere, possono selezionare un determinato spazio ed eleggerlo come “proprio”, gli spazi scelti contengono, ovviamente, dei limiti. Infatti, poiché lo spazio non viene utilizzato secondo l'uso per il quale è stato progettato e pensato, i conflitti con il resto della società sono piuttosto frequenti. In particolare, la diffusione delle persone senza dimora nelle aree spaziali riservate agli altri cittadini, quelli con dimora, e la loro conseguente e inevitabile condizione di essere perennemente sotto l'occhio, seppur “distratto”166, dei passanti, li rende soggetti

indesiderabili, “simboli di inciviltà” per alcuni cittadini. La loro drammatica visibilità intensifica, nello specifico, il senso di disagio, di malessere e di insicurezza. In molti scritti sull'ordine e sulla città, infatti, i senza dimora sono diventati una sorta di indice o sintomo della presunta cattiva salute dello spazio pubblico e della necessità di ottenere il controllo, di privatizzare o di razionalizzare lo spazio pubblico nel contesto urbano. La presenza delle persone dimora negli spazi pubblici, per molti, sta ad indicare una società irrazionale e incontrollata in cui le distinzioni adeguate tra il privato e il pubblico si confondono. Dunque, coloro che intendono razionalizzare lo spazio pubblico, rispondendo, al contempo, alle preoccupazioni dei cittadini così come alle esigenze economiche e politiche, cercano di rimuovere i senza dimora per fare posto alle attività pubbliche considerate legittime, mettendo in campo tutta una serie di strategie di controllo e di sorveglianza che, appunto, per ragioni di ordine, pulizia e sicurezza, tendono ad escludere dagli spazi pubblici delle nostre città le persone senza dimora. Così, viste le tendenze di controllo, sorveglianza e privatizzazione con cui si confronta, sempre più, lo spazio pubblico urbano, le opzioni di sopravvivenza delle persone senza dimora si restringono notevolmente. Nel caso, ad esempio, della ricerca di un posto dove dormire, le persone senza dimora si imbattono in numerosi ostacoli. Si pensi, ancora, alla “stazione sicura” o a certe tipologie di arredo urbano, quali le panchine “anti barbone”, il cui scopo è, chiaramente, quello di impedire ad un senza dimora di sdraiarvisi.

5.3. Quali spazi, quali limiti, quali risposte

Il presente paragrafo si basa, principalmente, sui risultati emersi da una ricerca condotta da Snow

164Dyb E., “Roofless people and the use of public space, a study in Oslo”, op.cit., pag. 33

165Meert H. et al, “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 19; Wygnańka J., “Homelessness and access to space”, op.cit., pag.19

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e Anderson a Tucson, in Arizona, relativa alle dinamiche socio-spaziali delle persone senza dimora e alle loro strategie di sopravvivenza167. Seppur relativo ad un contesto specifico, ciò che emerge può,

come sostengono, tra l'altro, gli stessi autori, aiutare a comprendere tali dinamiche anche in altri contesti urbani, incluso le città europee. In particolare, gli autori sottolineano il profondo nesso esistente tra lo spazio fisico urbano e le persone senza dimora, la loro vita quotidiana e i loro repertori di strategie. Diversi contesti spaziali, nello specifico, influenzano: a) la frequenza e l'intensità delle controversie che riguardano l'uso di un certo spazio; b) le strategie di controllo adottate dall'amministrazione in seguito ai conflitti e alle conseguenti pressioni sulla stessa amministrazione da parte dei cittadini (abitanti, commercianti, ecc.) coinvolti nel conflitto; c) il comportamento delle persone senza dimora, incluso le strategie di risposta alle costrizioni e pressioni esterne168.

Prima di Snow e Mulcahy, Snow e altri colleghi avevano sottolineato che, quando si analizzano le strategie di sopravvivenza delle persone senza dimora, va tenuto in considerazione che le stesse sono inserite in specifici contesti organizzativi, politici ed ecologici che incoraggiano certe strategie, rendendo le altre meno probabili169. In particolare, scrivono Snow e Anderson: «i repertori delle

strategie di sopravvivenza non emergono casualmente, ma sono il prodotto dell'intersezione tra l'ingegnosità e l'ingenuità della persona senza dimora e i limiti organizzativi, politici ed ecologici»170.

Tali “limiti” possono sovrapporsi e interagire fra loro. Inoltre, in quanto dinamici e mutevoli, anche le stesse strategie di sopravvivenza delle persone senza dimora non sono statiche ma soggette a cambiamenti frequenti171.

Snow e Mulcahy sostengono che, tra i limiti organizzativi, politici, morali ed ecologici, il più critico rispetto alla sopravvivenza e all'adattamento delle persone senza dimora è quello ecologico o spaziale172. I due autori riconducono la stringente criticità dei limiti spaziali a due fattori. «Il primo

riguarda la condizione stessa dell'essere senza dimora, che obbliga gli individui (…) a negoziare

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 37-47)