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Le tombe di Iacobus (CIL X, 1234*), Iellasius e Filoquirius (CIL X, 1235*)

1. La basilica di S Saturnino

1.2. Gli scavi nella basilica di S Saturnino: seconda fase (1621)

1.2.1. Le tombe di Iacobus (CIL X, 1234*), Iellasius e Filoquirius (CIL X, 1235*)

Il 3 ottobre 1621 i responsabili delle ricerche, delegati a tale scopo dall’arcivescovo D’Esquivel, scavarono nel braccio meridionale crollato della basilica, dalla parte dell’epistola, presso una parete indicata come quella che divideva la seconda dalla terza cappella verso ponente. Qui scoprirono due sepolture (nn. 35-36), ciascuna con un’iscrizione di marmo bianco in lettere ‘gotiche’, rotte in vari frammenti (f. 118r): En la ciudad de Caller a los tres del mes de 8bre de

1621 anno en la iglessia basilica so invocasion del glorioso San Saturnino martir situada extra muros de la presente ciudad. Prosiguiendo la serca e invension de los cuerpos de los gloriosos martires en la dicha iglessia de San Sadorro por los doctores Gaspar Soler comissario general en todo el presente arsobispado de Caller, por el illustrissimo y reverendissimo senor don Francisco Desquivel por la gracia de Dios y de la santa sede apostolica arcobispo de Caller, obispo de las uniones, primado de Sardena y Corsega y el noble don Antonio Bacallar canonigo calaritano y comissario del santo offissio y Melchior Fensa tambien canonigo calaritano teniendo para dicho effecto orden y comission particular de su senoria illustrissima y reverendissima y haviendo dado obra con effecto a la dicha serca haviendo buscado y marrado en la dicha iglessia entre otros llugares, en una de las crusadas o brasso de dicha iglessia que es todo descubierto y dirruido a la parte de la epistola que mira al ponente junto a la parede de una de las capillas de dicha iglessia y crusada que es entre la segunda y tersera capilla se a descubierto dos sepulturas cadauna con su losa de marmol blanco rompidas todas en diversos pedassos y en cadauna de aquellas estan escritos y esculpidos los lletreros con lletras goticas de la manera y forma que baxo se dira y se hallaran escritos.

214 ESQUIRRO, pp. 509-510. 215 ESQUIRRO, pp. 509-528.

Nel pomeriggio di quel giorno, l’arcivescovo fu avvisato della scoperta e si recò personalmente sul luogo, accompagnato dal viceré, affinché in loro presenza si potesse procedere all’apertura delle tombe. Si diede ordine di iniziare da quella più vicina al corpo della basilica (n. 35), sul lato del vangelo, dove si recuperò l’iscrizione frammentaria riprodotta di seguito (f. 118r): Y

el sobredicho dia por la tarde haviendo avisado dichos canonigos a su senoria illustrissima y reverendissima de la invension de las dichas dos sepulturas para que baxasse para habrir (lacuna sul foglio) encontinente baxo en compagnia del illustrissimo y excellentissimo senor don Alonso De

Eril conde y baron de Eril birrey y lugartinente y capita general en el present reyno de Sardena por su Magestad y legado que fue en dicho lugar mando su senoria reverendissima habrir una de las dichas dos sepulturas que es la que es mas serca del cuerpo de la dicha iglessia de San Saturnino a la parte del evangelio a vista de su excellencia, del reverendissimo don Vincente Baccallar obispo de Bosa, los reverendos doctores y canonigos Melchior Pirella, Simon Montanachio, el padre Salvador Pala de la compagnia de Jesus, el padre fray Seraphino Esquirro, el padre fray Hieronimo Boy, el padre fray Nicolau Capuchinos de la orden del padre San Francisco y muchas otras personas ansi ecclesiasticas como seglares en multitud copiosa, ensima la qual sepultura estava una losa de marmol blanco rompida como se a dicho en diversos pedassos en la qual estava esculpido el letrero de la manera y forma siguiente.

Nella facciata successiva della stessa carta si riporta l’iscrizione completa delle integrazioni proposte (f. 118v): El sentido perfecto deste letrero el retro escrito.

Una volta asportata la lastra di marmo, si scavò la sepoltura corrispondente, che si trovava a tre palmi di profondità. Essa era realizzata in laterizi e calce e coperta di pietre piatte; al suo interno conteneva buona parte delle ossa di un corpo, consumate a causa dell’antichità. Tali ossa, ritenute preziose reliquie, furono recuperate e gelosamente custodite all’interno di una cassetta rivestita di velluto rosso (f. 118v): Y tomada la dicha losa y cavando abaxo serca tres palmos se a hallado la

dicha sepultura de dicho glorioso San Jayme cuberta de unas piedras planeras y fabricada de rajolas y cal y tomadas las dichas rajolas dentro dicha sepultura se ha hallado buena parte de los huessos del cuerpo de dicho glorioso santo que por la mucha distansia del tiempo se han consumido los demas huessos las quales santas relliquias de orden de su senoria reverendissima se an sacado por manos del doctor y canonigo don Antonio Bacallar y puestas aquellas con un lienso dentro de una arquilla tapissada de tersiopelo roxo a vista de todos los sobredichos y manda ser ansi continuado de quibus.

L’Esquirro216 fornisce una trascrizione quasi perfettamente coincidente con quella presente

sugli Actas I, eccetto che per l’impaginato, la lezione seper invece di semper e l’aggiunta di una V dopo quest’ultima parola. Il Carmona dipende dall’Esquirro, ma inserisce alcune integrazioni (tumulo alla prima linea; ob alla seconda) che dimostrano come conoscesse la versione ricostruita del testo. Il Bonfant217 riteneva che la lastra fosse spezzata in quattro frammenti, ma completamente

riscostruibile. In realtà gli Actas I non precisano il numero dei frammenti, mentre si capisce molto chiaramente che l’epigrafe era lacunosa anche se ricomposta. La trascrizione del Bonfant invece, ignorando il carattere di integrazione di alcune parti, tratta il testo come se fosse integro e ne stravolge considerevolmente la lettura218.

216 ESQUIRRO, p. 516. 217 BONFANT, pp. 75-76.

218 In particolare la parola mart(yr) collocata al principio della seconda linea ha fatto ritenere ancora in epoca recente

In CIL X, 1234* l’iscrizione è riprodotta secondo la versione che ne diede il Bonfant. Sulla base del confronto con gli Actas I è possibile trascrivere come segue:

[--- in hoc t]ụm<u>lo S[--- e]t s(e)rv(us) Iacobus presbiter / [--- ob n]omen et me[rita?] dignus in ec<c>lesia Dei semper / [---]S vixit annis plus m(inus) LVIII in pace depositus / [--- su]b V id(us) ianuarias.

L’epigrafe doveva essere ben conservata sul lato destro, dove non necessita di integrazioni e ogni linea termina con una parola completa; il numero di linee complessivo non doveva essere superiore a quattro. La prima parola conservata va probabilmente letta come tumulo: la prima V è sufficientemente leggibile, mentre si dovrebbe integrare una T all’inizio e ipotizzare l’omissione della seconda V, per errore del lapicida o del notaio. Il termine sarebbe pertinente all’espressione in

hoc tumulo, comune nell’epigrafia funeraria e che, in ambito cristiano, conosce due confronti in Sardegna219. Ciò che segue è impossibile da ricostruire: la S va ritenuta iniziale di una parola

perduta piuttosto che finale di tumulos, che non avrebbe senso al plurale. Dopo la lacuna, la T può essere riferita a un et che faceva da raccordo con quanto segue. La sigla SRV, soprallineata, fu interpretata nel Seicento come un’abbreviazione per s(pi)r(it)u220, mentre qui si preferisce

scioglierla come s(e)rv(us). È stato dimostrato come questo termine, che nell’epigrafia cristiana non indica quasi mai la condizione servile, debba essere inteso invece come un titolo di umiliazione che allude alla sottomissione del fedele a Dio221. Il nome del defunto si riconnette alla tradizione

neotestamentaria che conosce ben due apostoli omonimi (motivo per cui il Bonfant affermò che il personaggio in esame era stato convertito e battezzato dall’apostolo Giacomo in persona); tuttavia esso risulta quasi assente nell’onomastica latina dell’Impero222. Iacobus fu presbitero, con ogni

probabilità al servizio della chiesa cagliaritana; eventuali precisazioni originariamente presenti sulla lastra sono andate perdute223. Alla seconda linea è plausibile l’integrazione proposta dagli autori

secenteschi, già proposta nella trascrizione interpretativa. Essa riguarderebbe un’espressione mirante a sottolineare come la persona defunta, grazie ai suoi meriti, si sia guadagnata la vita eterna, secondo una concezione piuttosto comune negli elogia funebri224. Per la prima parola, quasi

completa, non si può proporre un’integrazione diversa da [n]omen, per cui la locuzione significherebbe che il defunto è dignus per il nome che porta, dato l’illustre predecessore biblico, del quale si era evidentemente mostrato all’altezza nella sua attività caritatevole. L’allusione ai meriti del defunto, inoltre, è comune, si ritrova in una molteplicità di formulazioni e di per sé

219 Si tratta di CIL X, 7843, da Vallermosa, e del già menzionato sarcofago di Bonifatius (CIL X, 7753).

Sull’espressione vd. TESTINI 1980, pp. 440-442, che la ritiene particolarmente diffusa in Gallia a partire dal IV sec.

220 Tale uso conosce solo un’attestazione a Roma (ILCV 1630).

221 Su questo aspetto vd. GROSSI GONDI 1920, pp. 159-160; PIETRI 1985b, pp. 181-182; COSTANTINI 1997, p. 182. In

Sardegna si conosce un Amabilis d(e)i s(e)rb(us) a Cagliari (CIL X, 7747; vd. CORDA 1999, CAR004), mentre la forma

s(e)rv(us) ricorre ad esempio in un’iscrizione di Rudiae (CLE 1888). Il termine servus compare soprattutto nella formula servus dei o servus Christi, che potrebbe essere ipotizzata anche in questo caso. Ciò è confermato dal fatto che ci si trova in presenza di un presbyter e che tale espressione, inizialmente un semplice titolo di fede e manifestazione di spiritualità, con l’andare del tempo venne attribuita quasi esclusivamente a persone consacrate e non laiche (JANSSENS

1981, pp. 42-47).

222 In KAJANTO 1963, p. 95 si riporta una sola ricorrenza (ICUR II, 5348), oltre a due iscrizioni frammentarie greche

(ICUR II, 4941 e 5680). Ad esse si possono aggiungere ICUR V, 13168; IHC 479 (da Luarca). Tutte le altre attestazioni sono relative alla devozione per gli apostoli o alla supposta presenza delle loro reliquie in vari edifici di culto.

223 I presbiteri costituiscono il grado più comune nella gerarchia ecclesiastica e, di conseguenza, quello più

frequentemente attestato nelle iscrizioni; vd. GROSSI GONDI 1920, pp. 141-143; JANSSENS 1981, pp. 219-221; CARLETTI

1986, nn. 87, 114, 123-127; ISS 2, p. 281 e n. 3.6.2 (con rimandi agli esempi). In Sardegna si conosce un Iohannes

presbyter da Maracalagonis (AE 1928, 117; cfr. CORDA 1999, MAR001).

giustifica il diritto a una sepoltura privilegiata225. Se l’interpretazione fornita è corretta, la dignitas di

cui si parla non dovrebbe essere intesa in riferimento a qualcosa di determinato (il cielo, il premio eterno, secondo le consuete ricorrenze), bensì in senso assoluto, come una condizione che si esplica all’interno dell’ecclesia dei, e per un tempo infinito, semper226. Alla terza linea, la prima lettera

appartiene a una parola perduta; di seguito è indicato il dato biometrico: Iacobus visse circa 58 anni. Manca la formula di trapasso, sostituita dall’espressione in pace depositus, con la quale si indicava la tumulazione, che doveva avvenire pochi giorni dopo la morte. L’uso di registrare la depositio e non la data di morte è raro in Sardegna e probabilmente legato all’importanza che si attribuiva ai riti svolti in memoria del defunto sul sepolcro227. Nell’ultima linea si legge la data della tumulazione,

avvenuta il quinto giorno prima delle idi di gennaio (9 gennaio) in un anno imprecisato. Da notare, a livello paleografico, le apicature presenti in tutte le lettere; le A con la traversa spezzata; le L con l’asta orizzontale curva e ribassata; la C nana nella parola ecclesia; la D sbarrata nell’abbreviazione per idus.

Dopo aver scavato la sepoltura di Iacobus, l’arcivescovo ordinò che venisse asportata anche l’iscrizione collocata sulla tomba adiacente (n. 36), situata in corrispondenza della terza cappella. Si trattava di una lastra di marmo bianco, su cui era scolpito un testo in lettere ‘gotiche’ e una piccola colomba, il tutto riprodotto di seguito (f. 118v): Y ansi mismo su senoria illustrissima y

reverendissima ha mandado levar y quitar la losa que estava puesta en la otra sepultura que es a drechura de la tersera capilla de dicho brasso de iglessia en la qual losa de marmol blanco estava esculpido en letras goticas el letrero de la forma y manera siguiente – y una palometa esculpida.

Spostata la lastra, si scavò al di sotto, e a una profondità di circa tre palmi fu scoperta una sepoltura realizzata in laterizi, pietre e calce, coperta da alcuni grossi embrici, al cui interno furono recuperate parte delle ossa di due corpi in cattivo stato di conservazione. Ritenute le preziose reliquie dei presunti martiri menzionati nell’iscrizione, le ossa furono raccolte da un frate cappuccino, avvolte in una tela e deposte all’interno di una cassetta rivestita di velluto rosso, il tutto in presenza di testimoni (f. 118v): Y tomada la sobre dicha losa y cavando abaxo serca tres palmos

se ha hallado la dicha sepultura fabricada de algunos ladrillos y piedra y cal y estava cubierta con unos ladrillos grandes muy antigos quitados los quales se ha hallado dentro dicha sepultura los huessos y relliquias de dichos gloriosos santos martires Gellasio y Eloquirio huna parte de dichos dos cuerpos que por la mucha distansia del tiempo los demas que faltan se hallan consumidos, las quales santas relliquias dicha su senoria reverendissima ha mandado sacar de dicha sepultura por manos del padre fray Nicolao capuchino y puestos con un lienso ha mandado poner dichas santas relliquias dentro una arquilla tapissada de tersiopelo roxo todo lo qual ha passado a vista de todos los sobredichos y ha mandado ser ansi continuado perque conste de quibus. Gaspar Sirigu notarius y secretarius.

Gli autori secenteschi, in questo caso, sono particolarmente fedeli agli Actas I nella trascrizione, limitandosi a integrare il nome del defunto.

225 I meriti acquisiti in vita sono solitamente sottintesi per i personaggi che hanno diritto ad una sepoltura privilegiata, in

primo luogo gli ecclesiastici (PIETRI 1986, p. 138). In questo caso tuttavia si fa esplicito riferimento ai meriti, con una formulazione che ricorre simile in ICUR V, 13276: dignam meritis.

226 Analogo significato assoluto di dignus ricorre in un epitafio olbiense, dove il defunto viene definito dignus ac

meritus (CIL X, 7995; vd. CORDA 1999, OLB003). Sull’uso del termine vd. PIETRI 1985b, nota 63.

227 In Sardegna ricorre altre due volte (CIL X, 7972, da Olmedo; CIL X, 7836, da Uta). Sull’uso di indicare la depositio

Il Mommsen, rifacendosi alle versioni quasi coincidenti dell’epigrafe tramandate dall’Esquirro (ripreso dal Bonfant) e dal Carmona, la classificò fra le falsae (CIL X, 1235*). Lo studioso tedesco tuttavia precisò che subest sine dubio inscriptio genuina. Il testo può essere trascritto come segue:

Hic iacet b(onae) m(emoriae) Iaellas[iu]s qui vixit / annis pl(us) m(inus) XVIII quiebit in pace / depositus sub die XΣ kalendaru/m septembrium. / (colomba) / Hic est b(onae) m(emoriae) Filoquirius qui vixit ann/ọrum pl(us) m(inus) LX requiebit in pace s(ub) / [d(ie)] XΣI k(alendas) septembres.

Si tratta di due epitafi sulla medesima lastra, che doveva essere quasi integra a parte un’abrasione alla prima linea e una probabile frattura nell’angolo inferiore sinistro, come risulta dagli Actas I. I due testi sono verosimilmente contemporanei e pertinenti ai due defunti sepolti nella tomba sottostante. Il primo inizia con la consueta formula di apertura degli epitafi cagliaritani. Segue il nome che, nonostante una lacuna, può essere integrato come Iaellasius. Esso, come già aveva intuito il Carmona, costituisce una forma anomala per Gelasius, non attestata altrove.

Gelasius appartiene al novero delle formazioni onomastiche in –ius, in questo caso derivata da un verbo greco (γελάω: ridere) che precedentemente non era utilizzato per formare nomi propri228.

L’età di morte, indicata in circa 18 anni, è seguita dalla formula di trapasso, che a seconda delle trascrizioni è resa con quiebit o requiebit in pace. La data di morte non è riportata sull’epitafio ma, analogamente a quanto riscontrato nell’iscrizione di Iacobus, si preferì indicare il giorno della

depositio. Quest’ultima avvenne il sedicesimo giorno prima delle calende di settembre, ossia il 17 agosto. Da notare: i segni di interpunzione triangolari alla prima e alla seconda linea; la legatura Æ nel nome del defunto; la soprallineatura nell’abbreviazione pl(us); il numerale indicato con l’episemon alla terza linea; la menzione delle kalendae al genitivo229; le A con la traversa spezzata.

La parte centrale della lastra era occupata dalla raffigurazione di una colomba, che compare altre sette volte in Sardegna230. Ad essa viene attribuito un significato decorativo e soprattutto

simbolico, con varie accezioni: la più diffusa la vede come espressione della pace celeste, legata al racconto biblico dell’arca, mentre l’altro episodio biblico in cui compare, quello del battesimo di Cristo, ne fa un’immagine dell’anima. Se accompagnata da attributi particolari (come l’albero o il

kantaros), la colomba è invece simbolo dell’anima cristiana entrata in paradiso231.

Il secondo testo inizia con un insolito hic est232, solo ipoteticamente spiegabile con una ricerca

di variatio rispetto all’hic iacet precedente. Nel nome del defunto, come già messo in luce dal Mommsen, va riconosciuto il grecanico Filoquirius (derivato dall’antroponimo greco Philokyrios),

228 KAJANTO 1963, pp. 77, 86. Esso ricorre trentadue volte nella documentazione epigrafica: CIL III, 2283; 12988;

14873 (tutte e tre da Salona); CIL V, 2232 (da Altinum); CIL V, 3294 (da Verona); CIL VIII, 25238 (da Cartagine); CIL XII, 300 (da Forum Iulii); CIL XIII, 10024 (da Lutetia); CIL XIV, 4560, 1 (da Ostia); ISIS 268 (da Ostia); AE 1946, 207 (da Siracusa); AE 1969/70, 464 (da Brigetio); AE 1977, 265b (da Ravenna); AE 1951, 278 (da Aquae Flaviae); AE 1995, 1313 (da Timacum Minus); AE 2003, 1963 (da Masclianae); ILJug III, 1857 (da Buthoe); ILJug III, 2025 (da

Clissa); AE 1938, 61 (da Roma); CIL VI, 13112; 23129; 27297; 29487 (da Roma); ICUR III, 6721; 7621; 8147; IV, 9429; V, 14308; 14379; VII, 18111; 20008; 20081 (padre e figlia con lo stesso nome).

229 Molto più rara del comune kalendas, la forma al genitivo è comunque attestata fuori dalla Sardegna (GROSSI GONDI

1920, pp. 196-197).

230 Si tratta di CIL X, 7769; 7791 (da Carales); AE 1985, 488 (da Nora, musiva); AE 1979, 309; 315 (da Cornus); AE

1990, 456 (da Olbia, già in CIL X, 1125*); ILSard I, 300; ELSard A305 (da Turris Libisonis). Sui simboli nelle iscrizioni sarde vd. CORDA 1999b.

231 Sulla simbologia della colomba vd. KIRSCH 1914, coll. 2198-2231; BRUUN 1963, pp. 86-92; BISCONTI 1997, p. 176. 232 Nell’epigrafia funeraria cristiana della Sardegna sono attestate solo le formule hic situs est (ILSard I, 124, da

ma data la perdita dell’originale non è possibile appurare se ci si trovi davanti a un errore del lapicida o del notaio, che avrebbe trascritto la F iniziale come una E233. Se in epoca precedente il

nome era portato quasi esclusivamente da schiavi e liberti, a causa del significato di ‘colui che ama il padrone’, in età cristiana invece esso acquista probabilmente un valore devozionale, con riferimento al Signore inteso come unico padrone234. La durata della vita, indicata in sessant’anni, è

introdotta dalla locuzione qui vixit con la menzione degli anni al genitivo, secondo l’interpretazione fornita dall’Esquirro e che resta l’unica plausibile. Il termine ann/orum sarebbe perciò diviso su due linee, sebbene negli Actas I la lettera iniziale della seconda linea sembrerebbe una V, che però non avrebbe alcun senso in quel punto. Infine, preceduta dalla formula requiebit in pace, compare la data di morte, avvenuta il diciassettesimo giorno prima delle calende di settembre, ossia il 16 agosto. Anche nel secondo epitafio si segnala l’uso dell’episemon nel numerale, i segni di interpunzione triangolari, la soprallineatura dell’abbreviazione pl(us) e in generale un ductus del tutto identico a quello del primo testo.

Sulla base delle considerazioni formulate, è possibile concludere che l’epigrafe fosse pertinente a due defunti, probabilmente legati da un legame di parentela (padre e figlio o più probabilmente nonno e nipote, data la differenza di età di quarantadue anni). La distanza di appena un giorno fra la data della depositio del primo e quella di morte del secondo induce a pensare che, in occasione del decesso del congiunto più anziano, si sia utilizzata una medesima tomba per seppellirvi anche il più giovane, morto in un momento imprecisato e probabilmente fino ad allora sepolto in un altro luogo. Secondo le date conservate, e ammettendo che il 17 agosto si sia proceduto alla sepoltura di entrambi i defunti, ne risulta che si usava far passare un solo giorno fra la morte e la collocazione della salma nella tomba235.