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Gli esclusi dal “pubblico”: criminalizzando i senza dimora

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 77-89)

L’esclusione dallo spazio pubblico urbano di certe categorie non è nulla di nuovo. I poveri e gli

336Flusty S., “The banality of interdiction: surveillance, control and the displacement of diversity”, op.cit., pag. 664 337Ibidem, pag .660

338Ibidem, pag. 664

339MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city”? On the spatial injustices of Glasgow's

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indigenti sono sempre stati rimproverati per i loro comportamenti irresponsabili e c'è poca differenza nel modo in cui questi reietti erano stigmatizzati nel passato e il modo in cui, oggi, le popolazioni marginalizzate sono escluse socialmente e spazialmente. Insomma, i vecchi processi continuano ad agire: il passato si trasforma ma non viene eliminato. Con riferimento ai senza dimora, ad esempio, sottolinea Randall Amster che l'esclusione non è una novità, piuttosto: «sono riemerse l'esclusione e la marginalizzazione spaziali dei poveri che già esistevano nel corso della modernità»340.

Tuttavia, oggi qualcosa è cambiato. Quel che è nuovo nei processi di esclusione, sorveglianza e controllo sembra essere una maggiore meschinità che li contraddistingue. Amster, a questo proposito, scrive: «le tendenze contemporanee riflettono un ulteriore avanzamento nei modelli del fervore normativo e della casuale brutalità»341. L'autore, in particolare, parla di vera e propria violenza che

pervade le politiche urbane342. Smith, dal canto suo, come vedremo, parla di “città revanscista”, una

città in cui i gruppi dominanti chiedono vendetta, vendetta che, in termini legali, si materializza in una vera e propria criminalizzazione di certe popolazioni svantaggiate343. Infatti, le pressioni così

intense di massimizzare i profitti nelle aree rigenerate spesso portano all'esclusione penale della gente di strada, degli attivisti politici e degli artisti indipendenti, insomma di tutti coloro che potrebbero compromettere la rigida etica della “cittadinanza consumistica”344.

Indubbiamente, il controllo dello spazio pubblico ha un impatto su diversi gruppi sociali. La privatizzazione e il deterioramento dello spazio pubblico incide, ad esempio, sulla presenza dei bambini nello spazio pubblico. Cindi Katz, a questo proposito, da un lato, sottolinea la carenza, in città, di spazi dove i bambini possano giocare e, dall'altro, sostiene che un ruolo importante, nell'esclusione dei bambini dallo spazio pubblico, è giocato dal “discorso terroristico”, che spinge a tenere i bambini al sicuro negli ambienti pubblici345. Anche Elisabetta Forni affronta la questione

dell'esclusione dei bambini dallo spazio pubblico, concludendo che: «sono guardati come “diversi” e considerati “indesiderati” o “fuori posto” in molti spazi pubblici, allo stesso modo dei mendicanti e degli homeless»346. Forni riporta l'esempio di alcuni ristoranti americani in cui viene esibito un

cartello che vieta l'ingresso a cani e bambini, e aggiunge: «persino laddove lo spazio pubblico sembrerebbe orientato ad accoglierli le recinzioni entro le quali è loro consentito muoversi e giocare fanno più pensare a strategie di contenimento»347.

340Amster R., “Patterns of exclusion: sanitizing space, criminalizing homelessness”, op.cit., pag. 195 341Ibidem

342Ibidem

343Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit. 344Christopherson S., “The fortress city:privatizad spaces, consumer citizenship”, op.cit.

345Katz C., “Power, space and terror: social reproduction and the public environment”, in Low S., Smith N., The politics

of public space, op.cit, pagg. 105-121

346Forni E., “La città come convivenza”, in Boniburini I., Alla ricerca della città vivibile, Alinea, Firenze, 2009, pag. 45 347Ibidem

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Un altro gruppo che sembra perdere il pieno diritto agli spazi pubblici è quello rappresentato dai giovani che possiamo considerare “indisciplinati”. Un esempio è rappresentato dai writers, un altro dagli skaters. Rispetto a questi ultimi, e concentrandosi sui stratagemmi di esclusione di tipo architettonico, Borden scrive: «come i senza dimora sono espulsi dalle aree di commercio e di vendita da tattiche come panchine inclinate alle fermate dei pullman, davanzali con spuntoni e spruzzatori alle porte, così anche gli skaters incontrano superfici ruvide, spuntoni e protuberanze installate sui corrimani, mattoni di cemento posizionati ai piedi dei bank, catene sui fossi e sulle scale, e nuove superfici come la ghiaia e la sabbia»348. Staeheli e Thompson si concentrano, invece, sui giovani

“controculturali” di “The Hill”, un quartiere universitario di Boulder, nel Colorado. I due autori, in particolare, descrivono il conflitto sull'accesso a “The Hill”, che vede, da un lato, questi giovani, e, dall'altro, le associazioni di quartiere, quelle dei commercianti e l'amministrazione comunale. Nella visione dei secondi i primi non sono veri cittadini in quanto non responsabili e, in quanto tali, pongono una minaccia all'ordine e al comfort dell'area. Così, per assicurare la sicurezza e l'ordine si assiste ad un aumento delle forze dell'ordine presenti nella zona, di forme di recinzioni e avvisi di “non bivaccare” o “non fare skate”. Anche se effettivamente questi giovani non vogliono essere membri della comunità convenzionale, visto che hanno una propria economia, le proprie norme sociali e il proprio sistema di giustizia, gli autori si oppongono alla restrizione dello spazio pubblico nei confronti di qualsiasi cittadino, indipendentemente dal fatto che si adatti o meno al modello della comunità dominante349.

Ancora, tra gli “esclusi dal pubblico” figurano i venditori ambulanti, che spesso sono anche immigrati senza documenti, il che li rende “doppiamente illegali”350. Negli spazi pubblici delle grandi

città spagnole, ad esempio, tradizionalmente occupati da prostitute, senza dimora e spacciatori, si assiste, durante il corso degli anni '80, ad un fenomeno conosciuto come quello dei “blanket hits”: una miriade di venditori, per lo più immigrati illegali, inizia a vendere merce contraffatta sui marciapiedi. Questo fenomeno, accanto a quello della “grande bottiglia” (che ha visto milioni di giovani incontrarsi nello spazio pubblico per consumare alcolici) hanno generato tutta una serie di paranoie, individuali e collettive, che hanno portato ad un maggiore controllo dello spazio pubblico spagnolo351.

Dunque, seppur con modalità differenti, il controllo dello spazio pubblico colpisce svariati gruppi. Vi è, però, un gruppo su cui tale controllo ha un impatto particolarmente forte, se non

348Borden I., Skateboarding, space and the city: architecture and the body, Berg, Oxford, 2001, pag.254 349Staeheli L.A., Thompson A., “Citinzenship, community and struggles for public space”, op.cit., pagg. 32-38

350Crawford M., “Contesting the public realm: struggles over public space in Los Angeles”, in Journal of Architectural

Education, vol. 49, n.1, 1995, pagg. 4-9

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disastroso, ossia su coloro che, a causa della mancanza di un tetto, sono costretti a utilizzare questi spazi ventiquattro ore su ventiquattro e per ogni tipo di attività, anche quelle private. In tal senso, i senza dimora possono essere considerati il gruppo che più viene influenzato e, al contempo, danneggiato dai cambiamenti che investono lo spazio pubblico della città contemporanea. Il controllo dello spazio infatti, da un lato, conduce ad una riduzione degli spazi di vita dei senza dimora, dall'altro, riflette un cambiamento nella loro rappresentazione sociale, cambiamento che può avere delle serie conseguenze sulle politiche352. Scrive Tosi: «inquadrare la questione in termini di ordine

pubblico e fastidio/disagio sottrae la questione dei senza dimora dalle politiche sociali. La estrae dal campo delle politiche positive e questo nuovo approccio riflette una prospettiva patologica individuale/sociale che cerca di rendere i senza dimora responsabili, se non addirittura in colpa per le loro condizioni»353. Si pensi, ad esempio, alle ben note politiche di “tolleranza zero”.

Concludendo, è possibile affermare che questi processi di controllo, uniti alla maggiore richiesta di sicurezza, ordine e comfort, non danneggiano solo le classi svantaggiate e i gruppi che perdono i diritti allo spazio pubblico. Piuttosto, danneggiano anche i gruppi sociali dominanti, in quanto si vengono a creare visioni distorte della città e della democrazia. Susan Bickford, a questo proposito, evidenzia come la segregazione e l'esclusione causate dalla gentrification creino un'immagine di città purificata che induce in coloro che vivono nelle aree rigenerate una visione impropria sia della città che di coloro che vi abitano354. Scrive Bickford: «quando ci stabiliamo in queste enclosures mettiamo

in pericolo la possibilità di politiche democratiche, soprattutto quando diventiamo così abituati alle mura che dimentichiamo che sono lì, e iniziamo a immaginare che il mondo è costituito solo di coloro che si trovano all'interno dei cancelli»355.

5.1. Verso una “città revanscista”?

L'architettura rappresenta uno dei meccanismi tramite cui le strutture di potere sono espresse e rinforzate nello spazio pubblico della città. Le ordinanze e la legge rappresentano un altro modo di regolare il comportamento e controllare questo stesso spazio. A questo proposito, Jonah Williams, analizzando in che modo la politica, accanto all'architettura e al discorso, contribuisca nel creare rappresentazioni dei senza dimora come criminali e, conseguentemente, nell'escluderli, scrive: «le persone che abitano nello spazio pubblico non modellano la politica che riguarda quello spazio,

352Tosi A., “Homelessness and the control of public space. Criminalizing the poor?”, in European Journal of

Homelessness, vol. 1, Novembre 2007, pagg. 228-229

353Ibidem

354Bickford S., “Constructing inequality: city spaces and the architecture of citizenship”, in Political Theory, vol. 38, n.

3, 2000, pagg. 361-363

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piuttosto sono loro stesse ad essere modellate dalla politica». Questo lo porta a chiedersi: «chi modella la politica?». Secondo l'autore, sia la politica locale che quella nazionale operano, come, tra l'altro l'architettura e il discorso, “nel nome del business”356.

Un principio, infatti, oramai quasi consolidato è che le città risultano oggi inserite in circuiti economici globali e che, per poter competere con successo all’interno del mercato mondiale, esse devono aumentare ed intensificare le loro connessioni a tali circuiti mettendo in campo politiche affini a quelle tradizionalmente realizzate da attori economici. Come abbiamo già avuto modo di spiegare, Harvey definisce questo fenomeno come il passaggio da un approccio “manageriale” a uno “imprenditoriale” nella politica della città. Prima dell’affermarsi dello scenario neoliberale, divenuto evidente negli anni '80, la politica urbana era intesa essenzialmente come governo dei servizi collettivi, gestione del welfare, supporto alla riproduzione della società locale. L’affermazione del neoliberismo, su scala urbana, ha significato diminuzione dell’intervento pubblico, riduzione dei servizi, e spesso privatizzazione degli stessi. Le città sono state spinte a “reinventare” la propria politica per attrarre risorse: a diventare sorte di “imprenditori” capaci di “creare” gli spazi più adatti per “fare affari”, attrarre investimenti ed imprese, per esempio costruendo partnership con attori privati per lo sviluppo di grandi progetti immobiliari, oppure facendo pubblicità per “vendere” la città (il cosiddetto marketing urbano)357.

Smith, per catturare questo profondo cambiamento avutosi nella politica urbana, conia il concetto di “città revanscista”358. In particolare, sono due gli aspetti da sottolineare nell'emergere della città

revanscista. Da un lato, questa nuova politica si traduce in un accresciuto attivismo sociale in termini di controllo sociale; in altri termini, sorge uno stato maggiormente autoritario e punitivo. Dall'altro, il revanscismo è chiaramente connesso ai continui processi di gentrification che interessano la città contemporanea, processi che vedono una parte del pubblico, quella forte e apparentemente legittima, “rivendicare” certi spazi che si considerano essere stati occupati illegittimamente dal pubblico degli altri indesiderabili359. In particolare, con “revanchist city” l'autore fa riferimento alla: «reazione

disciplinare e securitaria delle classi benestanti, installate nei quartieri gentrificati, contro i poveri e i senza dimora»360, e altri gruppi sociali che, con la loro presenza e le loro attività, ostacolano

l'appropriato funzionamento dello spazio pubblico, le cui caratteristiche critiche sarebbero, secondo le classi dominanti, ordine, comfort e sicurezza. In tal senso: «il motto della città revanscista potrebbe

356Williams J., “Homelessness as delinquency: how private interests enforce constructs of normalcy in public space”,

op.cit., pag.10

357Harvey D., “From managerialsm to entrepreneurialsm: the transformation of urban governance in late capitalism”,

op.cit.

358Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit.

359Meert H. et al., “The changing profiles of homeless people: conflict, rooflessness and the use of public space”,

Novembre 2006, www.feantsa.org, pagg.4-5

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anche essere: chi ha perso la città? E nei confronti di chi viene pretesa la vendetta?»361.

L'era del neoliberalismo revanscista abbandona la mission della lotta alla povertà e tende, al contrario, ad essere caratterizzata da un discorso basato sulla vendetta nei confronti di alcuni specifici nemici, in particolare le minoranze, la classe operaia, i senza dimora, i disoccupati, le femministe, gli attivisti ambientali, i gay e le lesbiche, gli immigrati362: in una parola, i nemici pubblici dell'élite

politica borghese. Negli Stati Uniti il revanscismo va oltre l'ideologia politica e la crociata morale, facendosi strada nella legislazione municipale. Ordinanze che rendono illegale il mendicare, il dormire o l'urinare negli spazi pubblici sono, infatti, utilizzate in modo crescente da parte delle amministrazioni locali per “ripulire” lo spazio pubblico destinato ad essere usato dai turisti, dalla classe media, dai consumatori, dai residenti e dai pendolari benestanti. Quando le città competono per attrarre investimenti e city users si mostrano disponibili a imporre norme e limiti nei confronti degli “indesiderabili”, criminalizzando il loro comportamento offensivo e sgradevole agli occhi della classe medio-alta. In tutto ciò gioca un ruolo importante la riproduzione della paranoia e delle paure da parte dei media e dei politici (soprattutto in scadenza elettorale) che amplificano e aggravano i sentimenti della classe media alla ricerca di qualcuno da incolpare per la loro insicurezza percepita negli spazi pubblici urbani. Come sappiamo, la città contemporanea viene associata ad arte al senso di insicurezza e paura provocato dalla microcriminalità presentata come dilagante e spietata, anche quando i dati ufficiali indicano trend decrescenti dei delitti più gravi. In tal senso, le conseguenti strategie punitive di recinzione, contenimento e repressione per affrontare i cittadini “indisciplinati” sono solitamente presentate dai suoi creatori come necessarie ed efficaci, ed accettate come tali dai cittadini.

E' negli anni '90 che a New York emerge una visione esclusionaria della società civile, una visione fortemente connessa alla vendetta, un atteggiamento collettivo di rivincita, un tentativo di bandire al di fuori del centro coloro che non si considerano parte del pubblico. Non sorprende, così, che nel 1993 Rudolph Giuliani, anche chiamato “Benito” Giuliani363, viene eletto sindaco con la

promessa di offrire una migliore “qualità della vita” ai membri “legittimi” della società. Al tempo di Giuliani le tattiche vendicative si intensificano drammaticamente364. Il sindaco, preoccupato del

“disordine negli spazi pubblici della città”, mette in atto una strategia di “tolleranza zero” mirata a “reclamare” e a “ripulire” gli spazi pubblici della città di New York, assicurando l'esclusione di certi tipi di individui e attività. In particolare, identifica come “nemici interni” specifici gruppi, tra cui

361Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit., pag. 227 362Ibidem, pag. 211

363Smith N., “New globalism, new urbanism: gentrification as global urban strategy”, in Antipode, vol. 34, n. 3, 2002,

pag. 429

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senza dimora, mendicanti, prostitute, lavavetri, writer, ciclisti spericolati, squatter, giovani indisciplinati, e considera gli stessi come strumentali nell'incoraggiare un'ecologia della paura tra coloro considerati decenti ed onesti cittadini di New York365. Un atteggiamento particolarmente

repressivo nei confronti di questi “colpevoli”, come esemplificato dalle ben note politiche di tolleranza zero da parte della polizia di New York sotto l'amministrazione di Giuliani, potrebbe essere considerato il tratto tipico della città revanscista. In particolare, Giuliani ordina la polizia di New York di perseguire con “tolleranza zero” i gruppi appena citati in quanto costituiscono una minaccia alla “qualità del vivere urbano” della maggioranza e la cui presenza non va dunque tollerata366.

L'ethos revanscista va oltre la tolleranza zero, comprendendo tutta una serie di politiche devote all'ideologia neoliberista anti-welfare e ad una “compassion fatigue” che segna una sempre più diffusa erosione della simpatia pubblica nei confronti dei diseredati367. Scrive Smith: «la città revanscista è,

senza dubbio, una città duale, divisa tra una città del benessere e una città della povertà... Ma è qualcosa in più. E' una città divisa in cui i vincitori sono sempre più difensivi rispetto ai loro privilegi, e sempre più crudeli nel difenderli... L'indifferenza benigna dell'“altra metà”, così dominante nella retorica liberale degli anni '50 e '60, è stata soppiantata da una crudeltà più attiva che cerca di criminalizzare un'intera serie di “comportamenti”, definiti individualmente, e di accusare del fallimento della politica del post-1968 le popolazioni che lo stesso doveva assistere»368. Si arriva così

alla criminalizzazione e punizione dei comportamenti devianti che comprendono, sì, fattispecie criminose gravi, ma anche comportamenti, come l'accattonaggio, il vagabondaggio o il lavoro nero, che sono frutto di situazioni di povertà e disagio.

Smith sostiene che il revanscismo non riguarda esclusivamente New York o le città americane in generale, ma che sia una tendenza comune alle ristrutturate geografie urbane delle città tardo capitaliste369. Altri ricercatori hanno così affrontato la questione dell'applicabilità del revanscismo in

altri contenti urbani. Tra questi, MacLeod analizza se e in che modo il revanscismo abbia guidato la rinascita di Glasgow, in Scozia. L'autore sostiene che se, da un lato, negli anni '90 il trattamento di disprezzo riservato ai senza dimora suggerisce che la città reca le impronte di un'emergente politica di revanscismo, dall'altro, quest'ultimo non è presente a tutti gli effetti, soprattutto a causa dell'esistenza, in quella città, di una serie di politiche di assistenza alle popolazioni marginali370.

365MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city?” On the spatial injustices of Glasgow's

renaissance”, op.cit., pagg. 607-608

366Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit, pagg. 3-4

367MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city?” On the spatial injustices of Glasgow's

renaissance”, op.cit., pag. 608

368Smith N., The new urban frontier: gentrification and the revanchist city, op.cit., pag. 227 369Ibidem

370MacLeod G., “From urban entrepreneurialism to a “revanchist city?” On the spatial injustices of Glasgow's

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Anche Atkinson, con riferimento allo spazio pubblico delle città britanniche, sostiene che, in un certo modo, il revanscismo si sia infiltrato nelle politiche di controllo e sicurezza; tuttavia, non è possibile parlare di vera e propria vendetta371. Nelle città europee, dunque, il concetto di città revanscista va

affrontato con occhio critico. Piuttosto che vendicarsi, gli attori coinvolti (la società, i politici, le guardie di sicurezza) mirano a correggere, e nel caso più estremo, a rimuovere, uno specifico gruppo sociale che vive su un determinato territorio. Tuttavia, anche se non è possibile parlare di vero e proprio revanscismo nel caso della politica urbana europea ciò non vuol dire che non si osservino tendenze simili anche nel governo delle città europee. Anna Minton, analizzando le “ordinanze sul comportamento anti-sociale” (anti-social behaviour orders) in Gran Bretagna, dove con “comportamento anti-sociale” si intende qualsiasi condotta che può causare “molestia, preoccupazione e angoscia”, scrive: «non c'è alcun dubbio che il concetto (…) deve molto alla teoria delle finestre rotte e alle politiche di tolleranza zero americane»372. Queste ordinanze, da un lato,

criminalizzano attività non criminali, come il mendicare, dall'altro, personificano il concetto di deterrenza, imponendo l'esclusione di specifici individui da specifiche aree373. Inoltre, le ordinanze

che, direttamente o indirettamente, colpiscono questi gruppi, in particolare i senza dimora, differiscono notevolmente da paese a paese.

5.2 La criminalizzazione dei senza dimora e la “città post-giustizia”

Argomenti simili emergono negli scritti sulla criminalizzazione della povertà di Loϊc Wacquant374 e in quelli sulla “città post-giustizia” di Don Mitchell375. In particolare, questi autori

concordano sul fatto che la raffica di ordinanze di tipo punitivo, che vietano certe attività nello spazio pubblico (come il dormire, il mendicate, l'urinare o il consumare alcolici), al fine di “proteggere” il pubblico maggioritario, quello legittimo, e di permettere che i centri cittadini si “purifichino” per essere “consumati”, risultano nella criminalizzazione della povertà e, in particolare, dei senza dimora. Con specifico riferimento ai senza dimora, Mitchell sostiene che la risposta dei regimi politici urbani, preoccupati per l'immagine della città e del problema della “visibilità” dei senza dimora (a causa della mancanza di un qualsiasi spazio privato), è stata quella di rendere illegali, sotto lo sguardo pubblico, alcune attività tipiche, oltre che necessarie e basilari, che questa popolazione porta avanti

Nel documento Persone senza dimora e spazio pubblico (pagine 77-89)