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Politiche di aiuto e di inclusione in Italia

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 151-184)

PARTE SECONDA

2. Politiche di aiuto e di inclusione in Italia

Nel quadro delle politiche sociali italiane il tema delle persone senza dimora rimane per lungo

619Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle stazioni italiane. Rapporto annuale 2015,

www.onds.it/allegati/documenti/onds/20160713_ONDS_Rapporto_2015.pdf

620Osservatorio Nazionale sul Disagio e la Solidarietà nelle stazioni italiane. Rapporto annuale 2016,

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tempo ai margini. Il limitato e carente quadro normativo rivolto a questa fascia di popolazione ha, in particolare, impedito lo sviluppo di azioni ed interventi legislativi qualificabili come “buone prassi”621.

Bergamaschi, nel suo articolo “L’emergenza dell’esclusione sociale come categoria amministrativa” ripercorre il processo con cui viene istituito un nuovo campo di intervento, definito in termini di “esclusione sociale”, concentrandosi sulla produzione legislativa che riguarda la popolazione dei senza dimora a partire dal 2000622. In particolare, il sociologo bolognese sottolinea

come, a partire da questo particolare anno, l’esclusione sociale venga assunta al contempo come categoria di classificazione sociale e dell’azione politica (categoria amministrativa). Ciò: «da un lato, assicura una posizione sociale ad un insieme eterogeneo di individui che ne sono privi, in quanto non inclusi nella “società salariale” e, dall’altro, li rende parte integrante della collettività politica»623.

In altre parole, si assiste al riconoscimento socio-assistenziale di una nuova categoria con l’emanazione di politiche che hanno come target specifico questa fascia di popolazione. Tuttavia, se le persone senza dimora guadagnano finalmente una visibilità pubblica che si traduce in interventi sociali a loro favore, allo stesso tempo, il riunire sotto un’unica categoria, quella appunto di esclusione sociale, un ventaglio di figure sociali altamente eterogenee, con situazioni di vita e percorsi biografici altrettanto differenziati tra loro, conduce a un non trascurabile effetto di omogeneità e annientamento delle specificità, che a sua volta si riflette negativamente sulla possibilità di rispondere adeguatamente ai loro bisogni624.

Nel gennaio 2000, in seguito alla morte di alcune persone che vivevano in strada, l’allora Presidenza del Consiglio dei Ministri emana la prima misura in campo sociale indirizzata specificatamente alle persone senza dimora. Si tratta del decreto legislativo sulla cosiddetta “emergenza freddo” (Disposizioni urgenti per fronteggiare la grave emergenza riguardante le persone che versano in stato di povertà estrema e che si trovano senza dimora625) che prevede un

finanziamento consistente destinato alle sole aree metropolitane (individuate ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 142/1990) pari a 30 miliardi di lire per fronteggiare “lo stato di emergenza” tramite interventi “urgenti” in favore dei senza dimora. Ulteriori risorse finanziarie sono inoltre previste per: 1) il soccorso, accoglienza e assistenza nei confronti delle persone che versano in stato di povertà estrema da parte dei soggetti senza scopo di lucro operanti nel settore; e 2) la realizzazione di una rete

621FIO.psd, Rapporto sulle misure legislative nazionali a favore delle persone senza dimora, Marzo 2003,

www.fiopsd.org, pag. 2

622Bergamaschi M., “L’emergenza dell’esclusione sociale come categoria amministrativa”, in Sociologia urbana e rurale,

n. 74-75, 2004, pagg.41-48

623Ibidem, pag. 42 624Ibidem, pagg. 42-43

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di tutta una serie di centri e servizi che siano idonei ad accogliere, accompagnare e, eventualmente, reinserire queste persone nella rete delle strutture di protezione sociale. Questo primo intervento inquadra, dunque, la questione in termini prettamente emergenziali e di urgenza. Tuttavia, il fenomeno non andrebbe inquadrato in questo modo. Piuttosto, casi del genere, ossia persone escluse socialmente, esistono da sempre ed il problema di certo non è rappresentato unicamente dal freddo. Si pensi, ad esempio, al grande caldo. Inoltre, essendo il finanziamento destinato solo ad alcune realtà territoriali, le 14 aree metropolitane, viene a configurarsi una visione del fenomeno legato a specifiche aree urbane che non riesce a catturare la vastità e la diffusione dello stesso sull’intero territorio nazionale626.

In ogni caso, è tramite il Decreto D’Alema che finalmente, per la prima volta, le persone senza dimora acquistano la sfera pubblica, diventando soggetti pubblici. Questo permette alle amministrazioni locali interessate dall’atto legislativo di avviare e/o potenziare, a seconda dei contesti, la propria rete di servizi così come l’opportunità di raccordare il settore pubblico con il volontariato ed il terzo settore (cooperative sociali, associazioni). E, come vedremo, è da questo momento che le politiche cittadine tendono a riproporre lo schema della pietà e della forca già delineato anni fa da Geremek627.

Nel corso dell’anno 2000 viene promulgata a livello nazionale la Legge Quadro 328 sull’assistenza (Legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e Servizi Sociali, 8 novembre 2000, n. 328628). La legge, in particolare, è di cruciale importanza per la riorganizzazione

degli interventi a sostegno delle persone che si trovano in condizioni di grave disagio sociale. All’interno di questa legge vi è un riferimento piuttosto ricorrente alle persone in condizioni di povertà, in generale, e alle persone senza dimora, in particolare (art. 28). Nello specifico:

1) l’art. 2, al comma 3, stabilisce che le persone in condizioni di povertà o incapaci di provvedere alle proprie esigenze accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni;

2) l’art. 5, definendo il rapporto tra Pubblico e Privato Sociale, sostiene la valorizzazione dei soggetti operanti nel terzo settore;

3) l’art. 18, al comma 3 lettera b), indica la necessità di progettare percorsi attivi a favore delle persone in condizioni di povertà;

4) l’art. 22, nel definire le politiche e le prestazioni essenziali da erogare, situa al punto a): “le misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con

626FIO.psd, Rapporto sulle misure legislative nazionali a favore delle persone senza dimora, op.cit., pag. 4 627Geremek B., La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Roma, Laterza, 2003 628Pubblicato su G.U. n. 265 del 13 novembre 2000- Supplemento ordinario n. 186

152 particolare riferimento alle persone senza dimora”;

5) l’art. 27, al comma 1, istituisce, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione di indagine sulla esclusione sociale, il cui compito è di effettuare e presentare, annualmente, indagini sull’andamento del fenomeno dell’esclusione sociale;

6) l’art. 28, dedicato agli Interventi urgenti per le situazioni di povertà estrema, al primo comma recita: “Allo scopo di garantire il potenziamento degli interventi volti ad assicurare i servizi destinati alle persone che versano in situazioni di povertà estrema e alle persone senza fissa dimora, il Fondo nazionale per le politiche sociali è incrementato di una somma pari a lire 20 miliardi per ciascuno degli anni 2001 e 2002”.

Da un lato, la legge 328/2000 risulta essere innovativa nel momento in cui definisce il rapporto tra i diversi attori coinvolti nel contrasto all’esclusione sociale, affermando, in particolare, all’art.5, comma 1, il principio di sussidiarietà. Nello specifico, l’intervento a favore delle persone senza dimora è primariamente riservato al privato sociale, che però opera all’interno di un quadro stabilito dal Pubblico (la Regione e il Comune). Viene insomma valorizzata l’esperienza che le organizzazioni del Privato Sociale portano con sé. Dall’altro, però, la concretizzazione della legge a livello regionale e locale e, dunque, la messa in pratica dei criteri da essa stabilita procedono con non poche difficoltà, anche a causa delle poche risorse e della scarsa attenzione pubblica rispetto al fenomeno629.

Nel 2001, a norma dell’articolo 18, comma 2 della legge 328/2000, viene promulgato il Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali 2001/2003, che contiene un breve ma significativo paragrafo relativo specificatamente alle persone senza dimora. Nell’Obiettivo 3 (Potenziare gli interventi a contrasto della povertà) infatti si legge: «tra coloro che si trovano in situazione di grave disagio economico e di rischio di esclusione sociale particolare attenzione va prestata alle persone senza dimora. A queste persone vanno dirette specifiche misure sia per favorirne l’inserimento e il re-inserimento nei servizi (inclusi quelli sanitari), sia per accompagnarle in un percorso di recupero delle capacità personali e relazionali, sia infine per affrontarne i bisogni di sopravvivenza fisica». In particolare, in ogni contesto territoriale vanno previste misure volte a: «approntare, per i diversi livelli subterritoriali (quartieri/zone di particolare frequentazione dei senza dimora), almeno un servizio di bassa soglia, sviluppare almeno un servizio di seconda accoglienza e di accompagnamento, avviare iniziative di collaborazione tra servizi sociali, sanitari, del lavoro (oltre che con il volontariato) per consentire il progressivo re-inserimento nei servizi di tutti». Innanzitutto, dunque, viene stabilita una differenziazione degli interventi per l’accoglienza alloggiativa delle persone senza dimora (di primo livello o a bassa soglia di accesso e di secondo livello, come nel caso di comunità alloggio e

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appartamenti “protetti”). Inoltre, seppur indirettamente, viene prevista la possibilità di un’accoglienza di tipo progressivo ed, in tal senso, l’intervento emergenziale potrebbe mutare in un intervento più stabile e durevole nel tempo. Infine, viene specificato che gli interventi devono andare oltre l’accoglienza, puntando piuttosto all’attivazione di percorsi di risocializzazione della persona senza dimora, riconoscendone, così, la piena capacità di riscatto630.

Insieme, la legge 328/2000 e il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2013, rappresentano il primo vincolo legislativo che le amministrazioni pubbliche sono tenute a rispettare in favore delle persone in condizioni di povertà estrema, in generale, e delle persone senza dimora, in particolare. In particolare, si nota la forte tendenza del legislatore a concentrarsi sulle popolazioni più povere, finora tenute ai margini della sfera pubblica, al fine che possano rientrare nell’ambito di protezione sociale. Tuttavia, secondo Bergamaschi, questo nasconde un paradosso. In particolare, i due interventi: «tendono, per la prima volta, a ricondurre le condizioni di vita e di bisogno di queste persone all’interno di una categoria definita sul piano amministrativo, riproducendo quell’approccio categoriale al bisogno che ha caratterizzato storicamente il nostro sistema di welfare, mentre l’intera filosofia della 328/2000 sembra mirare a un suo superamento»631. Inoltre, considerando la profonda

eterogeneità e la complessità del fenomeno dell’esclusione sociale e della povertà estrema, con particolare riferimento alle persone senza dimora, il welfare categoriale appare un approccio del tutto riduttivo. In sintesi, l’idea di “sistema integrato di interventi e servizi sociali” sembra rimanere solo sulla carta.

Nel 2003, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali pubblica il Piano nazionale contro la povertà e l'esclusione sociale 2003/2005, un documento, elaborato da ogni Stato membro, in base a quanto stabilito dal Consiglio di Nizza (dicembre 2000), che definisce pro e contro delle politiche relative all’inclusione sociale. Di questo documento possono essere sottolineati tre aspetti632:

 in primo luogo, si nota una certa incertezza lessicale. “Persone senza dimora”, “persone senza fissa dimora”, “povertà estreme”: si parla di tutte senza specificare se coincidano o se la seconda sia parte della prima;

 un secondo aspetto riguarda gli obiettivi, molto generali, ossia: 1) ridurre il numero di individui in povertà estrema; 2) potenziare i servizi a livello locale a loro rivolti; 3) rendere “socialmente visibili” i senza dimora. Obiettivi di certo ambiziosi e lodevoli, ma che non vengono definiti in obiettivi più specifici e concreti;

630Ibidem, pag. 6

631Bergamaschi M., “L’emergenza dell’esclusione sociale come categoria amministrativa”, op.cit., pag. 46 632Ibidem, pag. 47

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 infine, anche le misure politiche di contrasto alle povertà estreme sono molto generiche e non immediatamente traducibili in interventi concreti.

Nell’ambito delle politiche di contrasto ai fenomeni di grave emarginazione degli adulti e al disagio abitativo, il 5 novembre 2015, in sede di Conferenza Unificata, vengono sottoscritte le Linee di Indirizzo per il Contrasto alla Grave Emarginazione Adulta in Italia, oggetto di apposito accordo tra il Governo, le Regioni, le Province Autonome e le Autonomie locali633. Il documento, presentato dal Ministro Poletti il 10 dicembre 2015, è il risultato di un gruppo di lavoro durato circa due anni e coordinato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali- Direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali. In particolare, i lavori per l’elaborazione delle Linee di Indirizzo vengono avviati nel mese di gennaio 2013 su iniziativa di fio.PSD (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora), in risposta alle raccomandazioni della European Consensus Conference on Homelessness, tenutasi a Bruxelles nel dicembre 2010, dove si esplicita che gli Stati Membri debbano dotarsi di una strategia uniforme di contrasto alla povertà estrema. Il lavoro di stesura, adottando un metodo partecipato che ha coinvolto i rappresentanti dei diversi livelli di governo e le città metropolitane, si è concluso nel mese di marzo 2015. Così, partendo dal basso e sulla base delle rispettive esperienze territoriali, le Linee contengono indicazioni preziose ed elementi utili per progettare politiche locali di contrasto alla grave emarginazione sociale, che colgono l’importanza di tutte le buone pratiche ed esperienze realizzate dagli attori sociali e dalle reti di intervento di settore, armonizzando approcci e linguaggi e unificando metodi e valutazioni. In particolare, sul sito del governo si legge che, le Linee, promosse e diffuse a livello nazionale, hanno lo scopo di qualificare gli interventi per le persone in grave marginalità attraverso indicazioni unitarie che raccolgono le migliori esperienze locali, nazionali ed europee634. Insomma, si intende dotare il sistema di welfare nazionale e il servizio sociale professionale di un quadro concettuale comune e di modalità di lavoro omogenee e condivise.

Le Linee sono il primo documento ufficiale di programmazione nel settore della marginalità grave e rappresentano, in tal senso, il primo grande impegno fatto da parte del governo per conoscere e indagare il fenomeno della povertà estrema e per definire standard operativi e paradigmi di intervento omogenei, riconosciuti e condivisi dai principali attori che, nel welfare italiano, si occupano di grave marginalità. In particolare, sulla base di tale accordo i diversi livelli di governo

633Conferenza Unificata del 05/11/2015: Accordo tra il Governo, le Regioni e le Autonomie locali per la promozione e la

diffusione delle line di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia. (Lavoro e Politiche Sociali) (Codice sito – 4.11/2015/9 – 1997, n.281. Repertorio Atti n.: 104/CU del 05/11/2015

634http://www.lavoro.gov.it/priorita/Pagine/Linee-di-indirizzo-per-qualificare-gli-interventi-per-le-persone-in-grave-

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sono chiamati a programmare, concertare, progettare e finanziare con risorse pubbliche gli interventi e le azioni di contrasto alla povertà estrema. In breve, per la prima volta, in Italia, attraverso un impegno formale, si stabiliscono, dei “livelli minimi essenziali” per contrastare l’homelessness, riducendo, tra l’altro, la distanza tra teoria e pratica e favorendo risposte concrete al problema.

Nella forma, le Linee rappresentano una buona pratica di governance multilivello a forte valenza partecipativa. Nel contenuto, dopo una breve premessa concettuale e un’analisi dei servizi applicabili, constano di dieci paragrafi, in cui vengono elaborati contributi specifici sui diversi temi. La grave marginalità adulta è declinata attraverso la classificazione ETHOS (European Typology of Housing Exclusion) basata su quattro macro categorie: senza tetto, senza casa, alloggi insicuri e alloggi inadeguati. Le Linee puntano poi l’attenzione sui diritti civili e sociali delle persone senza dimora, tra cui, in primis, il diritto alla residenza anagrafica, come sancito dall’art. 2, comma 3, della legge n. 1228 del 24 dicembre 1954 (“legge anagrafica”). Il documento passa ad una rassegna delle varie pratiche usate in Italia per il contrasto alla grave emarginazione adulta. Tra queste635:

 servizi di supporto in risposta ai bisogni primari (distribuzione viveri, indumenti e farmaci, docce, mense e unità di strada);

 servizi di accoglienza notturna (dormitori di emergenza, dormitori, comunità semiresidenziali o residenziali, alloggi protetti o autogestiti);

 servizi di accoglienza diurna (centri diurni, circoli ricreativi e laboratori);

 servizi di segretariato sociale (servizi informativi, di orientamento e di accompagnamento ai servizi del territorio, residenza anagrafica fittizia, domiciliazione postale);

 servizi di presa in carico e accompagnamento (sostegno psicologico, educativo ed economico, inserimento lavorativo, ambulatori, tutela legale).

Il documento fa poi riferimento a tre tipologie di approccio636:

1) l’approccio categoriale, emergenziale o residuale: basato sull’emergenza, prevede l’attivazione temporanea di servizi straordinari per le persone senza dimora in aggiunta ai normali servizi esistenti (si pensi all’emergenza freddo);

2) lo “staircase approach” (approccio a gradini): basato su una logica educativa progressiva e

635Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Linee di Indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione in Italia,

2015, http://www.fiopsd.org/linee-di-indirizzo-per-il-contrasto-alla-grave-emarginazione-adulta-in-italia/, pagg. 20-22

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standardizzata, prevede interventi che vanno dalla prima accoglienza fino al reinserimento sociale;

3) l’approccio olistico o multidimensionale: prevede percorsi costruiti sulla singola persona nell’ambito di una relazione individualizzata con un operatore sociale. In questo approccio rientrano i servizi housing led e housing first, secondo i quali la casa, intesa come luogo stabile, sicuro e confortevole, è il punto da cui partire per avviare un percorso di inclusione sociale della persona senza dimora.

La seconda parte del documento è dedicata alla declinazione operativa delle pratiche di contrasto alla povertà estrema che possono essere messe in atto nel paese. Il primo paragrafo, riconoscendo la complessità e la dinamicità del fenomeno della grave emarginazione, ne descrive le diverse tipologie: i senza dimora irregolari (senza un valido titolo di soggiorno), i profughi e i richiedenti asilo, le donne senza dimora, le persone senza dimora giovani, i senza dimora over 65, persone senza dimora con disturbi fisici e mentali e, infine, i senza dimora che patiscono discriminazioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. I paragrafi successivi danno spazio al tema della residenza; alla gestione dell’emergenza in un'ottica di investimento attivo orientato a promuovere la persona (più che di moltiplicazione dei posti letto disponibili); alla valorizzazione del servizio prestato dalle unità di strada; al miglioramento dei servizi di accoglienza, sia notturna che diurna, puntando sulla creazione di spazi di integrazione sociale e di contatto con la comunità; al potenziamento delle mense e dei centri di distribuzione di alimenti e generi di prima necessità; alla presa in carico da parte di un equipe multidisciplinare; all’importanza dell’adozione di un “approccio ecologico” da parte dei professionisti sociali, che valuti le persone e le problematiche sociali all’interno di un determinato contesto e sistema sociale, permettendo il passaggio da una logica assistenzialista a una logica di potenziamento delle capacità individuali; all’housing first, come pratica innovativa in tema di autonomia abitativa e reinserimento sociale raccomandata a tutti ma da declinare secondo le specificità territoriali e le risorse locali disponibili. Infine, si fa riferimento al modello strategico integrato, sulla base del quale occorre puntare all’integrazione dei vari settori che compongono le politiche (salute, casa, istruzione, formazione, lavoro, ordine pubblico, amministrazione della giustizia, ecc.), superando, così, la frammentazione dei servizi in questo ambito. In particolare, per ogni paragrafo, trova spazio un elenco di raccomandazioni su come rendere esigibili i diritti delle persone senza dimora, su come progettare e realizzare i servizi in sinergia con l’attore pubblico e su come muoversi verso il cambiamento sensibilizzando la comunità.

In conclusione, le linee guida contenute nel documento rappresentano un modo nuovo e partecipato di affrontare il problema delle persone senza dimora, sancendo un passaggio significativo

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nell’ambito delle politiche e delle pratiche a loro rivolte. In particolare, riconoscendo l’importanza di usare al meglio le risorse a disposizione, il fine ultimo è quello di promuovere, in un’ottica integrata, opportunità per queste persone e non semplicemente assistenzialismo.

2.1. Le politiche sociali a Bologna

Nel luglio del 2008 viene deliberata la riforma dei Servizi Sociali che prevede l’avvio del sistema decentrato di erogazione dei servizi. In particolare, la riforma abolisce lo Sportello Sociale unico e istituisce gli Sportelli Sociali Territoriali di Quartiere. Sono dunque tutti i servizi di quartiere ad avere il mandato di prendere in carico le persone senza dimora. Questo porta con sé una prima criticità: i professionisti dei servizi sociali si trovano, da un giorno all’altro, a dover prendere in carico utenti di cui non sono esperti. Un secondo aspetto riguarda il criterio cui è vincolata l’erogazione delle prestazioni: occorre essere residenti nello specifico quartiere di Bologna cui ci si rivolge. In generale, la legge prevede che ognuno abbia il diritto e il dovere di richiedere le prestazioni sociali nel proprio comune di residenza. In particolare, i servizi di quartiere hanno competenza solo sulle persone senza dimora residenti, a meno che non si tratti di persone non residenti che “insistano sulla loro area” e che presentino un “bisogno indifferibile e urgente”. “Insistano sulla loro area”: questo è un altro aspetto problematico. La persona senza dimora, per definizione, tende a muoversi e spostarsi

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 151-184)