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Metodologia e disegno della ricerca

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 125-129)

PARTE SECONDA

4. Metodologia e disegno della ricerca

1. Introduzione

Oggetto di studio della presente ricerca è il rapporto tra persone senza dimora e spazio pubblico urbano. Non si tratta insomma di uno studio sulle persone senza dimora o di uno studio sullo spazio pubblico. Piuttosto, ciò che, fin dall’inizio, mi sono prefissata di “apprendere”574 è la specifica

relazione tra questi due termini.

La ricerca è dunque iniziata con un’approfondita analisi della letteratura sul tema oggetto di indagine. Come è stato ampiamente sottolineato nei capitoli che precedono la seconda parte di questo lavoro, la ricerca di sfondo ha evidenziato che lo spazio pubblico è chiaramente centrale nella vita quotidiana delle persone senza dimora. Banalmente, le persone senza dimora non hanno una casa e dunque possono “esistere” solo nello spazio pubblico575, spazio in cui costruiscono il loro “circuito

di sopravvivenza”576. Tuttavia, gli studi, al contempo, evidenziano una crescente tendenza che investe

gli spazi pubblici delle città in cui viviamo, ossia crescenti processi di controllo che si traducono, più o meno implicitamente, in un ristretto “diritto alla città”577 e in una versione “sanitizzata” della

città578. In particolare, abbiamo visto come il crescente senso di insicurezza che si diffonde nella

società contemporanea579, da un lato, e la mercificazione dello spazio pubblico tramite cui le città

sono trasformate in spazi dello spettacolo e del consumo580, dall’altro, giustifichino l’adozione di

strumenti, più o meno tradizionali, in grado di impedire alle persone senza dimora di violare la “presunta normalità” dello spazio pubblico581. In tal senso, alcuni autori sostengono che la città

neoliberale conduca all’esclusione delle persone senza dimora582.

A seguito di un excursus bibliografico sul tema oggetto di indagine, i cui obiettivi sono stati, da

574Agar M., Speaking of ethnography. Qualitative Research methods Series 2, Sage University Paper, 1986, pag.12 575Waldron J., “Homelessness and the issue of freedom”, op.cit.

576Bergamaschi M., Ambiente urbano e circuito della sopravvivenza, op.cit. 577Lefebvre H., Il diritto alla città, op.cit.

578Bannister J., Fyfe N., “Introduction: fear and the city”, op.cit. 579Bauman Z., Vita liquida, op.cit.

580Mazzette A., Sgroi E., La metropoli consumata. Antropologie, architetture, politiche, cittadinanze, op.cit.

581Williams J., “Homelessness as delinquency: how private interests enforce constructs of normalcy in public spaces”,

op.cit.

582Davis M., Città di quarzo. Indagando sul futuro a Los Angeles, op.cit.; Davis M., Geografie della paura. L'immaginario

collettivo del disastro, op.cit.; Davis M., “Fortress Los Angeles: the militarization of urban space”, op.cit.; Mitchell D., The right to the city. Social justice and the fight for public space, op.cit.; Mitchell D., “The end of public space? People's

park, definitions of the public and democracy”, op. cit.; Smith N., The new urban frontier: gentrification and the

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un lato, presentare lo stato dell’arte della ricerca sociologica sullo stesso e, dall’altro, cercare cosa mancasse nell’analisi della letteratura esistente, mi sono imbattuta in un primo aspetto di centrale importanza: la letteratura e la ricerca sul tema provengono principalmente dal contesto americano. In Europa, invece, sembra che le persone senza dimora, da un lato, e lo spazio pubblico urbano, dall’altro, sono stati molto più spesso separatamente oggetto di molte ricerche sociologiche. In tal senso, se consideriamo l’importanza che lo spazio pubblico assume per questa specifica fascia di popolazione e, al contempo, le trasformazioni che stanno investendo gli spazi pubblici delle città in cui viviamo, sono pochi i contributi europei che si concentrano sullo specifico rapporto tra i due concetti. È pur vero che si tratta di tendenze evidentemente più visibili nelle città americane. I pochi studi condotti sottolineano infatti come i paesi europei siano caratterizzati da un approccio meno pervasivo583 rispetto alle questioni affrontate. Tuttavia, alcuni autori, sostengono che vi sono, anche

nelle città europee, e con esse le città italiane, comunque segni e sintomi che meritano di essere analizzati584.

Dunque, nessun sociologo, in Italia, sembra focalizzarsi in modo approfondito su questo specifico aspetto, tantomeno nella città che mi ospita ormai da anni. È qui che, da sociologa territorialista con una forte passione per gli studi urbani, ho capito quale fosse la strada giusta da intraprendere durante la mia ricerca di dottorato. In particolare, a partire da questa “lacuna”, ho iniziato a riflettere su una domanda: cosa accade in Italia? E, nello specifico, cosa accade a Bologna? Così, inizialmente, il mio obiettivo era quello di studiare la questione concentrandomi su un solo, ma approfondito, caso studio, appunto il contesto bolognese. Tuttavia, durante la mia esperienza di dottorato ho avuto la grande fortuna di trascorrere un periodo di ricerca all’estero della durata di sei mesi, in particolare all’AISSR (Amsterdam Institute for Social Science Research) dell’Università di Amsterdam (UvA), e grazie alla spinta e all’aiuto ricevuto da parte della mia referente estera, ho potuto condurre una ricerca sul campo anche nella città di Amsterdam.

Ma vi è anche un secondo aspetto cruciale emerso dall’analisi bibliografica sul tema. Gli studi e le ricerche che vertono sul tema, quando guardano agli spazi significativi nella vita dei senza dimora, tendono a focalizzarsi esclusivamente sullo spazio pubblico urbano. Tuttavia, seguendo Emma Jackson, gli spazi dei senza dimora includono non solo gli spazi pubblici ma anche altre tipologie di spazio, tra cui quelli che l’autrice chiama “organizzativi”585. In tal senso, il focus sullo spazio pubblico

rischia di sottovalutare tutta un’altra serie di spazi urbani che emergono come rilevanti quando si intende approcciare l’esperienza urbana delle persone senza dimora. Nello specifico, secondo

583Si vedano i diversi rapporti nazionali prodotti per conto di Feantsa, tra cui Busch Geertsema, 2006, op.cit. 584Tosi A., “Homelessness and the control of public space. Criminalizing the poor?”, op.cit.

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Jackson, è sicuramente necessario guardare allo spazio propriamente pubblico, ma al contempo vanno anche considerati anche i servizi che sono offerti a questa popolazione, in termini di, ad esempio, centri diurni e notturni e mense, e ai percorsi che vengono intrapresi all’interno del contesto urbano586.

In tal senso, il presente lavoro utilizza un concetto ampio di spazio pubblico, includendo nell’analisi non solo l’aspetto delle politiche urbane ma anche uno studio approfondito delle politiche sociali a favore di questa fascia di popolazione. Questo, tra l’altro, a maggior ragione, in due realtà urbane, come quelle di Bologna e di Amsterdam, famose per l’essere caratterizzate da un solido sistema di welfare.

Tuttavia, essendo una sociologa del territorio, credo fortemente nella specificità dei luoghi. Se, da un lato, mi concentro su due casi studio, dall’altro, non si tratta di uno studio di tipo fortemente comparativo. Lasciando ad altra sede la trattazione delle difficoltà di comparazione dovute alle profonde differenze culturali, sociali, economiche e politiche tra i vari paesi europei587, qui mi limito

a dire che l’obiettivo della presente ricerca non è comparare ma comprendere in modo approfondito cosa sta accadendo in queste due realtà urbane. Questi due casi studio, in particolare, possono dirci molto delle città in cui viviamo. Tuttavia, al contempo, questo non significa che il lavoro sia esente da confronti: dove possibile si sottolineano le differenze e le similarità e le ragioni alla base di queste similitudini e dissimilitudini.

L’originalità della presente ricerca è, dunque, da un lato, strettamente legata alla scelta dell’oggetto di studio, trattandosi di una ricerca che non si basa sui senza dimora o sullo spazio pubblico ma sulle dimensioni e sugli aspetti che sono alla base della loro relazione. Dall’altro, l’originalità è anche nel contesto: nessuno a Bologna, né tantomeno in Italia, si occupa del tema. Lo stesso dicasi per la città di Amsterdam, dove in particolare mi sono imbattuta in un contesto accademico dove il tema dei senza dimora è del tutto marginale. Ricordo che, nei primi passi della ricerca sul campo ad Amsterdam, quando ero ancora nella fase di contattare i potenziali interlocutori delle interviste, una persona al telefono mi rispose: «Perché vuoi studiare i senza dimora ad Amsterdam? Qui i senza dimora non esistono!». Ovviamente, i senza dimora ad Amsterdam esistono eccome. Ma, come indicatomi dalla mia referente estera, si tratta di un tema che solo pochi sociologi appartenenti al mondo accademico hanno affrontato.

La mia ricerca segue un approccio di tipo prevalentemente qualitativo. La scelta di seguire una metodologia di tipo qualitativo è discesa dal particolare oggetto di ricerca, dalle domande e dagli scopi che mi sono posta. In certi casi, infatti, i numeri non possono aiutare. Ciò è tanto più vero

586Ibidem

587Hebberecht P., Baillergeau E., Social Crime Prevention in Late Modern Europe. A comparative perspective,

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quando uno dei due termini del rapporto oggetto di indagine è una cosiddetta popolazione marginale. A questo proposito, è ben noto il limite delle statistiche quando si tratta di contare e descrivere le persone senza dimora in qualsiasi contesto urbano. Così, se, come vedremo, da un lato, contare è uno step imprescindibile in una ricerca di territorio, dall’altro, una ricerca sociologica che si pone gli scopi citati, ossia quelli di “comprendere” una data realtà sociale, deve necessariamente andare oltre a ciò che mostrano i numeri, riconoscendo la crescente complessità e diversità che caratterizzano i fenomeni sociali e urbani.

Per comprendere in modo approfondito fenomeni complessi e multidimensionali, infatti, si rendono necessari metodi in grado di scavare nel dettaglio, di andare “in profondità”. Poiché, gli obiettivi della presente ricerca sono quelli di:

 identificare, mappare e descrivere gli spazi pubblici significativi per le persone senza dimora, oltre a sottolinearne gli usi e le ragioni della loro significatività;

 analizzare la risposta della città rispetto alla presenza di questa popolazione in questi spazi;

 esplorare i principali cambiamenti sociali, politici ed economici della città da uno specifico punto di vista, quello della povertà urbana estrema,

ho sentito la necessità di andare sul campo e di “sporcarmi i pantaloni nella vera ricerca”. In tal senso, credo fortemente nell’insegnamento che Park diede ai suoi studenti. Il consiglio di Park è quello di abbandonare i propri libri, o comunque di affiancare a ciò che chiama “sporcarsi le mani nella ricerca” (il lavoro nelle biblioteche) l’osservazione in prima persona. «In breve, signori miei, andate a sporcarvi i pantaloni nella ricerca vera»588.

In generale, in base alle sue riflessioni, il ricercatore sceglie il metodo di indagine e gli strumenti di raccolta delle informazioni più adatti in relazione al tema della ricerca589. Questo lavoro, mirando

fin dall’inizio all’interpretazione del fenomeno oggetto di studio, ha seguito il consiglio di Agar, secondo cui quando un ricercatore si pone lo scopo di “apprendere”: «abbiamo bisogno di conoscere direttamente un mondo che si può conoscere solo andandogli incontro per cercarne di capire il significato»590. Tra l’altro, a supporto della scelta di un’analisi principalmente descrittiva e

interpretativa, interviene Guido Martinotti, nel suo lavoro Metropoli. L’autore, infatti, sottolinea l’importanza dell’analisi descrittiva nella sociologia quando scrive: «Molto spesso nel comune

588Park R., citato in Brewer J.D., Ethnography, Open University Press, Buckingham, 2000, pag. 13

589Gasperoni G., e Marradi A., Metodo e tecniche nelle scienze sociali, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, vol. V,

Roma, 1995

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discorrere sulle scienze sociali si usa il termine «descrittivo» in senso spregiativo, riferendolo a una operazione semplice e banale, mentre si considera la «spiegazione» una attività intellettualmente nobile. Posta in questi termini, peraltro usuali, la distinzione è del tutto fuorviante. Innanzitutto perché non si può spiegare alcun fenomeno che non sia stato accuratamente e precisamente descritto. La storia della scienza ci insegna che il primo, necessario e più difficile passo è proprio quello della descrizione. (…). La spiegazione segue dunque quasi naturalmente da una buona descrizione, così come, in generale, la soluzione di un problema discende dalla sua corretta impostazione»591. In

particolare, con specifico riferimento agli studi urbani, l’autore continua sottolineando come: «Descrivere, inoltre, è operazione tutt’altro che facile o banale. E in particolare descrivere fatti complessi e fortemente interattivi con la tonalità del reale come i fenomeni sociali nella città. In campo sociologico e in particolare nell’analisi dei fenomeni urbani è assai più difficile «descrivere» due o più fenomeni che spiegarne la connessione»592. Ancora, “descrivere”: «non significa rinuncia

a cogliere le implicazioni di carattere più generale che emergono dai fenomeni osservati, ma consapevolezza che il percorso dalla descrizione il più possibile rigorosa a una spiegazione o interpretazione completa dei fenomeni descritti implica molti e complessi passaggi e l’accumulazione di ulteriori conoscenze fattuali. Propongo insomma una procedura di carattere prevalentemente induttivo; invece di far discendere le analisi da un quadro teorico definito, cercherò di ricollegare la descrizione di determinati fenomeni ad alcune categorie generale che possono aiutarci a meglio comprendere i dati di osservazione»593. D’altronde, per dirla con Elster: «interpretare è spiegare»594.

In tal senso, tale ricerca intende collocarsi nell’ambito di quelle ricerche con l’intento di studiare “in diretta” i fenomeni urbani, osservandoli nei luoghi dove nascono e svolgono, come ci insegna Park. Nello specifico, in questa sede, l’analisi descrittiva ha permesso di delineare il più fedelmente possibile i fattori e le trasformazioni che, nella città contemporanea, entrano in gioco nel ridefinire il rapporto tra senza dimora e spazio pubblico. Inoltre, lo studio, tracciando le specificità e particolarità locali rispetto al problema della visibilità dei senza dimora negli spazi pubblici, si propone di contribuire alla ricerca di soluzioni locali ad un problema che assume caratteristiche altrettanto locali.

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 125-129)