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Gli scavi nell’abside (CIL X, 1148* 1221*, 1373*, 1425*, 1443*, 1444*)

1. La basilica di S Saturnino

1.1. Gli scavi secenteschi nella basilica di S Saturnino: prima fase (1614-1615)

1.1.6. Gli scavi nell’abside (CIL X, 1148* 1221*, 1373*, 1425*, 1443*, 1444*)

Il 19 novembre si scavò nel settore absidale della basilica. La documentazione notarile relativa a queste ricerche, come affermato esplicitamente, doveva essere allegata alla presente, ma risulta perduta (f. 15r): Die 19 novembres 1614 in ecclesia Sancti Saturnini Calari. Passant avant la

dita serca sa paternitat ab Gavi Tola, Antiogo Sabater beneficiats, lo canonge Astrada, los pares caputzins fra Pere de Sasser, fra Francisco Sanzes o de Caller sacerdots, fra Jacomo de Dezimo Putzo caputzins y altres ecclesiastichs y los continuos traballadors ab mestre Pinna y altres llaychs no se feu altre cosa que la faena de la tribuna segons en los actes sobre aço fets a part en altre quadern que se juntara ab lo present.

Anche il giorno seguente si continuò ad indagare quel settore, alla presenza dell’arcivescovo che celebrò la messa e le consuete funzioni religiose (f. 15r-v): A 20 dit nohembre 1614 en dita

Iglesia de Sant Sadorro. Vingut sa senyoria illustrissima y reverendissima lo senyor archebisbe ab lo dit son vicari, canonges Joan de la Bronda, Cosma Escarxon, Melchior Fensa, Aquiles Busquets beneficiats, Antiogo Sabater, Camilo Porlasi, Gavi Tola, Antoni Barbanso, Miquel Xinus, los pares Noni y Meli, fra Francisco de Caller ab son companyo fra Bernat de Caller, Marti Esquirro, Miquel Pinna picapedrer y los ordinaris traballadors y altres molts ecclesiastichs y seglars se canta lo himne veni Sancte Spiritus ab les solites oracions com tots los demes dies sa senyoria digue missa ressada y deapres se passa avant en la faena de la tribuna.

Purtroppo il giornale di scavo relativo al 19 e 20 novembre 1614 non è pervenuto, per cui non si dispone di un resoconto dettagliato delle ricerche compiute nell’abside della basilica. Il D’Esquivel112 non fornisce una descrizione puntuale degli scavi effettuati, ma si limita a menzionare

il rinvenimento di quattro frammenti di iscrizioni. Tre di essi non trovano alcun riscontro nelle altre fonti (CIL X, 1425*; 1373*; 1443*), mentre un quarto (CIL X, 1444*) viene riportato anche dal Carmona.

Il primo frammento, relativo ad un epitafio, non conserva il nome del defunto né altri elementi particolari, ma solo la formula iniziale b(onae) m(emoriae) e l’inizio della parola requievit. Le due lettere centrali sono di difficile interpretazione: forse facevano parte del nome del defunto, ma nell’ottica dell’autore, generalmente poco accurato nel trascrivere le epigrafi, la M doveva probabilmente significare che si trattava di un martire.

In questo secondo frammento si dovrebbe leggere B(onae) m(emoriae) [---] Sev[erus ---], per cui esso andrebbe riferito ad un personaggio omonimo del vescovo la cui tomba era stata scoperta nella capilla mayor durante i primi giorni di scavo.

La terza iscrizione è riprodotta anche nel manoscritto del Carmona con alcune differenze. A detta dell’arcivescovo, la targa avrebbe dovuto segnalare un deposito di reliquie113. Le due

trascrizioni differiscono nell’ultima parola, che in Carmona è abbreviata. La lezione Frati riportata dal D’Esquivel, da intendersi come ‘fratello’, va probabilmente riferita all’appartenenza alla medesima comunità ecclesiale e non ad un legame di sangue, per cui l’epigrafe avrebbe dovuto commemorare le reliquie di un fratello nella fede114.

112 D’ESQUIVEL, pp. 51-53.

113 Sulla presenza di depositi di reliquie accompagnati dalle relative iscrizioni in contesti africani vd. DUVAL 1982, pp.

550-555; l’autore ne sottolinea la datazione tarda, che va dalla fine del V sec. all’età bizantina.

114 Sulle diverse accezioni del termine ‘fratello’ nelle iscrizioni vd. JANSSENS 1981, pp. 162-169; si tende a riferire alla

Per quest’ultima iscrizione, che potrebbe anche essere una duplicazione della precedente, si possono fare le stesse considerazioni formulate sopra.

L’Esquirro115 riporta una serie di dati archeologici ben più precisi per quanto riguarda la zona

oggetto di scavo. In primo luogo egli descrive il paramento a ricorsi bianchi e neri presente all’interno dell’abside, tuttora esistente; in secondo luogo afferma che al suo interno, dalla parte del vangelo, fu scoperta una sorta di cisterna, oltre a strutture in laterizi interpretate come un canale e varie sepolture vuote, in quanto in tutto il presbiterio non furono rinvenute ossa. Numerosi invece i frammenti di iscrizioni in marmo, su alcuni dei quali si potevano ancora leggere le parole B(onae)

M(emoriae); Vixit; Requievit in pace; Kalendis.

Un riscontro attendibile, che permetta di vagliare l’autenticità delle informazioni fornite dagli autori secenteschi, è impossibile a causa della perdita degli atti notarili relativi agli scavi in questo settore. In proposito si possono tuttavia formulare alcune considerazioni, che riguardano da un lato i dati archeologici, dall’altro quelli epigrafici. Per quanto riguarda i primi, la situazione riscontrata nell’abside coincide con quanto è stato possibile verificare in occasione delle ricerche compiute dallo Scano e dal Taramelli negli anni ‘20 del Novecento116. In quell’occasione si rinvenne l’abside

originario della basilica bizantina, più lungo di quello romanico e con profilo esterno rettangolare, comprendente una cripta composta da tre vani voltati a botte in laterizi, nei quali va probabilmente identificata la ‘cisterna’ di cui parla l’Esquirro. L’area era inoltre colma di terra di riporto contenente numerosi frammenti epigrafici ma nessuna sepoltura. Il contesto che si indagò negli anni ‘20 era stato sicuramente sconvolto anche dagli scavi compiuti nel Seicento, ma nel leggere le relazioni dell’Esquirro e del Taramelli risulta che entrambi si trovarono di fronte ad una situazione stratigrafica sconvolta, probabilmente dovuta alle superfetazioni succedutesi in questo settore in occasione di restauri antichi.

Per quanto riguarda i dati epigrafici, dai riscontri operati sugli elementi disponibili emergono forti dubbi sull’attendibilità della testimonianza del D’Esquivel. Sia l’Esquirro che il Taramelli parlano di numerosi frammenti iscritti, spesso contenenti poche lettere a cui è impossibile dare un senso. Risulta dunque difficile credere al ritrovamento di iscrizioni su cui era conservata l’intera parola reliquiae, il che oltretutto sarebbe stato in perfetta sintonia con quanto ci si aspettava di scoprire in occasione degli scavi del Seicento.

Due iscrizioni meglio conservate, sempre provenienti dalla zona dell’abside, sono poi tramandate in maniera più completa dalle fonti. La prima (CIL X, 1221*) è relativa a un Gerinus.

Come emerge dal confronto fra le quattro trascrizioni, esistono due versioni della stessa iscrizione, l’una riportata dal D’Esquivel e ripresa dal Carmona, l’altra presente nell’opera dell’Esquirro e alla quale si rifa il Bonfant. La prima versione contiene un maggior numero di elementi: l’abbreviazione MAR, che starebbe a significare Martyr, è probabilmente uno scioglimento arbitrario della M presente nel testo; la locuzione finale sub im[perio] costituirebbe invece una precisazione dell’età di morte con l’indicazione dell’imperatore regnante, secondo una prassi abbastanza rara. Entrambi gli elementi contribuirebbero a riferire inevitabilmente l’epigrafe a un martire, mentre nella versione dell’Esquirro questa caratterizzazione non è così esplicita. La trascrizione che si può fornire è la seguente:

115 ESQUIRRO, pp. 38-39.

116 La pubblicazione di quegli scavi si è limitata ai frammenti epigrafici rinvenuti (TARAMELLI 1924, pp. 66-74), mentre

(croce con lettere apocalittiche) [Hic iacet b(onae)] m(emoriae) Gerinus / [---] vixit ann(is) / [--- ]TIO sub im[perio ---] / ---.

Un elemento comune a tutte e quattro le trascrizioni è la presenza della croce monogrammatica col nome di Cristo, affiancata dalle lettere apocalittiche alpha e omega117. La sigla

B(onae) M(emoriae) doveva essere probabilmente soprallineata (e il fatto che nella versione del D’Esquivel si trovi la sola M soprallineata nell’abbreviazione Mar(tyr) potrebbe essere un’altra spia del fatto che si tratti di uno scioglimento arbitrario operato dall’autore). Il nome del defunto, in questa forma, non è attestato altrove nell’epigrafia dell’Impero romano118. La formula vixit ann(is)

doveva essere seguita dall’età e dalla data della morte. La mancanza di attestazioni del nome, a meno che non si tratti di un unicum, può far ipotizzare qualche errore di lettura da parte degli scavatori. In questo caso, in mancanza di un riscontro negli Actas I, viene meno un importante elemento utile a valutare la corretta interpretazione del testo e, in ultima analisi, la sua genuinità.

Un secondo frammento di marmo (CIL X, 1148*), lungo tre palmi e mezzo e largo due, fu trovato nello stesso punto, a detta del D’Esquivel e dell’Esquirro. L’epigrafe è riprodotta anche nel manoscritto del Carmona in maniera identica a quella del D’Esquivel.

Si tratta di un’iscrizione metrica il cui testo, molto lacunoso, è piuttosto complesso. Sulla base delle trascrizioni pervenute, è possibile dedurre che la lastra fosse spezzata sul lato sinistro, mentre l’hedera che compare alla fine va probabilmente ritenuta un’aggiunta arbitraria. La trascrizione che si può proporre è la seguente:

---

[---] brasei balsama funde [---] referret odor

[---] munda mente dolores [---]S appetit lacrimas [---] fovit

---.

Data la natura metrica del componimento, si propone una traduzione:

... spargi essenze profumate sulle braci ... restituisce il profumo

... con la mente libera dai tormenti ... desidera le lacrime

... amò

Fatta eccezione per l’ultimo verso, del quale si conserva solo una parola, gli altri quattro costituiscono ciascuno alternativamente la metà di un esametro e di un pentametro, per cui doveva trattarsi di un componimento metrico in distici elegiaci119.

117 Su cui vd. GROSSI GONDI 1920, p. 64.

118 Sono attestate molto raramente solo alcune forme ad esso vicine, come P. Valerio Egerino a Montoro (CIL II, 153);

Gerinia a Roma (CIL VI, 18952); Gerinnia a Teano (EE VIII, 579); M. Tannonius Gerinianus a Pozzuoli (AE 2007, 381). All’interno delle falsae esso ricorre una seconda volta in un’iscrizione rinvenuta il 9 ottobre 1621 in uno dei bracci della stessa basilica (CIL X, 1222*; vd. infra, § 1.2.5).

119 In CUGUSI 2003 sono analizzate due iscrizioni di carattere cristiano in distici elegiaci: la celebre targa posta a Sulci

sulla tomba di S. Antioco (CIL X, 7533), e un epitafio cagliaritano scoperto nel 1930 presso la basilica di S. Saturnino (ILSard I, 119).

Il termine brasei era stato già interpretato dall’Esquirro in riferimento al colore rosso delle braci. Si tratta di una parola di origine germanica, introdotta nel tardo latino e poco frequente, dalla quale deriva l’italiano ‘brace’120. In questo caso si trova una forma scorretta, in quanto ci si

aspetterebbe un ablativo plurale brasis. La sua presenza su un’iscrizione che, sulla base del contesto di rinvenimento, va ritenuta piuttosto tarda, è comunque plausibile.

L’espressione balsama fundere è ugualmente rara ma conosce alcune analogie nella letteratura cristiana, anche se non è stato possibile ravvisare alcun confronto preciso121. Ciò che resta

del secondo verso è stato interpretato in maniere differenti già nel Seicento. L’Esquirro vi lesse

terterret odor, che non avrebbe alcun senso in quanto ricollegherebbe l’odor delle essenze profumate alla sfera del verbo terreo, mentre la lezione referret del D’Esquivel, accolta dal Carmona, alluderebbe a ciò che l’odor stesso avrebbe sprigionato nell’aria. Il senso completo dell’espressione sfugge, in quanto manca il complemento oggetto e non si conoscono confronti in letteratura. A livello sintattico, data la presenza del congiuntivo imperfetto, si deve ipotizzare che si trattasse di una proposizione dipendente.

Al terzo verso si può considerare dolores come accusativo di relazione connesso all’ablativo

munda mente, per cui l’intera espressione andrebbe interpretata in riferimento alla purificazione causata dalle essenze profumate di cui si parlava in precedenza. La locuzione munda mente compare solo nel latino medievale (la più antica attestazione è nell’opera del Venerabile Beda122), a

ulteriore conferma della tarda datazione del testo in esame.

All’inizio del quarto verso si trova una S, non riportata dall’Esquirro, che doveva essere finale di una parola perduta. Essa è seguita dall’espressione appetit lacrimas, della quale non si conoscono altre attestazioni né in epigrafia né in letteratura. Tuttavia, dato che la menzione delle lacrimae ricorre negli epitafi, spesso accompagnata da verbi come fundere o effundere123 (qui riferito ai

balsama), è possibile proporre un’interpretazione complessiva del componimento. In esso si ritroverebbe il topos delle lacrime versate per il defunto, rielaborato con l’inserimento di una sorta di rito che prevedeva la diffusione di essenze profumate e che forse richiamava pratiche effettivamente svolte sulla tomba.

L’ultima parola conservata, fovit, peraltro mancante nell’Esquirro, doveva far parte di un’espressione che non è possibile ricostruire, ma comunque legata alla sfera delle manifestazioni affettive riferite al defunto.

120 La più antica attestazione del termine si trova in CGL III, 598, 7, dove si legge brasas – carbones (cfr. DELL, s.v.

brasas). La glossa proviene da un codice del X sec. che raccoglie opere medico-botaniche di difficile datazione (Hermeneumata Codicis Vaticani Reginae Christinae 1260 saeculi X). In DU CANGE 1954, s.v. brasa, si sostiene che si

tratti di una vox hispanica dal significato di carbones candentes; in ERNOUT,MEILLET 1979, s.v. *brasas, si ipotizza

una forma germanica dal significato di carbones. In DE MAURO 1999, s.v. “brace”, si sostiene invece che dal germanico

*brasa sia derivata nel tardo latino una voce *brasia, sempre col significato di ‘carboni ardenti’.

121 Si tratta di EUSEB.GALL. (VII sec.), Collectio homiliarum, 60, 93: balsama pretiosa transfundit; GREG.TOUR. (VI

sec.), Hist., II, 31, 77: balsama difunduntur.

122 BEDA, Hist. Eccl., I, 27, 23.

123 Alcuni esempi in CIL II, 4315: fundimus lacrimas (da Tarraco); CIL II, 4427: tibi fundo dolens lacrimas (da

Tarraco); ILCV 2185: quisque legis titulum lacrimas effunde (da Detumo in Baetica); CIL III, 6416: infunde lacrimas

quisquis es (da Burnum in Dalmatia); CIL VI, 9437: quicumque es puero lacrimas effunde (da Roma); CIL VIII, 2018:

ne lacrimas dimissa coniuge fundas (da Theveste); ILCV 4837: funde lacrimas (da Cartagine); AE 1999, 913: lacrimas