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Il sarcofago e l’iscrizione di Valerianus (CIL X, 7589, FR06, FR07))

1. La basilica di S Saturnino

1.1. Gli scavi secenteschi nella basilica di S Saturnino: prima fase (1614-1615)

1.1.7. Il sarcofago e l’iscrizione di Valerianus (CIL X, 7589, FR06, FR07))

Il 21 novembre, come già anticipato, si portò a termine lo scavo della tomba n. 17, la cui copertura era costituita dagli embrici decorati con palme e ‘mitre’. Al suo interno si rinvennero ossa profumate, alcune di colore argentato e altre apparentemente combuste (f. 16r): Die 21 novembris

1614 in dicta ecclesia Sancti Saturnini. Passant avant la dita serca sa paternitat ab lo pare

Francisco de Caller ab son companyo fra Bernat de Caller, Miquel Xinus (nota a margine: Juan

Antonio Fadda), lo obrer Joan Mestre, Miquel Pinna, los tres ordinaris traballadors escridas en

presencia dels cantat lo hymne acostumat y oracions se acabaren de traure en presencia dels dits testimonis y mi notary infrascrit y secretary se han acabat de traure los ossos debayx de la sepultura del petoral y effibia y sota la cuberta dels senyals de mitras, palmas, creu y demes designats en la jornada de 18 propassat y estos ossos son segons tots han vist tots los predits y yo dit notary y secretary odoriffos y dells plateats, altros coma cremats y lo demes com en son lloch en la jornada de 18 se ha dit.

Una volta ultimato lo scavo, si proseguirono le ricerche dalla parte del vangelo, oltre la tomba n. 16. Al di sopra di una grande lastra di marmo, immediatamente riconosciuta come parte di un sarcofago, fu trovato un frammento dello stesso materiale (FR06) molto piccolo, a forma di cuore, sul quale si vedevano le lettere riportate di seguito (f. 16r-v): Deapres han acudit lo canonge Fensa,

Antiogo Sabater, Gavi Tola, lo canonge Astrada, lo pare Seraphi de Caller ab son companyo fra Jacobo, lo doctor Gaspar Soler, lo doctor Joan Hieronimo Syxto y altres ecclesiastichs y seglars se passa avant en sercar y marrar a la part del evangeli a lluiel124 de les sepultures sobre designades

de les mitres, palmas y creu dalt dites. Se ha trobat sobre de una gran llosa de mabre que denota caxa lo que es bayx, un tros de mabre coma una rajola de la sort xica fet aquest mabre a modo de cor y en ell unes lletres ut jacent com seguexen.

Il frammento, inedito, non viene menzionato nelle opere a stampa del Seicento. Può essere considerato pertinente a un’iscrizione funeraria e interpretato come:

--- / [---]ỊỊ[---] / [--- requi]ẹsc[at?---] / ---.

Il disegno delle lettere appare curato, con apicature, mentre non è chiaro il significato della piccola linea trasversale che taglia la C, la quale non trova confronti.

Poco dopo si scoprì il grande sarcofago di marmo già individuato (n. 19), elegantemente lavorato a forma di ‘tumulo’; alla presenza del viceré, dell’arcivescovo e di numerose altre autorità e comuni cittadini, fu sollevata la copertura e sul suo lato interno si poté leggere l’iscrizione riprodotta di seguito (f. 16v): Deapres se ha trobat una caxa gran de mabre ab sa cuberta (nota a margine: sobre gentilment obrada a modo de tumolo sumptuosissim) y alsada la cuberta en

presentia del senyors virrey, archebisbe, consellers y molt poble se ha trobat de la part de dins de dita cuberta de la caxa hi es lo lletrero seguent que del modo se han pogut llegir dien lo seguent.

Il sarcofago conteneva due corpi, uno di dimensioni maggiori dell’altro, rivolti in direzione dell’altare. Gli scavatori notarono che l’iscrizione era scolpita per più di metà al di sotto della risega d’incasso fra il coperchio e il sarcofago, e che più in basso dell’ultima linea si vedevano altre lettere ormai incomplete, per cui se ne dedusse che la lastra era stata riadattata in un secondo momento come copertura di sarcofago, e che questa non era la sua funzione originaria (f. 16v): Se troba dins

dita caxa de mabre dos cossos ab sos caps un gran y altre xich que estavan en dita sepultura y caxa cara al altar. Y se fa nota que lo dit lletrero esta esculpit mes de la meytat abayx del encayx que fa

la llosa y bayx de la derrera regla del escrit lletrero hy ha segons se veu lletres tallades que restan encara esculpides trossos dellas de lo que resulta que aquella cuberta no era propria ni feta aposta per esta caxa si no que se li acomoda novament com ara se troba o altra millor applicasio que ad aço se puga dar.

L’iscrizione fu inserita dal Mommsen fra quelle autentiche (CIL X, 7589). L’Esquirro125 parla

diffusamente del ritrovamento, affermando che all’interno del sarcofago era deposto un corpo in giacitura primaria, in quanto tutte le ossa erano in connessione anatomica, e un secondo cranio sul lato sinistro. Data la posizione eminente e la sontuosità della sepoltura, si ipotizzò inoltre che, in mancanza di scoperte future maggiormente esplicite, nel sarcofago andasse riconosciuta la tomba di S. Saturnino. L’autore colloca la sepoltura fra quella di Severus alla testata, quella del martyr

episcopus al lato e quelle con la croce pettorale, le mitre e le palme ai piedi126. Si aggiunge inoltre

acutamente che il sarcofago doveva essere stato collocato in quel punto anteriormente alle sepolture circostanti, in quanto sulla fronte si vedevano tracce di calce relative alla struttura delle stesse. Per quanto riguarda l’iscrizione, viene affermato che si tratta del riutilizzo di una lastra di marmo più antica, pertinente a un personaggio di religione pagana, adattata distruggendo parte del testo e collocando il lato iscritto verso l’interno, in maniera tale che il personaggio nominato nell’epigrafe non potesse essere confuso con quello sepolto dentro il sarcofago. Dal disegno riprodotto di seguito si vede chiaramente come l’ultima linea del testo fosse quasi completamente illeggibile, mentre dalla forma dell’incasso si può desumere che il sarcofago avesse i lati brevi della vasca arrotondati. L’Esquirro tenta anche di delineare la figura di Valerianus, identificandolo col [Va]lerianus menzionato in un’iscrizione reimpiegata nella muratura del braccio meridionale della basilica e con un omonimo personaggio il cui epitafio era conservato a Roma127. La ricostruzione dell’autore

tuttavia è funzionale unicamente a dimostrare che il corpo trovato all’interno del sarcofago non apparteneva a un gentile bensì ad un martire.

Sulla base della lettura fornita dall’Esquirro e confluita nel CIL, si è affermato che l’iscrizione di Valerianus fosse un epitafio pagano della più antica necropoli di S. Saturnino, riutilizzato in un momento successivo come coperchio di sarcofago128. Una lettura inesatta ha inoltre generato

l’interpretazione corrente dell’ultima parte del testo, dove si è letto: mil(itavit) in eo FET[---], considerando militavit non in riferimento ad una carica militare del defunto bensì ad un suo impiego nell’amministrazione, e senza fornire una spiegazione dell’ultima parola, dopo la quale si ritenne che dovesse essere indicato il numero degli anni di servizio129. In base alla testimonianza degli Actas

I è invece possibile fornire la seguente trascrizione:

Valerianus cives dalmata / ex officio pr(aefecti) pr<a>etorio q(ui) / vix{s}it ann(is) LI m(ensibus) IIII / neofetu // ---.

125 ESQUIRRO, pp. 40-46.

126 Tale localizzazione è inesatta, in quanto le sepolture del martyr episcopus e della croce pettorale si trovavano alle

estremità dell’area scavata, e il sarcofago non poteva attraversare longitudinalmente tutta la navata per una lunghezza maggiore di 7m. Si può tuttavia ritenere indicativamente esatta la collocazione fra la sepoltura di Severus alla testata e quella della croce pettorale ai piedi.

127 L’iscrizione murata nel braccio sinistro della basilica è nota solo all’Esquirro, mentre quella romana è in CIL VI,

210, una dedica posta da un L. Domitius Valerianus. Il collegamento istituito dall’Esquirro, nella moltitudine dei

Valeriani attestati su base epigrafica, si spiega col fatto che nell’iscrizione romana, già citata nel Caralis Panegyricus di Roderico Hunno Baeça (opera sicuramente nota all’autore) si ricorda un Flavius Caralitanus centurione, per cui una lettura errata poté portare all’identificazione del Valerianus romano con quello di Carales (vd. PORRÀ 1980, p. 187).

128 Tale ricostruzione è accolta in MUREDDU,SALVI,STEFANI 1988, pp. 58 e 74; FLORIS 2005, n. 121.

129 FLORIS 2005, p. 360, sulla scia del commento del Mommsen, il quale afferma in fine fuit fortasse IN EO A III

Valerianus va considerato come nomen unicum, in assenza di praenomen e di gentilizio. Esso rappresenta uno dei cognomina più frequenti nel mondo romano, diffuso soprattutto in epoca tarda fra gli uomini di condizione libera130. Il suffisso –anus, dal significato di ‘appartenenza a’, non deve

trarre in inganno per quanto riguarda la possibilità che fosse peculiare di persone adottate: nonostante si tratti originariamente di una formazione da un gentilizio, il nome veniva attribuito ai bambini senza alcuna implicazione in tal senso131. La grafia cives per civis è attestata132, e in questo

caso è accompagnata dall’etnico Dalmata. Anche questa precisazione ricorre altrove, di solito nella formula natione Dalmata133, mentre si ha un solo caso analogo a quello in esame in un’iscrizione

proveniente da Mainhardt in Germania134. La qualifica di civis, in un momento successivo alla

Constitutio antoniniana, non è funzionale a indicare il possesso della cittadinanza, mentre è da intendersi in senso geografico ed etnico, non giuridico135. Il personaggio in esame dovette rivestire

qualche carica all’interno dell’officium di un prefetto del pretorio. La prefettura va con ogni probabilità intesa in riferimento alla fisionomia che assunse in seguito alle riforme di Costantino, il quale aumentò il numero dei prefetti ponendoli a capo delle circoscrizioni territoriali in cui venne suddiviso l’Impero136. In quel momento, perduto ogni potere militare, i prefetti ebbero funzioni

governative che resero necessaria la costituzione di un officium per lo svolgimento dei vari compiti assegnatigli: proprio all’interno di un simile organismo dovette operare Valerianus137. Considerata

la sua origine dalmata e la sua morte in Sardegna, la prefettura all’interno della quale dovette prestare servizio fu probabilmente quella di Italia, Africa e Illirico. Alla quarta linea è indicata la durata della vita del defunto, introdotta da qui vix{s}it138. Che si tratti del dato biometrico e non di

ulteriori specificazioni riguardanti il suo impiego, introdotte da un improbabile mil(itavit), è confermato dagli Actas I, dove si vedono segni di interpunzione triangolari posti al livello di base della linea, che separano i numerali dalle lettere che indicano gli anni e i mesi di vita. Tale soluzione è inoltre la più probabile anche perché, abitualmente, il numero degli anni è seguito da quello dei mesi e talora dei giorni e ore di vita. Una locuzione indicante la milizia avrebbe trovato più logica collocazione di seguito alla dicitura ex officio praefecti praetorio, in quanto quella era la sezione del testo dedicata a illustrare la carriera del defunto. Si può quindi concludere che

Valerianus visse cinquantuno anni e quattro mesi.

130 In KAJANTO 1965, p. 157, si registrano 425 ricorrenze. Per la datazione vd. SOLIN 1977, p. 137. In Sardegna si trova

un Baler(ianus) a Busachi (AE, 1993, 841); Valerianus a Samugheo (ILSard I, 208); Valeriana a Olbia (CIL X, 7978).

131 KAJANTO 1965, pp. 32-35.

132 LUPINU 2000, p. 28 e nota 82; FLORIS 2005, p. 675.

133 In tutto si hanno 15 esempi, quattro dei quali localizzati in area vesuviana e uno in Sardegna: AE 1951, 30 (da

Prusias ad Hypium in Bitinia); CIL III, 5913 (da Pforing in Raetia); CIL III, 14335 (da Scarbantia in Pannonia); CIL VI, 3126 (da Roma); Denkm 366 (da Roma); CIL X, 3545; 3618; AE 1979, 160 (da Misenum); AE 1892, 140 (da

Neapolis); CIL XI, 71 (da Ravenna); CIL XI, 3530 (da Centumcellae); CIL XI, 6965 (da Luna); AE 1949, 206; AE 1988, 1138 (di provenienza incerta). In Sardegna si conosce L. Turranius Celer a Carales (EE VIII, 711).

134 CIL XIII, 6538, si tratta di un epitafio pagano. 135 Vd. RICCI 1997, p. 189.

136 Su questo processo e sul numero variabile delle circoscrizioni vd. POMA 2002, pp. 193-195; in generale sulla

prefettura del pretorio vd. il classico PALANQUE 1933.

137 Una simile indicazione in un epitafio si trova ad esempio in CIL VI, 8398 (da Roma), dove Fl. Castinus è definito

singularis off(icii) p(raefecti) p(raetorio), su cui vd. ISS 2, 3.5.13; in CIL VIII, 2755 (da Lambaesis), dove P. Aelius

Crescentianus viene definito notarius legati in officio Iuvenalis praef(ecti) praetori(o); in CIL VIII 2403 (da

Thamugadi) un anonimo operò in officio pr(a)efecti annon(a)e, altri in officio ratio(nalis) m(ilitant). Per quanto riguarda la dicitura ex officio, essa si ritrova in CIL VI, 1585; 8403; 8473 (da Roma); CIL VIII, 9763 (da Portus

Magnus); ILJug 271 (da Sirmium).

138 La notazione della sibilante accanto alla consonante doppia è un fenomeno diffuso in epoca tarda, con numerosi

L’ultima parola conservata contiene infine una notazione della massima importanza. Sulla base della trascrizione dell’Esquirro, accolta nel CIL, non era stato possibile spiegare l’espressione, mentre negli Actas I si legge chiaramente neofetu. Il termine può essere interpretato come una forma scorretta per neophytus, vocabolo di origine greca col quale si indicava il fedele che era stato battezzato di recente, secondo la metafora biblica della nuova pianta posta nella vigna del Signore139. Esso ricorre nella documentazione epigrafica latina in una serie di forme errate, fra cui

può essere inserita quella neofetu140.

Su queste basi è possibile affermare, contrariamente all’interpretazione corrente, che l’epitafio in esame sia cristiano e non pagano, in quanto il defunto dovette ricevere il battesimo negli ultimi istanti di vita, secondo un’usanza comune nei primi secoli del Cristianesimo141. Alcune

considerazioni possono essere formulate anche in merito alla cronologia dell’iscrizione. Da un punto di vista archeologico, il reimpiego della lastra in un sepolcro più tardo ne indica l’appartenenza ad una fase della necropoli anteriore alla sistemazione del sarcofago, il quale può essere ritenuto coevo all’impianto giustinianeo del martyrium. A livello epigrafico, va sottolineato che la più antica attestazione del termine neophytus su un’iscrizione datata risale al 348142, mentre il

De Rossi notava come tale indicazione non sia più presente a Roma nel VI sec.143. Fatta eccezione

per un’attestazione sporadica in Gallia nel 466144, l’uso del termine può essere circoscritto alla

seconda metà del IV sec., epoca in cui il Cristianesimo è divenuto da poco religione ufficiale ed è ancora in concorrenza col paganesimo, per cui poteva essere più sentito il desiderio di professarsi apertamente cristiani nella morte. A ciò si può aggiungere che l’impiego di Valerianus nell’officium del prefetto al pretorio riconduce allo stesso orizzonte cronologico, per cui si può proporre una datazione nella seconda metà del IV o agli inizi del V sec.145.

Per quanto riguarda le lettere incomplete presenti nella trascrizione dell’Esquirro, nonostante i tentativi effettuati per decifrarle, esse non restituiscono alcuna parola di senso compiuto146. Si deve

probabilmente escludere che fossero pertinenti all’epitafio, in quanto esso, sulla base del formulario, risulta completo. Se si considera invece che la direzione delle lettere sembra retrograda, non si può escludere che esse fossero pertinenti ad un testo più antico e che la lastra fosse già stata riutilizzata in precedenza.

Le ricerche ripresero il 24 novembre. Quel giorno si recuperarono le ossa contenute all’interno del sarcofago e, in secondo luogo, poche ossa interrate dalla parte del vangelo a destra (n. 20), verso la porta e ai piedi del sarcofago. Alle ossa era associato un frammento di marmo

139 GROSSI GONDI 1920, p. 130; JANSSENS 1981, pp. 26-32. Il termine è attestato epigraficamente 95 volte, 75 delle

quali a Roma e solo sei volte fuori dall’Italia. In Sardegna non si hanno attestazioni.

140 Undici diverse forme scorrette sono riportate in GROSSI GONDI 1920, p. 419, dove però manca quella in esame, nella

quale la particolarità più rilevante è data dalla sostituzione della penultima Y con una E. Come confronti per questo fenomeno si possono invece citare CIL V, 6257 (da Milano): neofeta, al nominativo femminile; CIL IX, 2081 (da

Beneventum): neofetae, al dativo femminile; CIL XIII, 1548 (da Cadurci in Aquitania): neofeti, al genitivo maschile;

ICUR I, 2995: neofeto, al dativo maschile.

141 PIETRI 1985, p. 240. Lo stesso imperatore Costantino, secondo la tradizione, si fece battezzare soltanto in punto di

morte (EUS., Vita Constantini, IV, 61-63).

142 ICUR I, 99. 143 ICUR I, 927. 144 IGC III, 242.

145 Si tratta di una cronologia leggermente più bassa di quella già proposta in LE BOHEC 1990, p. 122, che collocava

l’epitafio tra la seconda metà del III e il IV sec., ma non tenne conto della lettura ricavabile dagli Actas I.

146 Il Mommsen riporta le lettere a metà come l’Esquirro; in FLORIS 2005, p. 359 esse vengono trascritte come

(FR07) sul quale si leggevano alcune lettere (f. 17r): Die 24 novembris 1614 in dicta ecclesia Sancti

Saturnini. Passant avant sa paternitat y essent presents lo canonge Astrada, Miquel Girona rector,

los pares Noni y Meli, lo pare Seraphi de Caller y fra Pere de Sasser, Miquel Xinus, Marti Esquirro, mestre Antiogo Pinna picapedrer, los ordinaris traballadors ab Joan obrer de la Iglesia se han tret los dits cossos de la dita caxa de mabre. Deapres (agg. intl.: deves la porta y cap) al peu

de dita caxa a ma dreta del evangeli se ha trobat sens fabrica uns ossos cosa manco de coffa. Y se y

ha trobat un tros de mabre tallat ab los dits ossos y al cap dells ques ut jacet com segueyx.

Sul frammento, inedito, si leggevano a mala pena cinque lettere, ma il suo carattere cristiano si può desumere dalla presenza della croce riprodotta sul manoscritto. Essa era probabilmente inserita all’interno del testo, dato che le tre lettere che la seguono appaiono pertinenti ad un numerale indicante la durata della vita del defunto piuttosto che all’incipit dell’iscrizione. Le tre lettere leggibili alla seconda riga invece non possono essere ricondotte ad alcuna parola di senso compiuto. Da notare la A con la traversa spezzata, mentre la croce con apici alle estremità non va forse considerata un monogramma bensì un semplice elemento decorativo. Il testo può essere trascritto come segue:

--- / [---] (croce) IIỊ [--- / ---]ṆAR[---] / ---.

Sotto il sarcofago si mise in luce un’altra sepoltura (n. 21) realizzata con laterizi bianchi e copertura di pietre bianche, menzionata anche dall’Esquirro147 (f. 17r): Item sota la sepultura de la

caxa de mabre se ha trobat una sepultura feta de rajola blanca ab sa cuberta de pedra blanca.

Nella giornata del 24 novembre furono rinvenute in tutto altre quattro sepolture, oltre alle due già menzionate. Dalla parte del vangelo, sotto il sarcofago, una tomba (n. 22) in laterizi con copertura in pietra, la cui struttura proseguiva al di sotto delle fondamenta del muro verso la cappella con l’altare di S. Bonifacio. Al suo interno vi erano solo poche ossa coperte da grandi pietre. Accanto alla n. 22, verso l’interno della chiesa, una sepoltura analoga (n. 23), contenente al di sotto delle pietre alcune ossa fra cui il cranio in buono stato di conservazione. Sopra questa tomba si rinvenne un’iscrizione, per la quale si rimanda tuttavia alla giornata del 29 gennaio 1615 (vd. infra, § 1.1.8). Al di sotto di essa un’altra sepoltura (n. 24) contenente un corpo intero. Infine, a una notevole profondità sotto l’altare maggiore, dalla parte dell’epistola, venne in luce una sepoltura (n. 25) con struttura e copertura di laterizi (ff. 17v-18r): Item sota la caxa de mabre

sobredita a la part del evangeli se ha trobat una sepultura feta a rajolas com les demes y ab cuberta de pedra qual entra debayx lo fonament de la paret deves la capella y altar ahont esta lo sepulcre de Sant Bonifaci se han trobat alguns pochs de ossos ferms debayx de grans pedras. Item

al costat de la sobredita sepultura deves la iglesia hy ha y se ha trobat altra sepultura al modo de la sobredita ab ossos debayx de grans pedras de ediffici ab son cap compost cosa antiga com les demes. Nota del lletrero trobat sobre dita sepultura continuat avant en la jornada de 29 de Janer

1615. Item altre cos enter en la proxima sepultura debayx los sobredits ossos ab son cap que esta

molt sinser. Item a dos canes148 debayx del altar mayor deves la part de la epistola que neyx fora de

lo altar se ha trobat una sepultura fabricada de rajolas ab sa cuberta dins ella (il testo si interrompe).

147 ESQUIRRO, p. 46.

148 Il termine sta per ‘canna’, che indicava un’unità di misura. Essa aveva valori differenti a seconda della località: la

canna di Cagliari era calcolata in 5,148m, quella di Sassari in 2,625m (DE LAUNAY 1845, p. 17). La misura che ne risulterebbe tuttavia appare eccessiva nel contesto in esame.

Il 27 novembre le ricerche proseguirono nel punto dove si era iniziato a scavare l’11 dello stesso mese (tomba n. 14). Si recuperarono due crani, uno intero e l’altro in frammenti, insieme ad alcune ossa. Adiacente alla parete si individuò inoltre una sepoltura coperta da lastre di pietra (n. 26), che però potè essere scavata parzialmente in quanto ne era stata messa in luce solo una parte,