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Lo spazio pubblico come risorsa

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 31-37)

Lo spazio pubblico urbano rappresenta nella vita quotidiana delle persone senza dimora una componente essenziale e vitale. E' chiaro, infatti, come nel caso di persone che, per definizione, non hanno una casa, uno spazio privato, il rapporto con lo spazio pubblico diventi inestricabile, in quanto necessario per la stessa sopravvivenza ed “esistenza” di questi stessi individui. In altri termini, i senza dimora non solo vivono lo spazio pubblico come il resto della popolazione, quella “domiciliata”, ma vivono nello spazio pubblico; non avendo alternative, vivono i propri spazi privati negli spazi pubblici, convertendoli in una sorta di “nuova dimora” e, conseguentemente, violando il senso comune riguardo alle distinzioni tra privato e pubblico. In tal senso, la questione del rapporto tra spazio pubblico e persone senza dimora assume un'importanza e un'urgenza centrali nell'attuale contesto caratterizzato, come vedremo, da una crescente privatizzazione di ciò che è pubblico e dall'utilizzo di svariati stratagemmi, in termini di ordinanze, architettura e design, utilizzati da un numero crescente di città per controllare spazialmente le persone senza dimora e per allontanare dagli spazi pubblici, soprattutto quelli rinnovati e ad elevata fruizione, questi individui “immeritevoli, pericolosi e malfamati”86.

82Castrignanò M., La città degli individui, op.cit., pag. 82 83Ibidem

84Castrignanò M., La città degli individui, op.cit.; Guidicini P., Pieretti G., Città globale e città degli esclusi, op.cit. 85Castrignanò M., La città degli individui, op.cit, pag. 82

86Whiteford M., “Street homelessness and the architecture of citizenship”, in People, place & policy, vol.2, n.2, 2008 pag.

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4.1. Il fallimento della complementarietà tra spazio pubblico e spazio privato

Waldron sostiene che la condizione dell'essere senza dimora nelle città imprenditoriali riguarda semplicemente il fatto di non aver alcun luogo da chiamare proprio87. In particolare, secondo l'autore,

gli esseri umani, in quanto entità corporee, necessitano di un luogo privato e sicuro in cui svolgere attività quotidiane necessarie, quali dormire, lavarsi, socializzare e così via. Nella società moderna e contemporanea questo luogo è tipicamente rappresentato dalla casa. Le persone senza dimora per definizione non hanno una casa e le regole sulla proprietà privata ne vietano l'accesso a qualsiasi proprietà privata, almeno senza permesso. L'unico spazio disponibile per le persone senza dimora è, dunque, lo spazio pubblico urbano. In tal senso, in un “paradiso libertario”, dove ogni proprietà è privata, non ci sarebbe alcun luogo per la persona senza dimora: semplicemente non esisterebbe88.

Infatti, dal momento in cui: «per esistere, una persona deve essere collocata fisicamente in uno spazio, tale persona non avrebbe il permesso di esistere»89. I senza dimora esistono, dunque, in virtù

della presenza, nel territorio urbano, degli spazi pubblici.

Con riferimento alla crescente regolazione dello spazio pubblico urbano, Waldron scrive: «ciò che emerge, e non è solo una questione di fantasia, è uno stato di cose in cui un milione o più di cittadini non ha alcun posto dove svolgere elementari attività umane, come urinare, lavarsi, dormire, cucinare, mangiare e gironzolare. I legislatori votati da persone che hanno spazi privati in cui poter fare queste cose stanno decidendo sempre più di rendere gli spazi pubblici disponibili solo per altre attività, diverse da questi bisogni primari umani. Le strade e la metropolitana, dicono, sono per spostarsi tra casa ed ufficio. Non sono fatti per dormire; dormire è una cosa che si fa a casa. (...) I parchi non sono destinati al cucinare o l'urinare, la gente fa queste cose a casa». Insomma, gli spazi privati e quelli pubblici sono, almeno per alcuni, uno il complemento dell'altro, così come le attività che tipicamente vi si svolgono. Tuttavia, se: «questa complementarietà funziona perfettamente per coloro che beneficiano di entrambi gli spazi (…) è disastrosa per coloro che devono vivere la loro intera vita sul territorio comune. (...) Si tratta dell'esercizio di potere più disumano e tirannico dei tempi moderni da parte di una maggioranza (relativamente) ricca e compiaciuta contro una minoranza di loro colleghi esseri umani meno fortunati»90. Questa relazione complementare tra il

pubblico e il privato, per certi versi, corrisponde alle due visioni dello spazio pubblico individuate da Mitchell nel suo studio su People's Park a Berkeley, in California: da un lato, lo spazio pubblico come

87Waldron J., “Homelessness and the issue of freedom”, in Ucla Law Review, vol. 39, 1991, pag. 299 88Ibidem, pagg. 299-301

89Ibidem, pag. 300 90Ibidem, pagg. 301-302

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spazio “libero”, dall'altro, lo spazio pubblico come “controllato e ordinato”91.

Ciò che qui, comunque, si vuole evidenziare è che la complementarietà tra l'uso dello spazio privato e l'uso dello spazio pubblico funziona per coloro che hanno una casa ma fallisce nel caso delle persone senza dimora. Come scrive Bergamaschi: «la separazione fra sfera pubblica e sfera privata sembra venire meno nella persona senza dimora: entrambe le dimensioni trovano il proprio luogo nello spazio pubblico, nella strada e nella piazza»92. Tale persona è, dunque, soggetta ad

un'esposizione totale che contraddice le distinzioni tradizionali tra spazio privato e spazio pubblico, tra privacy e visibilità93. E se il controllo delle attività e dei comportamenti negli spazi pubblici e i

tentativi di annullare o, perlomeno, ridurre la presenza delle persone senza dimora negli stessi spazi sembrano risultare, tra le altre cose, proprio da questo aspetto, ossia dalla loro evidente e contraddittoria condizione di vita in cui sfera pubblica e sfera privata si sovrappongono, soprattutto in una società capitalistica dominata dalla proprietà privata94, probabilmente è proprio in questo senso

che si può parlare di “assurdità”95 delle politiche urbane che possono definirsi “anti senza dimora”,

dal momento che si ripercuotono sulle loro vite in modo drammatico.

4.2. Lo spazio pubblico: una nuova “dimora” per “stakeholders senza dimora”

Come abbiamo visto, le persone senza dimora: «vivono la loro vita privata deprivate di uno spazio privato»96. Conseguentemente, non hanno altra scelta che occupare lo spazio pubblico. La vita

sulla strada ha, innanzitutto, conseguenze sull'identità del soggetto senza dimora. Filippini, a questo proposito, scrive: «la mancanza di dimora, di uno spazio esterno per il sé, comporta una mutazione del sé interno che si deve riorganizzare in base alla nuova situazione, al nuovo ambiente. (…) E' una riorganizzazione della propria identità, una forma di adattamento psichico alla nuova condizione di senza dimora»97. Più specificatamente, come abbiamo visto, la carriera delle persone senza dimora è

caratterizzata dal progressivo disgregamento dei “supporti tradizionali”98. E, come ci spiega

Bergamaschi, se questo, da un lato, implica il venir meno della precedente identità di queste persone,

91Mitchell D., “The end of public space? People's park, definitions of the public and democracy”, in Annals of the

Association of American Geographers, vol. 85, n.1, 1995, pagg. 108-133

92Bergamaschi M., “Tra mobilità e stanzialità. Le persone senza dimora nello spazio urbano”, op.cit., pag. 209

93Meert H et al., “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 21

94Waldron J., “Homelessness and the issue of freedom”, op.cit; Blomley N., “Homelessness, rights and the delusions of

property”, in Urban Geography, vol.30, n.6, 2009, pagg. 577-590

95Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, in Social Justice, vol. 30, n. 1, 2003,

pag. 199

96Laberge D., Urban wandering, Les Éditions MultiMondes, Sainte Foy, 2000, pag. 183

97Filippini F., “Uno sguardo sulla povertà e sulla condizione dei senza dimora”, op.cit., pagg. 182-183 98Bergamaschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag. 133

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dall'altro, la realtà del vivere sulle strade favorisce la formazione di una nuova identità99. Lo spazio

pubblico urbano, in tal senso, rappresenta un dispositivo che contribuisce al generarsi di una nuova identità negli individui senza dimora.

La vita sulla strada, inoltre, porta le persone senza dimora ad appropriarsi di determinati spazi pubblici che convertono nelle loro “homes”. Dunque, le strade, i parchi pubblici, le piazze, assumono le caratteristiche di uno spazio privato, di una casa, in cui le persone senza dimora si stabiliscono e si installano, più o meno provvisoriamente. In particolare, gli spazi pubblici: «diventano luoghi in cui andare al bagno, dormire, bere o fare l'amore»100. Si tratta, nello specifico, di attività socialmente

legittime quando messe in atto nel privato, ma apparentemente illegittime quando lo sono nel pubblico101.

Nel caso delle persone senza dimora la vita privata e la vita pubblica sono inseparabili, collocandosi entrambe nello spazio pubblico, che viene, dunque, abitato nel senso letterale del termine e utilizzato come “machine à habiter”102. In tal senso, secondo il sociologo Bergamaschi

risulta persino errato parlare di persone senza dimora, dal momento in cui: «lo spazio pubblico diventa la nuova “dimora”, il luogo in cui ci si installa con modalità di tipo più o meno stanziale, in cui si organizza la vita quotidiana ed in cui si recuperano le risorse necessarie alla sopravvivenza»103.

Lo spazio pubblico, dunque, non è solo lo spazio in cui le persone senza dimora trascorrono la maggior parte del loro tempo, ma diventa per le stesse: «l'unico luogo che possono chiamare casa»104.

Un esempio fornito da Mark Francis riguarda Golden Gate Park a San Francisco, che l'autore definisce una “dimora stabile” per alcune persone, in particolare i senza dimora105. Un altro esempio,

più generale, è costituito dalla stazione ferroviaria, definita da alcuni luogo di “residenza” di questi individui106. Bergamaschi, a questo proposito, scrive: «le persone senza dimora che frequentano

regolarmente l'area della stazione ferroviaria “abitano” questo luogo e ne utilizzano i servizi (sala d'attesa e bagni) destinati ai viaggiatori. Prima di essere un luogo adibito al trasporto, per questa popolazione la stazione è un luogo di vita, uno spazio privato. Queste pratiche trasformano un non luogo in un luogo»107. In particolare, la stazione ferroviaria ha la caratteristica di concentrare diverse

99Ibidem

100Mitchell D., The right to the city. Social justice and the fight for public space, The Guilford Press, New York, 2003,

pag. 135

101Staeheli L., “Publicity, privacy and women's political action”, Environment and planning D: Society and space, vol.14,

n. 5, 1996, pagg. 601-619

102Bergamaschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag. 134 103Ibidem

104Meert H et al., “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag, 21

105Francis M., “Control as a dimension of public space”, in Altman I., Zube H.E., Public places and spaces, Plenum Press,

New York, 1989, pag. 165

106Wygnańka J., “Homelessness and access to space”, 2006, www.feantsa.org, pag. 5 107Bergamschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag. 135

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risorse e opportunità di sopravvivenza per le persone senza dimora, costituendo ciò che Meert e colleghi hanno definito un “meltingpot di attività” (un luogo dove poter mendicare, ripararsi dal freddo, mangiare, lavarsi, dormire, incontrare altra gente) e, dunque, un luogo ideale dove vivere108.

Tuttavia, seppur ideale, si tratta, al contempo, di un luogo in cui questi individui non sono molto benvenuti. In particolare i senza dimora, appropriandosi di questo spazio a scopi personali e di sopravvivenza, suscitano tutta una serie di sensazioni negative negli altri membri del pubblico (i passeggeri, la polizia, il personale ferroviario, ecc.), sensazioni che possono basarsi su valutazioni economiche, morali o politiche. Così, prendono forma diverse strategie e tentativi di sicurizzare gli spazi pubblici di molte stazioni ferroviarie. Infatti, in tutta Europa si diffonde “l'utopia della stazione sicura, depurata da presenze moleste”109.

Che sia in una stazione, in un parco o in una piazza, le persone senza dimora, dunque: «marcano lo spazio pubblico come il proprio spazio domestico»110. In particolare, mettono in atto processi di

appropriazione dello spazio che, seppur “parziali e limitati”111, riflettono la loro capacità di

trasformare e cambiare questo stesso spazio. Blomley, a questo proposito, ha, infatti, sottolineato che gli ambienti urbani danno forma, e vengono formati da, tutti coloro che lo abitano, incluso i senza dimora112. Le persone senza dimora, nello specifico, trasformano e ridefiniscono lo spazio pubblico

urbano adattandolo ai propri bisogni, in qualità, dunque, di veri e propri stakeholders, ed esercitando sullo stesso un certo controllo. Un interessante esempio di controllo dello spazio pubblico da parte dei senza dimora ci viene offerto da Wasserman e Clair, nella loro analisi delle dinamiche politiche ed economiche dei senza dimora e degli altri gruppi coinvolti nel processo di rinnovo urbano (commercianti, abitanti, ecc.) e dei conseguenti conflitti a Birmingham, in Alabama113. Secondo i due

autori, troppo spesso, vengono date interpretazioni semplificate secondo cui le classi medio-alte sono sostenitrici della gentrification e i senza dimora le sue vittime. Piuttosto, alla base dei conflitti che emergono sembrano, invece, operare le medesime considerazioni. Ad esempio, se i commercianti considerano i senza dimora come un ostacolo al loro profitto, allo stesso modo i senza dimora considerano economicamente negativo l'arrivo di un grande numero di immigrati nella “loro” zona.

108Meert H et al., “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”, op.cit.,

pag. 20

109Petrillo A., “La stazione centrale di Milano come spazio conteso: reti di migranti e nuove strategie della sicurezza

urbana”, in Territorio, n.39, 2006, pag. 335

110Nagy T., “Being blocked out and locked in: the culture of homelessness in Hungary”, in Kürti L., Skalník P.,

Postsocialist Europe: anthropological perspectives from home, vol.10, Easa Series, Berghahn Books, Oxford, 2009, pag.

222

111Bergamaschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag. 136

112Blomley N., “Mobility, empowerment and the rights revolution”, in Political geography, vol.13, n.5, 1994, pagg. 407-

422

113Wasserman J.A., Clair J.M., “Housing patterns of homeless people: the ecology of the street in the era of urban

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Gli autori, dunque, sottolineano la bidirezionalità delle pratiche esclusive, sottolineando come i gruppi considerati problematici siano, in realtà, stakeholders con interessi, preoccupazioni e aspettative simili a quelle dei domiciliati114.

Questo discorso evidenzia un aspetto cruciale. Infatti, anche se sembra possibile affermare che: «se l'agency umana è limitata in generale, quella delle persone senza dimora lo è particolarmente»115, ciò non significa, come sembrano, invece, assumere le visioni dominanti, che le

persone senza dimora siano passive e “incompetenti”116. Piuttosto, nella loro lotta per la

sopravvivenza si dimostrano piuttosto “ingegnose”117. Come scrive Waldron: «le persone restano

agenti, con idee e iniziative proprie, anche quando sono povere. Anzi, in quanto sole, in una situazione di pericolo, senza alcun posto sicuro, spesso devono essere più ingegnosi, impiegare più tempo a capire come poter vivere, pensare alle cose in modo più approfondito, dare meno per scontato, rispetto agli agiati agenti autonomi che immaginiamo in una famiglia con una casa e un lavoro in un ufficio o all'università»118. Similmente Whiteford scrive: «le persone senza dimora sono attive nelle

proprie situazioni, continuano a fare scelte e ad agire»119. Le persone senza dimora, dunque, per

sopravvivere sulla strada, operano continuamente delle scelte, ma non in modo casuale, piuttosto: «sulla base di una razionalità “limitata” non solo dalle condizioni oggettive di vita, ma anche dalla percezione soggettiva della propria situazione e delle opzioni praticabili»120.

Ai processi di appropriazione dello spazio pubblico urbano da parte dei senza dimora, ovviamente, si accompagnano processi di reclamo e di controllo, come nel caso della stazione ferroviaria “sicura”. Tale appropriazione, infatti, seppur limitata e parziale, è considerata problematica dalla maggioranza della popolazione e viene interpretata prevalentemente come “fuori luogo”, in quanto infrange le regole della proprietà privata121. In tal senso, il controllo dello spazio

pubblico risponde alla necessità di rassicurare la “società rispettabile”122, organizzandolo in base agli

interessi economici e per permettere un' “ordinata quotidianità dei cittadini”123. Anche se, sottolinea

Whiteford, a conferma, tra l'altro, della natura attiva che caratterizza gli individui senza dimora, questi processi di controllo non restano incontestati124. In particolare, come vedremo, Snow e Mulcahy,

114Ibidem

115Marr M.D. et al, “Towards a contextual approach to the place- homeless survival nexus: an explorative case study of

Los Angeles County”, in Cities, 2009, vol.26, n.6, pag. 308

116Snow D.A. et al, “Material strategies on the street: homeless people as bricoleurs”, in Baumohl J., Homelessness in

America, The Oryx Press, Westport, 1996, pag.88

117Ibidem

118Waldron J., “Homelessness and the issue of freedom”, op.cit., pag. 303

119Whiteford M., “Street homelessness and the architecture of citizenship”, op.cit., pag. 95 120Bergamschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit., pag.124 121Ibidem

122Ibidem

123Nagy T., “Being blocked out and locked in: the culture of homelessness in Hungary”, op.cit., pag.222 124Whiteford M., “Street homelessness and the architecture of citizenship”, op.cit., pag. 95

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individuano quattro tipologie di risposta delle persone senza dimora ai “limiti” con cui si devono confrontare nella loro lotta per la sopravvivenza sulle strade: l'uscita, l'adattamento, la persistenza e la voce125.

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 31-37)