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1. La basilica di S Saturnino

1.1. Gli scavi secenteschi nella basilica di S Saturnino: prima fase (1614-1615)

1.1.18. L’iscrizione di Longinus (CIL X, 1283*)

L’Esquirro204 parla di un curioso rinvenimento avvenuto nel 1616 a Cagliari, nella c.d. Casa

de la Ciudad, ossia il palazzo nel quale si riunivano i giurati e i governanti della città. Uno dei componenti del consiglio, mentre cercava alcune carte all’interno di un armadio, trovò una lastra di marmo di media grandezza, i cui lati misuravano circa due palmi, e sulla quale era scolpita un’iscrizione (CIL X, 1283*). Non potendo spiegare la presenza del reperto in quel luogo, si interrogarono alcuni anziani, che ricordavano la vicenda. Parecchi anni prima, la lastra era stata recuperata nella basilica di S. Saturnino per reimpiegarla come supporto di un’iscrizione destinata all’ospedale di S. Antonio, ma vedendo che era già iscritta fu conservata e dimenticata nell’armadio fino a quel momento. L’epigrafe è riprodotta anche nel manoscritto del Carmona, dove è omesso il nome di Longinus, e nell’opera del Bonfant, in maniera analoga all’Esquirro.

In CIL X, 1283* l’iscrizione è riprodotta nella versione che ne diede l’Esquirro. La lettura del testo poneva una serie di difficoltà già nel Seicento, a causa di alcuni caratteri anomali; la trascrizione che se ne può proporre è la seguente:

(croce) Hic iacet b(onae) m(emoriae) Longi/nus v(ir) cl(arissimus) qui bixit plus / minus annis X requie/bit in pace sub d(ie) IIII id(us)? / mai(as) M+.

201 È stato autorevolmente dimostrato (NORDBERG 1963, pp. 211-222; DUVAL 1982b, p. 283; CALDELLI 1997) che la

sigla D(is) M(anibus) si trova nei tituli cristiani di Roma e del rsto dell’Impero fino alla seconda metà del IV sec. con una funzione quasi ‘decorativa’ e di introduzione, del cui significato si era peraltro ben consapevoli Senza di essa l’iscrizione avrebbe perso parte del suo significato, al punto che verrà poi sostituita dall’analogo B(onae) M(emoriae). Non mancano parimenti esempi di lastre funerarie già preparate ad accogliere un epitafio pagano tramite l’apposizione della sigla D(is) M(anibus), poi corretta in B(onae) M(emoriae) e riutilizzate per la sepoltura di un cristiano, come quella di Matera a Turris Libisonis (AE 2002, 632; cfr. MASTINO 2006, p. 157).

202 Su questo aspetto vd. supra, a proposito di CIL X, 1435*.

203 Il nome Urbanus, appartenente alla categoria di quelli formati sulla base dell’origine geografica, è uno dei più

frequenti nel mondo romano. Attestato sin da età repubblicana, in particolar modo in Africa, è meno diffuso in ambito cristiano (le attestazioni africane sono 337 su 728, quelle cristiane 25; cfr. KAJANTO 1965, pp. 18, 81, 311). Il nome di Fortunata, tipico wish-name tra i più diffusi, è ugualmente attestato durante tutto l’arco della storia romana, con 2578 ricorrenze nel CIL (836 in Africa), quasi equamente ripartite fra uomini e donne; questa ripartizione si sbilancia nelle iscrizioni cristiane, dove si trovano 36 uomini e 46 donne (KAJANTO 1965, pp. 72, 273).

Le fonti secentesche sono concordi nel riferire l’epitafio a un bambino di dieci anni, martire e figlio di nobili cagliaritani, il cui dies natalis ricorreva il 12 maggio205. Al di là di questa

interpretazione, il carattere cristiano dell’epitafio è comunque chiaro. Il nome del defunto, qui utilizzato come nomen unicum, era molto diffuso come cognomen nel mondo romano, dove esprimeva la caratteristica fisica dell’altezza206. L’unico scioglimento possibile per l’abbreviazione

che segue il nome è v(ir) cl(arissimus), dato che la terza lettera va con ogni probabilità ritenuta una

L, sebbene di un tipo particolare207. Se l’età del defunto fosse realmente di dieci anni, il titolo gli

spetterebbe in quanto figlio di un clarissimus, secondo quanto già ipotizzato dagli autori del Seicento208. Sia la parola bixit che requiebit presentano il fenomeno del betacismo. La parte finale

dell’iscrizione, con l’indicazione della data di morte, è quella che presenta le maggiori difficoltà interpretative. L’Esquirro e il Carmona riproducono l’abbreviazione per d(ie) con una D onciale, mentre il Bonfant riporta una semplice D. Il giorno del mese è indicato dal numerale IIII, mentre il simbolo successivo, sebbene di difficile lettura, può essere ipoteticamente riferito alle idi, come suppone il Bonfant. Il mese di cui si parla è maggio, scritto con la I finale sbarrata, mentre resta inspiegabile l’ultima sigla, ritenuta dal Bonfant un’abbreviazione per mensis, con una precisazione che peraltro non ricorre mai.

La presenza a Carales di un personaggio di nome Longinus, definito vir clarissimus e quindi probabilmente appartenente al ceto degli honorati della città, costituisce un’attestazione significativa209. Essa può essere messa in relazione con un’iscrizione, scoperta in una discarica di

via Simeto a Cagliari, dove si menziona sanctus Longinus centurionis210, la quale è stata riferita

all’esistenza di una caserma di militari dedicata a S. Longino, oppure alla protezione dello stesso santo invocata su una porta urbica o torre211. Dato che l’attestazione era rimasta isolata, Leone Porru

poté concludere che “in Sardegna il culto di S. Longino... non trova posto nella pur ampia

205 Questo secondo la lettura del Bonfant accolta in questa sede; l’Esquirro colloca inspiegabilmente il dies natalis al 4

marzo.

206 In KAJANTO 1965, p. 231 si annotano 221 ricorrenze in età imperiale, di cui solo sei relative a cristiani. L’unica

attestazione sarda proviene dalla basilica di S. Saturnino: si tratta dell’epitafio pagano di Q. Minicius Longinus (AE 1988, 637; ELSard E6). All’interno delle inscriptiones falsae della Sardegna esiste una seconda attestazione del nome

Longinus in un epitafio rinvenuto nel 1626 nell’area della c.d. chiesa di Mauro e Lello, riferito dal Bonfant ad un omonimo martire cagliaritano giustiziato durante la persecuzione di Nerone (CIL X, 1282*, da BONFANT, pp. 72-73 e CARMONA, f. 23v; assente negli Actas I); sulla falsità della leggenda agiografica elaborata sulla base del ritrovamento vd. Acta SS., Martii, II, p. 381.

207 Si tratta del tipo n. 4 dell’inventario delle lettere in GROSSI GONDI 1920, p. 32. Esempi dell’abbreviazione v(ir)

cl(arissimus) si trovano in CIL VI, 41166 (da Roma); CIL IX, 1385 (da Aeclanum); CIL IX, 1575 (da Beneventum); CIL X, 3846 (da Capua); fra le cristiane: ILCV 1674 (da Lugdunum); ILCV 2779 (da Vienna); ILCV 3114 (da Roma); ICI IX, 35 (da Vada Sabatia); RICG XV, 5 (da Valentia); CAG 26, p. 693 (da Valentia); ICUR I, 1476; II, 4958; IV, 11139; VI, 16001.

208 Questo elemento resta sospetto, in quanto per un bambino di dieci anni ci si aspetterebbe il titolo di c(larissimus)

p(uer), per cui è molto probabile un errore di lettura del numerale indicante l’età. Sui clarissimi nelle iscrizioni cristiane vd. GROSSI GONDI 1920, p. 117; in Sardegna se ne conosce solo un’attestazione in un epitafio da Turris Libisonis

(ILSard I, 300; vd. MASTINO 1984, pp. 54-55; CORDA 1999, TUR007).

209 L’attestazione di un Cassius Longinus deportato in Sardegna nel I sec. risale troppo indietro nel tempo per essere

presa in considerazione in questa sede (la notizia è in TAC., Ann., XVI, 8; vd. ROWLAND 1973, n. 254).

210 PORRU 1989; AE 1992, 873; PANI ERMINI 1995, p. 61; SPANU 1998, pp. 30-31; CORDA 1999, CAR106; MASTINO

1999, p. 77.

211 La prima ipotesi è in PORRU 1989; la seconda in PANI ERMINI 1995, p. 61. Una riedizione del testo da parte di

quest’ultima studiosa, nella quale si sarebbero dovute analizzare le ragioni della sua interpretazione, annunciata in PANI

agiografia greca”212 e che “il nome di S. Longino sia arrivato in Sardegna dopo la conquista o

liberazione bizantina, al seguito di truppe di passaggio, comitatenses non limitanei, e con le stesse sia ‘ripartito’”.

L’epitafio cagliaritano testimonierebbe d’altro canto una sua presenza nell’onomastica degli strati dirigenti presenti in città negli stessi anni, per cui si può proporre per il testo in esame una datazione al VI-VII sec., analoga a quella suggerita per l’iscrizione di S. Longino. La qualifica di

clarissimus attribuita al defunto non contrasta con la datazione proposta, in quanto il titolo va considerato nel valore che assunse in età tardoantica: piuttosto che ad appartenenti all’ordine senatorio, esso spettava infatti ai membri dell’aristocrazia municipale. Tali clarissimi sono attestati in Sardegna sia dalle fonti epigrafiche che letterarie, in particolare l’epistolario di Gregorio Magno, a conferma di una cronologia entro la media età bizantina213.

212 E ciò avvenne nonostante l’ampia diffusione del culto di santi militari orientali nell’isola. Su S. Longino vd. Acta

SS., Martii, II, pp. 376-399.

213 Sull’estensione del titolo di clarissimus in età tardoantica vd. PORRÀ 1980, p. 183; CHASTAGNOL 1982; LASSÈRE

2005, pp. 725-731. Per quanto riguarda la situazione sarda vd. il fondamentale SERRA 2004, dove vengono elencate e analizzate tutte le attestazioni riferite dall’autore ad epoca bizantina.